NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
LE “FREQUENTLY ASKED
QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.12
Nella
mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro,
spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a
svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di
ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella
mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di
Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi
pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche
risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso
diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked
Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia
newsletter.
Ovviamente,
per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i
lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto
il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
************
Buonasera
Marco,
ho
bisogno di un tuo consiglio.
L’azienda
metalmeccanica dove lavoro sta modificando le postazioni di autocontrollo per
la validazione dei particolari prodotti nel reparto torneria, e precisamente vuole
abolire i tavoli dove i dipendenti eseguono l’autocontrollo per circa 15 minuti
ogni 2 ore, a volte se ci sono problemi anche più frequentemente.
La Direzione Aziendale, siccome ha notato
che alcuni si dilungano con il cellulare, ha deciso di togliere le sedie,
alzando i tavolini per costringere il dipendente a stare in piedi (io personalmente
ne ho provato uno ed essendo alto 164 cm mi costringe a lavorare scomodo
perché troppo alto).
Considera
che il lavoro di tornitore è comunque abbastanza pesante, se poi non ci si può
sedere neanche per fare i controlli, mi sembra esagerato. Secondo me l’azienda
dovrebbe vigilare sui dipendenti che usano il telefono in modo improprio, ed
eventualmente richiamarli.
Se
non ricordo male un articolo sulla sicurezza dice che dove è possibile eseguire
delle mansioni da seduto, bisogna permetterlo.
Scusa
ancora per il disturbo, grazie 1000 per la disponibilità.
Ciao,
da
un punto di vista legislativo, quindi secondo il D.Lgs. 81/08 (Decreto) o norme
giuridiche ad esso collegate, non esiste una prescrizione specifica circa il
lavoro seduto rispetto al lavoro in piedi.
Solo
relativamente ai locali di riposo o refezione, il Punto 1.11.1.3 dell’Allegato
IV del Decreto specifica che (obbligo sanzionabile) “I locali di riposo devono
avere dimensioni sufficienti ed essere dotati di un numero di tavoli e sedili
con schienale in funzione del numero dei lavoratori”.
Per quanto riguarda le postazioni di lavoro il
Decreto fa genericamente riferimento alla necessità che le postazioni di lavoro
rispettino i requisiti dell’ergonomia.
Già nell’ambito delle misure generali di
tutela di cui all’articolo 15 (che però non è un articolo sanzionabile) il
Decreto specifica al comma 1, lettera d) che:
“Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori nei luoghi di lavoro sono [...] il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro,
nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella
definizione dei metodi di lavoro e produzione [...]”.
Sempre a livello generale, l’articolo 71, comma 6 (sanzionabile)
relativamente alle attrezzature di lavoro, stabilisce che:
“Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché il posto di
lavoro e la posizione dei lavoratori durante l’uso delle attrezzature
presentino requisiti di sicurezza e rispondano ai principi dell’ergonomia”.
Inoltre il Punto 1.2.6 dell’Allegato IV del Decreto (anch’esso sanzionabile), stabilisce che:
“Lo spazio destinato al lavoratore nel posto
di lavoro deve essere tale da consentire il normale movimento della persona in
relazione al lavoro da compiere”.
Nell’ambito di tali
obblighi legislativi di carattere generale, il datore di lavoro deve adottare misure
di prevenzione per ottimizzare l’ergonomia dei posti di lavoro facendo
riferimento a norme tecniche, buone prassi o linee guida.
Per quanto riguarda
l’ergonomia nel settore metalmeccanico trovano applicazione le buone prassi
definite dal “Manuale di raccomandazioni ergonomiche per le
postazioni di lavoro metalmeccaniche INAIL”, scaricabile all’indirizzo:
Occorre
considerare che le “buone prassi”
sono definite dall’articolo 2, comma 1, lettera v) del Decreto come:
“soluzioni organizzative o
procedurali coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica,
adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e sicurezza sui
luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle
condizioni di lavoro, elaborate e raccolte dalle regioni, dall’Istituto
superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), dall’Istituto
nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dagli
organismi paritetici”.
Esse non hanno perciò carattere vincolante (sono “adottate volontariamente”), ma sono “coerenti con la normativa vigente”.
Pertanto la loro applicazione dà presunzione di conformità agli
obblighi legislativi sopra richiamati.
In particolare il Manuale citato non specifica se la postazione di
lavoro debba essere in piedi o seduta, ma fornisce delle indicazioni valide per
entrambe le posture.
Con particolare riferimento al problema da te lamentato, trovano
applicazione (tra le altre) le seguenti “Raccomandazioni e soluzioni tecniche
applicabili per il miglioramento delle condizioni ergonomiche delle postazioni
di lavoro metalmeccaniche” (Capitolo terzo del manuale):
-
nella scelta fra possibilità alternative preferire
l’opzione che riduce le distanze che devono essere colmate mediante
l’estensione delle braccia;
-
nella scelta fra possibilità alternative preferire
l’opzione che riduce le distanze che devono essere colmate mediante la
flessione del busto;
-
nella scelta fra possibilità alternative preferire
l’opzione che riduce le distanze che devono essere colmate mediante la
rotazione del busto;
-
minimizzare la distanza orizzontale e verticale
degli spostamenti manuali dei carichi;
-
assicurare spazi sufficienti per consentire
all’operatore di assumere la postura più naturale e neutra nelle azioni di
movimentazione manuale dei carichi;
-
organizzare il layout verticale e orizzontale
della postazione evitando la necessità di portare le mani lontano dal corpo;
-
organizzare il layout della postazione in modo che
l’operatore si trovi al centro della sua area di lavoro;
-
configurare la postazione in modo da offrire
l’appoggio delle mani e degli avambracci (ad esempio con sporgenze del piano di
lavoro).
Inoltre
nella figura a pagina 26 del Manuale sono riportate le dimensioni ottimali del
piano di lavoro in funzione dei principi ergonomici (sia per posizione in
piedi, che seduta).
Pertanto
i tavoli delle postazioni di lavoro in piedi per l’autocontrollo devono essere
dimensionati in modo da rispettare i requisiti generali (obbligatori) del
Decreto e, di conseguenza, le raccomandazioni e le soluzioni tecniche del
Manuale INAIL.
Tieni
inoltre conto che, in generale, qualunque intervento attuato nell’ambito di
un’azienda non può portare a un peggioramento delle condizioni di salute e
sicurezza, ma solo a un miglioramento.
Ciò
discende dal principio generale di cui all’articolo 15, comma 1, lettera t)
(non sanzionabile), per il quale:
“Le misure generali di tutela
della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono
[...] la programmazione delle misure
ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di
sicurezza, anche attraverso l’adozione di codici di condotta e di buone prassi”;
e dall’obbligo a carico del datore di lavoro (sanzionabile) stabilito
dall’articolo 28, comma 2, lettera c) che stabilisce che il documento di
valutazione dei rischi (di piena responsabilità del datore di lavoro, ai sensi
dell’articolo 17, comma 1, lettera a) del Decreto) deve (tra l’altro)
contenere:
“il programma delle misure
ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di
sicurezza”.
