martedì 2 aprile 2019

01 aprile- Interventi al Convegno del 13 marzo a Taranto - La relazione dello Slai Cobas sc Taranto

Da oggi pubblichiamo gli interventi principali del Convegno che si è tenuto alla Provincia il 13 marzo scorso e che ha visto la presenza anche di realtà della Rete nazionali.

Il convegno di Taranto ha rilanciato su basi di classe la ricostruzione nazionale della Rete nazionale per la sicurezza e salute sui posti di lavoro e territori 

RELAZIONE INTRODUTTIVO dello Slai cobas per il sindacato di classe - Taranto 
Quando abbiamo promosso il convegno, avevamo due obiettivi: da un lato fare il punto del processo “Ambiente svenduto” in corso, in cui noi siamo parte civile e siamo anche molto attivi su altre vertenze legali che riguardano l'Ilva; portare la battaglia contro l'accordo Ilva che ha portato alla proprietà di ArcelorMittal e ai fatti conseguenti, quindi, entrare nel merito delle varie questioni che stanno attraversando la questione ArcelorMittal e la situazione Taranto in generale; dall'altra rilanciare la Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e territori. 
Questo all'interno del quadro che punta a fare dell'Ilva una questione nazionale, con la quale ci eravamo già mossi negli anni passati. Allora la questione centrale non era ancora il disastro ambientale, ma le morti sul lavoro. Perchè nessuno può dimenticare che l'Ilva prima che diventasse “famosa” per il disastro ambientale, era la fabbrica con il maggior numero di operai morti sul lavoro. Ed era un periodo in cui le morti sul lavoro riguardavano anche altre grandi realtà operaie del nostro paese, in primis la ThyssenKrupp. 
Per questo a suo tempo mettemmo su la Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro, facemmo una serie di iniziative abbastanza partecipate, facemmo una grossa manifestazione a Torino e poi una grossa manifestazione a Taranto.
Certo mantenere in piedi una Rete nazionale che segua periodicamente, con associazioni di diverso orientamento, con realtà lavorative insieme a familiari, giuristi, medici, non è facile; è un lavoro che ha bisogno di tempi che spesso non sono in sintonia con i tempi dell'emergenza. Ma ora siamo ad un punto in cui noi crediamo che dobbiamo rimettere su l'iniziativa della Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e territori, che dobbiamo costruire delle assemblee ed iniziativa in tutto il territorio nazionale. Per questo abbiamo invitato degli amici e compagni attivisti che operano a Palermo, Milano Bergamo. 

Da quando abbiamo promosso l'iniziativa ad oggi sono cambiate a Taranto un po' di cose. C'è stata una grossa manifestazione promossa dai genitori dei bambini di Taranto, una fiaccolata molto significativa che ha avuto un effetto importante non solo sul piano locale ma anche su quello
nazionale. Poi vi è stata l'iniziativa della Magistratura sulla questione delle collinette, la conseguente ordinanza del Sindaco sulle scuole dei Tamburi e l'esplodere nuovamente di un fermento della città che è tornata a manifestare sul tema dell' inquinamento. 

Noi abbiamo una posizione diversa dal movimento ambientalista in generale. Noi non siamo per la chiusura dell'Ilva, riteniamo che quella fabbrica si possa ambientalizzare. Riteniamo però che nessuno sta facendo nulla né per ambientalizzare la fabbrica né per bonificare il territorio e quindi i problemi sono andati verso l'accumulo di contraddizioni – la “tempesta perfetta”, come abbiamo intitolato il libro sui due anni “caldi” a Taranto: i posti di lavoro si sono persi, vi è stata l'espulsione di 2600 operai dalla nuova proprietà ArcelorMittal, con pesanti conseguenze anche nell'indotto, e le giornate tumultuose dei giorni scorsi dimostrano che ArcelorMittal sta proseguendo lungo la strada della famiglia Riva aggravando i problemi oltre che di sicurezza in fabbrica anche di disastro ambientale all'esterno. 
Eppure ci sono state grossissime manifestazioni e mobilitazioni a Taranto negli anni scorsi. Tutti hanno detto che avrebbero fatto qualcosa e invece i risultati sono andati in direzione opposta. Si è fatto un accordo con ArcelorMittal senza ottenere né garanzie sulla tutela del lavoro, perchè la nuova proprietà ha intenzione di fare più produzione di prima con meno operai per ricavare il massimo del profitto dallo sfruttamento dei lavoratori, né sul fronte della fine dell'inquinamento. 
Se è giusto che gli operai tutelino il loro lavoro, non possono tutelare un lavoro più sfruttato, con meno diritti, mentre all'esterno aumenta l'inquinamento. Così i problemi piccoli e grandi restano tutti sul tappeto e si aggravano. 

