NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
LE “FREQUENTLY
ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.11
Nella
mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro,
spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere
delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio
respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia
newsletter, nella rubrica “Le consulenze di
Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi
pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche
risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso
diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked
Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia
newsletter.
Ovviamente,
per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i
lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto
il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
************
Ciao Marco,
scusa se ti
disturbo nuovamente.
Ho fatto la
visita dal medico del lavoro aziendale e stavolta mi hanno dato un mansionario
dove c’è scritto “Si raccomanda l’uso dei DPI specifici durante le diverse
attività lavorative come da procedure aziendali”.
So cosa vuol
dire, ma documentandomi ho riscontrato che per la mia mansione ci sono scarpe e
giubbotti adeguati.
Ho fatto
presente all’azienda che io le scarpe le ho comprate da solo perchè quelle che
mi hanno dato loro non proteggono le caviglie e il giubbotto o le bretelline
non le ho.
La risposta
è stata che non esiste nessuna legge che stabilisce tutto ciò e loro hanno
deciso che le scarpe antinfortunistiche sono adeguate anche per il trasporto
con movimentazione carichi e, che per il giubbotto, posso adoperare il gilet
posto nel furgone.
Non so se
sono cambiate le regole o le leggi, ma io sapevo che per le scarpe ci vuole una
protezione adeguata per le caviglie.
Ti ringrazio
fin da adesso anche per la tua pazienza.
Cosa mi
consigli?
A presto.
Ciao,
la
definizione delle caratteristiche dei DPI è un obbligo a carico del datore di
lavoro che li deve scegliere in funzione dei rischi che non possono essere
eliminati in altro modo.
A tale proposito vale quanto
disposto dall’articolo 77, commi 1 e 2 del D.Lgs.81/08:
“Il datore di lavoro ai fini della scelta dei
DPI:
a) effettua l’analisi e la valutazione dei
rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;
b) individua le caratteristiche dei DPI
necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a),
tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli
stessi DPI;
c) valuta, sulla base delle informazioni e
delle norme d’uso fornite dal fabbricante a corredo dei DPI, le caratteristiche
dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla
lettera b);
d) aggiorna la scelta ogni qualvolta
intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione.
2. Il datore di lavoro, anche sulla base delle
norme d’uso fornite dal fabbricante, individua le condizioni in cui un DPI deve
essere usato, specie per quanto riguarda la durata dell’uso, in funzione di:
a) entità del rischio;
b) frequenza dell’esposizione al rischio;
c) caratteristiche del posto di lavoro di
ciascun lavoratore;
d) prestazioni del DPI”.
L’analisi
dei rischi e la scelta dei DPI (basata su precisi criteri tecnici) deve essere
formalizzata dal datore di lavoro all’interno del Documento di Valutazione dei
Rischi e quindi può essere consultata dai RLS.
Per quanto
riguarda le scarpe, se nella tua mansione è presente un rischio di urto per le
caviglie e non solo per la punta dei piedi, la conseguente valutazione porta a
concludere che le scarpe devono essere completamente chiuse anche
posteriormente.
Se così non
è vuol dire che l’analisi e la valutazione non è stata fatta correttamente e
ciò comporta un reato penale a carico del datore di lavoro che è il solo responsabile
della valutazione dei rischi e della definizione delle misure di prevenzione e
protezione (articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08).
Tieni conto
poi che le scarpe devono essere certificate CE ai sensi della Direttiva
89/686/CEE (recepita in Italia dal D.Lgs.475/92) ed essere conformi alla norma
tecnica UNI EN ISO 20345:2012 “Dispositivi
di protezione individuale - Calzature di sicurezza” (questo deve essere
specificato nell’etichetta).
Per quanto
riguarda il giubbotto, se la sua funzione è solo quella di garantire una
migliore visibilità in area con traffico di carrelli o transpallet, esso può
essere sostituito dal gilet o dalle bretelle ad alta visibilità.
Si tratta
sempre di DPI e devono essere quindi marcati CE secondo quanto detto sopra.
La norma di
riferimento è la UNI EN ISO 20471:2013
“Indumenti ad alta visibilità - Metodi di prova e requisiti” che
prevede ampiezza delle zone colorate e delle bande rifrangenti in funzione del
fattore di rischio legato alla circolazione di mezzi meccanici e di persone.
Quindi anche
in questo caso la definizione delle caratteristiche del DPI (relativamente
all’ampiezza delle zone colorate e rifrangenti) deve essere fatta dal datore di
lavoro in funzione dei rischi effettivamente presenti e deve essere formalizzata
nel Documento di Valutazione dei Rischi consultabile dal RLS.
A
disposizione per ulteriori chiarimenti.
Un caro
saluto.
Marco
************
Buonasera
Marco,
vorrei un
consiglio per quanto riguarda alcune mansioni svolte nella azienda metalmeccanica
dove lavoro.
In
particolare, ci sono alcune figure come i magazzinieri e gli addetti al
controllo qualità che per motivi di lavoro devono recarsi durante il turno
all’esterno dell’azienda (i magazzinieri per acquistare dei ricambi, il
controllo qualità per fare delle verifiche dai fornitori esterni).
L’ufficio
del personale ha detto loro che devono timbrare l’uscita e il rientro, loro
hanno solo un foglio generico che firmano quando escono, che rimane in azienda
e dovrebbe essere archiviato da qualche responsabile.
Mi viene
chiesto: se durante l’uscita succede un incidente sia per colpa mia oppure
subìto da me, e il foglio fatto in azienda non si “trova”, io non ho niente per
dimostrare che ero uscito per lavoro, dato che ho timbrato l’uscita e non ho nessuna
ricevuta che mi rimane.
Secondo me
non devono timbrare l’uscita, perché comunque sono in servizio, farsi la
fotocopia del foglio firmato e tenersene una copia.
Grazie.
Saluti.
Ciao,
da un punto
di vista normativo, non mi risulta che la gestione delle uscite e degli
ingressi dal luogo di lavoro per trasferte sia regolamentata in qualche modo
(almeno sicuramente non li sono regolamentati nel Testo Unico sulla sicurezza
D.Lgs. 81/08, né nella normativa sull’orario di lavoro D.Lgs. 66/03, né nello Statuto
dei Lavoratori L. 300/70).
Pertanto la
“tracciabilità” del lavoratore è demandata a decisioni dell’azienda che devono
tenere conto anche della tutela della salute e della sicurezza del lavoratore e
che dovrebbero essere concordate con le Rappresentanze Sindacali e con i
Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza.
Vale
comunque il principio che il lavoratore deve essere tutelato dal proprio datore
di lavoro sia che lavori all’interno della sede aziendale, sia che lavori
all’esterno.
