di
Elisabetta Della Corte
E’ un
accordo fragile, quello tra sindacati e la Medcenter Container Terminal a Gioia
Tauro.
Così come imposto dall’azienda ‘l’accordo della resa’
raggiunto notte tempo, tra il 17-18 novembre a Gioia Tauro prevede il reintegro
di soli 40 lavoratori e il licenziamento dei restanti 402 che passeranno alla
neo Agenzia pubblica del lavoro. Una parte significativa dei lavoratori vi si è
opposto, il SUL e il Coordinamento dei portuali, e c'è un diffuso clima di
sfiducia mista a rabbia e scontento che aleggia in banchina, per quella che
viene vissuta come l’ennesima ingiustizia. E poiché la forza lavoro, da cui
dipendono i tempi di carico e scarico è il tallone d’Achille della logistica
integrata, quest’aspetto non è da sottovalutare. Nonostante nei mesi si sia cercato di sedare le proteste e di impedire
blocchi del porto- motivando la ‘’cacciata’’ dei 442 lavoratori come dettata
dalla crisi e dai cali nei volumi di traffico movimentati negli ultimi due anni
da MCT-, per i portuali i motivi più che economici sono politici e disciplinari
così come emerge da un volantino fatto circolare al porto nei giorni che
hanno preceduto ‘’l’accordo-resa della notte’’.
Quell’’immaginario positivo’ sul porto ed MCT, così
ben consolidato negli anni con la retorica dello sviluppo, è andato
definitivamente in frantumi. ‘’Il porto dei miracoli’’ ha lasciato il posto ad
un mare di scontento e rabbia. L’immagine dell’azienda-famiglia che tutela i
suoi dipendenti e porta benessere e sviluppo nell’area cede il passo a una più
realistica visione dei rapporti di sfruttamento e delle possibilità di
resistenza fuori dal sindacato. E non sono pochi quelli che iniziano a
chiedersi se i sindacalisti e i politici conoscono veramente l’accordo che
hanno firmato e le conseguenze sulle vite dei lavoratori portuali ai cui occhi
molte delle soluzioni da raggiungere appaiono infondate. L’agenzia per il
lavoro viene vista come un’area di posteggio temporaneo – l’ennesimo bacino di
manodopera, da far sopravvivere per tre anni con l’indennità, sempre
disponibile per MCT nel caso ne avesse bisogno. In questo modo all’interno del
porto, per caricare e scaricare container, sulla stessa nave si troveranno
dipendenti MCT più quelli delle ditte esterne di rizzaggio e derizzaggio e, in
aggiunta, quelli dell’Agenzia del lavoro- ex dipendenti MCT, aumentando così le
possibilità di sfruttamento e flessibilità per l’azienda, così come è già
accaduto in altri porti. Dopo anni di lavoro, anni in cui si
sono accumulati i danni dello stress psico-fisico, ore di guida con pause
ridotte, ritmi sempre più serrati che aumentano i rischi d’incidenti,
alterazione dei ritmi sonno/veglia, stanchezza cronica- la cacciata dalla
MedCenter e la presunta ricollocazione al lavoro attraverso l’Agenzia, è
vissuta come la resa definitiva del sindacato agli imperativi MCT; l’ennesima
concessione ai danni dei portuali. Diversamente sostengono i sindacati firmatari; ad esempio, Nino Costatino
segretario regionale della Cgil della Piana di Gioia, dopo l’accordo ha
dichiarato che ‘’si tratta del rimedio migliore a uno strappo profondissimo’’ e
che attende che la Legge di stabilità garantisca i soldi, come da impegni. Su cosa è avvenuto questo strappo profondissimo? Il
blocco del porto di metà ottobre era legato ai reintegri. Per i portuali almeno
la metà di quei 442 portuali licenziati sarebbe dovuto rientrare in MCT, mentre
per l’azienda non più del 10%, come poi è stato, un mese dopo, a metà novembre.
L’accordo della resa, come accennato, è un salto nel buio non solo per i
portuali ma anche per MCT. Vediamo: i
profitti del porto dipendono in modo significativo dal lavoro dei portuali.
Quei milioni di contenitori che ogni giorno viaggiano pe il mondo per arrivare
a destinazione necessitano del lavoro umano, quello dei gruisti, dei
carrellisti, deckman, checker, etc. I lavoratori diretti e indiretti del porto
di Gioia sono circa 2700; quelli MCT prima dei licenziamenti erano circa 1290,
ora dopo la ‘cacciata dei 400’ ne restano circa 900. Ai sindacati confederali
s’imputa la responsabilità di non aver sostenuto la lotta per il reintegro dei
lavoratori ritenuti in esubero accettando il diktat dell’impresa a svantaggio
degli operai, alimentando rabbia, frustrazione, incertezza e sfiducia sui piani
di reintegro. L’agenzia per il lavoro che dovrebbe riqualificare e ricollocare
i licenziati è per i portuali l’ennesimo ‘regalo’ fatto al padronato, alla MCT.
