NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
CAMERA DI MEDICAZIONE AZIENDALE E PERSONALE SANITARIO
LE
CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.74
Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR
RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne
fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di
lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di
richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire
con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti dei lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che
hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e
possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a
che fare con casi simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza
ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende
coinvolte.
Marco Spezia
QUESITO
Ciao Marco,
l’azienda in cui lavoro (azienda
chimica-farmaceutica), con circa 380 dipendenti che lavorano su 3 turni
settimanali, ha nel proprio sito una camera di medicazione con un presidio
infermieristico giornaliero con una infermiera professionale, dalle ore 8.00
alle ore 16.00. Fino a qualche anno fa il presidio infermieristico era di 2
persone dalle ore 6.00 alle ore 22.00 che è stato ridotto.
Oggi l’azienda sulla scorta della decisione di
vendere il sito a terzi ha cominciato a ridurre i costi e quindi a fare tagli
al servizio di infermeria, in cui vuole ulteriormente ridurre le ore di presidio
infermieristico giornaliero della camera di medicazione.
Ho visto che il punto 5.6
“Camera di medicazione” dell’Allegato IV “Requisiti dei luoghi di lavoro” del
D.Lgs. 81/08 prevede che le aziende industriali che occupano più
di 50 dipendenti soggetti all'obbligo delle visite mediche preventive e
periodiche a norma dell’articolo 40 del Decreto, sono obbligate a tenere e
allestire adeguatamente la camera di medicazione.
Inoltre, il punto 5.8
“Personale sanitario” sempre del suddetto Allegato prevede che tale tipo di aziende debbano avere un presidio con un
infermiere o, in difetto, con una persona pratica dei servizi di infermeria,
incaricato di curare la buona conservazione dei locali, degli arredi e dei
materiali destinati al pronto soccorso.
Secondo le procedure aziendali, quando avviene un
infortunio e un incidente occorre chiamare il pronto soccorso pubblico di zona.
Abbiamo inoltre una squadra di primo soccorso,
preparata ad allertare i soccorsi del personale sanitario e intervenire per
adottare le prime misure basi di salvaguardia dell’infortunato.
Ma tutto ciò non può sostituire le capacità di un
presidio infermieristico o personale sanitario che è professionalmente
preparato a un trattamento tempestivo e appropriato di un individuo ferito, il
cui intervento primario di primo soccorso che riceve fin dall’inizio può essere
determinante riguardo alla possibilità di sopravvivenza e di guarigione dello
stesso infortunato.
La domanda che ti pongo è: cosa si può fare sotto
l’aspetto della norma?
Sicuramente possiamo esercitare una protesta
sindacale per questa riduzione della sicurezza quando gli sprechi sono altrove.
Ti ringrazio per l’attenzione, saluti.
RISPOSTA
Ciao,
tieni
conto che il tuo quesito non è di facile risposta, in quanto la normativa è
abbastanza vaga in merito.
Faccio
prima di tutto una necessaria e indispensabile precisazione.
Tutto
il punto 5 dell’Allegato IV del D.Lgs. 81/08, relativo alla struttura di primo
soccorso aziendale (al cui interno erano contenuti i punti 5.6 e 5.8 da te
citati) è stato integralmente eliminato dal famigerato Decreto cosiddetto
“correttivo” del Governo Berlusconi (il Decreto Legislativo n. 106 del 3 agosto
2009).
Ad
oggi quindi il D.Lgs. 81/08 non dispone nessuna prescrizione per i locali di
primo soccorso, se non quelle che riporterò nel seguito.
In
merito alla organizzazione del servizio di primo soccorso il D.Lgs. 81/08 è di
fatto abbastanza vago, lasciando alla responsabilità del datore di lavoro
l’organizzazione del servizio, ma rimandando anche, per alcuni dettagli della
organizzazione, al Decreto Ministeriale n. 388 del 15
luglio 2003 (D.M.
388/03).
In
merito al servizio di primo soccorso (e in generale ai servizi di gestione
dell’emergenza) il D.Lgs. 81/08 impone genericamente come obbligo al datore di
lavoro o al dirigente quanto disposto dall’articolo 18, comma 1 alle lettere
b), h), t):
“Il datore di lavoro [...] e i dirigenti [...] devono:
[...]
b) designare preventivamente
i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e
lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo
grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione
dell'emergenza;
[...]
h) adottare le misure per il
controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni
affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile,
abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
[...]
t) adottare le misure
necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei luoghi di
lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato, secondo le
disposizioni di cui all'articolo 43. Tali misure devono essere adeguate alla
natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva, e
al numero delle persone presenti;
[...] “
L’articolo
43 definisce poi in generale gli obblighi relativi alla gestione delle
emergenze, specificando al comma 1, lettera a) che:
“Ai fini degli adempimenti di
cui all'articolo 18, comma 1, lettera t), il datore di lavoro organizza i
necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo
soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell'emergenza”.
Pertanto un primo obbligo definito in dettaglio dal D.Lgs. 81/08 è
quello di garantire la possibilità di contattare i servizi pubblici di
emergenza, con particolare riferimento al servizio di pronto soccorso.
La successiva lettera b) richiama poi l’obbligo di designazione degli
addetti al servizio di primo soccorso:
“[il datore di lavoro] designa
preventivamente i lavoratori di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b)”.
L’articolo 43 non specifica però quale deve essere il numero minimo
degli addetti al servizio di emergenza (e quindi di primo soccorso) limitandosi
ad affermare genericamente al comma 2 che:
“Ai fini delle designazioni di
cui al comma 1, lettera b), il datore di lavoro tiene conto delle dimensioni
dell'azienda e dei rischi specifici dell'azienda o della unità produttiva
secondo i criteri previsti nei decreti di cui all'articolo 46”.
In realtà i “decreti di cui all'articolo
46” relativamente al primo soccorso non sono mai stati emanati, per cui la
decisione in merito al numero degli addetti al primo soccorso è lasciata alla
decisione del datore di lavoro.
L’articolo 45 del D.Lgs. 81/08 tratta più in dettaglio dell’organizzazione
del primo soccorso, specificando al comma 1 che:
“Il datore di lavoro, tenendo
conto della natura dell’attività e delle dimensioni dell'azienda o della unità
produttiva, sentito il medico competente ove nominato, prende i provvedimenti necessari
in materia di primo soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto
delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i
necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori
infortunati”.
Pertanto tale dettato lascia al datore di lavoro la responsabilità di
organizzare il servizio di primo soccorso, in termini di numero di persone, di
presenza eventuale di sala medica e di modalità di contattare i servizi
esterni.
Il successivo comma 2 rimanda al D.M. 388/03 la definizione delle
attrezzature minime di primo soccorso e di qualificazione professionale dei
componenti della squadra di primo soccorso:
“Le caratteristiche minime delle
attrezzature di primo soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua
formazione, individuati in relazione alla natura dell'attività, al numero dei
lavoratori occupati ed ai fattori di rischio sono individuati dal Decreto
Ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 e dai successivi Decreti Ministeriali di
adeguamento acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”.
