venerdì 30 marzo 2012

10 ragioni contro la riforma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

In riferimento alla ipotesi di modifica dell’art. 18 S.L. introdotta dal 
Governo, appare utile sviluppare alcune semplici riflessioni in merito alla 
scelta effettuata, al fine di valutare le ragioni sostanziali pro e contro 
la norma attuale e quella preesistente.
A prescindere da astratte argomentazioni volte a sostenere che i principi 
elaborati nel 1970 siano anacronistici in ragione del semplice passare del 
tempo, si dovrebbe, invece, riscoprire come la legislazione sia più che mai 
all’avanguardia, avendo, nello specifico, introdotto un principio di civiltà 
giuridica e sociale che, nel confronto con altre legislazioni, non 
costituisce un pregiudizio, bensì un motivo di vanto.
Un corpus normativo che tuteli la libertà e la dignità del dipendente appare 
necessario in un ambito in cui la sperequazione della forza tra datori di 
lavoro e lavoratori è particolarmente rilevante.
1) Per quanto riguarda la previsione di un indennizzo in sostituzione al 
reintegro nei licenziamenti per ragioni economiche e, in parte, in quelli 
disciplinari, va detto come la soluzione adottata dal Governo non sia in 
linea con i principi generali per la tutela integrale del diritto leso, 
oltre a contrastare con le norme sull’adempimento e in materia di 
risarcimento in forma specifica, secondo cui, chi viene illegittimamente 
leso in un diritto, dovrebbe essere reintegrato nell’identica “posizione” in 
cui si trovava precedentemente.
Al contrario, il risarcimento per equivalente costituisce una forma di 
tutela “alternativa”, quando non è possibile la reintegra in forma specifica 
e richiede la valutazione della “entità” del bene compromesso, al fine di 
stabilirne il valore corrispondente per la “monetizzazione” del pregiudizio 
arrecato al lavoratore, con tutte le difficoltà relative a tali processi 
valutativi.
2) La forfetizzazione del risarcimento in caso di licenziamento illegittimo, 
stabilita nella misura variabile da 15 a 27 mensilità retributive 
costituisce, dunque, un’astratta standardizzazione in materia di 
risarcimento, in quanto non permette di “personalizzare” con precisione l’entità 
del risarcimento dovuto con riferimento alla specificità del caso concreto 
e, nell’introdurre un limite massimo e minimo, rischia in molti casi di non 
costituire un effettivo risarcimento, bensì di acquisire un carattere 
sanzionatorio, sostitutivo del diritto al risarcimento.
3) La “nuova” formulazione della norma consentirebbe, inoltre, di utilizzare 
il licenziamento per motivi oggettivi o economici al fine di “espellere” 
dall’azienda lavoratori scomodi ed in particolare gli attivisti sindacali, 
con effetti discriminatori e con l’unica conseguenza di versare il 
risarcimento forfetizzato, nel caso in cui il dipendente riesca a dimostrare 
in giudizio la pretestuosità dei motivi economici, tenuto conto della 
difficoltà per i lavoratori di conoscere e contrastare i dati organizzativi 
e produttivi in possesso dell’impresa.
4) Del pari, il “nuovo” art. 18 S.L. consentirebbe, alle aziende, di usare 
il licenziamento per motivi oggettivi o economici e/o disciplinare al fine 
di “espellere” dall’azienda i lavoratori più anziani e più costosi, quelli 
con limitazioni operative e quelli fisicamente e/o psichicamente 
svantaggiati, con le notorie difficoltà per questi individui di trovare una 
nuova occupazione lavorativa.
5) Il licenziamento per motivi oggettivi o economici potrebbe anche essere 
utilizzato in alternativa ai licenziamenti collettivi per crisi aziendale, 
evitando le prescritte procedure di confronto con le organizzazioni 
sindacali (L.223/91) e, quindi, il controllo, da parte delle stesse, al fine 
di evitare licenziamenti discriminatori, oltre che verificare la sussistenza 
della effettiva criticità e delle esigenze di riduzione dell’organico, con 
conseguente neutralizzazione del ruolo del sindacato.
6) La modifica introdotta, tesa a stabilire una differenza nella stabilità 
del rapporto tra i dipendenti di aziende private ed i dipendenti di aziende 
pubbliche o di pubbliche amministrazioni, si rivelerebbe poi incongruente ed 
anacronistica, oltre che contraria al dettato ordinamentale, stante la 
privatizzazione del cd. pubblico impiego e la omogeneizzazione dei rapporti 
lavorativi con il settore privato introdotta con i D.Lgs. n. 29/93 e n. 
80/98 e il passaggio della giurisdizione al giudice ordinario.
7) Le nuove norme sul licenziamento per motivi oggettivi o economici non 
potrebbero, comunque, essere estese ai dipendenti di p.a., stante la 
impossibilità di individuare, in tale ambito, il requisito dei motivi 
“economici”, che giustificherebbero il licenziamento nelle aziende private.
8) Escludere per legge la possibilità di reintegro del lavoratore e 
stabilire limitazioni all’entità del risarcimento nel caso di licenziamento 
illegittimo per motivi economici comporta, sostanzialmente, una evidente 
sfiducia nell’indipendenza e nell’operato della magistratura, competente 
istituzionalmente a tutelare i diritti ingiustamente lesi.
9) Va, inoltre, evidenziata, la inesistenza di ragioni giustificatrici all’introduzione 
delle modifiche operate, con riferimento alla lentezza della giustizia, in 
quanto, per ogni diritto leso, esiste un rimedio generale costituito dalla 
possibilità di ricorrere al Giudice (cd. legge Pinto) e chiedere il 
risarcimento dei pregiudizi subiti, senza dovere dotare le aziende di 
ulteriori maggiori ed eccezionali tutele.
10) Le modifiche introdotte si appalesano, poi, inadeguate, in quanto non si 
è tenuto conto dell’ambiente politico-sociale italiano, in cui esiste un 
contenzioso lavoristico notevolissimo (200.000 cause all’anno), 
evidentemente a causa di una diffusa illegalità nei rapporti di lavoro, 
sicuramente non per responsabilità dei lavoratori.

Mirco Rizzoglio (Avvocato)

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