venerdì 10 novembre 2017

8 novembre - VICENDA ILVA: FABBRICA/CITTÀ - OPERAI E POPOLAZIONE DEI QUARTIERI - UN DOCUMENTO DELLO SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE



Siamo a uno snodo importante della vicenda Ilva, da cui dipende il futuro non solo della fabbrica ma della città. Il governo ha assegnato l'Ilva a una grande multinazionale di proprietà principalmente indiana, il più grande siderurgico del mondo. Questo conferma che l’Ilva di Taranto è una fabbrica di straordinaria importanza anche internazionale. Di questo a Taranto non ce ne rendiamo conto, o ce ne rendiamo conto solo per i danni ambientali. L’Ilva è un patrimonio della storia industriale di questo paese. Dopo il gruppo Fiat è il complesso industriale più importante del paese ed è oggi la fabbrica col maggior numero di operai in Italia. Pensare che l’Italia si possa cambiare facendo a meno degli operai è una sciocchezza e fa un danno alla città, prima di tutto. Chi lo dice vuole che Taranto diventi un cimitero industriale, con un futuro di decenni e decenni di inquinamento che nessuno bonificherà, come Bagnoli insegna.

Non è affatto vero che chiudendo l’Ilva a Taranto verrà lo sviluppo. Non è mai accaduto. Dove c’è stata deindustrializzazione, si è sviluppata è la criminalità - Bagnoli è diventata terra di camorra, e anche Taranto diventerebbe territorio sotto il controllo di malavitosi, speculatori, palazzinari. Dove c'è stata la cosiddetta “economia alternativa” è stata “alternativa” solo a favore della media borghesia, mentre gli operai e le loro famiglie sopo andati in rovina e sono stati cacciati dalla città (vedi Pittsburgh-Usa, tanto declamati da ambientalisti nostrani).
Non è vero che le altre economie in questo sistema capitalista, non siano sempre e solo al servizio dei profitti dei padroni e non siano anch'esse di distruzione del territorio e dell'ambiente (vedi turismo e distruzione di coste e inquinamento dei mari).
Per questo siamo contrari alla chiusura dell’Ilva. Perché senza un grande comparto industriale, senza la forza di migliaia di operai, questa città scomparirebbe dalla carta geografica e nessun governo si preoccuperebbe della salute dei suoi abitanti.
Dicevamo che siamo ad un momento chiave della vicenda della fabbrica. I padroni indiani, come tutti i padroni del mondo, vogliono profitti, e sanno che acquisire l’Ilva permette al gruppo di crescere su scala europea e mondiale. Non è vero che Mittal vuole chiudere la fabbrica, chi lo dice neppure sa leggere i giornali. ArcelorMittal è il primo produttore di acciaio del mondo e ambisce al monopolio, nel mondo, in Europa e in Italia, e farà di questo stabilimento un suo punto di forza industriale, ma lo vuole fare sulla pelle degli operai e dei cittadini. Non perché sono “cattivi” ma perché siamo in un sistema capitalistico, per cui i padroni devono fare profitti e gli operai devono essere sfruttati e il resto della gente deve campare dentro questa situazione generale.
Ecco perché gli operai, i cittadini, non hanno niente da rispettare, non i padroni, non i governi né lo Stato. Devono difendere lavoro, salute, diritti, avendo in testa l’idea di cambiare questa società!
Ricorre in questi il centenario della Rivoluzione d’Ottobre. “E chi se ne frega! - direte - ancora alla Russia di quei tempi state a pensare?”. Ebbene sì! Ancora a quello pensiamo, perché solo una rivoluzione ci salverà! Chi dice il contrario, o è incosciente, o è ignorante, o mente! La rivoluzione non è l’idea di un pazzo che si sveglia una mattina e si scatena. È un popolo che si organizza, difende i propri diritti, la propria vita, il proprio lavoro, e poi vedendo che in questo sistema nulla si ottiene realmente, fa la rivoluzione. In Russia la rivoluzione la fecero per il pane, la pace, la terra. Perché mancava il pane, perché erano in piena guerra mondiale e morivano migliaia di persone ogni giorno, perché tutte le terre erano proprietà dei latifondisti e i contadini erano schiavizzati e sopravvivevano a stento. Per questo fecero la rivoluzione e nell’arco di pochi mesi questi tre problemi furono risolti! La pace fu stabilita immediatamente e in pochi giorni i soldati tornarono dal fronte, le terre furono distribuite ai contadini, le fabbriche, le banche furono poste sotto il controllo operaio, nelle mani del potere degli operai.