Quindi la decisione della direzione aziendale di togliere le sedie ai
tavoli di controllo non solo è contraria alle disposizioni tecniche di
ottimizzazione dell’ergonomia delle postazioni di lavoro, ma, comportando un
peggioramento delle condizioni lavorative per la salute dei lavoratori, è
contraria a specifiche (e sanzionabili) disposizioni legislative.
A
disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
************
Ciao
Marco,
lavoro
in un azienda laziale e sono RLS.
Avrei
bisogno di alcuni tuoi suggerimenti per poter portare avanti una denuncia
relativa allo stato di degrado di alcuni capannoni della nostra azienda, con
rischi conseguenti per la sicurezza.
Ti
chiedo, quindi, cortesemente di farmi sapere a chi sarebbe meglio e giusto
inviare i nostri esposti: ASL, Vigili del fuoco, e chi altro ancora.
Ti
ringrazio in anticipo per la tua sempre preziosa assistenza.
Saluti.
Ciao,
premetto
quanto disposto dal D.Lgs. 81/08 relativamente a quali siano gli organismi di
vigilanza sull’applicazione della normativa su salute e sicurezza sul lavoro e,
in particolare, del Decreto stesso.
L’articolo
13, comma 1 del Decreto stabilisce che:
“La vigilanza sull’applicazione
della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è
svolta dalla Azienda Sanitaria Locale competente per territorio e, per quanto
di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco [...]”.
Pertanto la denuncia che intendi portare avanti, trattando di
inadempienze relative alla salubrità e alla sicurezza dei capannoni, non
entrando nel merito della sicurezza antincendio, vanno inviati alla ASL SPreSAL
(Servizi di Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro), competente per
territorio.
Per quanto riguarda la regione Lazio gli indirizzi di riferimento li
trovi al l ink:
Tutti le non conformità rilevate, risultando mancati adempimenti al
D.Lgs. 81/08, costituiscono reato penale.
Pertanto inviando la denuncia alla ASL Servizio PreSAL, i cui
ispettori sono Ufficiali di Polizia Giudiziaria, si configurano come denuncia
di reato, ai sensi dell’articolo 333, commi 1 e 2 del Codice di Procedura
Penale:
“Ogni
persona che ha notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne denuncia.
La legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria. La denuncia è
presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore
speciale, al Pubblico Ministero o a un Ufficiale di Polizia Giudiziaria; se è
presentata per iscritto, è sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore
speciale”.
Pertanto, se non avete risposta dalla ASL o preferite comunque
estendere la denuncia, potete inviare le denunce anche alla Procura della
Repubblica territorialmente competente, in via Mario Amato 13/152 (Piazzale Clodio) 00195
Roma.
Come sempre in questi
casi le denunce vanno inviate con Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, oppure con
Posta Elettronica Certificata (PEC) per avere valenza legale.
Fammi sapere come
procedono le cose.
Un
caro saluto.
************
Buongiorno,
ti volevo esporre (in
poche righe) un mio caso personale.
Mi sono fatto male
sul lavoro caricando a mano sull’Ape un fusto vuoto dell’olio (tara 13,5 kg).
Il mio movimento era
corretto, ma, dopo averne caricati parecchi, ho subito una lesione del tendine
del bicipite brachiale.
La mia azienda mi ha
mandato a casa (durante l’infortunio) una lettera dove scarica la responsabilità
su un mio presunto comportamento sbagliato.
Sono andato a parlare
con chi mi ha scritto la lettera e, nonostante anche il mio responsabile abbia
confermato in mia presenza che il lavoro lo avevo eseguito nella giusta
modalità, mi hanno spiegato che la legge dice che in caso di infortunio,
quest’ultimo può essere “tecnico” o “comportamentale”.
Loro non hanno
valutato se il mio movimento era corretto, ma semplicemente hanno valutato che
non era legato a un motivo tecnico. E quindi automaticamente doveva essere di
tipo comportamentale (verbalmente questa la loro spiegazione).
Siamo rimasti
d’accordo che mi richiameranno per farmi vedere la legge.
Aggiungo che dopo
aver fatto corsi sulla sicurezza, ci hanno fatto firmare che abbiamo l’obbligo
di prendersi cura della nostra salute...
In poche parole ti
dicono di fare un lavoro e nel caso ti fai male ti dicono che ti dovevi opporre
a farlo!
Ma
hanno ragione a dare la colpa a me dell’infortunio?
Ciao,
in
realtà l’infortunio nel tuo caso è soprattutto di natura tecnica e solo in
piccolissima parte comportamentale.
L’infortunio
è prevalentemente di natura tecnica perché l’azienda ti mette nelle condizioni
di caricare a mano, e senza quindi l’ausilio di attrezzature di sollevamento
meccaniche, dei carichi da 13,5
kg in maniera continuativa (ne hai caricati
parecchi...), con una dislocazione (spostamento) verticale importante (da
pavimento a pianale dell’Ape) e probabilmente con torsione del tronco e
allungamento delle braccia.
Tieni
conto che la legge (il D.Lgs. 81/08 “Decreto”) pone dei precisi obblighi a
carico delle aziende, nella persona del loro datore di lavoro o dei dirigenti,
in merito alla movimentazione manuale dei carichi (nel tuo caso sollevamento di
oggetti pesanti). Tali obblighi sono contenuti nel Titolo VI del Decreto
“Movimentazione manuale dei carichi”.
In
particolare l’articolo 168, comma 1 del Decreto impone come obbligo a carico
del datore di lavoro quanto segue:
“Il datore di lavoro adotta le
misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati, in particolare
attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale
dei carichi da parte dei lavoratori”.
L’inadempienza a tale obbligo è di natura penale ed è punita
dall’articolo 170, comma 1, lettera a) del Decreto con l’arresto da tre a sei
mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Quindi la tua azienda, prima di parlare di causa comportamentale,
avrebbe dovuto eliminare tecnicamente, come imposto dal Decreto, la necessità
di caricare a mano i fusti vuoti di olio da terra sull’Ape, provvedendo
attrezzature meccaniche di facile reperibilità e di costo limitato (carrello
elevatore, transpallet, sollevatori a pantografo, ecc.).
Inoltre, ma solo nel caso in cui la movimentazione dei carichi
mediante attrezzature non fosse stata tecnicamente possibile, la tua azienda
avrebbe dovuto comunque adempiere agli obblighi di cui all’articolo 168, comma
2 del Decreto, che impone che:
“Qualora non sia possibile
evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il
datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi
appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di
ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi,
tenendo conto dell’allegato XXXIII, ed in particolare:
a) organizza i posti di
lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e
salute;
b) valuta, se possibile
anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse
al lavoro in questione tenendo conto dell’allegato XXXIII;
c) evita o riduce i rischi,
particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate,
tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle
caratteristiche dell’ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività
comporta, in base all’allegato XXXIII;
d) sottopone i lavoratori
alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, sulla base della valutazione
del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all’allegato XXXIII”.
Anche tale il mancato adempimento di tale obbligo è sanzionato
penalmente dall’articolo 170, comma 1, lettera a) del Decreto con l’arresto da
tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a
6.400 euro.
