giovedì 30 novembre 2017

28 novembre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 290 DEL 28/11/17: la contro/informazione di M. Spezia



 INDICE
-         Stress: cosa è, cosa lo causa, le sintomatologie collegate
-         Rischi nell’utilizzo delle attrezzature di lavoro
-         Gli infortuni mortali nel sollevamento carichi
-         La gestione dei rischi correlati a turni di lavoro e lavoro notturno
-         Quando il viso non è protetto
-         Infortuni nell’uso e installazione di macchine
-         Storie di infortunio: dall’azzurro al nero

Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”
Medicina Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus

STRESS: COSA E’, COSA LO CAUSA, LE SINTOMATOLOGIE COLLEGATE

Da Lavoro e Salute
05/09/17
Marilena Pallareti
Docente e Collaboratrice di Lavoro e Salute

Lo stress è uno sforzo adattativo intrapreso dal nostro organismo ogni qualvolta ci sia un cambiamento a partire da una qualsiasi situazione. Gli stati stressanti, entro un certo limite, sono da ritenersi normali, una routine giornaliera che per quanto uno possa essere ascetico si troverà sempre a dover affrontare; in genere sono vissuti da ognuno di noi in modo diverso e la maggior parte delle volte il corpo e la mente si adattano senza che questo venga percepito in modo cosciente.

Il nostro corpo reagisce allo stress in generale provocando una cascata ormonale anomala più o meno intensa di diverse sostanze messaggere le quali a lungo andare possono funzionare male.
Le principali indiziate e coinvolte sono:
-         la serotonina, importantissima per il sonno e per dormire bene in quanto coinvolta nel buon funzionamento del nostro orologio interno;
-         la noradrenalina fondamentale per la forza vitale intrinseca dentro di noi e senza la quale ci sentiremmo tutti stanchi;
-         la dopamina senza la quale non avremmo produzione di endorfine e quindi una regolazione errata del senso del dolore e del piacere.

A regolare l’equilibrio generale della persona in relazione allo stress sono anche le risorse personali del soggetto coinvolto come l’età, il suo tempo di reazione, il livello culturale e capacità intellettive, le condizioni socio-economiche e naturalmente tutto ciò che riguarda la personalità e la risonanza soggettiva agli eventi con reazioni.
Le personalità che hanno più difficoltà a interagire e gestire lo stress molto spesso sono persone che hanno una competitività spinta in tutti gli aspetti della vita. Queste persone in generale hanno molta tensione muscolare e difficoltà al rilassamento; hanno una ipervigilanza e la volontà assidua di voler fare un illimitato numero di cose in un imitato periodo di tempo, quindi una maggiore esposizione allo stress e una maggiore probabilità di soffrire di qualche disturbo psichico o fisico. Le caratteristiche sopra descritte sono da ritenersi veri e propri fattori di rischio.

Viviamo in un periodo in cui i livelli di stress sono altissimi, livelli mai visti prima d’ora e ogni giorno la necessità di una maggiore velocità propositiva e produttiva porta il corpo e la mente di ognuno di noi a problematiche sempre più serie con un allontanamento sempre maggiore dal cosiddetto “benessere”.

Non tutto lo stress è negativo, la psicologia ce lo insegna, l’eustress “stress buono” è caratterizzato da stimolazioni ambientali costruttive e interessanti.
Quando invece parliamo di problematiche serie dovute a stress parliamo di “distress” termine aulico che sta ad indicare “lo stress cattivo” causa primaria di scompensi emotivi e fisici.

Lo sforzo causato da distress porta a un interessamento cronico dello stress e quindi a malattia: sentirsi molto stanchi anche appena svegli con una mancanza di entusiasmo nell’affrontare la giornata, apatia generalizzata in ogni ambito della vita e affaticamento cronico sono il primo campanello di allarme, difficoltà di ascolto, attenzione, di apprendimento e di memoria, le capacità di concentrazione cominciano a vacillare sempre più, la difficoltà nel ricordare diventa un problema ricorrente e implica uno scarso rendimento scolastico e lavorativo.
Lo stress è anche strettamente legato a problemi digestivi con disturbi addominali, difficoltà a riposare e insonnia: la tensione cui si è sottoposti in periodi stressanti non permette al corpo, ai muscoli e al sistema di rilassarsi completamente; questo risulta molto pesante a livello organico perché impedisce al corpo di recuperare e resettarsi durante la notte con un accumulo giorno dopo giorno di stanchezza fisica e mentale.
Lo stress può portare anche a problemi a livello della pelle con eccessiva sudorazione specialmente al palmo delle mani e alla pianta del piede, iperidrosi, calvizie, perdita di capelli, ma può colpire anche il sistema endocrino con una influenza sulle attività secretorie delle ghiandole periferiche (surrenali, pancreas, reni, tiroide).
A livello cardiaco si possono presentare problematiche come tachicardia, extrasistoli e irregolarità di vario genere nel battito cardiaco, dolore nella zona toracica e ipertensione.
Se prendiamo in considerazione il sistema respiratorio e i polmoni possiamo avere: asma bronchiale e iperventilazione con respiro rapido e superficiale con conseguenze anche posturali.

Nel D.Lgs. 81/08 “Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro” i rischi da stress da lavoro correlato sono tutelati da una legge che tende alla salvaguardia della salute e del benessere psico-fisico del dipendente che dovrebbe essere attentamente osservata. Un eccesso di stress causa un aumento traumatico di radicali liberi nel corpo, attore di rischio per le malattie cronico degenerative che non è assolutamente da sottovalutare. E’ bene dire che “agente stressante” è qualsiasi cosa che interagisca negativamente con noi.

Il grosso problema per il corpo sono gli “stress prolungati”: meccanismi che durano settimane, mesi e anni, provocando una lenta ma inesorabile “usura” dell’organismo:
-         stress fisico con dolori cronici alla colonna vertebrale, deformità congenite come la scoliosi, oppure postumi di traumi significativi rappresentano un forte stress per il corpo;
-         stress alimentare: meno il cibo che mangiamo è di qualità e “naturale”, più rappresenta uno stress per il nostro corpo;
-         stress emotivo che comprende tutte le situazioni che preferiremmo non vivere: conflitti emotivi, ansie, disturbi fisici, che ci coinvolgono al punto tale che è difficile prenderne le distanze in un breve lasso di tempo: nella maggior parte dei casi la percezione di “stress emotivo” è legato a eventi molto indietro nel tempo, come l’ambiente in cui si cresce, le esperienze avute nell’infanzia, la storia familiare.
Nella maggior parte dei casi, lo stress emotivo che percepisci è frutto di meccanismi che scattano automaticamente nel nostro cervello.