L’intervento statale e quello della politica in generale, viene vissuto come
l’ennesima prova del fatto che lo stato serve gli interessi dei capitalisti non
quelli degli operai. L’Agenzia per il lavoro, finanziata per tre anni con 45
milioni di euro, da spartire anche per i 500 licenziati da Evergreen a Taranto1, per i portuali gioiesi non è una
soluzione per le loro vite ma solo un buon servigio reso alla MCT con la
complicità del sindacato. Su queste premesse è difficile
ottenere il coinvolgimento dei portuali. La cooperazione al lavoro è
indispensabile ma difficile da imporre in un sistema complesso nonostante le
innovazioni e l’aumento della sorveglianza sul lavoro. Negli anni, raccontano i portuali, è stato possibile
verificare l’infondatezza di certi piani di sviluppo. Un esempio è quello dello
scorso anno. Nel 2015 c’era un accordo con la LCV Capital Management per
l’insediamento a Gioia Tauro e a Bari di due fabbriche di auto; per Gioia Tauro
significava la riapertura dei cancelli arrugginiti della ex Isotta Fraschini
per farne uscire, questo l’impegno, nuove auto2.
La regione aveva stanziato un milione e ottocentomila euro, in parte finiti al
Cefris per dei corsi di formazione ai portuali che andavano
riconvertiti in operai metalmeccanici.
Le vuote promesse del presidente PD Oliverio
Nel comunicato della Regione Calabria, che in parte
riportiamo, le motivazioni di questa ‘’ricca’’ formazione e le aspettative
espresse dal presidente della Regione Calabria Mario Oliverio nel 2015: ‘’Il
Programma prevede sostanzialmente l'avvio di un progetto di formazione dei 1200
lavoratori della MCT S.p.A. (Medcenter Container Terminal) dell’area Portuale
di Gioia Tauro in cassa integrazione guadagni, finanziato dalla Regione sul
PAC, con un investimento di 1.800.000 euro. “E’ un primo passo – aveva detto il
Presidente della Regione Calabria Oliverio- di un percorso avviato nel mese di
gennaio scorso e si colloca nella scelta del sottoscritto e della Giunta
regionale di fare di Gioia Tauro uno dei pilastri della crescita e dello
sviluppo della nostra regione. A tal proposito abbiamo costituito un
assessorato “ad hoc” con una delega specifica e strategica. Nel nostro dialogo
con il governo sul “Patto per la Calabria” abbiamo posto Gioia Tauro come uno
dei punti irrinunciabili per la sottoscrizione dello stesso. E’ la prima volta
che un governo ha mostrato la propria attenzione verso questa realtà
inserendola nella Legge di Stabilità”. “L’altra tappa –aveva aggiunto Oliverio-
dovrà essere l’approvazione della Zona Economica Speciale (ZES). Per quanto ci
riguarda utilizzeremo anche una parte delle risorse europee rafforzare i nostri
investimenti. La Calabria non può rinunciare ad una ipotesi di investimenti
industriali. Da qui ad un anno, comunque, cominceremo a vedere i primi frutti
di questo discorso. L’Accordo di oggi prepara le condizioni per andare in
questa direzione’’. Il comunicato della Regione continuava illustrando il ruolo
e i servizi del Cefris: ‘’Il Soggetto Attuatore del programma sarà il Consorzio
CEFRIS (Centro per la formazione, la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo) di
Gioia Tauro, accreditato per la formazione professionale dei lavoratori
interessati al percorso formativo, già titolare di precedenti interventi
formativi per la MCT, in quanto organismo "in-house" dell’ASI di
Reggio Calabria (Asireg) rappresentato dal CORAP, con procedura di affidamento
diretto "in house providing".3 Il piano poi fallì, l’azienda svanì e con questo anche l’ennesimo falso
rimedio alla crisi occupazionale e sociale di Gioia Tauro; e per quanto
riguarda, invece, la formazione i portuali che hanno seguito i corsi li hanno
trovati inutili, ripetitivi. Dopo questo flop ora la promessa del reimpiego
ruota intorno alle infrastrutture, da cui si vuole far dipendere il destino occupazionale
dei portuali. Da notare che una fetta consistente
dei fondi pubblici vengono assorbiti dall’ennesimo traballante piano di
rilancio dell’area: i costi delle opere che riguardano il porto riportate nel