Anche a Taranto senza una rivoluzione non avremo né lavoro, né salute, né diritti!
Le rivoluzioni le fanno gli operai e le masse popolari. Senza gli operai non si può fare nessuna rivoluzione. Mi direte: “ma questi operai tutto vogliono fare tranne che la rivoluzione, pensano solo a portare a casa lo stipendio sulla pelle di chi muore”. Questo è un problema. E il problema che abbiamo da risolvere: cambiare la testa degli operai. Solo cambiando la testa degli operai cambieremo le sorti di questa città, e la prima strada per cambiarla è la lotta.
Chi vuol muoversi contro gli operai, come alcuni giovani ultras che l'8 novembre davanti alla portineria Ilva hanno perfino cercato di aggredire gli operai, sono stupidi o volente o nolente fanno il gioco di padroni e governo.
Veniamo al territorio: c’è il problema dei parchi minerali. Un problema che va risolto subito. I padroni, il governo ne parlano dal 2012. Non si muore solo a causa dei parchi minerali, ma per chi lavora in fabbrica o abita e lavora vicino, sono la prima e più visibile fonte di inquinamento. Noi crediamo che il problema dei parchi minerali debba essere affrontato come un’emergenza simile ai terremoti, secondo piani straordinari. I parchi minerali provocano nel tempo più morti di un terremoto o un’alluvione, perché non si può fare un piano di emergenza per la copertura dei parchi minerali negli stessi tempi con cui si costruiscono mega stadi, delle vere e proprie cittadelle per Olimpiadi o grandi eventi (pensiamo alla fretta con cui in occasione dei G8, G7 hanno messo su dal nulla megastrutture)?
Quindi, pretendiamo un piano di emergenza per la copertura immediata dei parchi minerali. Su questo ieri il governo ha annunciato che non si aspetterà che la fabbrica sia nelle mani degli indiani, che i lavori di copertura partiranno subito, ma non c’è da fidarsi. Occorre uno sciopero generale, bloccare la fabbrica e la città. Se non si fa così, se non si blocca fabbrica e città, non succederà niente! Chi dice non blocchiamo la città è un altro dei tanti deficienti che ci stanno intorno.
A Genova così hanno fatto per due giorni, e siatene certi, nessuno a Genova si lamenta per questo, perché tutti a Genova sanno che quando si muovono gli operai, qualcosa di buono succede per tutti, altrimenti tutto resta come prima, anzi peggio. Noi vogliamo che si faccia come a Genova, che gli operai non si rinchiudano nella fabbrica ma escano, invadano la città e creino una situazione per cui impongono le loro richieste. Purtroppo qui a Taranto dobbiamo invece fare i conti con una massa di imbecilli che dice tutto il contrario, che ricatta moralmente gli operai e rende difficile ciò che secondo buon senso sarebbe facile!
Lo stesso vale per le bonifiche. Con i lavoratori cimiteriali abbiamo incontrato il commissario alle bonifiche e ogni volta sappiamo che, ora per una carta sbagliata, ora per una mappa inesatta, ancora le bonifiche non sono iniziate, il che vuol dire per i lavoratori del cimitero, pur non abitando ai Tamburi subire gli stessi danni di chi vive ai Tamburi, pur non lavorando all’Ilva subire gli stessi danni degli operai Ilva, senza nessun riconoscimento, senza neanche nessuna indennità sul lavoro, anzi, per mantenere orario e salario, devono elemosinare una gara di appalto. Questa situazione non può andare avanti. Abbiamo incontrato, commissari, funzionari, personaggi lautamente pagati per non fare niente! Per fare piani, contropiani, carte e ancora carte senza che si sia dato neppure un colpo di zappa! E ancora l’ultima volta ci hanno ripetuto che la bonifica non potrà cominciare prima della prossima primavera, se non oltre.