Va osservato che i “successivi
Decreti Ministeriali di adeguamento” non sono mai stati emanati, per cui,
ad oggi, si applica solo quanto stabilito dal D.M. 388/03.
I dettati del D.M. 388/03 variano in funzione della tipologia di
azienda, secondo la classificazione di cui all’articolo 1, comma 1:
“Gruppo A:
I) aziende o unità
produttive con attività industriali, soggette all'obbligo di dichiarazione o
notifica, di cui all'articolo 2, del Decreto Legislativo 17 agosto 1999, n.
334, centrali termoelettriche, impianti e laboratori nucleari di cui agli
articoli 7, 28 e 33 del Decreto Legislativo 17 marzo 1995, n. 230, aziende
estrattive ed altre attività minerarie definite dal Decreto Legislativo 25
novembre 1996, n. 624, lavori in sotterraneo di cui al Decreto del Presidente
della Repubblica 20 marzo 1956, n. 320, aziende per la fabbricazione di
esplosivi, polveri e munizioni;
II) aziende o unità
produttive con oltre cinque lavoratori appartenenti o riconducibili ai gruppi
tariffari INAIL con indice infortunistico di inabilità permanente superiore a
quattro, quali desumibili dalle statistiche nazionali INAIL relative al
triennio precedente ed aggiornate al 31 dicembre di ciascun anno;
III) Aziende o unità
produttive con oltre cinque lavoratori a tempo indeterminato del comparto
dell'agricoltura.
Gruppo B:
aziende o unità
produttive con tre o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A.
Gruppo C:
aziende o unità
produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel gruppo A”.
Nel tuo caso (azienda chimica con più di tre lavoratori con indice
infortunistico inferiore a 4) l’azienda appartiene al gruppo B.
Le attrezzature di primo soccorso per le aziende sono definite
dall’articolo 2 del D.M. 388/03:
“1. Nelle aziende o unità
produttive di gruppo A e di gruppo B, il datore di lavoro deve garantire le
seguenti attrezzature:
a) cassetta di pronto
soccorso, tenuta presso ciascun luogo di lavoro, adeguatamente custodita in un
luogo facilmente accessibile ed individuabile con segnaletica appropriata,
contenente la dotazione minima indicata nell'Allegato 1, che fa parte del
presente Decreto, da integrare sulla base dei rischi presenti nei luoghi di
lavoro e su indicazione del medico competente, ove previsto, e del sistema di
emergenza sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale, e della quale sia costantemente
assicurata, la completezza ed il corretto stato d'uso dei presidi ivi contenuti;
b) un mezzo di
comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del
Servizio Sanitario Nazionale.
2. Nelle aziende o unità
produttive di gruppo C, il datore di lavoro deve garantire le seguenti
attrezzature:
a) pacchetto di medicazione,
tenuto presso ciascun luogo di lavoro, adeguatamente custodito e facilmente
individuabile, contenente la dotazione minima indicata nell'allegato 2, che fa
parte del presente decreto, da integrare sulla base dei rischi presenti nei
luoghi di lavoro, della quale sia costantemente assicurata, in collaborazione
con il medico competente, ove previsto, la completezza ed il corretto stato
d'uso dei presidi ivi contenuti;
b) un mezzo di
comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio
Sanitario Nazionale.
3. Il contenuto minimo
della cassetta di pronto soccorso e del pacchetto di medicazione, di cui agli
Allegati 1 e 2, è aggiornato con Decreto dei Ministri della salute e del lavoro
e delle politiche sociali tenendo conto dell'evoluzione tecnico-scientifica.
[...]”
Come vedi, il D.M. 388/03 non parla più di locale di primo soccorso,
ritenendo sufficiente la cassetta di primo soccorso.
Per il dettaglio degli Allegati ti rimando al D.M. 388/03 che puoi
scaricare al link
I requisiti e la formazione degli addetti al primo soccorso sono
infine definiti all’articolo 3 del D.M. 388/03:
“1. Gli addetti al pronto
soccorso, designati ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera b), del Decreto
Legislativo 19 settembre 1994, n. 626 [ora articolo 43, comma 1, lettera b)
del D.Lgs. 81/08], sono formati con
istruzione teorica e pratica per l'attuazione delle misure di primo intervento
interno e per l'attivazione degli interventi di pronto soccorso.
2. La formazione dei
lavoratori designati è svolta da personale medico, in collaborazione, ove
possibile, con il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale. Nello
svolgimento della parte pratica della formazione il medico può avvalersi della
collaborazione di personale infermieristico o di altro personale specializzato.
3. Per le aziende o
unità produttive di gruppo A i contenuti e i tempi minimi del corso di formazione
sono riportati nell'Allegato 3, che fa parte del presente decreto e devono
prevedere anche la trattazione dei rischi specifici dell'attività svolta.
4. Per le aziende o
unità produttive di gruppo B e di gruppo C i contenuti ed i tempi minimi del
corso di formazione sono riportati nell'Allegato 4, che fa parte del presente
Decreto.
5. Sono validi i corsi
di formazione per gli addetti al pronto soccorso ultimati entro la data di
entrata in vigore del presente Decreto. La formazione dei lavoratori designati
andrà ripetuta con cadenza triennale almeno per quanto attiene alla capacità di
intervento pratico”.
Per il dettaglio degli Allegati relativamente alla durata e ai
contenuti dei corsi di formazione per gli addetti al primo soccorso ti rimando
sempre al D.M. 388/03.
Metto però in evidenza che tali Allegati non richiedono una
preparazione o una formazione scolastica di base, né titoli professionali, ma
soltanto un corso di formazione (che nel caso delle aziende del gruppo B è di sole
12 ore).
Infine l’articolo 4 del D.M. 388/03 impone al datore di lavoro di
disporre in azienda le attrezzature minime per il primo soccorso, da definire
in collaborazione col medico competente:
“1. Il datore di lavoro, in
collaborazione con il medico competente, ove previsto, sulla base dei rischi
specifici presenti nell'azienda o unità produttiva, individua e rende
disponibili le attrezzature minime di equipaggiamento e i dispositivi di
protezione individuale per gli addetti al primo intervento interno ed al pronto
soccorso.
2. Le attrezzature e i
dispositivi di cui al comma 1 devono essere appropriati rispetto ai rischi
specifici connessi all'attività lavorativa dell'azienda e devono essere
mantenuti in condizioni di efficienza e di pronto impiego e custoditi in luogo
idoneo e facilmente accessibile”.
Anche tale articolo però rimane del tutto nel vago nella definizione
di tali attrezzature, specificando solo in modo del tutto generale che esse “devono essere
appropriati rispetto ai rischi specifici connessi all'attività lavorativa
dell'azienda”.
Per quanto sopra detto quindi, gli obblighi a carico dell’azienda
relativamente al primo soccorso sono:
-
designare gli addetti aziendali al servizio di
primo soccorso, che devono essere in numero sufficiente in funzione delle
dimensioni e dei rischi specifici della azienda e devono essere adeguatamente
informati, formati e addestrati, secondo i contenuti minimi riportati nel D.M.