La presenza costante dei tre tipi di stress provoca conseguenze molto negative per il corpo.
Lo stress acuto può provocare perdita di memoria a breve termine tachicardia, tremore, debolezza, moltiplicato per mesi o per anni si giunge allo stress cronico.
Lo stress cronico ha effetti che possiamo chiamare alterazione degli assi ormonali (soprattutto del cortisolo), iperattivazione del sistema nervoso con problemi all’area della gestione dell’energia (stanchezza e affaticabilità), all’area gastroenterica (stomaco e intestino), all’area cardiaca (tachicardia e extra sistole), all’area del sistema nervoso (irritabilità, sbalzi di umore), all’area muscolo scheletrica (dolori e contratture muscolari).
Da alcuni anni il numero dei fattori di stress si è moltiplicato in modo esponenziale: il denaro, il successo, l’equilibrio lavoro/vita, l’economia, l’ambiente, il traffico, la genitorialità, i conflitti familiari, le relazioni, la malattia. Le nostre vite spesso diventano come un treno che deraglia provocando eventi drammatici.

Poiché la natura della vita umana è diventata molto più complicata, la nostra risposta non è stata in grado di tenere il passo con lo stress. Viviamo più a lungo dei nostri antenati; ma soffriamo di migliaia di ansie e preoccupazioni artificiali.

Gli antenati affaticavano solo i muscoli, noi esauriamo la forza del più sottile dei nervi.

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RISCHI NELL’UTILIZZO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO

Da: Rete Iside

LE CARATTERISTICHE DEL RISCHIO
Un’attrezzatura da lavoro viene definita intrinsecamente sicura se è in grado di prevenire il verificarsi degli infortuni anche se il lavoratore commette involontariamente degli errori.
Una macchina utensile dotata di carter di protezione adeguati rende impossibile il contatto degli arti del lavoratori con gli organi di lavoro della macchina (mandrini, fresa, punta, sega ecc). Se il lavoratore, per errore, vuole prelevare un “pezzo” dal mandrino di un tornio mentre é ancora in movimento, ad esempio, il carter di protezione deve essere dotato di micro interruttori che bloccano la macchina prima che si possa verificare un infortunio.
Dal 1996 la cosiddetta Direttiva Macchine obbliga le aziende produttrici a progettare le macchine secondo una serie di requisiti di sicurezza e dotarle di un marchio di garanzia, denominato marcatura CE (Comunità Europea).

LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO
In teoria le macchine attualmente presenti nelle aziende dovrebbero essere tutte sicure, il datore di lavoro, quindi, dovrebbe solo verificare periodicamente che i dispositivi di sicurezza siano sempre perfettamente funzionanti.
Nella realtà questo spesso non avviene perché esiste ancora un ampio mercato di macchine utensili usate prodotte prima del 1996 e cioè prima dell’entrata in vigore della Direttiva Macchine.
Ma molto spesso la sicurezza è messa in pericolo anche da una scarsa manutenzione delle macchine, e quindi anche dei dispositivi di sicurezza, e sono frequenti i casi in cui, per aumentare la produttività, i dispositivi di sicurezza vengono disattivati.
Per valutare il rischio di una macchina da lavoro si utilizza la seguente formula:
R (Rischio) = P (Probabilità) x G (Gravità del danno)
Analizziamo, a titolo d’esempio, la valutazione dei rischi in un’ipotetica postazione di lavoro con un tornio parallelo:
-         carenze individuate: manca la protezione degli organi di lavoro (il mandrino) e la protezione degli organi in movimento (vite madre);
-         individuazione dei rischi: rischio di lesioni per afferramento del lavoratore/lavoratrice e di proiezione di schegge metalliche.
La valutazione dei rischi è:
-         Probabilità che si verifichi l’evento: 4 (altamente probabile);
-         Gravità del danno provocato: 4 (gravissimo: perdita o mutilazione di un arto);
-         Rischio = P x G = 16 (rischio gravissimo).
Le misure di prevenzione e protezione da adottare sono installare il manicotto contornante il mandrino e provvisto di dispositivo d’interblocco (microinterruttore) e carter regolabile per la vite madre con tempi d’attuazione delle misure individuate indilazionabili e necessità di vietare immediatamente l’utilizzo della macchina.
E’ poi necessario indicare il nome del soggetto incaricato per l’attuazione delle misure.

LE MISURE DI PREVENZIONE DELLE MACCHINE DA LAVORO
Le misure di prevenzione e protezione di una macchina “non a norma” consistono essenzialmente nell’implementazione di dispositivi di sicurezza (ad esempio carter) che devono garantire il 100% della sicurezza intrinseca di una macchina.
Un elenco sintetico delle misure si prevenzione e protezione di un macchina utensile generica è:
-         la macchina deve essere fissata stabilmente a terra;
-         i cavi di adduzione potenza protetti da possibili tagli e non posati a terra;
-         il quadro di adduzione potenza protetto contro l’apertura accidentale;
-         presenza di pulsante d’arresto d’emergenza a fungo rosso;
-         dotazione di dispositivo che impedisca il riavviamento automatico della macchina in caso d’interruzione e successivo ripristino della tensione elettrica;
-         i dispositivi di comando ben riconoscibili ed a facile portata del lavoratore;
-         il dispositivo d’avvio è tale per cui l’avviamento della macchina è possibile solo con un’azione volontaria e non sono possibili avviamenti accidentali;
-         gli organi di trasmissione del moto (ingranaggi, cinghie, pulegge, ecc.) provvisti di robusta protezione tale da impedire qualsiasi contatto con l’operatore;
-         organi di lavoro provvisti di protezione tale da impedire qualsiasi contatto con l’operatore;
-         postazione di lavoro sicura, stabile e tale da non deve costringere l’operatore ad assumere posizioni scomode;
-         devono essere esposti i cartelli: “è vietato pulire, oliare o ingrassare a mano gli organi in moto delle macchine” e “è vietato compiere qualsiasi operazione di riparazione o registrazione su organi in movimento” e quelli per l’uso degli adeguati Dispositivi di Protezione Individuale.