Siamo sempre allo stesso punto: quello che la popolazione richiede non viene realizzato, perché il governo serve altri interessi.
Ma la popolazione non reagisce come dovrebbe. Ci si fa la guerra fra noi invece che unirci per cambiare questa città. Ma prima o poi il buon senso deve affermarsi. Noi dobbiamo riuscire ad approfittare dell’opportunità data dalla situazione attuale dell’Ilva per imporre che non ci devono essere esuberi, la coperture dei parchi minerali e che le bonifiche partano subito.
Non ci devono essere esuberi perché, altrimenti, gli operai espulsi dalla fabbrica e impiegati nelle bonifiche – a parte che non è vero e rimarrebbero soltanto per anni in cig - non sarebbero posti di lavoro salvati ma posti di lavoro tolti ai disoccupati, ai precari, ai ragazzi che non lavorano da sempre, 70.000 nella provincia di Taranto, concentrati in buona parte nella città e proprio nei quartieri più inquinati. Sono loro che devono essere impiegati nelle bonifiche.
Questa situazione deve cambiare: alle bonifiche devono lavorare i disoccupati, gli operai devono rimanere in fabbrica per migliorarla, il governo deve stanziare fondi come se fosse un terremoto per la copertura dei parchi minerali e per il resto.
Per non parlare dell’emergenza sanitaria. Noi da subito abbiamo rivendicato un piano serio che affrontasse l’emergenza sanitaria a Taranto. C’è stata addirittura Emergency, la ONG di Gino Strada, quella che apre ospedali nei paesi in guerra, che si era detta disponibile a intervenire a Taranto, perché considerava la situazione sanitaria a Taranto un’emergenza, come se fosse zona di guerra. Ma nessuno ci ha dato ascolto. C’è un’emergenza sanitaria che si deve affrontare, ma non ha a che fare con la chiusura dell’Ilva, ha a che fare con la mancanza delle strutture sanitarie necessarie, mancano medici, infermieri, ospedali.
Il processo Ilva non è una cosa a parte, sta dentro questo contesto. Il processo e simbolo di tutto questo. Sono imputati una parte dei responsabili del disastro ambientale. Questi dovrebbero andare in galera, ma nessuno, salvo qualcuno per un breve periodo all’inizio della vicenda, è andato in galera. Probabilmente molti faranno in tempo a morire di vecchiaia, come è successo a Riva, invece che essere condannati e scontare la pena. Per non far scontare nessun tipo di pena a questi signori, si stanno adoperando in una maniera oscena! Un processo lunghissimo, che hanno iniziato, fatto ricominciare da capo, con un Procuratore che è cambiato e il nuovo a volte sembra che stia dalla parte della difesa degli imputati, non della pubblica accusa.
Un processo difficile, in cui quasi mai c’è stata una partecipazione adeguata, anche per come vengono gestite le udienze: ad esempio l'8 novembre è iniziato alle 10 e fino alle 15,30 non è successo niente, e così il processo diventa un gioco tra avvocati. Questo processo, invece, deve essere il simbolo del fatto che chi ha inquinato deve essere condannato e deve pagare, e chi è stato danneggiato deve essere risarcito. Ma questi signori i soldi li hanno imboscati, hanno fatto trovare solo gli spiccioli, non vogliono andare in galera, non vogliono pagare e per impedirlo hanno uno stuolo di avvocati.
Noi in questo processo siamo parte civile, con oltre cento tra operai, lavoratori, cittadini. E non ci siamo organizzati come parti civili per speculare e lucrare un risarcimento, ma perché per noi sarebbe giusto che tutti i cittadini si considerassero parte civile e siano rappresentati al processo.
In questo processo bisogna far pesare la rabbia, la protesta dei lavoratori, dei cittadini di Taranto. Solo questo può impedire una ingiustizia che si consuma udienza dopo udienza.

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