Quindi anche in tal caso la
tua azienda avrebbe dovuto agire tecnicamente mediante azioni organizzative
(riduzione degli spazi di movimentazione, utilizzo di due persone per sollevare
i carichi, ecc.) per ridurre l’entità dello sforzo fisico legato alla
movimentazione manuale dei carichi.
A tale proposito la tua
azienda avrebbe dovuto eseguire una specifica valutazione del rischio da
movimentazione manuale dei carichi, individuando i fattori di rischio e
predisponendo, preliminarmente misure tecniche di prevenzione per ridurre tali
fattori di rischio.
Tale obbligo è sancito
dall’articolo 29, comma 1 del Decreto, che recita:
“Il datore di lavoro effettua la
valutazione ed elabora il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a)
[documento di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza], in collaborazione con il responsabile del
servizio di prevenzione e protezione e il medico competente [...]”.
Il mancato adempimento di tale obbligo è sanzionato penalmente
dall’articolo 55, comma 1, lettera a) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Inoltre la tua azienda avrebbe dovuto sottoporti a sorveglianza
sanitaria specifica (visita medica alla colonna vertebrale e agli arti
superiori ed eventualmente accertamenti diagnostici, quali radiografie), per verificare
la tua idoneità fisica a sollevare carichi pesanti.
Solo dopo aver adempiuto a tali obblighi tecnici, la tua azienda
avrebbe potuto richiedere un corretto comportamento da parte tua, ma solo dopo
averti informato, formato e addestrato, relativamente alle attività di
movimentazione manuale dei carichi, come richiesto dall’articolo 169, commi 1 e
2:
“1. Tenendo conto dell’allegato
XXXIII, il datore di lavoro:
a) fornisce ai lavoratori le
informazioni adeguate relativamente al peso ed alle altre caratteristiche del
carico movimentato;
b) assicura ad essi la
formazione adeguata in relazione ai rischi lavorativi ed alle modalità di corretta
esecuzione delle attività.
2. Il datore di lavoro
fornisce ai lavoratori l’addestramento adeguato in merito alle corrette manovre
e procedure da adottare nella movimentazione manuale dei carichi”.
Il mancato adempimento degli obblighi di cui al
comma 1 (ma, stranamente, non del comma 2) è punito dall’articolo 170, comma 1m
lettera b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 750 a 4.000 euro.
In
conclusione e per i motivi sopra esposti, il tuo infortunio ha avuto origine da
cause prettamente tecniche, causate dal mancato rispetto da parte della tua
azienda degli obblighi sanciti dal Decreto che ti ho sopra esposti
Eventuali
e residuali cause di natura comportamentale ti potrebbero essere addebitate
solo dopo che la tu azienda abbia ottemperato a tali obblighi e comunque solo
dopo essa ti abbia informato, formato e addestrato in maniera specifica, e non
generale, sui comportamenti da adottare in caso di movimentazione manuale dei
carichi.
A
disposizione per ulteriori chiarimenti.
A
presto.
Marco
************
Buongiorno Marco,
dalle tue Newsletter mi pare di capire che il Jobs Act abbia di
fatto annullato il registro degli infortuni.
Me lo confermi oppure ho interpretato male qualche tuo scritto?
Grazie buona giornata
Ciao,
effettivamente il D.Lgs. 151/15 (uno dei Decreti attuativi della Legge 10 dicembre 2014, n. 183, il cosiddetto e famigerato “Jobs Act”) ha abolito
l’obbligo di tenuta del registro infortuni.
Infatti tale Decreto ha cancellato il periodo “al registro infortuni” dal comma 6
dell’articolo 53 del D.Lgs.81/08 che ora recita:
“Fino ai
sei mesi successivi all’adozione del Decreto interministeriale di cui
all’articolo 8 comma 4, del presente Decreto restano in vigore le disposizioni
relative ai registri degli esposti ad agenti cancerogeni e biologici”.
Tale modifica
comporta la soppressione dell’obbligo di tenuta e compilazione del registro infortuni,
introdotto dal D.M. 12/09/58, nel quale andavano annotati cronologicamente
tutti gli infortuni occorsi durante l’attività lavorativa, che avessero
comportato un’assenza dal lavoro di almeno un giorno escluso quello
dell’evento.
In tal modo
viene a mancare uno strumento di monitoraggio del fenomeno infortunistico, sia
a livello di singola azienda (ove aveva anche l’intento di ausilio al processo
di valutazione dei rischi, individuando le lavorazioni statisticamente più
pericolose), sia a livello nazionale.
La
giustificazione della abolizione del registro infortuni risiede, negli intenti
del legislatore, nella creazione del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi
di lavoro (SINP), che almeno ad oggi è però ben lungi dall’essere operativo.
Va osservato
che l’abolizione del registro infortuni non esime il datore di lavoro e i
dirigenti delle aziende di dotarsi di uno strumento di monitoraggio del
fenomeno infortunistico, in quanto rimangono invariati l’articolo 18, comma 1,
lettera r) (comunicazione in via telematica all’INAIL delle informazioni sugli
infortuni che comportano l’assenza di almeno un giorno escluso quello
dell’infortunio) e 35, comma 2, lettera b) (esame nell’ambito della riunione
annuale del fenomeno infortunistico) del D.Lgs.81/08.
Marco
************
NOTA
Nel
testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i
seguenti acronimi e termini:
ASL
= Azienda Sanitaria Locale
CCNL
= Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI
= Dispositivi di Protezione Individuali
DVR
= Documento di Valutazione dei Rischi
DUVRI
= Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori
in appalto
RSPP
= Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS
= Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
D.Lgs.81/08
o Decreto: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e
integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza”)
INFORTUNIO E MALATTIA
PROFESSIONALE: QUALI DIFFERENZE?
Da
Studio Cataldi
04/04/16
Avvocato
Luisa Camboni
Infortunio
e malattia professionale: quali differenze?
Guida
alle due nozioni, alle differenze e alle sanzioni
Con
questo breve contributo si intende spiegare, in modo semplice e chiaro, quando
si è in presenza di infortunio e quando in presenza di malattia professionale.
Il
nostro legislatore riconosce che si è in presenza di “infortunio sul lavoro” se
il lavoratore, a causa dell’attività lavorativa che sta svolgendo e per una
causa violenta riporta danni fisici e/o psichici tali da impedirgli di
continuare a lavorare per un periodo più o meno lungo che deve essere
certificato da un medico (certificato medico di infortunio).
Per
tutelare i lavoratori vittime di infortunio la legge ha previsto (con il
Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965) una specifica
assicurazione obbligatoria che consente di beneficiare di prestazioni sanitarie
specifiche e di ottenere un indennizzo rapportato all’evento traumatico subito
e alle conseguenze che ne sono derivate.
Si
sente parlare anche di “infortunio in itinere”.
Cosa
si intende con tale espressione?
Con
tale espressione si indica l’infortunio accaduto durante il normale percorso di
andata e ritorno che il lavoratore percorre, quotidianamente, per recarsi da
casa sul luogo di lavoro e viceversa. Il legislatore ha espressamente previsto
che l’infortunio “in itinere” sia compreso nella copertura assicurativa che
viene fornita dalla assicurazione obbligatoria contro gli infortuni.