LA VERIFICA DELLA CORRETTEZZA DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI AZIENDALE
Il primo aspetto da verificare è la conformità formale, ossia la presenza della marcatura CE, di tutte le macchine presenti in azienda. Dopo questa fase bisogna effettuare la verifica sostanziale della conformità, verificare, cioè, che i dispositivi di sicurezza (ad esempio carter) garantiscano il 100% della sicurezza intrinseca di una macchina.
Vediamo, a titolo d’esempio, come si verifica la conformità dei carter di protezione di un tornio parallelo. Se ha i carter fissi verificare che siano fissati in modo tale che per aprirli bisogna utilizzare una chiave, verificare il livello di stabilità del fissaggio. Se ha i carter mobili verificare direttamente se siano dotati di un micro-interruttore che, all’apertura del carter, provoca l’arresto della macchina.

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GLI INFORTUNI MORTALI NEL SOLLEVAMENTO CARICHI

Da: PuntoSicuro
di Tiziano Menduto
26/10/17

Esempi di infortuni professionali mortali nell’utilizzo di attrezzature per il sollevamento di materiali e persone. Infortuni con gru su autocarro e piattaforme di lavoro elevabili: la dinamica e le misure di prevenzione.

PuntoSicuro, attraverso gli articoli e i contributi delle rubriche “Imparare dagli errori” e “Le immagini dell’Insicurezza”, ha più volte evidenziato come le attrezzature per il sollevamento dei carichi siano tra le attrezzature con maggiori rischi per la sicurezza degli operatori, specialmente in presenza di carenze costruttive e manutentive o di procedure di utilizzo non idonee e sicure.
Per questo motivo torniamo oggi a presentare, in questa rubrica dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, alcuni esempi di infortuni gravi e mortali, corredati da suggerimenti e indicazioni per la prevenzione.
E lo facciamo utilizzando il contenuto di un documento prodotto dall’ Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della Brianza e pubblicato nella sezione “Apparecchiature e impiantistica” del loro sito.

Nel documento dell’ATS “Infortuni mortali” sono riportati diversi infortuni con esito mortale avvenuti in vari comparti lavorativi tra il 2011 e il 2014. E vengono fornite alcune misure da applicare per evitare il ripetersi dell’evento. In particolare i suggerimenti forniti sono volti a dare alcune soluzioni da attuare in casi simili e non sono finalizzati a fornire una risposta certa della causa dell’evento in quanto gli stessi sono oggetto di valutazione da parte dei funzionari ASL addetti ai lavori.
Il primo caso di infortunio, avvenuto nel 2014, riguarda l’utilizzo di una gru su autocarro.
L’infortunato stava scaricando un plinto di cemento da un autocarro munito di gru quando l’autocarro si ribaltava sul fianco investendo l’infortunato e procurandogli lesioni mortali.
Il documento indica che in generale, le principali cause che determinano il ribaltamento di una gru su autocarro possono ricondursi ai seguenti fattori: errata stabilizzazione (ad esempio non corretto sfilo degli stabilizzatori), cedimento del terreno, sovraccarico, carichi obliqui, ecc.
E allo scopo, è fondamentale conoscere la massa del carico in relazione alla portata della gru, verificare l’idoneità del piano di appoggio e che la macchina sia manovrata da un operatore adeguatamente formato ed addestrato.
Si ricorda poi che per tale attrezzatura di lavoro è necessaria una specifica abilitazione all’uso con riferimento all’Accordo della Conferenza Stato Regioni del febbraio 2012.
Inoltre, continua il documento, queste tipologie di macchine, in aggiunta ai controlli (manutenzione), devono essere sottoposte a verifiche periodiche da parte di INAIL/ASL e soggetti abilitati dal Ministero del Lavoro.

Il secondo caso di infortunio mortale, sempre nel 2014 e nel settore costruzioni, riguarda l’utilizzo di una Piattaforma di Lavoro Elevabile (PLE).
Il lavoratore al momento dell’infortunio stava tinteggiando una parte verticale di un capannone industriale utilizzando una PLE di proprietà del committente. Con tutta probabilità, o per errata manovra o per contatto tra il capo e il solaio della struttura (che ne avrebbe potuto determinare lo svenimento) o altro motivo, il lavoratore è rimasto schiacciato a livello del busto tra la pulsantiera/parapetto della PLE ed il soffitto in cemento armato precompresso del capannone. Il lavoratore è rimasto in coma fino alla data del decesso.
Anche qui il documento fornisce alcuni suggerimenti.
Ad esempio indicando che, con riferimento anche a precedenti guide pubblicate sull’argomento, in generale, la pianificazione e gestione delle attività lavorative sono misure necessarie al fine di prevenire gli infortuni causati da intrappolamento.
Ad esempio una buona pianificazione dovrebbe tenere in considerazione i seguenti fattori:
-         la necessità di eseguire il lavoro in quota, ovvero se l’operazione può essere eseguita a terra;
-         le sequenze di attività per evitare la presenza di ostacoli che possono causare rischi di intrappolamento;
-         l’adozione di metodi alternativi di lavoro finalizzati ad evitare o ridurre il rischio di intrappolamento durante l’utilizzo di una PLE;
-         le PLE verticali, a braccio articolato o telescopico presentano differenti caratteristiche di accesso e deve esser scelto il tipo più adatto per le operazioni da eseguire e l’ambiente nel quale devono essere utilizzate.
Anche per tale attrezzatura di lavoro è necessaria una specifica abilitazione all’uso e queste tipologie di macchine, in aggiunta ai controlli (manutenzione), devono essere sottoposte a verifiche periodiche da parte di INAIL/ASL e soggetti abilitati dal Ministero del Lavoro.

Veniamo, infine, al terzo caso di infortunio mortale. Anche questa volta si fa riferimento all’utilizzo di una PLE nel settore costruzioni.
Necessitando il tetto del capannone della ditta appaltante di opere di manutenzione, l’artigiano muratore titolare dell’appalto e un collega utilizzavano, per salire sulla copertura, una PLE. In occasione dell’infortunio, il muratore titolare aveva posizionato la macchina tra il muro del capannone e il confine della proprietà (larghezza spiazzo circa 8-10 m). Sulla verticale della recinzione, a circa 9-10 m di altezza, passa una linea elettrica a conduttori nudi di media tensione (15.000 V). Nel comandare la salita della cesta, il titolare non si avvedeva dei cavi ed il collega toccava col capo un filo sotto tensione, rimanendo folgorato.
Riguardo ai suggerimenti, la scheda sottolinea che i lavori in prossimità di linee elettriche sono cause di diversi infortuni mortali.
Per questo motivo il legislatore ha previsto il rispetto di una determinata distanza di sicurezza da tali linee. E la tabella 1 dell’ Allegato IX del D.lgs. 81/08 riporta infatti le distanze di sicurezza da parti attive di linee elettriche e di impianti elettrici non protette o non sufficientemente protette da osservarsi, nell’esecuzione di lavori non elettrici, al netto degli ingombri derivanti dal tipo di lavoro, delle attrezzature utilizzate e dei materiali movimentati, nonché degli sbandamenti laterali dei conduttori dovuti all’azione del vento e degli abbassamenti di quota dovuti alle condizioni termiche.