Per tale
motivo devono essere adottate delle procedure all’interno del Documento di
Valutazione dei Rischi, sotto la piena responsabilità del datore di lavoro
(articoli 17, comma 1, lettera a) e 28 del D.Lgs. 81/08) per garantire tale
tutela.
Il criterio
di fare timbrare in uscita e in ingresso in occasioni di trasferte al di fuori
dell’azienda può essere necessario proprio per garantire la sicurezza ed è
applicato da molte aziende.
Tale
procedura discende dalla necessità di sapere, in qualunque momento dell’orario
lavorativo, chi è all’interno dell’azienda e chi invece è fuori. Ciò è
fondamentale in caso di emergenza in cui sia necessario evacuare la sede di
lavoro dell’azienda (ad esempio per un incendio) per essere sicuri che tutte le
persone presenti in azienda al momento dell’emergenza abbiano evacuato e siano
presenti al punto di raccolta.
Quindi
eliminare tale procedura potrebbe essere contrario alla sicurezza stessa.
Trovo più
pratico predisporre il modulo di uscita per motivi di lavoro in duplice copia o
fotocopiarlo (una copia per l’azienda, una per il lavoratore) e farlo timbrare
e firmare da persona di responsabilità (l’addetto alla reception, un preposto,
un dirigente).
Visto lo
sviluppo tecnologico ritengo sia poi fattibile eseguire la timbratura tramite
badge magnetico predisponendo sul lettore l’opzione tra uscita dall’azienda per
fine lavoro oppure per motivi di servizio.
L’importante
è che l’azienda sappia in qualunque momento (e il lavoratore possa dimostrarlo)
chi è presente in azienda, chi è assente perché ha terminato il lavoro, chi è
assente per trasferta di lavoro.
A
disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
************
Buonasera
Marco.
Domanda
veloce
Quanto tempo
deve passare tra la fine di un turno e l’inizio del prossimo per un lavoratore,
ovvero di quante ore di riposo questi ha diritto?
Grazie come
sempre della disponibilità
Buonasera a
te.
Risposta
veloce.
L’articolo 7
del D.Lgs. 66/03 che trovi al link:
prevede: “Ferma restando la durata normale dell’orario
settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni
ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo
fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante
la giornata o da regimi di reperibilità”.
Quindi le
ore tra fine turno e inizio turno successivo devono essere almeno 11, salvo i
casi di lavoro frazionato o di reperibilità.
************
Ciao Marco.
Avrei
bisogno di una lettera da mandare al responsabile sicurezza della mia azienda
per il mancato coinvolgimento degli RLS per un incidente.
Ti spiego il
fatto: si è staccato un tubo primario dell’aria su una linea di montaggio, dal
tubo è partito un pezzo che fortunatamente è rimbalzato su una rulliera e poi
ha colpito un lavoratore alla schiena. Poteva scapparci il morto...
Al solito
non c’è stato nessun coinvolgimento degli RLS.
Oltre
all’incidente in sé, mi preme mettere in evidenza la necessità di controlli e
di messa in sicurezza su tutte le linee che hanno il solito sistema.
Ciao.
A
seguire la lettera da mandare al datore di lavoro della tua azienda (in quanto
primo responsabile della sicurezza) e per conoscenza al Responsabile del
Servizio di Prevenzione e Protezione (come “consulente” del datore di lavoro) e
al Dipartimento Salute e Sicurezza della ASL (come organo di vigilanza per la
salute e la sicurezza dei lavoratori).
A seguito
del grave incidente, avvenuto presso la linea di produzione XXX, in cui un tubo
dell’aria compressa si è staccato e ha colpito un lavoratore, che solo per caso
non ha avuto conseguenza ben più serie, si comunica quanto segue.
Risulta del
tutto incomprensibile l’accaduto, in relazione agli obblighi di tutela della
sicurezza dei lavoratori che l’azienda dovrebbe ottemperare.
E’ infatti
noto che nell’utilizzo delle attrezzature di lavoro (tra cui anche gli impianti
ausiliari alla produzione come la rete di aria compressa), si debbano adottare
tutte le misure di salute e sicurezza di cui all’articolo 71 del D.Lgs.81/08
(Decreto), tra cui la corretta progettazione e installazione della rete
(secondo norme di buona tecnica) e la sua corretta manutenzione programmata al
fine di permettere il mantenimento nel tempo dei requisiti di salute e
sicurezza.
Si chiede
pertanto all’azienda la revisione del Documento di Valutazione del Rischio, ex
articoli 17, comma 1, lettera a), 28 e 29 del Decreto, relativamente alla
sicurezza delle attrezzature di lavoro, comprese gli impianti ausiliari alla
produzione, con la definizione di adeguate misure di prevenzione e protezione,
al fine di tutelare i lavoratori dallo stato delle attrezzature stesse.
In
particolare si richiede quali misure di prevenzione e protezione l’azienda
intende attuare al fine di evitare nel futuro il ripetersi di incidenti quali
quello di cui sopra.
Ai sensi
dell’articolo 29, comma 2 del Decreto si richiede che tale revisione della
valutazione del rischio, con la definizione di adeguate misure di prevenzione e
protezione per le attrezzature, venga realizzata previa consultazione dei RLS.
Si rimane in
attesa di riscontro alla presente.
I RLS
************
Ciao Marco,
nella mia azienda (multinazionale chimica) da
qualche tempo hanno introdotto una procedura di stampo americano di gestione
degli infortuni definita come RWC (Restricted Work Case).
Si tratta di una procedura per una gestione
“particolare” dell’infortunio sul lavoro con limitazione della mansione, che
non causa perdita di giorni lavorati, ma che comunque causa impossibilità per
l’infortunato di continuare nella sua normale mansione lavorativa per tutto o
per parte della sua giornata lavorativa.
In sostanza tale procedura tende ad esercitare una
certa “spintaneità” sul lavoratore a svolgere mansioni più leggere anche con
l’ausilio del medico competente che, dopo visita medica e colloquio con il
lavoratore, ne certifica la idoneità alla mansione ridotta e consente il
rientro al lavoro.
Una procedura alquanto perversa tesa a nascondere infortuni
o quanto meno a esercitare sui lavoratori a rinunciare all’infortunio.
Una pratica contraria all’articolo 5 dello Statuto
dei Lavoratori e al D.P.R. 1124/65.
E mi risulta che ci siano state delle sentenze in
merito all’evitare la denuncia di un infortunio.
Cosa ne pensi?