In
questa ipotesi, perché il lavoratore possa ottenere l’indennizzo, è necessario
che l’infortunio si sia verificato nell’ambito del consueto percorso di andata
e di ritorno, effettuato per recarsi sul posto di lavoro. Per questo motivo se
il lavoratore effettua delle interruzioni del percorso o delle deviazioni che
non sono necessarie l’assicurazione obbligatoria non coprirà l’evento lesivo
che si sarà verificato.
Attenzione!!!!
Si considerano necessarie le interruzioni e le deviazioni quando sono dovute a
cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali e improrogabili o
all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti, cioè obblighi la cui mancata
osservanza costituisce reato e viene punita dalla legge penale.
L’assicurazione
copre anche l’infortunio quando il lavoratore non utilizza i mezzi pubblici e
si avvale di un mezzo privato a condizione che questo utilizzo sia necessario.
L’utilizzo
del mezzo privato è consentito quando mancano mezzi pubblici che servono il
percorso oppure, pur essendovi linee pubbliche di collocamento, non consentono
al lavoratore di raggiungere puntualmente il posto di lavoro.
Anche
nell’ipotesi di infortunio “in itinere” per certificare l’accaduto è necessario
rivolgersi al medico perché rilasci il certificato medico di infortunio.
Con
l’espressione “malattia professionale” si intende invece una malattia contratta
durante l’attività lavorativa a causa delle lavorazioni effettuate (ad esempio:
sordità da rumori, tumori causati dall’uso di particolari vernici o coloranti,
malattie respiratorie…)
Anche
la malattia professionale deve essere certificata da un medico su apposito
documento detto certificato medico di malattia professionale.
Definiti
i concetti di infortunio e malattia professionale vediamo che cosa il lavoratore
deve fare per tutelare i propri diritti.
In
caso di infortunio sul lavoro o “in itinere” il lavoratore deve:
-
avvisare
o, quando non è possibile, far avvisare immediatamente il proprio datore di lavoro,
o la persona da lui incaricata;
-
rivolgersi
al medico dell’azienda per cui lavora, se è presente nel luogo di lavoro;
-
recarsi
o farsi accompagnare al “Pronto Soccorso” dell’ospedale più vicino
-
se
necessario chiamare o far chiamare l’ambulanza;
-
rivolgersi
al proprio medico curante.
Al
medico occorre spiegare le modalità e il luogo in cui si è verificato
l’infortunio. Il medico provvede, così, a rilasciare un primo certificato nel
quale indica la diagnosi ed il numero dei giorni di assenza dal lavoro. Tale
certificato viene rilasciato in duplice copia:
-
una
copia va consegnata immediatamente al datore di lavoro;
-
l’altra
deve essere conservata dal lavoratore.
Chi
scrive ritiene necessario precisare che le fotocopie del certificato medico non
sono considerate valide.
In
caso di ricovero ospedaliero come ci si comporta?
In
questo caso sarà cura dell’ospedale provvedere a trasmettere copia dei
certificati all’INAIL e al datore di lavoro.
Il
datore di lavoro una volta ricevuto il certificato che deve fare?
Il
datore di lavoro, se il medico ha certificato che il lavoratore non potrà
lavorare per più di tre giorni, dovrà provvedere immediatamente ad informare
l’INAIL trasmettendo agli uffici competenti copia del certificato medico
unitamente ad un apposito modulo detto “denuncia di infortunio”.
Se
il datore di lavoro non provvede a denunciare all’INAIL l’infortunio, il
lavoratore potrà informare direttamente l’INAIL presentando presso gli uffici
dell’Istituto il certificato medico.
Quali
sanzioni il nostro ordinamento prevede in caso di infortunio sul lavoro?
L’infortunio
sul lavoro, come abbiamo in precedenza evidenziato, comporta sempre una lesione
dell’integrità psico-fisica del lavoratore. Tali ipotesi sono punite dalla
legge penale attraverso i reati di lesioni colpose (articolo 590 del Codice
Penale) e di omicidio colposo (articolo 589 del Codice Penale).
Va
osservato che in questi casi la colpa del datore di lavoro o di coloro che sono
tenuti alla sicurezza sul luogo di lavoro va ravvisata nella mancata osservanza
delle regole che impongono l’adozione di efficaci misure di sicurezza per la
tutela della salute sul luogo di lavoro.
Nel
caso di omicidio colposo, l’azione penale viene esercitata d’ufficio dal
Procuratore della Repubblica non appena questi viene a conoscenza
dell’accaduto.
Le
lesioni colpose, invece, per essere perseguite necessitano, in linea di
massima, di una querela da parte del lavoratore infortunato.
Tuttavia,
la legge prevede che nei casi di infortunio più gravi, se la prognosi porta a
ritenere che la malattia avrà una durata superiore a 40 giorni, il Procuratore
della Repubblica, che deve essere comunque informato dall’INAIL, è tenuto a
esercitare l’azione penale d’ufficio senza una querela da parte
dell’infortunato.
INFORTUNI SUL LAVORO:
L’ABNORMITA’ DELLA CONDOTTA DEL LAVORATORE COME CAUSA DI ESCLUSIONE DELLA
RESPONSABILITÀ DEL DATORE
Da
Studio Cataldi
04/04/16
Avvocato
Daniele Paolanti
Un’analisi
sulle ipotesi in cui la colpa del lavoratore diventa l’unica causa efficiente
del danno.
La
sicurezza sul lavoro rappresenta da sempre uno dei temi più delicati e
controversi sui quali dottrina e giurisprudenza si sono reiteratamente
pronunciate al fine di individuare la linea di demarcazione che separa la
responsabilità del datore di lavoro rispetto a quella del lavoratore.
Come
opportunamente evidenziato nel Testo Unico per la salute e la sicurezza nei
luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/08) il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire
che dall’esercizio dell’attività (da lui stesso organizzata) non scaturiscano
dei danni ai lavoratori, ovvero all’insieme delle persone preposte alla
conduzione dell’attività stessa.
Il
datore di lavoro, pertanto, organizza l’attività di impresa al fine di
specificare quali adempimenti dovranno essere svolti dai dipendenti che, di
conseguenza, dovranno attenersi a quanto loro richiesto, fermo restando
l’obbligo del datore di lavoro di salvaguardare l’integrità psicofisica dei
lavoratori eliminando o cercando di ridurre al massimo i rischi che possono
procurare dei danni alla salute. In questo contesto si inserisce la
responsabilità del datore di lavoro che sorge ogni qual volta le predette norme
atte a garantire determinati standard di sicurezza non vengano rispettate.
La
giurisprudenza, tuttavia, ha escluso la responsabilità del datore di lavoro
laddove si dovesse determinare un infortunio causato da una condotta “abnorme”
del lavoratore il quale, scostandosi dalle direttive ricevute, assume un
comportamento per sua natura imprevedibile e tale comunque da non poter essere
in alcun modo impedito dal datore di lavoro.
