In riferimento alla ipotesi di modifica dell’art. 18 S.L. introdotta dal
Governo, appare utile sviluppare alcune semplici riflessioni in merito alla
scelta effettuata, al fine di valutare le ragioni sostanziali pro e contro
la norma attuale e quella preesistente.
A prescindere da astratte argomentazioni volte a sostenere che i principi
elaborati nel 1970 siano anacronistici in ragione del semplice passare del
tempo, si dovrebbe, invece, riscoprire come la legislazione sia più che mai
all’avanguardia, avendo, nello specifico, introdotto un principio di civiltà
giuridica e sociale che, nel confronto con altre legislazioni, non
costituisce un pregiudizio, bensì un motivo di vanto.
Un corpus normativo che tuteli la libertà e la dignità del dipendente appare
necessario in un ambito in cui la sperequazione della forza tra datori di
lavoro e lavoratori è particolarmente rilevante.
1) Per quanto riguarda la previsione di un indennizzo in sostituzione al
reintegro nei licenziamenti per ragioni economiche e, in parte, in quelli
disciplinari, va detto come la soluzione adottata dal Governo non sia in
linea con i principi generali per la tutela integrale del diritto leso,
oltre a contrastare con le norme sull’adempimento e in materia di
risarcimento in forma specifica, secondo cui, chi viene illegittimamente
leso in un diritto, dovrebbe essere reintegrato nell’identica “posizione” in
cui si trovava precedentemente.
Al contrario, il risarcimento per equivalente costituisce una forma di
tutela “alternativa”, quando non è possibile la reintegra in forma specifica
e richiede la valutazione della “entità” del bene compromesso, al fine di
stabilirne il valore corrispondente per la “monetizzazione” del pregiudizio
arrecato al lavoratore, con tutte le difficoltà relative a tali processi
valutativi.
2) La forfetizzazione del risarcimento in caso di licenziamento illegittimo,
stabilita nella misura variabile da 15 a 27 mensilità retributive
costituisce, dunque, un’astratta standardizzazione in materia di
risarcimento, in quanto non permette di “personalizzare” con precisione l’entità
del risarcimento dovuto con riferimento alla specificità del caso concreto
e, nell’introdurre un limite massimo e minimo, rischia in molti casi di non
costituire un effettivo risarcimento, bensì di acquisire un carattere
sanzionatorio, sostitutivo del diritto al risarcimento.
3) La “nuova” formulazione della norma consentirebbe, inoltre, di utilizzare
il licenziamento per motivi oggettivi o economici al fine di “espellere”
dall’azienda lavoratori scomodi ed in particolare gli attivisti sindacali,
con effetti discriminatori e con l’unica conseguenza di versare il
risarcimento forfetizzato, nel caso in cui il dipendente riesca a dimostrare
in giudizio la pretestuosità dei motivi economici, tenuto conto della
difficoltà per i lavoratori di conoscere e contrastare i dati organizzativi
e produttivi in possesso dell’impresa.
4) Del pari, il “nuovo” art. 18 S.L. consentirebbe, alle aziende, di usare
il licenziamento per motivi oggettivi o economici e/o disciplinare al fine
di “espellere” dall’azienda i lavoratori più anziani e più costosi, quelli
con limitazioni operative e quelli fisicamente e/o psichicamente
svantaggiati, con le notorie difficoltà per questi individui di trovare una
nuova occupazione lavorativa.
5) Il licenziamento per motivi oggettivi o economici potrebbe anche essere
utilizzato in alternativa ai licenziamenti collettivi per crisi aziendale,
evitando le prescritte procedure di confronto con le organizzazioni
sindacali (L.223/91) e, quindi, il controllo, da parte delle stesse, al fine
di evitare licenziamenti discriminatori, oltre che verificare la sussistenza
della effettiva criticità e delle esigenze di riduzione dell’organico, con
conseguente neutralizzazione del ruolo del sindacato.
6) La modifica introdotta, tesa a stabilire una differenza nella stabilità
del rapporto tra i dipendenti di aziende private ed i dipendenti di aziende
pubbliche o di pubbliche amministrazioni, si rivelerebbe poi incongruente ed
anacronistica, oltre che contraria al dettato ordinamentale, stante la
privatizzazione del cd. pubblico impiego e la omogeneizzazione dei rapporti
lavorativi con il settore privato introdotta con i D.Lgs. n. 29/93 e n.
80/98 e il passaggio della giurisdizione al giudice ordinario.
7) Le nuove norme sul licenziamento per motivi oggettivi o economici non
potrebbero, comunque, essere estese ai dipendenti di p.a., stante la
impossibilità di individuare, in tale ambito, il requisito dei motivi
“economici”, che giustificherebbero il licenziamento nelle aziende private.
8) Escludere per legge la possibilità di reintegro del lavoratore e
stabilire limitazioni all’entità del risarcimento nel caso di licenziamento
illegittimo per motivi economici comporta, sostanzialmente, una evidente
sfiducia nell’indipendenza e nell’operato della magistratura, competente
istituzionalmente a tutelare i diritti ingiustamente lesi.
9) Va, inoltre, evidenziata, la inesistenza di ragioni giustificatrici all’introduzione
delle modifiche operate, con riferimento alla lentezza della giustizia, in
quanto, per ogni diritto leso, esiste un rimedio generale costituito dalla
possibilità di ricorrere al Giudice (cd. legge Pinto) e chiedere il
risarcimento dei pregiudizi subiti, senza dovere dotare le aziende di
ulteriori maggiori ed eccezionali tutele.
10) Le modifiche introdotte si appalesano, poi, inadeguate, in quanto non si
è tenuto conto dell’ambiente politico-sociale italiano, in cui esiste un
contenzioso lavoristico notevolissimo (200.000 cause all’anno),
evidentemente a causa di una diffusa illegalità nei rapporti di lavoro,
sicuramente non per responsabilità dei lavoratori.
Mirco Rizzoglio (Avvocato)
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