Ciao,
ad oggi rimane del tutto applicabile in tutte le
realtà lavorative quando disposto dal D.P.R. 1124/65 all’articolo 53:
“Il datore di lavoro è tenuto a denunciare
all’Istituto assicuratore gli infortuni da cui siano colpiti i dipendenti
prestatori d’opera, e che siano prognosticati non guaribili entro tre giorni,
indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi di
legge per l’indennizzabilità. La denuncia dell’infortunio deve essere fatta con
le modalità di cui all’art. 13 entro due giorni da quello in cui il datore di
lavoro ne ha avuto notizia e deve essere corredata da certificato medico.
[...]
La denuncia
dell’infortunio ed il certificato medico debbono indicare, oltre alle
generalità dell’operaio, il giorno e l’ora in cui è avvenuto l’infortunio, le
cause e le circostanze di esso, anche in riferimento ad eventuali deficienze di
misure di igiene e di prevenzione, la natura e la precisa sede anatomica della
lesione, il rapporto con le cause denunciate, le eventuali alterazioni
preesistenti.
[...]
I contravventori
alle precedenti disposizioni sono puniti con l’ammenda da lire seimila a lire
dodicimila”.
L’articolo
53 non lascia evidentemente alcuna discrezionalità al datore di lavoro
sull’obbligo di denuncia di infortunio, tanto che, in caso di omessa denuncia,
il datore di lavoro è sanzionato secondo l’ultimo capoverso dell’articolo 53.
L’articolo
53 fa riferimento a infortuni non guaribili entro tre giorni, senza porre alcun
discrimine relativamente agli effetti causati dall’infortunio o relativamente
alla possibilità di continuare l’attività lavorativa.
Pertanto,
anche se l’infortunio permette al lavoratore di continuare la sua attività
lavorativa, magari con prescrizioni da parte del medico competente, ex articolo
41 comma 6 del D.Lgs. 81/08, la denuncia va fatta comunque, anche perché lo
scopo della stessa, oltre a quella di permettere l’eventuale astensione dal
lavoro per l’infortunato, è anche quella di permettere all’INAIL di monitorare
il fenomeno infortunistico, anche in relazione a “le cause e le circostanze di esso, anche in riferimento ad eventuali
deficienze di misure di igiene e di prevenzione”.
Nulla
vieta invece all’azienda, per tramite del medico competente, di verificare la
possibilità per il lavoratore di non assentarsi dal lavoro a seguito
dell’infortunio e di proseguire l’attività lavorativa, dopo avere comunque
adempiuto all’obbligo di cui all’articolo 18, comma 1, lettera c), cioè quello
di:
“nell’affidare
i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli
stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”.
In merito a quanto sopra non ho trovato sentenze
che facciano giurisprudenza.
A tale riguardo ha pieno valore però quanto
indicato dalla Commissione degli Interpelli con l’Interpello n.20 del 2007 che
trovi al link:
che specifica che:
“Al riguardo si rileva che l’articolo 53,
comma 5 [del D.P.R. 1124/65] non
contempla alcuna ipotesi di esclusione dall’obbligo della denuncia o
dall’obbligo del rispetto del relativo termine di inoltro; può pertanto
affermarsi che i suddetti adempimenti costituiscono obblighi di carattere
generale, aventi sempre natura cogente quali che siano le conseguenze
scaturenti dalla tecnopatia contratta dal lavoratore, compresa anche
l’eventuale inabilità permanente al lavoro dell’assicurato”.
Ricordo che
relativamente ai pareri della Commissione degli Interpelli l’articolo 12, comma
3 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che:
“Le indicazioni fornite nelle
risposte ai quesiti di cui al comma 1 [quelli posti alla Commissione degli
Interpelli] costituiscono criteri
interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza”.
Pertanto quanto
attuato dalla tua azienda è contrario a quanto disposto dal D.P.R.1124/65, sia
a seguito di attenta lettura di tale testo normativo, sia a seguito di parere
della Commissione degli Interpelli.
A disposizione per
ulteriori chiarimenti.
Marco
************
Ciao Marco,
ti volevamo chiedere un’informazione riguardo la certificazione
OHSAS 18001.
La settimana prossima saranno nella nostra azienda i
certificatori.
Spero che prenderanno in considerazione anche le nostre
segnalazioni che abbiamo fatto nella relazione della riunione annuale.
Per quanto riguarda il metodo OCRA e NIOSH che al momento è
la nostra priorità, l’azienda ha presentato un documento che è relativo
alla situazione delle linee produttive del 2010, ma che non è stato aggiornato
a seguito delle radicali modifiche al ciclo produttivo e alle linee di produzione
fatte nel 2014.
Tutto questo, visto la tua esperienza in materia, ti sembra
normale?
Ciao,
i
metodi OCRA e NIOSH (o meglio le norme tecniche della serie ISO 11228) sono i
criteri con cui valutare il rischio da movimentazione manuale dei carichi (MMC)
rispettivamente per la movimentazione di carichi leggeri ad alta
frequenza
e per le attività di sollevamento e trasporto di carichi pesanti.
Essi
si applicano nella valutazione del rischio da MMC che è un obbligo sanzionabile
a carico del datore di lavoro.
Infatti,
nell’ambito dell’obbligo generale di valutazione dei rischi di cui agli
articoli 17, comma 1, lettera a), 28 e 29 del D.Lgs. 81/08, devono essere
valutati anche i fattori di rischio per la salute derivanti da MMC.
Tale
valutazione deve essere finalizzata a evitare la necessità di MMC (ad esempio
mediante attrezzature di sollevamento o movimentazione) e dove ciò non sia tecnicamente
possibile a ridurre i fattori di rischio per la salute secondo le norme
tecniche di riferimento (appunto quelle della famiglia ISO 11228).
A
carico del datore di lavoro vige infatti inizialmente l’obbligo di cui
all’articolo 168, comma 1 del Decreto:
“Il datore di lavoro adotta
le misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati, in
particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una
movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori”.
Il
mancato adempimento a tale obbligo è sanzionato penalmente dall’articolo 170,
comma 1, lettera a) del Decreto con l’arresto
da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500
a 6.400 euro.
Dove
tali misure non siano possibili, il datore di lavoro deve adempiere all’obbligo
di cui al comma 2 dell’articolo 168:
“Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei
carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure
organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori
stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la
movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell’allegato XXXIII, ed
in particolare:
a) organizza i posti di
lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e
salute;
b) valuta, se possibile
anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse
al lavoro in questione tenendo conto dell’allegato XXXIII;
c) evita o riduce i
rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate,
tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle
caratteristiche dell’ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività
comporta, in base all’allegato XXXIII;
d) sottopone i lavoratori
alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, sulla base della valutazione
del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all’allegato XXXIII”.