Come
si legge in una nota pronuncia della Suprema Corte, infatti, “la colpa del
lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa
antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni,
non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del
rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore
che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato
che il comportamento del lavoratore fu abnorme e che proprio questa abnormità
abbia dato causa all’evento; abnormità che, per la sua stranezza e
imprevedibilità, si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei
garanti” (Sentenza del 14/03/14 della Cassazione Penale).
Dalla
pronuncia citata si apprende come pertanto una condotta abnorme, e come tale
idonea a escludere la responsabilità del datore di lavoro nonché degli organi
preposti al controllo dell’osservanza delle norme in materia di salute e
sicurezza sul lavoro, sia quella che si contraddistingua per la sua stranezza
ed imprevedibilità e come tale, pertanto, “ex se” idonea a causare l’infortunio
o l’evento morte. E’ sempre la
Corte di Cassazione ad ammettere, con apodittica chiarezza,
che “[...] soltanto al verificarsi di comportamenti di tale gravità che per le
loro caratteristiche non siano più in alcun modo riconducibili al potere/dovere
di controllo dell’imprenditore sulla sicurezza nelle condizioni di lavoro, si
interrompe il nesso causale tra la responsabilità del datore e l’evento lesivo
verificatosi a carico del lavoratore, con esclusione del rapporto concausale,
ed esenzione del datore di lavoro dalla gravosa prova liberatoria e di un
giudizio di accertamento in concreto delle rispettive percentuali di
responsabilità. In questo caso infatti si considera il comportamento del tutto
fuori dagli schemi del lavoratore unica causa efficiente del danno che lo
stesso si è provocato” (Sentenza n. 12046 del 29/05/14, della Cassazione
Civile).
Tuttavia
giova ricordare come sempre la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto, a
più riprese, che la condotta del lavoratore non sia idonea a esimere da
responsabilità il datore di lavoro quando questa sia caratterizzata da
imprudenza, imperizia o negligenza, ma soltanto quando la condotta sia per sua
natura abnorme, divenendo unico elemento causale del fatto, arrivando ad
individuare quali elementi connotativi di detto comportamento l’inopinabilità
ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo (“ex multis” vedi Sentenza
n. 27127 del 2013 della Corte di Cassazione). Anche la dottrina si è espressa
al riguardo, rilevando come non sia tenuto ad alcun obbligo risarcitorio il
datore di lavoro che fornisca la prova del comportamento abnorme del
lavoratore, ovvero in grado di escludere il nesso di causalità tra negligenza
datoriale ed evento infortunistico (sul punto vedi Feola, Di Corato, Castrica
“Infortuni in itinere. Aspetti medico-legali: norma, giurisprudenza e dottrina”
Giuffrè Editore, 2010). Altri autori, sempre in argomento, hanno invece
rilevato come il comportamento abnorme sia quello posto in essere autonomamente
e come tale svoltosi in ambito estraneo alle mansioni affidate al lavoratore o,
laddove dovesse rientrare in tali mansioni, consista in qualcosa di
radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi imprudenti
scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (vedi Cadoppi, Canestrari,
Manna, Papa “Trattato di Diritto Penale. I delitti contro la vita e
l’incolumità personale” 2011).
In
conclusione si può quindi pacificamente ritenere che la responsabilità del
datore di lavoro e degli organi preposti alla tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro sussista anche nell’eventualità in cui lo stesso
lavoratore compia scelte imprudenti, potendosi escludere la responsabilità e il
conseguente obbligo risarcitorio nella sola ipotesi in cui il comportamento del
lavoratore sia assolutamente imprevedibile e radicalmente lontano dalle scelte
del datore di lavoro il quale, con un ragionevole sforzo, non avrebbe in alcun
modo potuto prevederlo.
LA GESTIONE DI SICUREZZA E SALUTE PER LA FORZA LAVORO IN ETA’
AVANZATA
Da:
PuntoSicuro
05
aprile 2016
L’importanza
di una valutazione dei rischi sensibile all’età, della promozione della
capacità lavorativa e della salute sul posto di lavoro e dell’adeguamento dei
compiti lavorativi e dell’ambiente di lavoro.
I
lavoratori anziani sono una parte crescente della forza lavoro. Dal momento che
si lavora più a lungo, la gestione della SSL per una forza lavoro in età
avanzata è divenuta una priorità.
Aumentare
i livelli di occupazione e prolungare la vita lavorativa sono importanti obiettivi
delle politiche europee e nazionali dalla fine degli anni ‘90. Il tasso di
occupazione dell’UE-28 per le persone di età compresa tra 55 e 64 anni è
aumentato dal 39,9 % nel 2003 al 50,1 % nel 2013. Si tratta di un tasso di
occupazione ancora inferiore a quello del gruppo di età compreso tra 22 e 64
anni. E’ aumentata anche l’età media di uscita dal mercato del lavoro, che è
passata da 59,9 anni nel 2001
a 61,5 anni nel 2010.
La
strategia Europa 2020 si propone di aumentare il tasso di occupazione della
popolazione in età compresa tra 20 e 64 anni al 75 %. Ciò significa che i
cittadini europei dovranno lavorare più a lungo.
I
normali cambiamenti dovuti all’età possono essere sia positivi che negativi.
Molti
attributi, come la saggezza, il pensiero strategico, la percezione olistica e
la capacità di giudizio, si sviluppano o si manifestano per la prima volta con
l’avanzare dell’età. Con l’età si accumulano anche esperienze lavorative e
competenze.
Tuttavia,
alcune capacità funzionali, principalmente fisiche e sensoriali, diminuiscono
per effetto del naturale processo di invecchiamento. I possibili cambiamenti
delle capacità funzionali devono essere presi in considerazione nella
valutazione dei rischi e per far fronte a tali cambiamenti devono essere modificati
l’ambiente di lavoro e i compiti lavorativi.
I
cambiamenti delle capacità funzionali dovuti all’età non sono uniformi in
quanto esistono differenze individuali in termini di stile di vita,
alimentazione, forma fisica, predisposizione genetica alle malattie, livello di
istruzione e lavoro e altri ambienti.
I
lavoratori più anziani non costituiscono un gruppo omogeneo; possono sussistere
differenze considerevoli tra persone della stessa età.
Il
declino dovuto all’età influisce soprattutto sulle capacità fisiche e
sensoriali, che sono le più importanti per i lavori fisici pesanti. Il
passaggio dall’industria estrattiva e manifatturiera al settore dei servizi e
all’industria basata sulle conoscenze, una maggiore automazione e meccanizzazione
dei compiti e l’uso di apparecchiature motorizzate hanno ridotto la necessità
di un lavoro fisico pesante.
In
tale nuovo contesto, molte capacità e competenze associate alle persone più
anziane, come le buone capacità relazionali, i servizi alla clientela e la
consapevolezza della qualità, sono sempre più valorizzate.
Inoltre,
molti cambiamenti delle capacità funzionali dovuti all’età sono più rilevanti
in alcune attività professionali rispetto ad altre. Per esempio, i cambiamenti
dell’equilibrio hanno implicazioni per i vigili del fuoco e il personale di
soccorso che lavorano in condizioni estreme, indossando equipaggiamenti pesanti
e sollevando e trasportando le persone; una riduzione della capacità di
valutare le distanze e la velocità degli oggetti in movimento ha implicazioni
per la guida notturna, ma non ha alcuna influenza su chi lavora in un ufficio.