Patto per la Calabria prevedono solo per il bacino di carenaggio, ben 220
milioni di euro a cui vanno sommati altri milioni per l’adeguamento
ferroviario, formazione, etc. I tempi di realizzazione di queste opere è di tre
anni, almeno questi sono i tempi previsti che suscitano più di qualche perplessità
da parte dei portuali. Vi è poi, la questione ZES, la Zona
Economica speciale, che è solo l’ultima delle false promesse di felicità per
l’area gioiese. L’entusiasmo con cui i politici e i tecnici sostengono che la
Zes è un buon piano per Gioia Tauro e per la Calabria tutta, andrebbe calibrato
alla luce della conoscenza. Non mancano studi sull’impatto di queste zone
economiche speciali e non sempre i risultati sono confortanti, sia in termini
di posti di lavoro creati sia per l’impatto ambientale. Per chi volesse
approfondire alla luce degli studi si consiglia, in particolare ai politici, di
leggere questo articolo (vedi link
http://www.economist.com/news/leaders/21647615-world-awash-free-trade-zones-and-their-offshoots-many-are-not-worth-effort-not),
che cerca di spiegare perché, come indicato dal titolo, le Zes, le Zone
economiche speciali, ‘non sono così speciali’, e a quali fallimenti ed
ulteriori rischi di sfruttamento, abuso del territorio e dispendio di soldi
pubblici si vada incontro.
La piana, terra di sfruttamento e ribellione
La piana di Gioia, nella storia, è spesso stata
oggetto di regalie e contese. Nell’ottocento, i Borboni concessero al generale
Vito Nunziante anche per ricompensarlo dell’aiuto militare nella cacciata dei
francesi, una grossa parte dei terreni della piana di Rosarno. Questa
concessione era vincolata alla bonifica della piana acquitrinosa e malarica che
il marchese avrebbe dovuto realizzare a sue spese, in cambio dei tre quarti del
terreno bonificato, in tutto 470 ettari. La bonifica iniziata nel 1817 e finita
nel 1822, costò la vita a decina di lavoratori, alcuni locali, altri
provenienti da Cosenza, Tropea; e altri, ancora, deportati dalla galera di
Napoli ai campi di lavoro- sempre per concessione dei Borboni. Lo stesso
insediamento di san Ferdinando venne costruito dopo la bonifica, anche con lo
sfruttamento del lavoro forzato dei cosiddetti ‘servi di pena’, tra cui
detenuti politici, per l’esigenza di collocare e ‘gestire la forza lavoro’ che
prima viveva accampata in baracche, in condizioni igienico-sanitarie simili a
quelli che oggi i migranti subiscono sulle stesse terre. Una gestione non
facile, alla fine dell’ottocento, ad esempio, una parte dei sottoposti al
marchese Nunziante, lasciò il villaggio di San Ferdinando e ne fondò un altro
scegliendo il nome, evocativo, di Euronova. Il blocco duro che contestava la
politica di Nunziante, il suo ruolo nell’economia locale, produce il suo esodo.
L’immagine del marchese benefattore, anche in questo caso, s’incrina a
vantaggio di quella dello sfruttatore del luogo e delle vite che lo abitano. I
canti contadini, l’uso dissacrante dell’ironia, riportano traccia del conflitto
tra i braccianti e il padrone della piana. E’ lo stesso Nunziante nel libro
sulla bonifica della piana ne fa cenno senza approfondire. Nel volgere del tempo la bellezza di quella piana è
stata stravolta. Nonostante si trattasse si uno dei più bei golfi del
Mezzogiorno, coltivato a vite, ulivo e agrumi, si era deciso di piazzare
proprio lì il V polo siderurgico, per fortuna mai realizzato, e poi a seguire
il porto, l’inceneritore, le fabbriche o gli scheletri di quelle finanziate e
mai aperte. La trasformazione della piana gioiese è il risultato di decenni
d’ideologia dello ‘’sviluppo anche a costo della vita’’, in cui hanno allignato
il malgoverno, il disprezzo per i luoghi oltre che le frodi. Un’ideologia che
per quanto fallimentare è ancora viva e rintracciabile negli attuali infelici
piani di sviluppo per Gioia Tauro tra globalizzazione e neofeudalesimo4.
1 http://www.themeditelegraph.it/it/transport/ports/2016/11/21/porti-agenzia-per-lavoro-banchina-salvi-occupati-tTGr6bJxuUam3dCzkzc5EI/index.html
4
http://www.sudcomune.it/2016/10/31/editoriale-n-1-2-lavori-in-corso/
Nessun commento:
Posta un commento