Anche il mancato adempimento a tale comma è sanzionato
penalmente dall’articolo 170, comma 1, lettera a) del Decreto con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Il
datore di lavoro deve quindi eseguire una specifica valutazione del rischio per
individuare il livello di rischio da MMC e a seguito di tale valutazione
individuare e applicare le misure di prevenzione per ridurre tale livello.
Come
enunciato dall’articolo 168, comma 3:
“Le norme tecniche
costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e
dell’allegato XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si può fare riferimento
alle buone prassi e alle linee guida”.
A tale proposito l’allegato XXXIII specifica poi
che
“Le norme
tecniche della serie ISO 11228 (parti 1-2-3) relative alle attività di
movimentazione manuale (sollevamento, trasporto, traino, spinta, movimentazione
di carichi leggeri ad alta frequenza) sono da considerarsi tra quelle previste
all’articolo 168, comma 3”.
Tali norme tecniche sono rispettivamente:
-
ISO 11228-1:2003 “Ergonomics - Manual handling –
Part 1: Lifting and carrying”, per le attività di sollevamento e trasporto, che
utilizza come criterio di valutazione il metodo NIOSH;
-
ISO 11228-2:2007 “Ergonomics - Manual handling –
Part 2: Pushing and pulling” per le attività di traino e spinta, che utilizza
come criterio di valutazione il metodo Snook&Ciriello;
-
ISO 11228-3:2007 “Ergonomics - Manual handling –
Part 3: Handling of low loads at high frequency”, movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza, che utilizza come criterio di valutazione il metodo OCRA.
Da quello che
mi scrivi risulta che la tua azienda abbia effettivamente eseguito tali
valutazioni (sarebbe comunque da verificare se i criteri adottati sono coerenti
con quelli descritti nelle norme della serie 11228), ma che tali valutazioni
siano ormai datate a seguito di modifiche tecniche e organizzative apportate
alle attività lavorative.
La tua azienda
non risulta in questo caso inadempiente agli obblighi di cui all’articolo 168
del Decreto sopra enunciati, ma è comunque inadempiente relativamente
all’obbligo di cui all’articolo 29, comma 3, che impone che:
“La valutazione dei rischi deve essere immediatamente
rielaborata, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, in occasione di modifiche
del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini
della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione
della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni
significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino
la necessità. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione
debbono essere aggiornate. Nelle ipotesi di cui ai periodi che precedono il
documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato, nel rispetto delle
modalità di cui ai commi 1 e 2, nel termine di trenta giorni dalle rispettive
causali. Anche in caso di rielaborazione della valutazione dei rischi, il
datore di lavoro deve comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea
documentazione, dell’aggiornamento delle misure di prevenzione e immediata
comunicazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. A tale
documentazione accede, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza”.
Quindi non
soltanto la tua azienda avrebbe dovuto aggiornare formalmente la valutazione
dei rischi da MMC entro 30 giorni dal momento delle modifiche alle linee di
produzione, ma avrebbe dovuto da subito aggiornare le misure di prevenzione e
protezione.
Il mancato
adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 29, comma 3 del Decreto è
sanzionato penalmente dall’articolo 55, comma 3 con l’ammenda 2.000
a 4.000
euro.
Pertanto la
mancata applicazione dei metodi OCRA e NIOSH o il mancato aggiornamento della
valutazione a seguito di modifiche significative delle linee di produzione, non
solo è fonte di non conformità per la certificazione secondo OHSAS
18001, ma si configura come mancato adempimento (e quindi reato penale) della
normativa vigente di tutela della salute e della sicurezza.
A disposizione per ulteriori
chiarimenti.
Un caro saluto.
Marco
************
NOTA
Nel
testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i
seguenti acronimi e termini:
ASL
= Azienda Sanitaria Locale
CCNL
= Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI
= Dispositivi di Protezione Individuali
DVR
= Documento di Valutazione dei Rischi
DUVRI
= Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori
in appalto
RSPP
= Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS
= Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
D.Lgs.81/08
o Decreto: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e
integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza”)
SORVEGLIANZA
SANITARIA E VALUTAZIONE DEI RISCHI IN EDILIZIA
Da:
PuntoSicuro
16
marzo 2016
Indicazioni
sulla sorveglianza sanitaria e sulla collaborazione del medico competente alla
valutazione dei rischi e alla prevenzione in edilizia.
La
sorveglianza sanitaria deve essere inserita a pieno titolo nel processo di
valutazione dei rischi.
Con
riferimento al sensibile aumento degli anni delle malattie professionali
denunciate dai lavoratori edili, il Piano Nazionale Edilizia 2015-2018 prevede
che la vigilanza si occupi nello specifico anche della valutazione della
sorveglianza sanitaria messa in atto dal Medico Competente. Ed anche della
congruenza di tale sorveglianza con la valutazione dei rischi.
Per
parlare di queste tematiche si è tenuto il 6 novembre 2015 a Capannori (LU) il
seminario “Valutazione dei rischi e sorveglianza sanitaria in edilizia”
organizzato a cura dell’unità funzionale Prevenzione, Igiene e Sicurezza nei
Luoghi di Lavoro dell’Azienda USL 2 di Lucca.
Uno
degli interventi che si è soffermato sulla sorveglianza sanitaria e sulla
valutazione dei rischi, con riferimento al ruolo del medico competente, si
intitola “La collaborazione del medico competente alla valutazione dei rischi e
alla prevenzione in edilizia” ed è a cura del dottor Carlo Grassi.
La
relazione, che presenta nel dettaglio il ruolo e i compiti del medico
competente, ricorda che la sorveglianza sanitaria corrisponde all’insieme degli
atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei
lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio
professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
La
sorveglianza sanitaria è effettuata, come indicato dal D.Lgs. 81/08, dal medico
competente:
-
nei
casi previsti dalla normativa vigente, dalle indicazioni fornite dalla
commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro;
-
qualora
il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico
competente correlata ai rischi lavorativi.
Il
medico competente programma ed effettua la sorveglianza sanitaria attraverso
protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in
considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati.
Questi
gli obiettivi, lo scopo della sorveglianza sanitaria:
-
valutare
l’idoneità specifica al lavoro;
-
scoprire
in tempo utile per un efficace intervento anomalie cliniche o precliniche
(diagnosi precoce);
-
prevenire
peggioramenti della salute del lavoratore (prevenzione secondaria);
-
valutare
l’efficacia delle misure preventive nel luogo di lavoro;
-
rafforzare
misure e comportamenti lavorativi tutelanti per sicurezza e salute.
La
sorveglianza sanitaria, essendo l’unico strumento di rilevazione degli effetti
sanitari precoci, deve essere necessariamente inserita a pieno titolo nel
processo di valutazione dei rischi.