388/03;
-
garantire la possibilità di comunicazione con i
servizi esterni di pronto soccorso (118);
-
garantire la presenza di cassette di medicazione
come definite, in funzione della tipologia di azienda dagli allegati del D.M.
388/03,
-
garantire la presenza di attrezzature di primo
soccorso, senza però che queste siano definite da atti normativi.
Nulla
però viene detto relativamente alla necessità della presenza di un medico
laureato e specializzato in primo soccorso, o di un infermiere professionista,
tanto che per gli addetti al servizio di primo soccorso non è previsto, né nel
D.Lgs. 81/08, né nel D.M. 388/03, nessuna pregressa istruzione o formazione e
sono sufficienti le poche ore di formazione previste dagli Allegati del D.M
388/03.
E’
comunque vero che il datore di lavoro si assume la responsabilità (assieme, per
quanto richiamato dagli atti citati, al medico competente) di come viene
organizzato il primo soccorso in termini di risorse umane e strumentali.
La
definizione dell’organizzazione del primo soccorso (come di tutte le misure di
prevenzione e protezione) deve essere contenuta in maniera formale all’interno
del Documento di Valutazione dei Rischi, di cui agli articoli 17, comma 1,
lettera a), 28 e 29 del D.Lgs.81/08, in virtù di quanto disposto dall’articolo
28, comma 2, lettera b) del decreto che stabilisce che tale Documento deve
contenere:
“l'indicazione delle misure
di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione
individuali adottati”.
Tale
documento è consultabile dal Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza che
può esprimere le sue opinioni sull’adeguatezza del servizio di primo soccorso e
fare osservazioni e proposte in merito (articolo 50 del D.Lgs. 81/08).
Inoltre,
in riferimento al tuo caso, in cui era presente una struttura per la gestione
delle emergenze di primo soccorso già definita (e molto ben strutturata), vale
comunque il concetto (richiamato dal D.Lgs. 81/08) che, in ogni caso, le misure
di prevenzione (come in questo caso) e di protezione per tutelare la salute dei
lavoratori non possano essere mai diminuite, ma solo migliorate.
Infatti
l’articolo 15, comma 1, lettera specifica che:
“Le misure generali di tutela
della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:
[...]
la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il
miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l'adozione
di codici di condotta e di buone prassi
[...]”
E
in maniera più cogente (trattandosi di obbligo) l’articolo 28, comma 1, lettera
c) specifica che il “documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a) [Documento di Valutazione dei Rischi]” deve contenere tra l’altro “il programma delle misure ritenute opportune
per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza”.
Pertanto la legge italiana prevede che ogni azienda debba programmare
e attuare misure di miglioramento della sicurezza e, di conseguenza, non possa
diminuire quelle già esistenti.
In questo senso il programma aziendale di limitare il servizio di
primo soccorso, in assenza di interventi di compensazione (che devono essere
comunque specificati nel Documento di Valutazione dei Rischi) che garantiscano
un medesimo livello di efficacia ed efficienza non è legalmente attuabile.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
L’INFORTUNIO IN
ITINERE: IL RISARCIMENTO DEI DANNI SUBITI NEL TRAGITTO CASA-LAVORO
Da
Studio Cataldi
11
aprile 2016
avvocato
Pino Cupito
Analisi
di un particolare tipo di danno risarcibile alla luce della recente attività
giurisprudenziale: la caduta dalla bicicletta.
L’infortunio
in itinere rappresenta quel danno risarcibile patito dal lavoratore durante il
“normale tragitto” che quest’ultimo compie, all’andata e al ritorno, dal luogo
della propria abitazione a quello di lavoro. Tale infortunio inoltre, in
assenza di un servizio di mensa aziendale, potrà eventualmente ricomprendere
anche il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di
abituale consumazione dei pasti.
In
via del tutto esemplificativa, per “normale percorso” deve chiaramente
intendersi quello più breve e diretto rispetto alla propria sede lavorativa
nonché quello perimetrato entro un ragionevole arco temporale.
Tuttavia,
preme da subito precisare che la tutela risarcitoria prevista per tale
tipologia di danno, potrà comunque essere invocata dal lavoratore qualora si
verifichino circostanze atte oggettivamente a impedire a quest’ultimo di
seguire detto “normale tragitto” e che lo costringano a un percorso
alternativo. Basti pensare al riguardo alle ipotesi di interruzione o
deviazione di percorso effettuate su ordine del datore di lavoro o dovute a
forza maggiore.
Il
risarcimento dei danni scatterà inoltre anche qualora il lavoratore utilizzi,
per raggiungere il proprio luogo di impiego, un mezzo di trasporto privato,
sempre che tale scelta sia all’uopo necessitata. Frequenti infatti sono i casi
in cui il luogo di lavoro risulti ubicato in una zona non sufficientemente
servita o del tutto sprovvista di mezzi pubblici.
Chiarificatore
sul punto è stato inoltre l’intervento della Cassazione, la quale ha in più
occasioni sancito la possibilità di utilizzo del mezzo di trasporto privato:
-
in
totale assenza di mezzi pubblici;
-
in
presenza mezzi pubblici che non consentano il puntuale raggiungimento del luogo
di lavoro;
-
in
caso di eccessivo disagio procurato dallo stato in cui versano i mezzi pubblici
presenti sulla zona interessata.
Certamente,
nell’ipotesi soprindicata, imprescindibile sarà, ai fini risarcitori, il
rispetto da parte del lavoratore delle norme del Codice della Strada in
occasione del sinistro.
Infine
il recente sviluppo giurisprudenziale, allargando le maglie delle fattispecie
analizzata, ha ricompreso nell’infortunio in itinere sia l’ipotesi di lesioni
conseguenti a una rapina subita dal lavoratore durante il percorso casa-lavoro,
sia i casi di infortunio avvenuti durante il cammino a piedi o addirittura
durante il trasporto su mezzi pubblici.
Alla
luce delle considerazioni esposte, pare dunque evidente a giudizio di chi
scrive come, salvo i cennati casi eccezionali, debbano escludersi dalla
fattispecie esaminata gli incidenti che, per contro, si verificano in occasione
di anomale interruzioni e/o deviazioni del nomale tragitto casa-lavoro.
Si
suole parlare al riguardo del cosiddetto “rischio elettivo”, riferendosi con
tale locuzione all’ipotesi in cui la situazione di pericolo sia causata
unicamente dal lavoratore, il quale, assumendo un comportamento abnorme ed
arbitrario dettato esclusivamente da scelte personali, interrompe il nesso di
causalità tra l’evento e il danno subito.
Singolare
sul punto è stata infatti la recente vicenda, portata all’attenzione del
Supremo Collegio, di un lavoratore che, in occasione di un sinistro stradale
occorso durante il tragitto casa-lavoro, si è visto negare dal giudice il
risarcimento dei danni in quanto abitando in prossimità del luogo di lavoro e
in zona ben servita da mezzi pubblici, si recava ugualmente in servizio con la
propria autovettura. (Sentenza n. 22154 del 20/10/14 Cassazione Civile).