L’età
è solo un aspetto della diversità della forza lavoro. Una valutazione dei
rischi sensibile all’età tiene conto delle caratteristiche delle varie fasce di
età quando si valutano i rischi, fra cui i possibili cambiamenti delle capacità
funzionali e dello stato di salute.
I
rischi riguardanti i lavoratori più anziani comprendono in particolare:
-
lavoro
fisico pesante;
-
pericoli
connessi al lavoro a turnazione;
-
lavoro
in ambienti rumorosi o in condizioni di temperatura bassa o elevata.
Poiché
le differenze individuali aumentano con l’età, non devono essere effettuate
considerazioni esclusivamente sulla base dell’età. La valutazione dei rischi
deve tenere conto dei requisiti del lavoro in relazione alle capacità e allo
stato di salute individuali.
La
capacità lavorativa è l’equilibrio tra lavoro e risorse individuali; quando
lavoro e risorse individuali sono compatibili, la capacità lavorativa è
adeguata.
I
fattori fondamentali che influiscono sulla capacità lavorativa sono:
-
salute
e capacità funzionali;
-
istruzione
e competenza;
-
valori,
atteggiamenti e motivazione;
-
ambiente
di lavoro e comunità lavorativa;
-
il
contenuto, i requisiti e l’organizzazione del lavoro.
La
capacità lavorativa può essere valutata mediante il Work Ability Index. Il
concetto di capacità lavorativa presuppone che le azioni di promozione della
capacità lavorativa sul luogo di lavoro comprendano tutti questi fattori.
Sulla
salute in età più avanzata influiscono i comportamenti in materia di salute
tenuti in precedenza. La riduzione delle capacità funzionali può essere
ritardata e limitata al minimo grazie ad abitudini e stili di vita sani, come
un’attività fisica regolare e una corretta alimentazione. L’ambiente di lavoro
svolge un ruolo fondamentale nella promozione di uno stile di vita sano e di
attività che servono a prevenire il declino fisico, contribuendo quindi a
mantenere la capacità lavorativa. La promozione della salute nei luoghi di lavoro
riguarda molti aspetti diversi tra cui dieta e alimentazione, consumo di
alcolici, abbandono del fumo, quantità di attività fisica, recupero e sonno.
Da
un sondaggio di opinione condotto dall’EU-OSHA nel 2012 è emerso che una grande
maggioranza di cittadini dell’UE ritiene che le buone prassi in materia di
salute e sicurezza svolgano un ruolo importante in quanto consentono di
lavorare più a lungo.
Una
buona progettazione del luogo di lavoro è vantaggiosa per tutte le fasce d’età,
compresi i lavoratori più anziani.
Quando
le capacità cambiano, anche il lavoro deve subire delle modifiche compensative,
quali ad esempio:
-
una
riprogettazione o una rotazione del lavoro;
-
brevi
pause più frequenti;
-
una
migliore organizzazione dei turni lavorativi, per esempio con un sistema di
turnazione a rotazione rapida (2-3 giorni);
-
un
buon controllo dell’illuminazione e dei rumori;
-
una
buona ergonomia dei macchinari.
Congedi
di malattia di lunga durata possono avere come conseguenza problemi di salute
mentale, esclusione sociale e uscita anticipata dal mercato del lavoro.
Facilitare il rientro al lavoro dopo un congedo per malattia è determinante per
sostenere la forza lavoro in età avanzata. Tra gli esempi di iniziative
intraprese nei paesi europei per promuovere il rientro al lavoro si annoverano
l’istituzione del “certificato di idoneità” che ha sostituito il certificato di
malattia nel Regno Unito e un progetto di intervento per il rientro al lavoro
in Danimarca.
INDICAZIONI TECNICHE
SUI SISTEMI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE DALLE CADUTE
Da:
PuntoSicuro
06
aprile 2016
Un
nuovo quaderno per immagini dell’INAIL è dedicato ai sistemi di protezione
individuale dalle cadute: le tipologie di sistemi di protezione, il sistema di
posizionamento e numerose immagini per informare in modo efficace e semplice.
Un
ostacolo alle strategie di prevenzione degli infortuni nei cantieri edili è
costituito dalle difficoltà comunicative, dalle barriere linguistiche dovute
alla cospicua presenza di lavoratori stranieri.
Per
superare questo ostacolo e favorire una comunicazione nei cantieri che consenta
l’acquisizione rapida degli elementi di base indispensabili alla sicurezza del
singolo lavoratore e a quella degli altri, l’INAIL ha realizzato una nuova
serie di pubblicazioni che veicolano ogni informazione attraverso dei disegni
che assumono funzione didascalica e forniscono il maggior numero possibile di
indicazioni per il corretto utilizzo di dispositivi, attrezzature e opere provvisionali.
Il
breve testo che presenta ogni pubblicazione e accompagna ogni immagine è
scritto in cinque diverse lingue: italiano, inglese, francese, albanese e
rumeno.
Gli
otto opuscoli che compongono la collana “Quaderni per immagini”, realizzati
dalla sinergia di due strutture INAIL (Dipartimento per le Innovazioni
Tecnologiche - DIT e Direzione centrale pianificazione e comunicazione),
nascono dunque dall’esigenza di sperimentare una tipologia di comunicazione che
si possa esprimere attraverso le immagini.
E
gli opuscoli sono correlati alla collana di “Quaderni Tecnici per i cantieri
temporanei o mobili”, già edita dall’INAIL in riferimento agli stessi temi dei
“Quaderni per immagini” (scale portatili, trabattelli, parapetti provvisori,
ancoraggi, reti di sicurezza, ponteggi fissi, sistemi di protezione degli scavi
a cielo aperto e sistemi di protezione individuale dalle cadute).
Ci
soffermiamo oggi brevemente sull’opuscolo della collana “Quaderni per
Immagini”, dal titolo “Sistemi di protezione individuale dalle cadute”.
Opuscolo che ricorda come i sistemi di protezione individuale dalle cadute
vengano frequentemente impiegati nei cantieri temporanei o mobili durante le
attività in quota. Sistemi che vanno utilizzati nei casi in cui, a seguito
della valutazione dei rischi, le caratteristiche intrinseche dei luoghi di
lavoro, le procedure di lavoro della azienda che effettua l’attività e
l’adozione di dispositivi di protezione collettivi non permettono di ridurre a
livello accettabile i rischi specifici. Solo in questi casi diventa
obbligatorio adottare tali sistemi di protezione individuale dalle cadute.
Prima
di ricordare le immagini presenti nell’opuscolo, riportiamo alcune informazioni
sui sistemi di protezione individuale dalle cadute tratte dall’omonimo Quaderno
Tecnico per i cantieri temporanei o mobili realizzato dal Dipartimento
innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti
antropici (DIT) dell’INAIL.