Riprendiamo, infine, qualche indicazione sulle interferenze con le linee elettriche con riferimento al documento, sempre dell’ATS Brianza, dal titolo “Criticità frequentemente riscontrate”.
Si indica che al di là della distanza di sicurezza, sono attuabili anche ulteriori misure di sicurezza:
scelta di un’attrezzatura specifica per il lavoro da svolgere in relazione ai rischi presenti nell’ambiente;
in accordo con l’ente gestore intervenire direttamente sulla linea elettrica attraverso: lo spostamento o l’interramento della linea elettrica, l’interruzione temporanea dell’alimentazione, l’isolamento dei conduttori nudi in tensione;
installazione di una idonea barriera fisica nelle immediate vicinanze della linea elettrica;
adozioni d’intervento tesi a limitare l’area di lavoro dell’apparecchio di sollevamento attraverso: limitazione dell’area di lavoro mediante sistemi di sicurezza e/o sistemi elettrici di limitazione del campo operativo, limitazione dell’area di lavoro mediante riduzione della traslazione del carrello con installazione di sistema di sicurezza elettrici, limitazione dell’area di lavoro mediante riduzione della traslazione del carrello con installazione di sistema elettromeccanico.

Il documento di ATS Brianza “Infortuni mortali”, pubblicato nella sezione dell’ATS relativa ad “Apparecchiature e impiantistica” è scaricabile all’indirizzo:

 Il documento di ATS Brianza “Criticità frequentemente riscontrate”, pubblicato nella sezione dell’ATS relativa ad “Apparecchiature e impiantistica” è scaricabile all’indirizzo:

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LA GESTIONE DEI RISCHI CORRELATI A TURNI DI LAVORO E LAVORO NOTTURNO

Da: PuntoSicuro
di Tiziano Menduto
30/10/17

Un intervento si sofferma sul tema degli orari di lavoro, con riferimento ai turni lavorativi e al lavoro notturno. La sonnolenza e gli incidenti stradali, i criteri per organizzare i turni e le raccomandazioni per i turnisti anziani.

Sono diversi nel mondo del lavoro i fattori di stress, di rischio psicosociale, di cui è necessario tener conto nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Specialmente in una realtà colpita dalla crisi economica e occupazionale, dall’aumento della competitività, del carico di lavoro, dei fenomeni di mobbing e di disagio lavorativo.

E uno dei fattori di cui è necessario tener conto è l’orario di lavoro, con particolare riferimento a turni di lavoro e lavoro notturno, che nel D.Lgs 66/03, recante “Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”, sono così definiti:
-         lavoro a turni: qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodo determinato di giorni o di settimane;
-         lavoratore a turni: qualsiasi lavoratore il cui orario di lavoro sia inserito nel quadro del lavoro a turni;
-         periodo notturno: periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino;
-         lavoratore notturno:
1)   qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale;
2)   qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro: in difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.

A ricordarlo e ad affrontare il tema dell’orario lavorativo è un intervento al convegno “Attualità in tema di fattori psicosociali del lavoro” che si è tenuto a Milano il 13 ottobre 2017.

In “Orari di lavoro: valutazione e gestione del rischio”, intervento a cura di Giovanni Costa (Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano, e IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano), si forniscono diverse informazioni sui ritmi biologici e sul cosiddetto assetto biologico circadiano umano.
E con riferimento agli incidenti che avvengono alla guida di autoveicoli è ricordata la responsabilità, negli incidenti, dello stress, della sonnolenza e della fatica.

In particolare si indica che:
-         la sonnolenza alla guida fa aumentare di 8 volte il rischio di incidente grave;
-         gli incidenti “da veicolo singolo” hanno la maggiore probabilità di avvenire di notte o nel primo mattino, a parità di traffico;
-         l’autista assonnato o affaticato non mette in atto le azioni appropriate per evitare l’incidente, in quanto spesso non percepisce la situazione rischiosa e spesso guida ad occhi chiusi per 5-50 secondi (microsonni);
-         nel 2000, il Dipartimento dei Trasporti USA ha indicato la fatica come il principale problema per la sicurezza nel trasporto con un costo di 12 miliardi di dollari all’anno.

Studi clinici sul sonno documentano un maggior rischio di incidenti, soprattutto stradali, per le persone che soffrono di:
-         insonnia: 2 volte superiore;
-         sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS): 4 volte superiore;
-         narcolessia: 6 volte superiore.

E sempre a proposito di sonnolenza e rischio di incidenti stradali si segnalano diversi dati e risultati di studi.
Ad esempio:
-         in UK, la sonnolenza è associata al 23% degli incidenti stradali, con rischio maggiore per gli autisti di viaggi lunghi autostradali (6 studi);
-         in USA, il 6% guida assonnato almeno tre volte alla settimana e il 37% almeno una volta al mese;
-         in Francia il 2% degli autisti (35.000) ha riportato attacchi di severa sonnolenza tale da richiedere di fermarsi e il 9% ha dichiarato che ciò avviene ogni mese.

L’intervento si sofferma poi sull’aumento degli errori di medici e infermieri in relazione ai turni di lavoro.
Ad esempio alcuni studi indicano che tra gli infermieri è stato documentato:
-         un significativo aumento degli errori, tali da mettere a repentaglio la sicurezza dei pazienti, in relazione alla durata del turno oltre le 8 ore, al lavoro straordinario e al lavoro a turni con lavoro notturno;
-         una significativa associazione tra aumento dei tassi di mortalità ospedaliera associata a turni prolungati o con ridotti livelli di personale e alto turnover di pazienti.

L’intervento riporta poi il rapporto tra il lavoro a turni e il lavoro femminile, con riferimento a varie possibili conseguenze della perturbazione dei ritmi circadiani.