Quindi, probabilmente la strada che stiamo seguendo, tutti, sia sul fronte della difesa dei posti di lavoro che della salute non è ancora quella necessaria. 
Noi, però, stiamo facendo questa battaglia prima che esplodesse. Allora non c'era l'associazione familiari, il problema dei familiari non esisteva, eppure noi insieme all'incomparabile impegno dell'amico Semeraro della “12 giugno” aprimmo il fronte dei familiari, prima che si parlasse di “genitori”, “Mamme”. Perchè c'erano famigliari di operai morti in fabbrica che non avevano nessuna possibilità né di avere giustizia nè risarcimento, non erano accettati neanche come parte civile nei processi. 
Noi l'abbiamo avviata questa battaglia. E l'abbiamo fatta in forme isolate. Perchè quando c'erano queste battaglie molti dei soggetti ora attivi erano silenti e assenti. 
Ma la battaglia dei Tribunali ha limiti concreti. Noi non siamo in un sistema che ha leggi giuste. Purtroppo il racconto dei processi sulle morti sul lavoro è sempre una tragedia giudiziaria, dove i lavoratori e i loro famigliari verificano il circuito infernale da cui raramente ottengono giustizia. 

La Rete è nata sulla questione Ilva e sulla questione Thyssen. 
Il padrone della Thyssen è stato condannato a 21 anni di carcere, sentenza poi riformulata negli altri giudizi, fino al giudizio finale;  ma il padrone non ha fatto un solo giorno di carcere, e ora bisogna addirittura smuovere i governi per far pagare una strage che provocò la morte di 7 operai. 
Che dire poi del processo che stiamo vivendo a Taranto, un processo infinito, con interrogatori che sono durati anche 15 udienze. Ma alla fine cosa avremo da questo processo, avremo una condanna reale dei padroni assassini, avremo la messa a nudo di tutta la rete di complicità, avremo i risarcimenti per le parti civili, o avremo solo una catena di altri processi, dal primo al secondo grado, Cassazione, prescrizione?
Evidentemente, quindi, non basta quello che viene fatto. Dobbiamo trovare la maniera per rovesciare lo stato di cose esistente. Quando noi parliamo di questo, di rivoluzione, facciamo la figura di poveri illusi, vecchi sessantottini. Ma negli anni 70 gli operai conquistarono lo Statuto dei lavoratori, migliori condizioni di salute e sicurezza sul posto di lavoro, che erano anche peggiori di adesso, conquistarono organismi in fabbrica che sembravano un “contropotere” in azione, e i padroni camminavano con difficoltà nelle strade per le iniziative di compagni, amici che in qualche maniera non accettavano che i padroni potessero fare i padroni in eterno, che nelle fabbriche si moriva e si veniva sfruttati. Quegli anni sono stati anni gloriosi, “celebrati” dall'avversario come anni del “terrorismo”, ma proprio in quegli anni gli operai hanno conquistato diritti e sembrava addirittura che potessero cambiare la società. 50 anni fa c'era l'”Autunno caldo”, non c'era una città, una fabbrica che non fosse in rivolta. Gli operai si ribellavano allo sfruttamento dei padroni e si ribellavano alle infame condizioni di insicurezza. Alcuni operai e medici costruirono proprio in quegli anni Medicina democratica. Le fabbriche furono radiografate nei minimi particolari e si riusciva ad analizzare tutte le possibilità che c'erano per ridurre i livelli di insicurezza, per tutelare la salute, per bloccare la pericolosità esterna delle fabbriche, perchè per i padroni, i costi per evitare inquinamento vengono considerati solo “costi” da ridurre o eliminare. 
Noi siamo degli anni 70. Le nostre proposte sono quelle di allora, perchè quelle proposte hanno dato dei risultati. Poi non sono state mantenuti -ma questo è un altro discorso. 
Noi non pensiamo che le fabbriche debbano provocare per forza morti, né in fabbrica né fuori, noi pensiamo che è possibile avere fabbriche in cui e per cui non si muore. Ma l'essenziale è la lotta e i risultati che questa lotta produce. Avevamo allora organizzazioni sindacali che non erano quelle che conosciamo adesso e operai dentro queste organizzazioni sindacali che davano punti ai padroni su come organizzare la produzione non nociva. 
Anche a Taranto negli anni 70 fu prodotta una piattaforma dai lavoratori e dai sindacati che allora erano uniti che se la leggiamo oggi vediamo come e perchè si sarebbe potuto evitare che l'Ilva diventasse quel mostro che uccide. 
Se non si va su quella strada, tutti i nostri sforzi saranno testimonianza di una battaglia persa. 