Il
Quaderno tecnico “Sistemi di protezione individuale dalle cadute” sottolinea
che i sistemi di protezione individuale dalle cadute vengono raggruppati
secondo la norma UNI EN 363:2008. E tali sistemi comprendono:
-
sistema
di trattenuta: è un sistema di protezione individuale dalle cadute che evita le
cadute dall’alto limitando lo spostamento del lavoratore, cioè impedisce al
lavoratore di raggiungere le zone dove esiste il rischio di caduta dall’alto;
il sistema ha le seguenti caratteristiche: limita il movimento del lavoratore
in modo che questi non possa raggiungere le zone dove potrebbe verificarsi una
caduta dall’alto; non è destinato ad arrestare una caduta dall’alto; non è
destinato a situazioni di lavoro in cui il lavoratore necessiti di essere sostenuto
dal dispositivo di tenuta del corpo (occorre evitare scivolamenti o cadute);
-
sistema
di posizionamento sul lavoro: è un sistema di protezione individuale dalle
cadute che permette alla persona di lavorare sostenuta, in tensione/trattenuta,
in modo tale da evitare la caduta; ha le seguenti caratteristiche: evita la
caduta del lavoratore; permette al lavoratore di posizionarsi nel luogo di
lavoro, sostenuto in tensione/trattenuta; il quaderno ricorda che qualora
esista il rischio di caduta dall’alto in aggiunta al sistema di posizionamento
sul lavoro deve essere utilizzato un sistema di arresto caduta;
-
sistema
di accesso su fune: è un sistema di protezione individuale dalle cadute che
permette al lavoratore di raggiungere e lasciare il luogo di lavoro in tensione
o in sospensione, in modo tale da evitare o arrestare la caduta; ha le seguenti
caratteristiche: consente l’accesso al luogo di lavoro in tensione o in
sospensione; evita o arresta la caduta del lavoratore; permette al lavoratore
di muoversi tra posizioni più alte e più basse e può permettere lo spostamento
laterale; utilizza un punto di attacco basso sull’imbracatura per il collegamento
alla fune di lavoro; comprende una fune di lavoro e una fune di sicurezza che sono
attaccate separatamente alla struttura a punti di ancoraggio sicuri; può essere
utilizzato per il posizionamento sul lavoro dopo che è stato raggiunto il luogo
di lavoro;
-
sistema
di arresto caduta: è un sistema di protezione individuale dalle cadute che
arresta la caduta e limita la forza d’urto sul corpo del lavoratore durante
l’arresto della caduta; ha le seguenti caratteristiche: non evita la caduta;
limita la lunghezza della caduta; permette al lavoratore di raggiungere zone o
posizioni in cui esiste il rischio di caduta e, quando si verifica la caduta,
l’arresta; fornisce la sospensione dopo l’arresto della caduta;
-
sistema
di salvataggio: è un sistema di protezione individuale dalle cadute per mezzo
del quale una persona può salvare se stessa o altri e che evita la caduta; ha
le seguenti caratteristiche: evita la caduta sia della persona soccorsa sia del
soccorritore durante l’operazione di salvataggio; permette di sollevare o
abbassare la persona soccorsa in un posto sicuro.
Tornando
al “Quaderno per Immagini”, elenchiamo le immagini (corredate da testo
didascalico contenute:
-
Figura
1: Sistema di trattenuta collegato a un ancoraggio lineare;
-
Figura
2: Sistema di posizionamento sul lavoro;
-
Figura
3: Sistema di posizionamento sul lavoro che include un sistema di arresto
caduta collegati ad un sistema di ancoraggio lineare;
-
Figura
4: Sistema di accesso su fune;
-
Figura
5: Sistema di arresto caduta che include un cordino ed un assorbitore di
energia su linea di ancoraggio flessibile;
-
Figura
6: Sistema di arresto caduta collegato ad un sistema di ancoraggio lineare;
-
Figura
7: Sistema di arresto caduta collegato ad un sistema di ancoraggio lineare;
-
Figura
8: Sistema di arresto caduta collegato ad un sistema di ancoraggio puntuale;
-
Figura
9: Sistema di trattenuta collegato ad un sistema di ancoraggio lineare/accesso
al tetto;
-
Figura
10: Sistema di arresto caduta che include un cordino ed un assorbitore di
energia su linea di ancoraggio flessibile.
Il
documento “Sistemi di protezione individuale dalle cadute”, collana Quaderni
per Immagini, INAIL, è scaricabile all’indirizzo:
Il
documento “Sistemi di protezione individuale dalle cadute”, collana Quaderno
Tecnici per i cantieri temporanei o mobili, INAIL, è scaricabile all’indirizzo:
IL NUOVO REGOLAMENTO
EUROPEO SUI DPI
Da:
PuntoSicuro
07
aprile 2016 - Cat: DPI
Di
Tiziano Menduto
Pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della UE il Regolamento (UE) 2016/425 sui Dispositivi
di Protezione Individuale (DPI) che abroga la Direttiva 89/686/CEE.
La
forma giuridica, i considerando, il campo di applicazione e gli obblighi degli
operatori economici.
Il
31 marzo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della UE (GUUE) il nuovo Regolamento
(UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui DPI e
che abroga la Direttiva
89/686/CEE del 21 dicembre 1989, Direttiva concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati Membri relative ai DPI.
Era
uno dei Regolamenti dell’Unione Europea più attesi (prima ancora della
pubblicazione erano già circolate alcune bozze del documento finale) sia per i
contenuti che per la forma scelta.
L’atto
della UE ha sempre l’obiettivo di stabilire requisiti per la progettazione e la
fabbricazione dei DPI che devono essere messi a disposizione sul mercato, al
fine di garantire la protezione della salute e della sicurezza degli
utilizzatori, ma ora la forma giuridica è cambiata. Non più la “Direttiva”, ma
il “Regolamento”, una forma che rende le “regole” obbligatorie per tutti gli
Stati membri dell’Unione Europea senza necessità di un recepimento.
Il
Regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione
in GUUE, ma si applica a decorrere dal 21 aprile 2018 (è a decorrere da questa
data che è abrogata la
Direttiva 89/686/CEE) con alcune eccezioni:
-
gli
articoli da 20 a
36 e l’articolo 44 si applicano a decorrere dal 21 ottobre 2016;
-
l’articolo
45, paragrafo 1, si applica a decorrere dal 21 marzo 2018.
Per
comprendere la necessità di questo nuovo atto in materia di DPI e la scelta di
un “Regolamento” e non di una “Direttiva”, è sufficiente leggere alcuni
“considerando” presenti nella norma.
Nei
“considerando” si indica che “l’esperienza acquisita nell’applicazione della
Direttiva 89/686/CEE ha evidenziato carenze e incongruenze nella copertura dei
prodotti e nelle procedure di valutazione della conformità”. E per questo
motivo, “al fine di tener conto di tale esperienza e di fornire chiarimenti in
merito al quadro nel quale i prodotti oggetto del presente Regolamento possono
essere resi disponibili sul mercato”, con il Regolamento 2016/425 è “opportuno
rivedere e migliorare alcuni aspetti della Direttiva 89/686/CEE”.
