mercoledì 2 novembre 2016

1 novembre - FIAT SATA: un quadro



costruire il sindacato di classe di massa per condurre una guerra di classe
fuori e contro il sindacalismo confederale e alternativo a posizioni e prassi del ‘sindacalismo di base’

proletari comunisti –PCm italia


IL MERCATO NON TIRA E SI CHIEDONO I TAVOLI ISTITUZIONALI IN VERITA’ VOGLIONO CONTINUARE A MUNGERE LA REGIONE BASILICATA E GLI OPERAI CHE CONTINUANO A LAVORARE E AD ESSERE SFRUTTATI
,
Alla Fiat di Melfi oltre mille operai sono stati posti di nuovo in cassa integrazione. La punto si vende di meno e il mercato non tira.

Anche la produzione della Cinquecento e della Jeep è calata, i 21 turni sono stati effettivamente applicati per poco, la Domenica pomeriggio si sta quasi sempre a casa, per la copertura della giornata lavorativa vengono utilizzati i permessi individuali retribuiti, se ce ne sono, altrimenti non retribuiti, e a tanti operai è stato chiesto di andare in trasferta nei diversi stabilimenti del gruppo Fiat, sparsi per il paese.
La Punto dopo diverse modifiche che ci sono state negli anni trascorsi, andrà via definitivamente, non sarà più prodotta a Melfi e la cassa integrazione aumenterà. Si intravedono tre settimane di cassa integrazione al mese e sembrano non siano solo voci in fabbrica.
Gli operai più penalizzati dalla cassa integrazione e che restano più spesso a casa sono quelli che fruiscono di varie leggi, dalla 104 alla 53, oppure quelli con problemi di salute. La Fiat a Melfi, e non solo, ha bisogno di operai sani, che lavorano e non hanno problemi di salute. Gli operai devono produrre, piegare la testa e non protestare, altrimenti possono stare in cassa integrazione e a casa, i piazzali sono pieni.
Molti operai non ce la fanno con i ritmi ed i carichi di lavoro accettano ben volentieri periodi di riposo tramite la cassa integrazione anche se la paga è ridotta. Altri conciliano i periodi di cassa con la raccolta dell’uva e delle olive, quando i giorni di cassa sono pochi ci si può fare qualche servizio nei propri terreni della Lucania e della vicina Puglia.
Alcuni operai sono passati dalla linea della Punto, alla linea della Cinquecento e della Jeep per cercare di restare in fabbrica e guadagnare l’intero salario. Altri operai invece preferiscono farsi la cassa integrazione, almeno adesso che è poca, e si riposano. Quelli che lavorano sulla linea della cinquecento e della Jeep, su quattro turni A-B-C-D, sono stati invogliati ad una perenne gara, vengono classificati più bravi quelli che fanno più auto, si è raggiunta la soglia di 470 auto a turno prodotte.
Il sindacato tergiversa, cerca soluzioni, molte volte cerca di sostituirsi al padrone e dà consigli arrivando addirittura a proporre il tipo di vettura da produrre in sostituzione della Punto. La Uilm in testa chiede tavoli e incontri istituzionali con la Regione Basilicata come se la stessa Regione dovesse acquistare auto. In realtà alcuni sindacati hanno intenzione di fare sborsare alla Regione Basilicata altri soldini, magari quelli provenienti dalle royalty del petrolio. Altri sindacati forse inconsciamente a ruota vanno appresso. Quelli più rappresentativi non si interessano della rotazione della cassa integrazione, affinché  tutti gli operai abbiano lo stesso salario, vogliono solo sedersi ai vari tavoli e continuare a contare e vivacchiare, magari partecipando e organizzando anche altri carrozzoni definiti “Osservatori”, e suggerendo altri esborsi da parte della Regione Basilicata, come è successo per il famoso “Campus”, costato un sacco di soldi alla collettività.
I problemi si porranno sicuramente se i periodi di cassa si faranno più lunghi e se la Fiat con il silenzio dei sindacati filopadronali, gratificati dalle precedenti assunzioni con il Jobs Act, tenderà a portare avanti operazioni discriminatorie. Si deve intervenire per imporre alla Fiat la rotazione della cassa integrazione, altrimenti per alcuni operai sempre posti in cassa integrazione ci sarà già su un misero salario, un’altro taglio netto e consistente.
Inoltre ci si darà la possibilità alla Fiat di creare i presupposti per potersi organizzare e dividere ulteriormente gli operai, anche con nuove forme di lavoro. Non è escluso come è successo in altre stabilimenti, come quello di Pomigliano che ci si arrivi anche ad emarginare operai dalla fabbrica, con probabili conseguenze anche sullo stato psico-fisico. Anche a Melfi sono molti gli operai che si lamentano per essere stati confinati in aree cosiddette di preparazione dove vengono additati come diversi, come quelli che non fanno niente. Alcuni operai per il momento ancora senza alzare la voce, iniziano ad esprimere la volontà di organizzarsi se le cose peggioreranno, la speranza è che i 21 giorni di protesta nel 2004 abbiano fatto scuola e non tutto si sia dimenticato.                                                                                 Un operaio della Fiat di Melfi

Nessun commento:

Posta un commento