Orbene,
sotto un profilo eminentemente pratico, deve precisarsi che il risarcimento
delle lesioni subite costituisce un onere pecuniario sia della compagnia
assicurativa che dell’INAIL e a entrambi dovrà consequenzialmente inoltrarsi la
formale denuncia.
Tuttavia
è bene ricordare che mentre, da un lato, l’indennizzo offerto dall’INAIL non
coprirà l’intero danno subito dal lavoratore non risarcendo infatti l’Istituto
anche il danno morale, dall’altro lato, il lavoratore danneggiato non potrà
cumulare l’indennizzo INAIL con quello già ricevuto dalla compagnia
assicurativa.
IL TEMPO PER
INDOSSARE LA DIVISA DA LAVORO VA RETRIBUITO
Da
Studio Cataldi
18
aprile 2016
avvocato
Barbara Pirelli
Per
il Tribunale di Ascoli (sentenza n. 583/2015), se è il datore di lavoro a
indicare il tempo e il luogo dell’esecuzione della prestazione, questa è
connessa allo svolgimento dell’attività lavorativa
Alice
nel Paese delle Meraviglie chiedeva al Bianconiglio: “Per quanto tempo è per
sempre?” Il Bianconiglio rispondeva: “A volte solo un secondo”.
Certamente
non ha chiesto un secondo ma dieci minuti di tempo il personale turnista
infermieristico e ostetrico dell’ASUR Marche per poter indossare e dismettere
la divisa di lavoro. Questa attività di vestizione, all’ingresso e svestizione
all’uscita dal luogo di lavoro non veniva retribuita, per questa ragione il
personale infermieristico ha agito in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ascoli
Piceno, per vedersi riconosciuto il pagamento di quei dieci minuti necessari
per cambiarsi d’abito ed indossare la divisa oppure togliere la stessa alla
fine del turno.
Ovviamente
la ASUR Marche, convenuta in giudizio, riteneva assolutamente infondata la
richiesta avanzata dal personale infermieristico; di diverso avviso è stato il
Giudice, nella persona del Giudice Onorario Tiziana D’Ecclesia, che con la
Sentenza n. 583 del 18/12/15, ha accolto le richieste avanzate dal personale
infermieristico e ostetrico chiarendo in maniera puntuale le ragioni per le
quali il tempo di vestizione e svestizione andava retribuito.
Come
ricordato dal Regio Decreto n.692 del 5 marzo 1923 all’articolo 3, va
considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e
continuativa, inoltre, secondo la giurisprudenza comunitaria (Corte di
Giurisprudenza della Commissione Europea con Sentenza del 09/09/03) per
comprendere se un certo periodo di servizio rientri o meno nella nozione di
orario di lavoro bisogna stabilire se il lavoratore sia o meno obbligato a
essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e a disposizione del datore di
lavoro.
La
Corte di Cassazione ha, altresì, precisato che le attività preparatorie vanno
distinte in “remote e dirette”: le prime ad esempio riguardano il tragitto per
recarsi sul posto di lavoro mentre, per le seconde va valutata la disciplina
contrattuale.
In
parole semplici, se il lavoratore ha la possibilità di scegliere liberamente
dove cambiarsi, ad esempio a casa, questa attività fa parte degli atti di diligenza
preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa e in considerazione di
ciò questa attività non va retribuita.
Al
contrario se è il datore di lavoro a indicare il tempo e il luogo
dell’esecuzione allora il lasso di tempo che occorre per svolgere questa
attività deve essere retribuito.
Nel
caso in questione il personale infermieristico e ostetrico dell’ASUR Marche,
per questioni igieniche, è tenuto ad indossare la divisa negli stessi ambienti
dell’azienda mentre non possono arrivare in divisa sul posto di lavoro,
indossando la stessa a casa.
Di
conseguenza indipendentemente dall’orario di timbratura la retribuzione viene
corrisposta a decorrere dall’inizio formale del turno. Questo significa che i
lavoratori sono tenuti ad arrivare in anticipo sul posto di lavoro proprio per
effettuare le attività di vestizione. Tale attività è quindi connessa allo
svolgimento della prestazione lavorativa e dunque riferibile al tempo di effettiva
prestazione di lavoro, che va retribuita.
In
buona sostanza, il lavoratore dedica una parte del proprio tempo, nel rispetto
delle direttive datoriali, per indossare la divisa, tempo che va retribuito.
Con riferimento, poi, al tempo necessario per effettuare queste operazioni il
giudice ha riconosciuto un tempo di 10 minuti per la vestizione in entrata e
altri 10 minuti per la vestizione in uscita, il tutto nei limiti della prescrizione
quinquennale decorrente a ritroso dalla data di notifica del ricorso
introduttivo all’azienda convenuta.
LO STRESS LAVORO
CORRELATO QUESTO SCONOSCIUTO...IN ITALIA
Da
FILCAMS CGIL Lombardia
Quando
cinque anni fa la legislazione italiana recepì le Direttive europee su stress
lavoro correlato, ci fu una certa attenzione al tema, attenzione che però fu
più mediatica che reale.
Si
parlo molto degli effetti e delle possibili incidenze dello stress lavoro
correlato sulla salute dei lavoratori, innumerevoli furono i convegni e le
pubblicazioni sul tema.
Le
aziende, quasi tutte, si diedero da fare e aggiunsero un altro fascicolo al
documento di valutazione del rischio.
Essendo
l’argomento non semplice e avendo dirette conseguenze sull’organizzazione
dell’attività lavorativa la gran parte dei datori di lavoro con il supporto dei
Medici Competenti e dei Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione
(RSPP) assolsero gli obblighi di legge in modo poco più che formale.
I
Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) furono coinvolti in modo
marginale nel processo che avrebbe dovuto portare alla valutazione del rischio
stress lavoro correlato.
In
Italia il risultato di tutto quel dibattito pubblico, di tutte quelle dotte
valutazioni è che nelle aziende italiane lo stress lavoro correlato è un
problema irrilevante.
Questo
mentre secondo l’Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza del Lavoro le
percentuali dei lavoratori esposti a rischio stress lavoro correlato nei
ventisette stati membri dell’Unione Europea si aggira sul 27-30% ovvero 54
milioni di lavoratori.
Ergo
se in Europa il problema esiste in modo considerevole e in Italia è irrilevante
è chiaro che c’è del marcio...non in Danimarca, come dice Marcello nell’Amleto,
ma in Italia.
Le
ragioni di una tale situazione possono essere molteplici:
-
l’acquisto
di pacchetti di valutazioni di stress lavoro correlato preconfezionati, così
come di Documenti di Valutazione dei Rischi;
-
la
non validità dei sistemi di valutazione adottati dalle aziende;
-
la
validità dei sistemi di valutazione adottati, ma un loro utilizzo parziale e
finalizzato a raggiungere un determinato obiettivo (l’irrilevanza del problema)
e non a fotografare la realtà;
-
il
mancato coinvolgimento dei RLS e dei lavoratori nel processo di valutazione.