Sono poi elencati i fattori che influenzano il rischio del lavoro a turni e i possibili criteri ergonomici per l’organizzazione dei turni:
-         limitare il più possibile il turno notturno;
-         poche notti di seguito (al massimo 2 o 3);
-         preferire turni ruotanti al turno fisso notturno;
-         la rotazione veloce è migliore di quella lenta;
-         la rotazione in senso orario (M/P/N) è meglio della anti-oraria;
-         durata del turno in base al carico di lavoro;
-         evitare l’inizio troppo anticipato del turno del mattino;
-         turni prolungati (9-12 ore) solo quando il carico di lavoro è basso;
-         cicli di turno il più possibile regolari;
-         giorni di riposo preferibilmente dopo i turni notturni;
-         consentire flessibilità negli orari.

Sono ricordate anche le azioni compensative (contrappesi e contromisure), i fattori che influenzano la tolleranza del lavoro a turni e i soggetti più vulnerabili, i lavoratori anziani.
Infatti nei lavoratori anziani si può avere:
-         riduzione della durata del sonno: risveglio precoce e maggiori risvegli;
-         minore propensione al sonno al mattino presto (mattutinità);
-         maggiore propensione al sonno durante il giorno;
-         riduzione della qualità del sonno: minore sonno profondo;
-         più disturbi del sonno in generale;
-         minore ampiezza dei ritmi biologici e più lento aggiustamento di fase nei successivi turni di notte;
-         maggiore importanza del processo omeostatico sul livello di sonnolenza e di fatica;
-         ridotta efficienza psico-fisica;
-         maggiore fatica;
-         salute compromessa.

Queste alcune raccomandazioni per i turnisti anziani:
-         limitare il lavoro notturno dopo i 45-50 anni;
-         lavoro notturno fisso solo su base volontaria;
-         priorità al trasferimento ai turni diurni;
-         più scelte per gli schemi di turno;
-         ridurre il carico di lavoro fisico;
-         aumentare le pause;
-         più possibilità di pisolini;
-         maggiore sorveglianza sanitaria (periodicità).

Il documento “Orari di lavoro: valutazione e gestione del rischio”, a cura di Giovanni Costa (Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano, e IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano) è scaricabile all’indirizzo:

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QUANDO IL VISO NON E’ PROTETTO

Da: PuntoSicuro
di Tiziano Menduto
02/11/17

Esempi di infortuni correlati all’assenza di DPI per la protezione del viso e degli occhi. Incidenti nelle lavorazioni alimentari e in attività di manutenzione di macchine. La dinamica degli infortuni, i fattori causali e la prevenzione.

Operando una ricerca tra le schede di INFOR.MO. (strumento del sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi) e in relazione ai casi gravi di infortunio con fattori causali relativi a “dispositivi di protezione individuale e abbigliamento”, compaiono tre diverse categorie di situazioni che accompagnano l’infortunio:
-         l’uso errato o mancato uso (ma disponibile) di DPI;
-         l’inadeguatezza strutturale o deterioramento di DPI;
-         la mancanza di fornitura di DPI.

Sulle prime due casistiche la rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, si è già soffermata con una ventina di articoli che hanno affrontato varie tipologie di dispositivi e indumenti protettivi, dagli occhiali di protezione alle calzature di sicurezza, dall’elmetto ai DPI anticaduta e alle protezioni per le mani e le braccia.

Concludiamo, dunque, questo lungo viaggio attraverso gli infortuni correlati ai Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) affrontando alcune dinamiche di infortunio in cui è stata rilevata l’assenza di DPI.
E ci soffermiamo sugli infortuni, tratti da INFOR.MO., in cui è stata rilevata l’assenza di protezioni per gli occhi e il viso.

Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto tra lavoratori specializzati delle lavorazioni alimentari.
Due lavoratori cercano di liberare un fognolo (una parte di una fognatura) di scarico otturato.
Dopo un primo tentativo inefficace con acqua calda provano a immettere soda caustica, creando una reazione esotermica con produzione di calore e sviluppo di gas e vapore che investe il volto e gli arti superiori dei due lavoratori. ai quali non era stata fornita visiera di protezione.
Questi i fattori causali dell’incidente rilevati dalla scheda:
-         i lavoratori per liberare un fognolo di scarico otturato assieme al collega immettono soda caustica;
-         mancato utilizzo di visiera di protezione.

Il secondo caso riguarda un infortunio che avviene in attività di manutenzione di macchine per lo stampaggio della plastica.
Nell’effettuare lo smontaggio della testa di un iniettore di una macchina per lo stampaggio della plastica, un lavoratore viene colpito da un getto di plastica fusa che fuoriesce velocemente spinta dai gas che si sono formati all’interno della macchina.
Lo smontaggio viene effettuato manualmente mediante l’utilizzo di una mazzetta, senza utilizzare i necessari DPI per il viso.
Questi i fattori causali:
-         il lavoratore effettua lo smontaggio della testa di estrusione con una mazzetta;
-         mancato utilizzo di idonei DPI per il viso.

Per fornire alcune informazioni sulla protezione degli occhi e del viso e sui corrispondenti dispositivi di protezione, possiamo fare riferimento al progetto multimediale “Impresa Sicura” e al documento dal titolo “ImpresaSicura_DPI”.

Nel documento si ricordano le tre principali tipologie di DPI per la protezione di occhi e viso:
-         occhiali di protezione: formati da montatura e lenti; la montatura deve posizionarsi in modo perfetto sul volto; la dimensione delle lenti determina l’ampiezza del campo visivo; la presenza di ripari laterali evita la penetrazione laterale sia di sostanze che di radiazioni;
-         maschere/occhiali a visiera: tali DPI sono fissati direttamente tramite bardatura al capo o al casco; le visiere proteggono non solo gli occhi, ma tutto il volto dalle schegge, dalle sostanze chimiche o radiazioni, ma non forniscono protezione laterale; la finestra della visiera contiene lastre trasparenti, leggere, filtranti, facilmente sostituibili e regolabili;
-         schermi/ripari facciali di protezione: gli schermi sono generalmente fissati all’elmetto di protezione o ad altri dispositivi di sostegno, ma non sono completamente chiusi; si indica che alcuni schermi hanno lastre di sicurezza trasparenti con azione filtrante; una lamina posizionata nella parte interna dello schermo protegge dalle scariche elettrostatiche; gli schermi a mano sono formati da una costruzione in materiale leggero con apertura per lastra scambiabile; le cappe, in diversi materiali, vengono impiegate insieme all’elmetto di protezione o altri dispositivi di supporto.