In
questo senso il Medico Competente individua i gruppi di lavoratori da inserire
nel programma di sorveglianza sanitaria e ne definisce il protocollo indicando
per ogni mansione i fattori di rischio (oggetto della valutazione) per i quali
è istituita la sorveglianza sanitaria, la periodicità della visita medica, gli
accertamenti strumentali e/o di laboratorio e loro periodicità.
Tale
protocollo di sorveglianza sanitaria costituisce parte integrante del Documento
di Valutazione dei Rischi redatto ai sensi degli articoli 17, comma 1, lettera
a) , 28 e 29 del D.Lgs. 81/08.
Il
relatore ricorda, tra l’altro, che lo stesso articolo 29 indica che la
valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata anche quando i
risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. E a seguito
di tale rielaborazione le misure di prevenzione debbono essere aggiornate.
Si
indica inoltre che sarebbe auspicabile che il protocollo di sorveglianza fosse
esposto in forma di tabella, nella quale per ogni fattore di rischio fossero
indicati:
-
effetti
avversi/organi bersaglio;
-
accertamenti
mirati di primo livello;
-
altri
eventuali accertamenti di secondo livello;
-
eventuali
riferimenti normativi o tecnici (leggi, linee guida);
-
periodicità
suggerite (in rapporto alle fasce di intensità di esposizione).
Viene
riportato un esempio relativo alla movimentazione manuale dei carichi (MMC)
In
particolare vengono inclusi in questo rischio i lavoratori che svolgono queste
attività in modo non occasionale, sia nel corso del turno di lavoro, che nel complesso
dell’attività lavorativa.
Ad
esempio un’attività di MMC svolta alcune volte nell’arco del turno di lavoro o
qualche volta alla settimana per 1-2 ore è da considerarsi occasionale.
In
questo caso la tabella relativa alla sorveglianza sanitaria dovrebbe riportare:
-
effetti
avversi/organi bersaglio: apparato locomotore, specie rachide lombo sacrale;
apparato cardiocircolatorio e respiratorio, se la MMC è accompagnata da sforzo
fisico intenso e/o prolungato);
-
accertamenti
mirati di primo livello: visita medica con anamnesi mirata e con eventuale utilizzo
di questionario specifico; elettrocardiogramma se la MMC è accompagnata da sforzo
fisico intenso e/o prolungato;
-
altri
eventuali accertamenti di secondo livello (esempi non esaustivi): diagnostica
per immagini (radiografia, TAC, risonanza magnetica); visita fisiatrica o di
altro specialista; visita cardiologia ed eventuale elettrocardiogramma da
sforzo;
-
eventuali
riferimenti (leggi, linee guida): D.Lgs. 81/08; Linee Guida Coordinamento
Tecnico delle Regioni; Linee guida SIMLII;
-
periodicità
suggerite in rapporto alle fasce di intensità di esposizione: se indice di
rischio NIOSH maggiore di 1 biennale, se maggiore di 0,75 almeno quadriennale.
La
relazione si sofferma poi sulle varie visite mediche di cui si compone la
sorveglianza sanitaria, sulla cartella sanitaria, sul riscorso all’organo di
vigilanza e sul registro per i lavoratori esposti a rischi cancerogeni.
Viene
riportata anche l’analisi di alcuni dati risultanti dalla vigilanza nelle
aziende.
Da
questa vigilanza risulta, ad esempio:
-
la
presenza del protocollo sanitario (ma non sempre riferito al profilo di
rischio);
-
l’assenza
di tracce degli incontri, riunioni, contatti con il datore di lavoro, i tecnici
consulenti, il RSPP, i RLS, i lavoratori;
-
l’assenza
di riferimenti al contributo del medico competente nel corpo del documento di valutazione
dei rischi.
Si
fa poi riferimento anche alle assenze o carenze relative al verbale di
sopralluogo negli ambienti di lavoro, alle attività di promozione della salute,
ecc.
Sono
riportate anche possibili situazioni positive riguardo alla collaborazione del
medico competente alla valutazione dei rischi.
Ad
esempio:
-
il
medico competente ha effettuato il sopralluogo;
-
la
sorveglianza sanitaria è stata attivata previa acquisizione del documento di
valutazione dei rischi da parte del medico competente e dopo l’effettuazione
del sopralluogo;
-
il
documento di valutazione dei rischi risulta adeguato, è sottoscritto dal medico
competente con/senza ulteriori osservazioni oppure il documento di valutazione
dei rischi risulta inadeguato, ma il medico competente, pur avendolo firmato,
ha prodotto le sue osservazioni;
-
se
il documento di valutazione dei rischi è adeguato i profili di rischio e i
protocolli sanitari sono coerenti con il documento e le mansioni specifiche e
le eventuali limitazioni/prescrizioni riportate nelle cartelle e nei giudizi di
idoneità sono coerenti con il documento di valutazione dei rischi.
Ricordando
che la gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro è in capo al datore di
lavoro, l’intervento si conclude riportando gli obblighi del datore di lavoro
nei riguardi del medico competente (con riferimento al D.Lgs. 81/08).
A
tale riguardo, il datore di lavoro deve:
-
nominare
il medico competente, previa consultazione del rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza nei casi in cui vige l’obbligo della sorveglianza sanitaria;
-
assicurare
al medico competente le condizioni necessarie per lo svolgimento dei compiti garantendone
l’autonomia;
-
fornire
al medico competente informazioni su: natura dei rischi, risultati della
valutazione dell’esposizione dei lavoratori, organizzazione del lavoro,
programmazione e attuazione delle misure preventive e protettive, impianti e
processi produttivi, infortuni e malattie professionali, provvedimenti adottati
dagli organi di vigilanza;
-
richiedere
al medico competente l’osservanza degli obblighi a lui demandati;
-
inviare
a visita medica i lavoratori entro le scadenze previste dal programma di
sorveglianza sanitaria;
-
vigilare
affinché i lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria non siano adibiti
alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità;
-
attuare
le misure indicate dal medico competente e, nel caso di inidoneità alla
mansione specifica, adibire il lavoratore, ove possibile, ad altra mansione
compatibile con il suo stato di salute;
-
comunicare
tempestivamente la cessazione del rapporto di lavoro dei lavoratori sottoposti
a sorveglianza sanitaria;
-
in
caso di effetti sanitari imputabili all’esposizione segnalati dal medico
competente rivedere il documento di valutazione dei rischi e le misure di
prevenzione;
-
garantire
a propria cura e spese l’esecuzione delle visite mediche, degli esami clinici e
biologici e degli accertamenti diagnostici mirati al rischio, ritenuti
necessari dal medico competente.