Su questo c'è la differenza sostanziale tra quello che diciamo noi e quello che si dice in giro. 
Ma di “buone intenzioni è lastricato l'inferno”, e ora bisogna vedere in concreto dell'attuale situazione che cosa possiamo fare o non fare. 
Noi rilanciamo in questa riunione la costruzione nazionale della Rete nazionale per la sicurezza e la salute sui posti di lavoro e sui territori. Costruiremo questo tipo di iniziativa in tutt'Italia, con le realtà che operano sugli stessi temi. 
Su Taranto stiamo facendo la nostra parte di lavoro e vogliamo continuare a confrontarci con tutti. I convegni di solito vedono la presenza di addetti ai lavori e testimonianze toccanti, ma pur sempre testimonianze, conta non tanto il momento del convegno, ma il momento della lotta e il confronto lì dove le questioni sono “calde”. 

Noi nei giorni scorsi abbiamo fatto assemblee con i lavoratori del cimitero. Questa del cimitero è una situazione esemplare. A Taranto il cimitero è pieno di morti sul lavoro, da lavoro. In questo cimitero, dove per iniziativa dell'Associazione familiari c'è un simbolo dei morti sul lavoro, c'è un problema molto concreto, perchè il cimitero è collocato dall'altra parte del muro delle collinette; era già stato considerato dall'inchiesta Todisco il punto in cui è concentrato il maggior inquinamento della città. Qui operano lavoratori che hanno gli stessi effetti sulla salute come se fossero operai dell'Ilva, pur non essendolo, dato che lavorano proprio al di là del muro dei famosi parchi; sono nello stesso tempo lavoratori che sono al centro del quartiere Tamburi, pur essendo operai che in maggiorparte non abitano ai Tamburi. 
I piani delle bonifiche prevedevano come priorità il cimitero S. Brunone e le scuole. Come sta andando avanti il problema delle scuole è sotto gli occhi di tutti: le scuole non sono bonificate, e devono andare via i bambini e non le fonti inquinanti; per il cimitero, considerato un”emergenza”, a sei anni non è partita assolutamente alcuna bonifica. Quindi, il risultato sarà che nelle prossime settimane per iniziativa dei lavoratori ci dovrà essere un'altra ordinanza del sindaco per il cimitero, perchè o c'è la bonifica o i lavoratori non possono stare lì, non possono stare 6 ore al giorno esposti all'inquinamento e per di più all'aria aperta e movimentando il terreno perchè fanno le tumulazione, senza che sia stato fatto nulla neanche sulle misure di prevenzione che furono stabilite in emergenza, a suo tempo, e che stabilivano che i lavoratori dovevano indossare un tipo di tuta speciale, che finito il lavoro dovevano fare due docce... e invece non c'è mai stato l'impianto doccia. 
Allora, noi chiuderemo il cimitero, creeremo una nuova “emergenza cimitero”. Dichiareremo lo stato di agitazione, chiederemo le bonifiche in emergenza. 

Quando si dice “emergenza” a Taranto non significa quello che significa nelle altre città. Si dice “emergenza sanitaria” e non succede nulla, quando parlare di emergenza è come se ci fosse una epidemia, dovrebbero arrivare medici, si dovrebbero aprire nuove strutture ospedaliere... Noi a suo tempo proponemmo che fosse in mano ad Emergency la struttura sanitaria. 
Invece per le Istituzioni “emergenza” non significa niente, al massimo nuovi dati, studi che ci dicono che si muore di inquinamento, che i livelli di tumori a Taranto sono maggiori di altre città, che provengono dall'inquinamento industriale per la politica barbarica di padroni e istituzione.
Nel processo “Ambiente svenduto” un perito della Regione ha presentato una serie di dati che spiegavano che gli indici di produzione ma anche di produttività - perchè “indici di produzione” significa che prima si produceva 5 e ora si produce 7; “indici di produttività” significa che l'operaio viene utilizzato come forza-lavoro sfruttata per produrre plusvalore-profitto in maniera più intensa – e che dimostravano come via via che aumentava questa intensità dei ritmi e la produzione, aumentavano contemporaneamente i livelli di tumori, morti sul lavoro. In maniera quasi matematica. 
E', quindi, evidente che quando si parla di “emergenza” tu ti aspetti interventi come in presenza di un terremoto, di un'alluvione, e invece a Taranto si può parlare di “emergenza” da 7 anni e non si è fatto nulla che somigli ad interventi all'altezza delle “emergenze” che ci sono.
Quindi, noi le dobbiamo creare là dove siamo presenti le emergenze perchè non ci sono altre condizioni per chiamare tutti alle loro responsabilità e fare cose in “emergenza”. 