Il documento, che riporta indicazioni normative (D.Lgs. 81/08) e indicazioni relative alla marcatura per la resistenza meccanica, pubblica un prospetto che fornisce un sommario di alcuni tipi e fonti di pericolo nella protezione degli occhi e del viso in ambito industriale.

Riportiamo a titolo esemplificativo alcune fonti per i rischi di natura meccanica:
-         proiezione di particelle metalliche: macchinario per la lavorazione del metallo, trucioli di saldatura, rivettatura, taglio di fili in metallo, molatura;
-         proiezione di particelle di pietra o minerali: sabbiatura, lavorazione della pietra, scultura, molatura, trapanatura di rocce;
-         proiezione di particelle legnose/fibrose: tornitura del legno, abbattimento degli alberi, rimozione della boscaglia;
-         particelle grossolane sospese nell’aria: miscelazione del cemento, lavorazione della pietra, segatura del legno, sabbiatura orbitale, stoccaggio granaglie, macinatura della farina, estrazione e lavorazione del carbone;
-         spruzzi/schizzi di metallo fuso: colate di metallo, scrematura del metallo, pressofusione, taglio con fiamma del metallo, brasatura;
-         acqua ad alta pressione: taglio a getto d’acqua.

Questi, infine, sono alcuni fonti di rischi di natura chimica e biologica:
-         spruzzi di prodotti chimici: candeggiamento, riempimento delle batterie, placcatura, sgrassaggio, sverniciatura, lavorazione tramite clorurazione, miscelazioni;
-         aerosol liquidi: spruzzatura/irrorazione dei raccolti, verniciatura e laccatura a spruzzo, fumigazione;
-         getti di vapore: tubature che perdono, sfiato dei contenitori a pressione;
-         polveri fini: miscelazione del cemento, sabbiatura delle pareti, spargimento della calce, verniciatura;
-         fumi, vapori e gas: verniciatura, applicazione adesivi, analisi dei gas di scarico, saldatura, fumigazione;
-         agenti biologici/virus: chirurgia generale, chirurgia odontoiatrica, pronto soccorso, ricerca medica, gestione rifiuti.

Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 1549 e 8380, è consultabile all’indirizzo:

L’accesso al sito “Impresa Sicura” via internet è gratuito e avviene tramite una registrazione all’indirizzo:

Il documento “ImpresaSicura_DPI” realizzato dal progetto multimediale “Impresa Sicura” è scaricabile all’indirizzo:

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INFORTUNI NELL’USO E INSTALLAZIONE DI MACCHINE

Da: PuntoSicuro
09/11/17

Esempi di infortuni professionali mortali nell’utilizzo e installazione di attrezzature di lavoro. L’utilizzo di una gru a ponte e l’installazione di un interruttore modulare per alimentare una macchina operatrice. Gli infortuni e la prevenzione.

Continua il viaggio della rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto degli infortuni professionali e alla raccolta di spunti di prevenzione, attraverso le tante tipologie di incidenti che avvengono in riferimento alla presenza, all’utilizzo e installazione di macchine e attrezzature di lavoro.
E lo facciamo utilizzando il documento “Infortuni mortali” prodotto dall’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) della Brianza che riporta diversi infortuni con esito mortale avvenuti in vari comparti lavorativi tra il 2011 e il 2014.

Ricordiamo che nel documento vengono fornite alcune misure da applicare per evitare il ripetersi dell’evento. In particolare i suggerimenti forniti sono volti a dare alcune soluzioni da attuare in casi simili e non sono finalizzati a fornire una risposta certa della causa dell’evento in quanto gli stessi sono oggetto di valutazione da parte dei funzionari ASL addetti ai lavori.

Oggi ci soffermiamo su due casi di infortunio correlati all’uso e all’installazione di diverse attrezzature di lavoro.

Il primo caso di infortunio mortale, avvenuto nel 2012, riguarda l’utilizzo di una gru a ponte.
Un lavoratore mentre stava movimentando, con l'ausilio di un carroponte, un semi-lavorato di grosse dimensioni, viene investito dal carico.
Cosa fare in casi simili?
Il documento sottolinea innanzitutto che l’uso degli apparecchi di sollevamento è destinato esclusivamente a personale formato ed addestrato.
Inoltre:
-         il gruista deve rimanere ad una distanza di sicurezza dal carico;
-         il carico deve essere guidato facendo uso di attrezzi quali rampini e non direttamente con le mani;
-         anche se un carroponte non rientra tra le attrezzature di lavoro per le quali è prevista una specifica abilitazione dell’operatore (Accordo Conferenza Stato Regioni del febbraio 2012) è da rilevare che il gruista comunque deve essere informato, formato ed addestrato all’uso dell’attrezzature (articolo 71, comma 7, D.Lgs. 81/08). L’addestramento deve essere effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro (articolo 37, comma 5, D.Lgs. 81/08).
A questo proposito il documento ricorda che un utile strumento di riferimento è costituito dalla norma tecnica UNI ISO 9926-1 che specifica l’addestramento minimo da dare agli allievi conduttori di gru, al fine di far sviluppare capacità pratiche di base e di impartire loro conoscenze necessarie alla buona applicazione di queste capacità. Inoltre, queste tipologie di macchine, in aggiunta ai controlli (manutenzione), devono essere sottoposte a verifiche periodiche da parte di INAIL/ASL o soggetti abilitati dal Ministero del lavoro.

Il secondo caso di infortunio mortale, avvenuto nel 2011, riguarda invece un impianto elettrico (V=230-400V) e l’installazione/alimentazione di una macchina operativa.
In questo caso l’installazione di un nuovo interruttore modulare all’interno del quadro elettrico generale di reparto era operazione necessaria al fine di alimentare una nuova macchina operatrice.
L’operazione prevedeva l’installazione di nuovi conduttori fissati sulle sbarre poste a valle dell’interruttore generale e, allo scopo, era stata predisposta l’apertura dell’interruttore generale al fine di poter imbullonare sulle sbarre già preforate i conduttori dotati di capicorda effettuando cosi un lavoro elettrico “fuori tensione”.
Tuttavia durante queste operazioni l’operatore rimaneva folgorato a causa del contatto diretto tra le mani e le parti in tensione. L’apertura dell’interruttore generale in realtà corrispondeva all’apertura dell’interruttore del dispositivo di rifasamento a causa di errato posizionamento delle targhe identificative e inoltre non era stata effettuata la verifica di assenza tensione.
Cosa fare in casi simili?
Il documento sottolinea che per l’effettuazione dei lavori elettrici “fuori tensione” vanno adottate tutte le procedure predisposte dalle figure responsabili necessarie al fine della programmazione dell’intervento e messa in sicurezza dell’impianto, le quali prevedono anche l’identificazione di tutte le utenze da sezionare. Ciò non sostituisce la verifica di assenza della tensione che deve effettuare la persona avvertita/esperta/idonea preposta all’intervento.
Il documento riporta anche alcune norme tecniche che possono fare da riferimento per la formazione specifica prevista dall’articoli 82 e 83 del D.Lgs. 81/08.