Il
documento “La collaborazione del medico competente alla valutazione dei rischi
e alla prevenzione in edilizia”, a cura del dottor Carlo Grassi, intervento al
seminario “Valutazione dei rischi e sorveglianza sanitaria in edilizia” è
scaricabile all’indirizzo:
RESPONSABILITA’ E
POSIZIONE DI GARANZIA DEL DIRETTORE DI STABILIMENTO
Da:
PuntoSicuro
Di
Gerardo Porreca
Il
direttore di stabilimento è destinatario “iure proprio” al pari del datore di
lavoro dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di
una delega, in quanto assume nella materia specifica una posizione di garanzia.
Fornisce
la Corte di Cassazione in questa sentenza un chiarimento sulla posizione di
garanzia assunto dal direttore di uno stabilimento in materia antinfortunistica
a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti.
Il
direttore di stabilimento infatti, ha sostenuto la Corte Suprema, è
destinatario “iure proprio”, al pari del datore di lavoro, dei precetti
antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di
funzioni, in quanto in virtù della posizione apicale ricoperta in azienda
assume una posizione di garanzia in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Lo stesso risponde pertanto della mancata adozione delle misure organizzative e
integrative di controllo e di vigilanza demandate a colui che nello
stabilimento riveste un ruolo apicale e quindi del tutto differenti da quelle
di ordine esecutivo rientranti invece nelle mansioni del capo squadra o del
preposto e finalizzate ad evitare il pericolo del verificarsi di infortuni.
Beninteso
però, ha aggiunto la Corte di Cassazione, al direttore di stabilimento non
possono farsi carico, in ragione della qualifica funzionale rivestita, scelte
gestionali generali che sono rimesse invece al datore di lavoro.
Il
direttore di uno stabilimento e responsabile della sicurezza di una società di
gestione dello stesso è stato tratto a giudizio unitamente al preposto, nei cui
confronti la sentenza di primo grado è passata in giudicato non essendo stata
proposta impugnazione, per rispondere del reato di lesioni colpose aggravate
dalla violazione di norme antinfortunistiche in danno di un lavoratore
dipendente.
La
Corte d’Appello, successivamente, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale appellata dall’imputato, concessa all’imputato l’attenuante di cui
all’articolo 62 numero 6 del Codice Penale, ritenuta unitamente alle già
concesse attenuanti generiche prevalente sulla contestata aggravante,
rideterminava la pena in giorni 40 di reclusione, sostituita con la sanzione
pecuniaria di € 1.520 di multa, revocando in accoglimento di una specifica
istanza difensiva il concesso beneficio della sospensione condizionale della
pena.
Avverso
tale decisione l’imputato ha ricorso in Cassazione a mezzo del difensore di
fiducia lamentando la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b) del
Codice di Procedura Penale con riferimento all’articolo 40 del Codice Penale
nonché agli articoli 18 e 19 del D.Lgs. 81/08, la violazione dell’articolo 606,
comma 1, lettera e) del Codice di Procedura Penale per contraddittorietà e
manifesta illogicità intrinseca della motivazione in punto di riconducibilità a
lui del ruolo di preposto e per travisamento della prova e omessa motivazione
sul punto, rispetto agli atti del processo ed alla sentenza emessa dal
Tribunale, sempre in relazione al ruolo del preposto, la violazione
dell’articolo 606, comma 1, lettera c) del Codice di Procedura Penale in relazione
agli articoli 516, 521 e 522 del Codice di Procedura Penale e 24 e 111 della
Costituzione, essendo il fatto addebitato in sentenza diverso da quello
descritto al capo di imputazione e la violazione dell’articolo 606, comma 1,
lettera e) del Codice di Procedura Penale per omessa motivazione in relazione
al motivo di appello relativo alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale
per mancato espletamento dell’esame dell’imputato.
La
Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’imputato. La stessa
ha ricordato che il lavoratore si è infortunato mentre azionava un trapano a
colonna privo dello schermo di protezione e che all’imputato, quale direttore
dello stabilimento nel quale si era verificato l’infortunio, era stato contestato
di aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non idonee ai fini
della salute e della sicurezza nonché adeguate al lavoro da svolgere.
Non
è in contestazione, ha aggiunto la stessa Corte, la circostanza che
l’infortunio occorso al lavoratore era stato determinato da una manovra dallo
stesso operata che era stata resa possibile solo e in quanto il trapano a
colonna sul quale operava era sprovvisto di adeguata protezione che consentisse
all’operaio stesso di non venire in contatto con le parti in movimento della
macchina. Il ricorrente ha sostenuto altresì che la sentenza impugnata sarebbe
pervenuta alla sua condanna per un fatto diverso da quello in contestazione
(l’aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non idonee).
La
Suprema Corte ha precisato a riguardo che, a prescindere dalla circostanza che
non è stato chiarito con sufficiente certezza se i dispositivi di sicurezza,
pure in ipotesi acquistati dalla società, fossero stati debitamente e
correttamente installati, la gravata sentenza ha chiarito che la violazione
della disposizione che prevede l’apposizione di una protezione atta a evitare
il contatto delle mani del lavoratore con gli organi della macchina in
movimento, è ravvisabile sia nell’ipotesi in cui lo schermo o altro meccanismo
di protezione non sia mai stato apposto, come in quella in cui sia stata
successivamente rimossa.
Deve
peraltro ritenersi legittimamente consentito al giudice, ha così proseguito la
Sezione IV, individuare, oltre agli elementi di fatto contestati, altri profili
del comportamento colposo dell’imputato emergenti dagli atti processuali in
relazione ai quali questi sia stato posto in grado di difendersi.
Quanto
alla posizione di garanzia del ricorrente va precisato che nel capo di
imputazione è stato precisato che lo stesso rivestiva la qualifica di
“direttore di stabilimento”, ruolo peraltro pacificamente ammesso dallo stesso
imputato. Sul punto quindi la Suprema Corte ha precisato che “in tema di
prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore dello stabilimento di una
società per azioni è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro,
dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una
delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta,
assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della
incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti”.
Se
ovviamente all’imputato, ha così proseguito la Sezione IV, “in ragione della
qualifica funzionale rivestita, non potevano farsi carico scelte gestionali
generali rimesse al datore di lavoro, era peraltro del tutto pacifico che allo
stesso, attesa la posizione apicale ricoperta nell’organigramma dello
stabilimento, faceva capo una ben precisa e netta posizione di garanzia in
materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavori
dipendenti in servizio nello stabilimento dallo stesso prevenuto diretto”.