E’
proprio dal punto dal corretto coinvolgimento nel processo di valutazione dei
RLS e dei lavoratori che dobbiamo ripartire, se non vogliamo essere
corresponsabili di chi nasconde la polvere sotto il tappeto o la tenda.
La
legge ci dà una grossa mano in quanto prevede che la valutazione del rischio stress
lavoro correlato vada aggiornata ogni 2/3 anni.
Nel
link riportato trovate un utilissimo documento del Comitato Tecnico
interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro.
Le
pagine da 7 a
30 sono un bigino su cos’è lo stress lavoro correlato e come effettuarne la valutazione.
Pagine
semplici che consentono anche a chi è digiuno della materia di orientarsi.
Da
pagina 31 a
pagina 34, trovate, invece, quelle che sono le indicazioni alle quali per gli organi
di vigilanza dovrebbero attenersi per verificare o meno il corretto adempimento
da parte del datore di lavoro degli obblighi connessi alla valutazione del
rischio stress lavoro correlato.
Basta
che i RLS o anche RSA verifichino se le indicazioni lì riportate siano state
più o meno osservate nella stesura della valutazione del rischio da stress
lavoro correlato della propria azienda per poter rimettere in discussione la
valutazione fatta e qualora l’azienda non fosse disposta a rivederla nel
rispetto della normativa richiedere ai sensi articolo 50 del D.Lgs. 81/08
l’intervento degli organi di vigilanza.
Un
caso concreto, ma purtroppo non il solo.
C’è
un grande multinazionale che predispone la valutazione del rischio stress e del
suo aggiornamento come prevede la legge.
Nel
farlo, però, l’azienda divide sì i lavoratori in gruppi omogenei, ricerca gli
eventi sentinella (ma ai RLS non consegna i dati, né lo storico degli stessi),
dispone quindi un questionario per la valutazione dei fattori di contesto e
contenuto, ma lo stesso viene fatto compilare non ai lavoratori dei gruppi
omogenei, ma ai responsabili operativi degli stessi unitamente a Medico
Competente e RSPP.
E’
chiaro che ci troviamo, in questo caso, di fronte all’utilizzo distorto di una
procedura corretta al fine di raggiungere il risultato atteso, l’irrilevanza
dello stress lavoro correlato in quell’azienda.
Sappiamo
benissimo che non è semplice anche solo tentare di richiedere, nella riunione
periodica o in altri momenti di consultazione, il rispetto della legge di
fronte a chi ha il potere (Datore di Lavoro), la conoscenza/competenza e
capacita nell’argomentare (Medico Competente e RSPP), ma dobbiamo farlo se
vogliamo svolgere a pieno il ruolo di RLS.
Per
questo vi sollecito nuovamente ad un’attenta lettura del documento sullo stress
lavoro correlato scaricabile al link sotto riportato.
Cordiali
saluti
Giorgio
Ortolani
Il
documento “Indicazioni per la corretta gestione del rischio stress lavoro
correlato” edizione gennaio 2012 è scaricabile all’indirizzo:
IMMAGINI E
INDICAZIONI PER L’UTILIZZO IN SICUREZZA DEI TRABATTELLI
Da:
PuntoSicuro
08
aprile 2016
Un
quaderno per immagini dell’INAIL è dedicato ai trabattelli. La scelta dei
trabattelli, il manuale di istruzioni, i controlli prima dell’uso e le immagini
per migliorare la comunicazione della sicurezza nei cantieri edili.
Una
delle attrezzature di lavoro molto utilizzate nei lavori edili, specialmente
laddove ci si debba spostare rapidamente e si debbano eseguire lavori a quote
non elevate, è il trabattello. E i trabattelli, se non scelti e utilizzati
correttamente, possono essere correlati a gravi incidenti di lavoro.
Per
migliorare la prevenzione degli infortuni e superare le difficoltà di
comunicazione in materia di sicurezza dovute alla presenza di lavoratori
stranieri nei cantieri, riprendiamo la presentazione degli otto opuscoli che
compongono la collana “Quaderni per immagini”, realizzati dalla sinergia di due
strutture INAIL, il Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti,
prodotti e insediamenti antropici (DIT) e la Direzione centrale pianificazione
e comunicazione. Pubblicazioni che veicolano le informazioni attraverso disegni
con funzione didascalica (il breve testo di presentazione è scritto in cinque
lingue: italiano, inglese, francese, albanese e rumeno) e che sono correlate
alla collana di “Quaderni Tecnici per i cantieri temporanei o mobili”, già
edita dall’INAIL in riferimento agli stessi temi dei “Quaderni per immagini”
(scale portatili, trabattelli, parapetti provvisori, ancoraggi, reti di
sicurezza, ponteggi fissi, sistemi di protezione degli scavi a cielo aperto e
sistemi di protezione individuale dalle cadute).
Dopo
aver già presentato nei giorni scorsi i quaderni relativi ai sistemi di
protezione individuale dalle cadute e ai ponteggi fissi, ci soffermiamo oggi
sul “Quaderno per immagini” dal titolo “Trabattelli”, quaderno che sottolinea
l’importanza di scegliere trabattelli sicuri.
In
particolare si indica che datore di lavoro deve scegliere il trabattello più
idoneo alla natura dei lavori da eseguire ed alle sollecitazioni prevedibili
considerando:
-
le
dimensioni dell’impalcato;
-
l’altezza
massima in base alla presenza o all’assenza di vento;
-
la
classe di carico;
-
il
tipo di accesso agli impalcati: scala a rampa, scala a gradini scala a pioli
inclinata, scala a pioli verticale;
-
i
carichi orizzontali e verticali che possono contribuire a rovesciarlo;
-
le
condizioni del terreno;
-
l’uso
di stabilizzatori, sporgenze esterne e/o zavorre;
-
la
necessità degli ancoraggi.
Per
avere ulteriori informazioni sulla sicurezza dei trabattelli possiamo fare
riferimento anche al Quaderno Tecnico “Trabattelli” realizzato dal Dipartimento
innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti
antropici (DIT) dell’INAIL.
Ad
esempio nel manuale di istruzioni che il fabbricante deve produrre a corredo di
ogni trabattello (deve essere disponibile nel luogo di utilizzo e nella lingua
del Paese di utilizzo), il Quaderno Tecnico indica che devono essere
specificati tutti quei fattori che influiscono sulla stabilità
dell’attrezzatura.
In
particolare:
-
le
condizioni del vento e gli interventi da effettuare nel caso in cui esse non
permettano di lavorare sul trabattello e quando lo stesso deve essere smontato
o fissato;
-
le
istruzioni per l’uso di stabilizzatori, sporgenze esterne e/o zavorra per tutte
le condizioni previste nell’uso sul trabattello;
-
gli
avvertimenti relativi ai carichi orizzontali e verticali che contribuiscono a
rovesciare il trabattello, quali: carichi orizzontali causati dall’uso, per
esempio per effetto del lavoro in corso su una struttura adiacente; carichi
aggiuntivi del vento (effetto galleria di edifici aperti verso l’alto, edifici
non rivestiti e sugli angoli di edifici);
-
le
raccomandazioni per il fissaggio dei trabattelli lasciati incustoditi.