Rimandando, riguardo al rischio elettrico, ai tanti articoli di PuntoSicuro dedicati all’argomento, concludiamo questa puntata di “Imparare dagli errori” con alcuni spunti di prevenzione degli infortuni nell’utilizzo di gru a ponte con riferimento alle istruzioni per gli addetti tratte dalla scheda M01 “Gru a ponte”, contenuta nella banca dati di schede bibliografiche del manuale “La valutazione dei rischi nelle costruzioni edili”, manuale nato dalla collaborazione tra il Comitato Paritetico Territoriale di Torino e Provincia e l’INAIL Piemonte.

Prima dell’uso:
-         verificare l’efficienza della pulsantiera;
-         verificare l’efficienza dei fine corsa elettrici e meccanici, di salita, discesa e traslazioni;
-         verificare l’efficienza della chiusura di sicurezza del gancio;
-         verificare che i percorsi pedonali di manovra siano liberi da ostacoli;
-         verificare l’efficienza del dispositivo di segnalazione acustica (sirena) e ottica (girofaro).

Durante l’uso:
-         avvisare l’inizio delle manovre con il segnalatore acustico;
-         durante lo spostamento dei carichi evitare di transitare sopra le aree di lavoro;
-         manovrare il carroponte a distanza di sicurezza dal carico;
-         eseguire con gradualità le manovre;
-         attenersi ai limiti di portata;
-         verificare sempre il corretto imbraco dei materiali prima di iniziare le manovre;
-         segnalare tempestivamente le anomalie.

Dopo l’uso:
-         non lasciare carichi sospesi;
-         sollevare il gancio, ritirare il carrello e traslare il carro nella posizione di riposo prestabilita;
-         interrompere l’alimentazione elettrica, agendo sull’interruttore principale al quadro o a parete;
-         lasciare la pulsantiera al sicuro da eventuali danneggiamenti.

Il documento realizzato dall’ATS Brianza “Infortuni mortali” è scaricabile all’indirizzo:

La Scheda M01 “Gru a ponte” realizzato dal Comitato Paritetico Territoriale di Torino e Provincia e dall’INAIL Piemonte è scaricabile all’indirizzo:

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STORIE DI INFORTUNIO: DALL’AZZURRO AL NERO

Da: PuntoSicuro
14/11/17

Un operaio è deceduto cadendo dalle scale di emergenza che erano in costruzione all’interno di un cantiere. Come è avvenuto l’incidente, le cause e come si sarebbe potuto evitare.

Pubblichiamo la storia “Dall’azzurro al nero” (a cura di Francesco Sarnataro, Servizio PSAL ATS Bergamo) tratta dal repertorio delle “Storie d’infortunio” rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, e raccolte nel sito del Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte (DORS).

CHE COSA E’ SUCCESSO
15 luglio 2009, pomeriggio di una calda giornata d’estate nel grande cantiere del Nuovo Ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo. Nel buio del vano scale di emergenza della Torre 3, Mario, al suo primo giorno di lavoro nel cantiere, viene ritrovato disteso, riverso sui gradini, con la testa in basso e i piedi in alto, il volto rivolto verso l’alto come tutto il resto del corpo. “Decesso per traumatismo policontusivo produttivo di lesioni cranioencefaliche e toraciche” riporta il referto medico.

CHE COSA SI STAVA FACENDO
Mario aveva iniziato al mattino, il cantiere era vasto e di notevole complessità logistica, era inesperto dei luoghi perché al primo giorno di lavoro, la segnaletica non c’era o si presentava estremamente carente nella maggior parte dei luoghi di percorrenza e accessibili ai lavoratori.
Dopo la pausa pranzo, per recarsi nel luogo dove riprendere il lavoro, aveva imboccato il vano scale di emergenza e si era ritrovato nel buio, lungo scale mancanti di illuminazione, ingombre di materiali, sprovviste di parapetti. Forse stava ancora telefonando, forse aveva inciampato ed era ruzzolato giù lungo più rampe di scale oppure era caduto da un pianerottolo, quattro metri sopra la rampa scale sulla quale è stato ritrovato; delle due ipotesi, a posteriori, la caduta dal pianerottolo è quella più verosimile.