“Appare
pertanto corretta”, secondo la Sezione IV, “l’indicazione della Corte di merito
alle regole cui si sarebbe dovuto attenere l’imputato nel ruolo di dirigente
con funzioni di direttore dello stabilimento, sul rilievo specifico della
mancata adozione di misure organizzative e integrative di controllo e di
vigilanza (demandate a colui che rivestiva un ruolo apicale nello stabilimento
e quindi del tutto differenti da quelle di ordine esecutivo rientranti invece
nelle mansioni del capo squadra o del semplice preposto) finalizzate a evitare
il pericolo del verificarsi di infortuni quale quello di cui è causa”.
La
Suprema Corte, in conclusione, ha ritenuto anche privo di fondamento il
tentativo dell’imputato di addossare ogni responsabilità al preposto condannato
in primo grado essendo peraltro pacifico che in tema di infortuni sul lavoro,
qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per
intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si
esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola
posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela
antinfortunistica è addebitabile a ognuno dei titolari di tale posizione.
La
Sentenza n. 45233 del 12 novembre 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione
IV è consultabile all’indirizzo:
LINEE GUIDA: VALORE
GIURIDICO E VINCOLATIVITA’
Da:
PuntoSicuro
24
marzo 2016 - Cat: Linee guida e buone prassi
Di
Anna Guardavilla
Dottore
in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali
relative alla salute e sicurezza sul lavoro
Le
Linee Guida in materia di salute e sicurezza tra Decreto 81 e norme generali,
il valore giuridico del “sapere scientifico”, la giurisprudenza e il valore
delle linee guida nei processi penali.
Il
Decreto Legislativo 81/08 ha introdotto, all’articolo 2, le definizioni di tre
fonti di grande rilevanza in ambito prevenzionistico per gli RSPP, i Medici
Competenti, gli RLS, i datori di lavoro e in generale tutti gli operatori della
salute e sicurezza sul lavoro, ovvero le “linee guida”, le “norme tecniche” e
le “buone prassi”.
Con
particolare riferimento alle linee guida, queste sono definite dal Testo Unico
quali “atti di indirizzo e coordinamento per l’applicazione della normativa in
materia di salute e sicurezza predisposti dai Ministeri, dalle Regioni,
dall’ISPESL e dall’INAIL e approvati in sede di Conferenza Stato-Regioni”
(articolo 2, comma 1 lettera z) del D.Lgs. 81/08).
Dunque
questa definizione pone alcuni punti fermi, prevedendo che le linee guida:
-
consistano
in atti di indirizzo e coordinamento per l’applicazione della normativa in
materia di salute e sicurezza;
-
per
essere definite e considerate tali, debbano essere predisposte dai Ministeri,
dalle Regioni e dall’INAIL (ai sensi della Legge 30 luglio 2010 n. 122 che ha
trasferito le competenze dell’ISPESL all’INAIL);
-
debbano
essere approvate in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Una
prima conseguenza che possiamo trarre da questa definizione è che non tutti gli
atti di indirizzo e coordinamento per l’applicazione della normativa in materia
di salute e sicurezza possono essere definiti “linee guida”, ma solo quelli che
vengono emanati dai soggetti su indicati e con i requisiti visti.
Per
garantire la certezza del diritto, infatti, il legislatore nel 2008 ha previsto
che potessero intendersi quali “linee guida” solo gli atti di indirizzo emanati
da una rosa di organismi appartenenti al sistema pubblico cui la legge ha
riconosciuto l’autorevolezza e la legittimazione istituzionale necessaria ad
emanare indirizzi unitari e quindi ad uniformare gli orientamenti applicativi
per tutti gli operatori del settore.
Le
linee guida sono spesso richiamate direttamente dal D.Lgs. 81/08 e più in
generale dalla normativa prevenzionistica.
A
mero titolo di esempio (perché guardando al Testo Unico e norme correlate gli
esempi potrebbero essere molti), in materia di attrezzature di lavoro, la
Relazione di accompagnamento al Decreto correttivo 106/09 specificava a suo
tempo che “all’articolo 71 [del D.Lgs. 81/08] sono operate una serie di
modifiche che evidenziano la rilevanza della informazione, della formazione,
dell’addestramento, delle linee guida e delle buone prassi ove si verta in
materia di utilizzo di attrezzature di lavoro” e che tale articolo 71, come
risulta anche dalla versione attuale, è stato “cambiato imponendo al datore di
lavoro di considerare, nell’adempimento dell’obbligo in parola, i documenti
indicati o le indicazioni derivanti da norme tecniche, buone prassi o linee
guida assicurando un migliore livello di tutela.” (il riferimento è all’attuale
comma 8 dell’articolo 71 del D.Lgs. 81/08, cui si rinvia).
In
questo caso, così come in tutti i casi analoghi, è il legislatore stesso a
richiamare espressamente e ad imporre in maniera vincolante al datore di lavoro
l’applicazione delle linee guida.
Non
va però dimenticato che le linee guida assumono un valore giuridico anche
quando queste non sono richiamate direttamente dalla normativa prevenzionistica
(ad esempio dal D.Lgs.81/08), ai sensi dell’articolo 2087 del Codice Civile che
pone il principio della cosiddetta “massima sicurezza tecnologicamente
fattibile”, alla luce del quale, come ci ricorda la giurisprudenza, “in materia
di sicurezza del lavoro il datore di lavoro è tenuto ad uniformarsi alla
migliore scienza ed esperienza del momento storico in quello specifico settore;
e, nel caso in cui per i suoi limiti individuali non sia in grado di conoscere
la miglior scienza ed esperienza, consapevole di tali limiti, deve avere
l’accortezza di far risolvere da altri i problemi tecnici che non è in grado di
affrontare personalmente” (vedi Sentenza n. 6944 del 16 giugno 1995 della
Cassazione Penale Sezione IV).
Oltre
a esprimere il principio su ricordato, l’ articolo 2087 del Codice Civile svolge
anche un’altra importante funzione che può correlarsi anche alle linee guida,
fungendo infatti da “norma di chiusura del sistema antinfortunistico”, nel
senso che la giurisprudenza ritiene che il datore di lavoro non abbia assolto i
suoi obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro quando, pur avendo
osservato tutte le prescrizioni specifiche in materia, non abbia adottato tutte
le misure rese necessarie da particolarità del lavoro, esperienza e tecnica.
Secondo
la Cassazione, infatti, “l’eventuale silenzio della legge sulle misure
antinfortunistiche da prendere non esime il datore di lavoro da responsabilità
se, di volta in volta, la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica
sono in grado di suggerirgli e, quindi, di imporgli idonee misure di sicurezza”
(vedi Sentenza n. 2054 del 3 marzo 1993 della Cassazione Penale Sezione IV).