E
il manuale deve contenere l’avvertimento: “Stabilizzatori o sporgenze esterne e
zavorra devono essere sempre applicati quando ciò è specificato”.
Riguardo
all’uso del trabattello il Quaderno Tecnico indica poi che nel manuale di
istruzioni il fabbricante deve specificare i seguenti controlli prima di ogni
uso del trabattello, in aggiunta a quelli eseguiti durante la fase di
montaggio:
-
verificare
che il trabattello sia verticale o richieda un riposizionamento;
-
verificare
che il montaggio strutturale sia sempre corretto e completo;
-
verificare
che nessuna modifica ambientale influisca sulla sicurezza di utilizzo del
trabattello.
Il
manuale deve inoltre:
-
fornire
indicazioni per l’uso in sicurezza nel rispetto dei regolamenti nazionali;
-
precisare
che non è consentito aumentare l’altezza dell’impalcato mediante l’uso di
scale, casse o altri dispositivi;
-
fornire
indicazioni riguardo al sollevamento di utensili e materiali fino agli
impalcati di lavoro del trabattello, nei limiti dei carichi ammissibili e della
stabilità.
Torniamo
ora al nuovo “Quaderno per Immagini” ricordando brevemente tutte le immagini
contenute nel nuovo documento INAIL:
-
Figura
1: Trabattello con scala a gradini (inclinazione da 35° a 55°);
-
Figura
2: Trabattello con scala a pioli inclinata (inclinazione da 60° a 75°);
-
Figura
3: Trabattello con scala a pioli verticale;
-
Figura
4: Trabattello con montaggio dal basso;
-
Figura
5: Utilizzo di un trabattello multiplo (se previsto dal fabbricante);
-
Figura
6: Utilizzo di due trabattelli con scala a pioli verticale;
-
Figura
7: Trabattello con telaio parapetto (montaggio dal basso);
-
Figura
8: Montaggio di un trabattello;
-
Figura
9: Trabattello per altezze elevate;
-
Figura
10: Trabattello per utilizzo su scale.
Il
documento “Trabattelli”, collana Quaderni per Immagini, INAIL, è scaricabile
all’indirizzo:
Il
documento “Trabattelli”, collana Quaderni Tecnici per i cantieri temporanei o
mobili, INAIL, è scaricabile all’indirizzo:
UN NUOVO SUPPORTO PER
UTILIZZARE SCALE PORTATILI PIU’ SICURE
Da:
PuntoSicuro
11
aprile 2016
Un
quaderno per immagini dell’INAIL è dedicato alle scale portatili.
I
limiti dell’uso delle scale, la scelta delle scale da utilizzare, le buone
prassi e le immagini per migliorare la comunicazione della sicurezza nei
cantieri edili.
Probabilmente
uno dei rischi più sottovalutati di caduta dall’alto, nei luoghi di lavoro e di
vita, è quello relativo alla caduta da scale portatili. E, come rilevato dal
Sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi, il 17,3% degli
infortuni mortali per caduta dall’alto è correlato proprio all’uso e alle
condizioni delle scale portatili che utilizziamo.
Per
cercare di ridurre l’incidenza di questi infortuni e migliorare le difficoltà
di comunicazione in materia di sicurezza dovute alla presenza di lavoratori
stranieri, riprendiamo la presentazione degli otto opuscoli che compongono la
nuova collana “Quaderni per immagini”, realizzati dalla sinergia di due
strutture INAIL, il Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti,
prodotti e insediamenti antropici (DIT) e la Direzione centrale pianificazione
e comunicazione.
Ricordiamo
che queste pubblicazioni veicolano le informazioni attraverso semplici disegni
e, per migliorare la comprensibilità tra i lavoratori stranieri, il brevissimo
testo di presentazione delle immagini è scritto in cinque lingue diverse
(italiano, inglese, francese, albanese e rumeno). Le pubblicazioni sono poi
correlate alla collana di “Quaderni Tecnici per i cantieri temporanei o
mobili”, già edita dall’INAIL in riferimento agli stessi temi dei “Quaderni per
immagini” (scale portatili, trabattelli, parapetti provvisori, ancoraggi, reti
di sicurezza, ponteggi fissi, sistemi di protezione degli scavi a cielo aperto
e sistemi di protezione individuale dalle cadute).
Ci
soffermiamo oggi sul “Quaderno per immagini” dal titolo “Scale portatili”,
quaderno che ricorda come le scale portatili siano adottate, quale mezzo di
accesso e lavoro, in molteplici attività effettuate nei cantieri temporanei o
mobili.
E
si sottolinea che vanno utilizzate, come posto di lavoro in quota, solo nei
casi in cui l’uso di altre attrezzature di lavoro, considerate più sicure, non
sia giustificato a causa del basso livello di rischio e della breve durata di
impiego oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che non possono essere
modificate.
Per
raccogliere ulteriori indicazioni sull’uso in sicurezza delle scale portatili
possiamo fare riferimento anche al Quaderno Tecnico “Scale portatili”, a cura
di Luca Rossi, Luigi Cortis, Francesca Maria Fabiani e Davide Geoffrey Svampa
(DIT) con la collaborazione di Carlo Ratti e Calogero Vitale (DIT).
Un
elemento importante su cui il Quaderno Tecnico si sofferma è la scelta della
tipologia di scala portatile da utilizzare. Scelta che dipende dai rischi da
eliminare e/o ridurre, preventivamente individuati nell’attività di valutazione
dei rischi.
Sono
riportate, a questo proposito, alcune considerazioni:
-
la
scala doppia: non è idonea come sistema di accesso ad altro luogo, non deve
superare l’altezza di 5 m;
-
la
scala in appoggio: è idonea come sistema di accesso ad altro luogo, usata per
l’accesso dovrà essere tale da sporgere a sufficienza (ad esempio, per almeno 1 metro) oltre il livello
di accesso, a meno che altri dispositivi garantiscano una presa sicura, non deve
superare l’altezza di 15 m;
-
la
scala trasformabile: nelle sue possibili configurazioni deve essere usata con
una altezza massima di 5
metri per la configurazione doppia e con una altezza
massima di 15 metri
per la configurazione in appoggio; in configurazione di scala doppia non è
idonea come sistema di accesso ad altro luogo, in configurazione di scala in
appoggio è idonea come sistema di accesso ad altro luogo, in configurazione di
scala in appoggio, usata per l’accesso, dovrà essere tale da sporgere a
sufficienza (ad esempio, per almeno 1 metro) oltre il livello di accesso, a meno
che altri dispositivi garantiscano una presa sicura.