COSA SI È APPRESO DALL’INCHIESTA
La rampa delle scale di emergenza della Torre 3 dove è stato ritrovato Mario era accessibile sia dall’alto che dal basso e si presentava da lungo tempo in condizioni pericolose e antigieniche: il dato è confermato da numerose testimonianze raccolte durante l’inchiesta e confermate durante il lungo processo che ne è seguito e da una corposa documentazione.
Per le testimonianze raccolte, rileggiamo ancora quella di Aziz che ha trovato e prestato i primi soccorsi a Mario: “le scale non sono illuminate, o meglio al quinto piano è totalmente buio infatti accendo la luce del telefonino per vedere qualcosa mentre al quarto piano c’è un faretto che fa poca luce. Inoltre nelle scale al quinto non ci sono protezioni per evitare la caduta al quarto piano”.
Sono stati sentiti anche Giulio e Filippo, Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriali che nel corso degli anni, dall’inizio dei lavori e fino al momento dell’infortunio, avevano effettuato più sopralluoghi nel cantiere e avevano partecipato a numerose “Riunioni del giovedì sulla Sicurezza”.
Alle riunioni del giovedì partecipavano tutte le persone che si occupavano della sicurezza nel cantiere, ciascuna con un proprio ruolo e formazione: si valutavano l’andamento e la progressione dei lavori, le nuove Imprese entrate in cantiere quella settimana, gli aspetti e gli apprestamenti antinfortunistici già presenti, quanto già funzionava, cosa rimaneva ancora da sistemare e migliorare.
Il giorno dell’infortunio, Giulio era proprio presente in cantiere. Dice infatti “mi trovavo nell’interrato della piastra centrale e stavo controllando alcuni trabattelli quando ho avuto una telefonata dal geometra Rossi che mi avvisava dell’ingresso di un’autolettiga. Allora al primo capannello di persone che ho visto sono andato a vedere e mi sono poi diretto alla Torre 3 dove al 4° piano ho trovato già la squadra del 118 che stava soccorrendo l’infortunato, il cui corpo era stato portato sul pianerottolo perché c’era più spazio per i soccorritori. Mi sono subito reso disponibile a fare da supporto e nel momento in cui sono entrato nella scala di emergenza, anche se questa era buia, ho notato una macchia di sangue sul primo gradino della rampa di scale che dal 4° porta al 5° piano e sulla stessa rampa di scale ho notato un cellulare che poi è sparito. Poi sono arrivati anche i poliziotti che volevano andare sul luogo dove avevo visto la macchia di sangue senza passare per il pianerottolo dove stavano soccorrendo l’infortunato per non intralciare i soccorsi [...]. Da qui siamo saliti anche al 5° piano nella zona a fianco dell’ascensore (cioè immediatamente superiore a quella dove è stato ritrovato l’infortunato) dove ho notato la mancanza di parapetto che si può riscontrare anche nelle fotografie che mi vengono mostrate”.
Già da tempo, però, le condizioni inadeguate per mancanza di parapetti e di illuminazione delle scale di emergenza erano state segnalate dal Coordinatore della Sicurezza, nei verbali che compilava alla fine dei suoi sopralluoghi. Una copia dei verbali più recenti viene mostrata a Giulio: “Sì, confermo pienamente soprattutto per quanto riguarda le quattordici scale di emergenza che sono presenti nelle sette Torri, praticamente due scale di emergenza per ogni Torre [...]. Oltre alla mancanza di parapetti, di illuminazione e di residui vari ingombranti e puzzolenti nelle scale di emergenza voglio precisare che la mancanza di illuminazione e la presenza di residui vari ingombranti e puzzolenti riguarda anche altre scale accessibili”.
E agli stessi verbali mostrati a Filippo, anch’egli risponde: “La scarsezza di illuminazione nelle scale di emergenza faceva sì che le stesse venissero utilizzate in modo improprio cioè come servizi igienici e/o come deposito di immondizia”.
E i documenti di cantiere che parlano di sicurezza? Negli ultimi quindici mesi erano stati molti, ben trentuno per gli amanti della precisione, i “verbali di riunione e di visita” corredati da tante fotografie e sottoscritti dal Coordinatore della Sicurezza che evidenziavano la mancanza di parapetti e di illuminazione nelle scale di emergenza.
Il 9 luglio 2009, solo sei giorni prima dell’infortunio, in una riunione del giovedì ancora si scrive: “Il Coordinatore della Sicurezza si rivolge al responsabile della sicurezza in tutto il cantiere comunicandogli che da troppo tempo permangono situazioni in cantiere non conformi. Il CSE non può emettere prescrizioni attendendo dalla Ditta Affidataria Capofila (DAC) il ripristino degli stati di conformità in tempi così lunghi da rendere inefficace le prescrizioni stesse. La DAC deve sistematicamente impegnare i propri preposti, garantendone l’attivazione immediata su tutte le aree di cantiere risultate non conformi. Dal giorno 28/05/09 a oggi, durante le riunioni di coordinamento si è ripetutamente discusso su tematiche oramai già note alla DAC, sulle quali il CSE non ha accertato azioni della DAC significative volte al ripristino e al mantenimento degli stati di conformità richiesti)”.
E nel verbale di quella riunione si legge “Di seguito si elencano alcune importanti prescrizioni a oggi non ancora ottemperate dalla DAC. Pulizia delle aree di cantiere: manca la sistematicità degli interventi da parte dell’impresa DAC e delle imprese in subappalto. Interventi locali di pulizia risultano accertabili solamente dopo l’emissione di specifici ordini di servizio emessi sia dalla DL che dal CSE [...]. Cartelli di cantiere: la DAC non ha provveduto a posare i cartelli di cantiere richiesti dal CSE più di un anno fa. La DAC si è ripetutamente impegnata attraverso i suoi dirigenti a posare tutti i cartelli di cantiere dei quali il CSE ha da tempo riconosciuto gli oneri specifici”.
Alla riunione del 9 luglio partecipano sedici invitati: il verbale reca la data del 13 luglio, due giorni prima dell’infortunio di Mario, ed è stato inviato all’attenzione di tredici persone che a vario titolo si occupavano della sicurezza nel cantiere del Nuovo Ospedale. C’è bisogno di aggiungere, scrivere altre parole?

COME E’ ANDATA A FINIRE
L’area delle scale di emergenza della Torre 3 è stata sequestrata il giorno stesso dell’infortunio ed è rimasta sotto sequestro per sei mesi, fino al febbraio 2010. Dopo il dissequestro l’area delle scale di emergenza è stata pulita, illuminata e dotata di parapetti. Solo a quel punto ne è stato permesso l’utilizzo.
Sono stati inviati cinque verbali di contravvenzione per violazioni alle norme sulla prevenzione degli infortuni al “Preposto per la Sicurezza con delega” della DAC, ai due ingegneri della DAC che si occupavano rispettivamente della sicurezza in tutto il cantiere e della sicurezza solo nella Torre 3, al Coordinatore della Sicurezza ed al Responsabile Unico dei Lavori per il Committente.
Tutte le cinque persone sono anche state rinviate a giudizio per “omicidio colposo” e “cooperazione nel delitto colposo” dalla Pubblico Ministero che ha seguito e coordinato le indagini.
Il processo si è concluso nel marzo del 2015 con la sentenza di primo grado che ha visto condannati il “Preposto per la Sicurezza” e i due ingegneri della DAC e assolti il Coordinatore della Sicurezza e il Responsabile Unico dei Lavori.

NON SAREBBE SUCCESSO…
Se tutte le figure incaricate di occuparsi della sicurezza nel cantiere avessero svolto il loro compito prestando attenzione alle segnalazioni note da tempo. Se le scale e i pianerottoli fossero stati dotati di: parapetti, adeguata illuminazione e liberati da rifiuti e materiali ingombranti.
Se fosse stato impedito, attraverso uno sbarramento fisico, l’accesso alle scale di emergenza che, non ancora ultimate costituivano, un pericolo.

Scarica la storia completa “Dall’azzurro al nero” (a cura di Francesco Sarnataro, Servizio PSAL ATS Bergamo) all’indirizzo:

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