contro i
licenziamenti
da lasinistraquotidiana.it
Degli 11 mesi trascorsi da quando la
statunitense General Electric, acquisendo per più di 10 miliardi le centrali
della francese Alstom, è entrata in possesso dello stabilimento di Sesto San
Giovanni, sinonimo di alta tecnologia (all’interno c’è una delle tre camere
blindate per il bilanciamento dei rotori che è possibile trovare in Italia),
ben nove sono stati occupati dalla vertenza sindacale ancora in corso.
Ai nuovi arrivati sono infatti bastati meno
di 60 giorni per presentare un piano di ristrutturazione che prevede 6500
esuberi in tutta Europa e, per quanto riguarda l’Italia, la chiusura del sito
di Sesto San Giovanni, con oltre 200 licenziamenti di cui una prima tranche nel
2016, il resto nel 2017. Nonostante una lunga trattativa sindacale,
mobilitazioni, incontri istituzionali e scioperi proclamati anche in altre
aziende del gruppo (Nuovo Pignone e Avio), la situazione è ancora ferma al
palo, con il colosso nordamericano che ha già spedito una sessantina di lettere
di licenziamento e i lavoratori che sono in assemblea permanente da 42 giorni,
occupando la fabbrica giorno e notte.
All’ultimo tavolo tra azienda, governo e
sindacati, lo scorso 26 settembre, presente la viceministra allo Sviluppo economico
Teresa Bellanova, l’azienda ha ulteriormente rifiutato di trovare
un’alternativa ai licenziamenti, proponendo di ricollocare parte degli esuberi
in Piemonte, Toscana, Puglia e Campania – offerta che la stessa viceministra ha
giudicato provocatoria – e ribadito che nell’eventuale vendita del sito non
sarà compresa la proprietà intellettuale delle conoscenze tecnologiche. «Un
atteggiamento che – afferma Rosario Rappa, segretario nazionale Fiom Cgil –
dimostra come le intenzioni della multinazionale siano solo quelle di
saccheggiare il know-how dello stabilimento di Sesto, andando a produrre
altrove (in Romania, ndr)». Al momento gli uffici legali dei sindacati
stanno impugnando i licenziamenti, forti anche della recente risoluzione sulla
«Necessità di una politica europea di reindustrializzazione» con cui il
Parlamento europeo, a larga maggioranza, ha invitato «la Commissione a
consultare le parti sociali sull’opportunità di una revisione della
legislazione vigente in materia di licenziamenti collettivi, inclusa la
possibilità di infliggere sanzioni e sospendere l’accesso ai programmi
finanziati dalla Ue». Finanziamenti di cui beneficia anche General Electric
che, proprio oggi, firmerà al ministero dello Sviluppo economico un accordo con
la Regione Toscana grazie al quale avrà soldi pubblici per la ricerca nelle
turbine. La scorsa settimana i delegati Fiom Cgil hanno consegnato alla
ministra dell’Istruzione Stefania Giannini, in visita allo stabilimento GE
Avio, una lettera con cui si chiede l’intervento diretto del presidente del
consiglio Matteo Renzi. Se il colosso americano dell’energia ha puntato finora
molto sul settore energetico (nel linguaggio tecnico include elettrico,
termico, eolico), non più di una settimana fa ha scorporato le sue attività
petrolio e gas fondendole con il colosso Baker Hughes e dato vita a una
partnership con un volume d’affari annuale di 32 miliardi di dollari,
controllata per due terzi proprio da General Electric. Una mossa che,
rilanciando gli utili operativi nei settori Oil & Gas, potrebbe
trasformarli nei nuovi asset strategici della multinazionale al posto
dell’energetico. Abbiamo sentito la General Electric, che smentisce questa
ultima opzione e conferma di voler restare anche nel segmento energia, ma
lavoratori e sindacati non si sentono comunque rassicurati.
MARCO VULCANO
da il manifesto.info
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