In
ogni caso per tutte le tipologie di scale portatili la scelta deve avvenire
dopo aver considerato che:
-
si
dovrà salire sulla scala fino a un’altezza tale da consentire al lavoratore di
disporre in qualsiasi momento di un appoggio e di una presa sicura;
-
non
ci si dovrà esporre lateralmente per effettuare il lavoro;
-
non
si dovrà salire/scendere su/dalla scala portando materiali pesanti o
ingombranti che pregiudichino la presa sicura;
-
una
scala a pioli permette un breve posizionamento in altezza della persona;
-
una
scala a gradini permette un breve posizionamento in altezza della persona, con
un confort maggiore rispetto a quella a pioli;
-
occorre
verificare la conformità della scala al D.Lgs. 81/08 che riconosce la norma
tecnica UNI EN 131 e la presenza di un foglio o libretto recante: una breve
descrizione con l’indicazione degli elementi costituenti, le indicazioni per un
corretto impiego, le istruzioni per la manutenzione e la conservazione, gli
estremi dei certificati delle prove previste dalla norma tecnica UNI EN 131-1 e
2, una dichiarazione del costruttore di conformità alla norma tecnica UNI EN
131-1 e 2;
-
ogni
scala deve essere accompagnata dalle istruzioni di base, nella lingua del paese
in cui la scala è venduta; il testo delle istruzioni può essere accompagnato da
schemi o figure; il produttore deve fornire l’elenco dei punti da ispezionare e
verificare, unitamente ai criteri di valutazione “passa/non passa”; le
istruzioni per ottenere l’elenco devono essere comprese nelle istruzioni per il
lavoratore o riportate sulla scala; le istruzioni possono essere presentate
anche nel sito web del fabbricante.
Concludiamo
ricordando brevemente tutte le immagini contenute nel nuovo documento INAIL:
-
Figura
1: Scala trasformabile in posizione di scala doppia con tronco a sbalzo
all’estremità superiore;
-
Figura
2: Scala movibile con piattaforma ai sensi della UNI EN 131-7;
-
Figura
3: Scala movibile con piattaforma ai sensi della UNI EN 131-7;
-
Figura
4: Scala doppia con piattaforma;
-
Figura
5: Scala trasformabile a tre tronchi in posizione di appoggio;
-
Figura
6: Scala telescopica;
-
Figura
7: Scala movibile con piattaforma ai sensi della UNI EN 131-7;
-
Figura
8: Scala a sfilo con meccanismo;
-
Figura
9: Scala trasformabile in posizione di scala doppia con tronco a sbalzo
all’estremità superiore;
-
Figura
10: Scala semplice di appoggio.
Il
documento dell’INAIL Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli
impianti “Scale portatili” collana “Quaderni per immagini” è scaricabile
all’indirizzo:
Il
documento dell’INAIL Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli
impianti “Scale portatili” collana “Quaderno Tecnico per i cantieri temporanei
o mobili” è scaricabile all’indirizzo:
SETTE REGOLE VITALI
PER CHI LAVORA SULLE LINEE ELETTRICHE
Da:
PuntoSicuro
18
aprile 2016
I
principi salvavita di Suva per chi lavora sulle linee elettriche.
La
chiarezza degli incarichi, la protezione dai rischi, l’importanza di non
lavorare da soli, le cadute dall’alto, le attrezzature pericolose e il soccorso
agli infortunati.
Quando
si parla delle regole, delle procedure di lavoro, relative a chi lavora con le
linee elettriche, presenti nella Confederazione elvetica, bisogna tener conto
non solo della diversità dei riferimenti legislativi tra la Svizzera e
l’Italia, ma anche delle differenze nella distribuzione di energia elettrica
tra i due paesi.
Tuttavia
non solo molti dei suggerimenti prospettati dai documenti di Suva, l’Istituto
elvetico per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni, sono adatti
anche ai nostri lavoratori, ma spesso l’approccio elvetico a questi temi (con
la sottolineatura del diritto di sospensione dei lavori laddove il rischio non
sia stato eliminato o ridotto) è comunque uno stimolo al miglioramento delle
nostre strategie di prevenzione.
Ci
soffermiamo in particolare oggi su un documento di Suva, collegato alla
campagna “Visione 250 vite”, dal titolo “Sette regole vitali per chi lavora
sulle linee elettriche ordinarie”. E, in particolare, sul Vademecum correlato
che raccoglie, oltre alle regole, approfondimenti e informazioni su come
preparare, per ciascuna regola vitale, una mini-lezione.
Prima
di entrare nel dettaglio di alcuni suggerimenti, di alcune regole, riportiamo
brevemente l’elenco delle sette regole, dei sette principi salvavita:
-
Regola
1: Incarichi chiari e precisi
-
Regola
2: Mai lavorare da soli
-
Regola
3: Mettere in sicurezza i piloni di legno
-
Regola
4: Proteggersi dalle cadute dall’alto.
-
Regola
5: Installare la messa a terra
-
Regola
6: Uso corretto delle attrezzature
-
Regola
7: Garantire il salvataggio.
Entriamo
nel dettaglio delle sette regole.
REGOLA
1: LAVORIAMO CON UN INCARICO CHIARO E PRECISO E SAPPIAMO CHI E’ IL RESPONSABILE
Lavoratore:
“Inizio il lavoro solo quando ho capito bene l’incarico e so chi è il
responsabile. In caso di imprevisti (temporale, attrezzature inappropriate,
ecc.) sospendo i lavori e avviso il superiore”.
Superiore:
“Pianifico i lavori con cura, assegno gli incarichi in modo chiaro e impiego
solo personale addestrato. Non tollero le improvvisazioni”.
Il
documento sottolinea che per essere chiaro un incarico di lavoro deve essere
pianificato accuratamente e prevedere una valutazione dei rischi preliminare.
In questo modo si evitano i malintesi a tutto vantaggio della sicurezza e
dell’efficienza.
Inoltre
i seguenti punti rientrano in ogni incarico e devono essere chiari prima di
iniziare i lavori:
-
persona
responsabile delle misure di protezione necessarie e dell’esecuzione sicura dei
lavori in loco;
-
lavori
da eseguire;
-
metodo
di lavoro (lavori elettrici);
-
luogo
di lavoro (posizione di ogni parte dell’impianto, ad esempio con mappa);
-
attrezzature
di lavoro per raggiungere i punti sopraelevati (piattaforme elevabili, scale,
DPI anticaduta);
-
documentazione
scritta dei lavori (lista di controllo, istruzioni di lavoro);
-
formazione
richiesta (competenze) per ogni addetto ai lavori;
-
DPI
(chi, cosa, quando); procedura in caso di infortunio.
E
durante lo svolgimento del compito bisogna prestare particolare attenzione ai
seguenti aspetti:
-
non
correre rischi inutili; prima di iniziare i lavori mettere in sicurezza il
luogo di lavoro (materiale elettrico, ambiente, ecc.);
-
se
si usa una ricetrasmittente, i dipendenti devono sapere come farla funzionare;
-
se
l’incarico non è chiaro o manca della documentazione, bisogna sospendere i lavori
e informare il superiore;
-
documentare
le fasi di lavoro concluse (spuntare le voci della lista di controllo, mettere
la firma);
-
informare
gli addetti ai lavori sull’avanzamento dei lavori e sul da farsi;
-
eseguire
i controlli prescritti e documentarli (ad es. con liste di controllo e
verbali).
REGOLA
2: SULLE LINEE ELETTRICHE ORDINARIE NON LAVORIAMO MAI DA SOLI
Lavoratore:
“Faccio in modo che almeno un collega possa vedermi o sentirmi per dare
l’allarme e soccorrermi in caso di emergenza”.