Inoltre
poiché l’ambito di applicazione, i requisiti essenziali di salute e di
sicurezza e le procedure di valutazione della conformità “devono essere
identici in tutti gli Stati membri” è opportuno “sostituire la Direttiva 89/686/CEE con
un Regolamento, che è lo strumento giuridico adeguato per imporre norme chiare
e dettagliate, che non lascino spazio a differenze di recepimento da parte
degli Stati membri”.
Prima
di passare ad una breve analisi degli articoli del Regolamento, ricordiamo
altri “considerando” che ci permettono di chiarire alcuni aspetti preliminari.
Intanto
si indica che il Regolamento disciplina i DPI che “sono nuovi sul mercato
dell’Unione al momento di tale immissione sul mercato, vale a dire i DPI nuovi
di un fabbricante stabilito nell’Unione oppure i DPI, nuovi o usati, importati
da un paese terzo”. E il Regolamento “dovrebbe applicarsi a tutte le forme di
fornitura, compresa la vendita a distanza”.
Gli
operatori economici “dovrebbero essere responsabili della conformità dei DPI
alle prescrizioni del presente Regolamento, in funzione del ruolo che rivestono
nella catena di fornitura, in modo da garantire un elevato livello di
salvaguardia di interessi pubblici, quali la salute e la sicurezza, la
protezione degli utilizzatori, nonché una concorrenza leale sul mercato dell’Unione”.
E
“tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di fornitura e
distribuzione dovrebbero adottare misure atte a garantire che siano messi a
disposizione sul mercato solo DPI conformi al presente Regolamento. Il presente
Regolamento dovrebbe stabilire una ripartizione chiara e proporzionata degli
obblighi corrispondenti al ruolo di ogni operatore economico nella catena di
fornitura e distribuzione”.
Tuttavia
il fabbricante, che conosce dettagliatamente il processo di progettazione e di
produzione, “è nella posizione migliore per eseguire la procedura di
valutazione della conformità. La valutazione della conformità dovrebbe quindi
rimanere obbligo esclusivo del fabbricante”.
Ed
è poi necessario garantire che i DPI provenienti da paesi terzi che entrano nel
mercato dell’Unione “siano conformi ai requisiti di cui al presente Regolamento
e in particolare che i fabbricanti abbiano applicato adeguate procedure di
valutazione della conformità. E’ pertanto opportuno prevedere una disposizione
che obblighi gli importatori ad assicurarsi che i DPI immessi sul mercato siano
conformi ai requisiti del presente Regolamento, evitando l’immissione sul
mercato di DPI non conformi o che presentano un rischio. E’ inoltre opportuno
prevedere che gli importatori si assicurino che siano state svolte le procedure
di valutazione della conformità e che la marcatura CE e la documentazione
tecnica redatta dai fabbricanti siano a disposizione delle autorità nazionali
competenti a fini di controllo”.
Ci
soffermiamo ora sull’ambito di applicazione.
Il
Regolamento si applica ai dispositivi di protezione individuale (DPI) definiti
(articolo 3) come:
a)
“dispositivi progettati e fabbricati per essere indossati o tenuti da una
persona per proteggersi da uno o più rischi per la sua salute o sicurezza;
b)
componenti intercambiabili dei dispositivi di cui alla lettera a), essenziali
per la loro funzione protettiva;
c)
sistemi di collegamento per i dispositivi di cui alla lettera a) che non sono
tenuti o indossati da una persona, che sono progettati per collegare tali
dispositivi a un dispositivo esterno o a un punto di ancoraggio sicuro, che non
sono progettati per essere collegati in modo fisso e che non richiedono
fissaggio prima dell’uso”.
Inoltre
(articolo 2) il Regolamento non si applica ai DPI:
a)
“progettati specificamente per essere usati dalle forze armate o nel
mantenimento dell’ordine pubblico;
b)
progettati per essere utilizzati per l’autodifesa, ad eccezione dei DPI
destinati ad attività sportive;
c)
progettati per l’uso privato per proteggersi da:
i)
condizioni atmosferiche non estreme;
ii)
umidità e acqua durante la rigovernatura;
d)
da utilizzare esclusivamente su navi marittime o aeromobili oggetto dei
pertinenti trattati internazionali applicabili negli Stati membri;
e)
per la protezione della testa, del viso o degli occhi degli utilizzatori,
oggetto del Regolamento n. 22 della Commissione economica per l’Europa delle
Nazioni Unite concernente prescrizioni uniformi relative all’omologazione dei
caschi e delle relative visiere per conducenti e passeggeri di motocicli e
ciclomotori”.
Concludiamo
questa breve presentazione ricordando che, riguardo alla presunzione di conformità
del DPI, “un DPI conforme alle norme armonizzate o alle parti di esse i cui riferimenti
sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è
considerato conforme ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza di cui
all’allegato II [del Regolamento], contemplati da tali norme o parti di esse”.
E
tale dichiarazione di conformità UE (la struttura della dichiarazione è
riportata nell’allegato IX del Regolamento) “attesta il rispetto dei requisiti
essenziali di salute e di sicurezza applicabili di cui all’allegato II”. Con la
dichiarazione il fabbricante “si assume la responsabilità della conformità del
DPI” ai requisiti stabiliti dal Regolamento.
I
capi e gli allegati del Regolamento 2016/425 sono i seguenti:
-
Capo
I - Disposizioni Generali (Articoli 1/7)
-
Capo
II - Obblighi degli operatori economici (Articoli 8/13)
-
Capo
III - Conformità del DPI (Articoli 14/17)
-
Capo
IV - Valutazione della conformità (Articoli 18/19)
-
Capo
V - Notifica degli organismi di valutazione della conformità (Articoli 20/36)
-
Capo
VI - Vigilanza del mercato dell’unione, controlli sui DPI che entrano nel
mercato dell’Unione e procedura di salvaguardia dell’Unione (Articoli 37/41)
-
Capo
VII - Atti delegati e atti di esecuzione (Articoli 42/44)
-
Capo
VIII - Disposizioni transitorie e finali (Articoli 45/48)
-
Allegato
I - Categorie di rischio dei DPI
-
Allegato
II - Requisiti essenziali di salute e di sicurezza
-
Allegato
III - Documentazione tecnica per i DPI
-
Allegato
IV - Controllo interno della produzione
-
Allegato
V - Esame UE del tipo
-
Allegato
VI - Conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione
-
Allegato
VII - Conformità al tipo basata sul controllo interno della produzione unito a
prove del prodotto sotto controllo ufficiale effettuate a intervalli casuali
-
Allegato
VIII - Conformità al tipo basata sulla garanzia di qualità del processo di
produzione
-
Allegato
IX - Dichiarazione di conformità UE
-
Allegato
X - Tavola di concordanza
Il
Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo
2016 sui Dispositivi di Protezione Individuale e che abroga la Direttiva 89/686/CEE del
Consiglio è scaricabile allindirizzo:
La Direttiva 89/686/CEE del
Consiglio delle Comunità Europee del 21 dicembre 1989, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai Dispositivi di
Protezione Individuale è scaricabile all’indirizzo:
Nessun commento:
Posta un commento