Una
interessante pronuncia della Cassazione emanata quest’anno (Sentenza n. 34 del
5 gennaio 2016 della Cassazione Civile Sezione Lavoro) sottolinea a tal proposito
che con riferimento alle misure cosiddette “innominate” imposte dall’articolo
2087 del Codice Civile, grava sul “datore di lavoro l’onere di provare
l’adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla
legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e
tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati oppure trovino
riferimento in altre fonti analoghe (si vedano per tutte le Sentenze n. 15082
del 2 luglio 2014 e n. 12445 del 25 maggio 2006 della Cassazione Penale)”.
Un
riferimento implicito all’ articolo 2087 del Codice Civile e ai principi su
illustrati è contenuto peraltro anche nella normativa specifica, laddove il
Decreto 81/08 definisce la “prevenzione” come “il complesso delle disposizioni
o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e
la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute
della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno” (articolo 2, comma 1,
lettera n) del D.Lgs.81/08).
A
questo punto, approfondiamo un po’ più in dettaglio in cosa consistano il
valore giuridico e la vincolatività delle linee guida.
La
giurisprudenza lo illustra in maniera chiara.
Una
interessante pronuncia (Tribunale di Asti, 22 ottobre 2010) in tema di malattie
professionali ci ricorda, infatti, che “nelle linee guida è normalmente
contenuta la più compiuta e particolareggiata indicazione del sapere
scientifico di un determinato settore. Da ciò consegue che nei processi per
reati colposi (soprattutto quelli in campo medico) le linee guida vengono spesso
in rilievo, poiché da esse possono essere tratti sia elementi indispensabili
per l’individuazione del comportamento corretto da seguire e sia il “modello di
agente”.
Secondo
tale sentenza, le linee guida “costituiscono, al contempo, fonte dell’obbligo
di adeguamento e metro della diligenza richiesta a chi opera in un determinato
settore.”
Nel
caso di specie oggetto di questa sentenza, in cui si giudicavano le
responsabilità connesse all’insorgere (prima del 2008) di varie malattie
professionali collegate alla sindrome da sovraccarico biomeccanico, il
Tribunale trae (dalla premessa su riportata relativa alla funzione delle linee
guida) la conclusione che nella fattispecie “i medici competenti, i datori di
lavoro e i consulenti di questi ultimi erano senz’altro tenuti alla conoscenza
delle linee guida relative al metodo OCRA per organizzare al meglio il lavoro
in strutture imprenditoriali aventi a oggetto lavorazioni a rischio, in quanto
estrinsecantesi in movimenti degli arti superiori a elevata ripetitività. Si
deve dunque ritenere provato il nesso di causalità tra le omissioni del medico
competente e l’insorgenza delle malattie: è ragionevole ritenere che se il
medico competente avesse correttamente posto in essere il comportamento
doveroso a lui spettante in forza delle norme nonché in forza alle regole di
esperienza e se avesse dunque agito con perizia, diligenze e prudenza nello
svolgimento del proprio lavoro, le malattie muscolo scheletriche non sarebbero
insorte.”
Con
particolare riferimento al Medico Competente, va anche ricordato che ai sensi
del Testo Unico questi è tenuto a programmare ed effettuare la sorveglianza
sanitaria “tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati”
(articolo 25, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 81/08).
Riguardo
alla figura del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, inoltre,
la giurisprudenza valorizza con sempre maggiore attenzione l’importanza che
questi svolga “in autonomia, nel rispetto del sapere scientifico e tecnologico,
il compito di informare il datore di lavoro e di dissuaderlo da scelte magari
economicamente seducenti ma esiziali per la sicurezza” (Sentenza n. 38343 del
18 settembre 2014, caso Thyssenkrupp, della Cassazione Penale, Sezioni Unite).
Al
di fuori dell’ambito specifico della salute e sicurezza sul lavoro, poi, ma
restando in campo medico in generale, può essere utile fare un brevissimo cenno
alla norma contenuta nell’articolo 3 della Legge 8 novembre 2012 n. 189 che
disciplina la “responsabilità professionale dell’esercente le professioni
sanitarie” e che prevede che “l’esercente la professione sanitaria che nello
svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate
dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve [...]”.
Ma
torniamo, per concludere il ragionamento, alle linee guida in materia di salute
e sicurezza e alle indicazioni giurisprudenziali.
Se
la giurisprudenza, come abbiamo visto, rintraccia l’utilità delle linee guida
nei processi per reati colposi per infortuni o malattie professionali nel fatto
che in esse possono essere tratti sia elementi indispensabili per
l’individuazione del comportamento corretto da seguire e sia il “modello di
agente”“, allora dobbiamo domandarci a questo punto cosa sia questo modello di
agente, di colui che agisce, e quale funzione svolga ai fini delle
responsabilità.
Ciò
ci viene chiarito, tra le altre, da una importante Sentenza (Sentenza n. 16761
del 3 maggio 2010 della Cassazione Penale Sezione IV), che sottolinea che “la
giurisprudenza e la dottrina dominanti si rifanno a criteri che rifiutano i
livelli di diligenza ecc. esigibili dal concreto soggetto agente (perché in tal
modo verrebbe premiata l’ignoranza di chi non si pone in grado di svolgere
adeguatamente un’attività pericolosa) o dall’uomo più esperto (che condurrebbe
a convalidare ipotesi di responsabilità oggettiva) o dall’uomo normale
(verrebbero privilegiate prassi scorrette) e si rifanno invece a quello del
cosiddetto agente modello (homo ejusdem professionis et condicionis), un agente
ideale in grado di svolgere al meglio, anche in base all’esperienza collettiva,
il compito assunto evitando i rischi prevedibili e le conseguenze evitabili.
Ciò sul presupposto che se un soggetto intraprende un’attività, tanto più se
pericolosa, ha l’obbligo di acquisire le conoscenze necessarie per svolgerla
[...]. Si parla dunque di misura oggettiva della colpa diversa dal concetto di
misura soggettiva della colpa.”
Dunque,
conclude la Cassazione, “il parametro di riferimento non è quindi ciò che forma
oggetto di una ristretta cerchia di specialisti o di ricerche eseguite in
laboratori d’avanguardia ma, per converso, neppure ciò che usualmente viene
fatto, bensì ciò che dovrebbe essere fatto.
Non
può infatti da un lato richiedersi ciò che solo pochi settori di eccellenza
possono conoscere e attuare ma, d’altro canto, non possono neppure essere
convalidati usi scorretti e pericolosi; questi principi sono ormai patrimonio
comune di dottrina e giurisprudenza pressoché unanimi nel sottolineare
l’esigenza di non consentire livelli non adeguati di sicurezza sia che siano
ricollegabili a trascuratezza sia che il movente economico si ponga alla base
delle scelte”.
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