Superiore:
“Faccio in modo che i miei dipendenti non lavorino mai da soli e metto a punto
un piano per le emergenze”.
Bisogna
mettere in chiaro che i lavoratori non devono mai lavorare da soli sulle linee
elettriche ordinarie. In caso di lavori di routine è necessario garantire la
reperibilità della persona tramite telefono cellulare o ricetrasmittente.
Non
si può lavorare da soli perché:
-
in
caso di infortunio (elettrocuzione, arco elettrico, caduta, ecc.) è
fondamentale il soccorso immediato: questo è possibile solo se l’addetto ai
lavori è sorvegliato a distanza da una seconda persona;
-
in
caso di operazioni complesse e delicate è possibile consultarsi e, se
necessario, la seconda persona può mettere in guardia l’altro da manovre
errate.
REGOLA 3: SALIAMO SUI PILONI DI LEGNO SOLO SE
ABBIAMO VERIFICATO LA LORO STABILITA’
Lavoratore: “Prima di salire su un pilone di legno
verifico se è stabile. Deve essere sostenuto dai cavi elettrici o deve essere
messo in sicurezza da chiodi, ancoraggi ausiliari o gru mobili”.
Superiore: “Faccio in modo che i miei dipendenti
siano in grado di valutare correttamente la stabilità dei piloni di legno e
salgano su di essi solo se sono stabili. La stabilità del pilone di legno deve
essere garantita, altrimenti non si deve salire per nessuna ragione”.
Prima di salire su un pilone di legno è necessario
verificare le condizioni del materiale tramite:
-
un controllo visivo (ricerca di difetti evidenti);
-
colpendo il palo con un martello partendo da terra
sino a un’altezza di 2 metri: se il suono è sordo e cupo, significa che il
legno è marcio, un suono chiaro e cristallino è sinonimo di legno sano.
E’ consentito salire sul pilone solo se la parte
sommitale (ultimo terzo) è trattenuto con dispositivi meccanici.
REGOLA
4: - PROTEGGIAMO NOI STESSI E IL MATERIALE DALLE CADUTE DALL’ALTO.
Lavoratore:
“Sui piloni che sorreggono le linee elettriche ordinarie uso i DPI anticaduta
(ad esempio cintura di posizionamento con 2 funi). Porto il casco di protezione
e faccio in modo che non cada del materiale”.
Superiore:
“Istruisco i dipendenti sull’uso delle imbracature anticaduta. Faccio in modo
che utilizzino sempre l’imbracatura di ritenuta e posizionamento e la seconda
fune di posizionamento in base alla situazione”.
E’
importante verificare l’equipaggiamento e salire con l’attrezzatura giusta.
Il
documento riporta un esempio di equipaggiamento base:
-
un
paio di ramponi per pali;
-
una
cintura combinata di arresto caduta e posizionamento (EN 361, EN 358);
-
due
funi di posizionamento con dispositivo di regolazione della lunghezza (EN 358);
-
casco
(con cinturino sottogola);
-
scarpe
da lavoro robuste, idonee ai ramponi (sopra la caviglia, suola robusta, si
raccomandano le calzature di sicurezza);
-
borsa
da cintura portautensili;
-
guanti
idonei.
Se
sul pilone di legno ci sono degli ostacoli da superare (incastri, tiranti, funi
di ancoraggio, segnaletica stradale, ecc.), è necessaria un’ulteriore fune di
sicurezza.
E
una volta raggiunta la postazione, l’operaio deve proteggersi dalle cadute
dall’alto, ad esempio mettendo una fune di sicurezza supplementare (un’altra
possibilità per evitare le cadute è usare una fune bypass o una fune
bloccante).
REGOLA 5: LAVORIAMO SOLO SE E’ PRESENTE LA MESSA A
TERRA
Lavoratore: “Prima di iniziare i lavori la linea
deve essere verificata e messa a terra. In caso di dubbio dico stop e chiedo al
mio superiore”.
Superiore: “Faccio in modo che i dipendenti inizino
a lavorare solo se ho ricevuto il «via libera» e se è stata installata la messa
a terra”.
Il documento specifica che è necessario spiegare
quali effetti hanno sul corpo umano una scossa elettrica, un arco elettrico o
una scarica atmosferica. Spiegare anche quali sono le regole di sicurezza e
comportamento da adottare.
Le linee devono essere messe a terra solo da
personale autorizzato e competente. Tutti gli addetti ai lavori devono sapere
chi sono.
Regola generale: è consentito iniziare a lavorare
solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione e solo se dalla postazione di lavoro è
visibile come minimo un dispositivo di messa a terra e cortocircuito
REGOLA
6: UTILIZZIAMO ATTREZZATURE POTENZIALMENTE PERICOLOSE SOLO SE ABBIAMO RICEVUTO
PRECISE ISTRUZIONI IN MERITO.
Lavoratore:
“Impiego le attrezzature di lavoro (motoseghe, autogru o piattaforme elevabili)
solo se sono stato autorizzato e istruito a farlo. Rispetto sempre le regole”.
Superiore:
“Mi assicuro che le attrezzature di lavoro (motoseghe, autogru o piattaforme
elevabili) siano utilizzate solo da personale addestrato e competente. Verifico
se si rispettano le regole”.
Si
sottolinea che l’uso di motoseghe, autogru, piattaforme elevabili, verricelli a
fune e catena è particolarmente pericoloso e che queste attrezzature devono
essere utilizzate solo da personale qualificato e competente.
REGOLA
7: PREDISPONIAMO TUTTO QUANTO E’ NECESSARIO PER SOCCORRERE IMMEDIATAMENTE LE
VITTIME DI UN INFORTUNIO.
Lavoratore:
“So come comportarmi in caso di emergenza (dare l’allarme, ecc.) e so usare correttamente
i mezzi di soccorso”.
Superiore:
“Faccio in modo che sia sempre garantito il salvataggio in tempi rapidi.
Stabilisco il piano di emergenza in base al luogo di lavoro e lo metto per
iscritto. Faccio in modo che i dipendenti si esercitino periodicamente con i
mezzi di soccorso”.
Il
documento consiglia, infine, di svolgere delle esercitazioni, applicando la
procedura per i soccorsi basandosi su una situazione realistica. Ed è utile far
comprendere ai lavoratori le conseguenze nel caso si chiamino in ritardo i
soccorsi.
Nota
Bene
I
riferimenti legislativi contenuti nel documento originale e i dati relativi
agli incidenti riguardano la realtà elvetica, i suggerimenti indicati sono
comunque utili per tutti i lavoratori tenendo conto, tuttavia, delle differenze
nella distribuzione di energia tra Svizzera e Italia.
Il
documento di Suva, “Sette regole vitali per chi lavora sulle linee elettriche
ordinarie”, edizione ottobre 2014 è scaricabile all’indirizzo:
Il
documento di Suva, “Sette regole vitali per chi lavora sulle linee elettriche
ordinarie. Vademecum”, edizione ottobre 2014 è scaricabile all’indirizzo:
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