Tutto questo riguarda anche ArcelorMittal chiaramente. Quando è arrivato Riva, venti anni dopo si è detto: “non abbiamo fatto questo e quest'altro, i sindacati sono stati complici, le Istituzioni lo hanno aiutato... E quindi evidente che si è creato un disastro ambientale...”. Tutti coloro che sono stati protagonisti di questo tipo di atteggiamento, stanno ripetendo uguale lo stesso  comportamento ora che c'è ArcelorMittal. Neanche il fatto che sia cambiata la proprietà ha spinto a cambiare il modo con cui queste situazioni vengono affrontate all'interno della fabbrica dalle organizzazioni sindacali. 
A noi non piacciono quelli che parlano male delle organizzazioni sindacali in generale, sia perchè noi stessi partecipiamo all'attività sindacale, attraverso lo Slai cobas, e siamo sempre dalla parte dei lavoratori che fanno le lotte comunque siano organizzati; sia perchè i lavoratori hanno bisogno di un organizzazione sindacale che tuteli i loro diritti, e il sindacato è l'organo fondamentale, iniziale che hanno gli operai sul posto di lavoro, altrimenti sarebbero trattati come schiavi. Per questo le organizzazioni sindacali sono strumenti ineliminabili della lotta dei lavoratori. Molti di quelli che attaccano i sindacati non sanno neanche cosa succede realmente in fabbrica... 
Però sono anni e anni che i sindacati non sono più quello che i lavoratori avrebbero voluto. Se stiamo parlando dell'Autunno caldo, vuol dire che da almeno 40 anni i sindacati non sono quelli che servono. Questo crea un grande problema, ma anche un grande vuoto, perchè senza l'organizzazione sindacale che spinge in senso diverso le iniziative dei lavoratori, questi lavoratori non ci saranno mai né nelle lotta, nè nelle partecipazioni alle iniziative, si sfogheranno a titolo individuale su facebook, ma questo non significa né produce niente. 
La classe operaia è un esercito, e quando si muove in maniera organizzata ti rovescia in quattro e quattro otto una situazione. Ma questo esercito ha come arma fondamentale il sindacato. Quando il sindacato funziona le cose cambiano, e si combatte sul terreno del lavoro, del salario, dei diritti, della salute, della condizione di lavoro. Negli anni 70 lo si è visto.
La mancanza di un tale sindacato continua. Noi non saremo mai d'accordo con quei sindacati che invece di organizzare l'esercito operaio perchè svolga un ruolo di prima fila nella lotta per la salute in città, lo arruolano al padrone perchè gli operai se ne stiano silenziosi, si mantengano il lavoro che hanno...  
Questa è la grande anomalia che dobbiamo rimuovere. Il sindacalista non è quello che strilla nelle piazze ma quello che organizza gli operai a tutela dei loro diritti, come operaio, come “operaio che poi vive in un quartiere inquinato”. 
Quindi, noi dobbiamo ricostruire un sindacato di classe, perchè senza non avremo gli operai dalla nostra parte, gli operai come avanguardia della città; non avremo i blocchi della produzione, i blocchi della città che fanno ottenere i risultati. Le mamme, i genitori dei bambini morti devono capire che senza gli operai non si va da nessuna parte, al massimo si va in televisione. Perchè se non si muove l'esercito dei lavoratori noi non possiamo cambiare questa situazione. 
Dobbiamo riuscire, quindi, a mobilitare gli operai ora. Ma certo non aiuta questo lavoro se ogni volta quando si parla di operai li si vede come complici. Guardate che fermare una fabbrica non è mai un fatto facile e senza gli operai non si può fermare. Potrai fare al massimo azioni dimostrative.
Dobbiamo quindi risolvere il problema della presenza degli operai, e lo dobbiamo fare adesso. 
Gli operai devono scendere in campo rispetto a quello che sta succedendo in città, devono dire che le scuole non si chiudono, ma sono le collinette che si devono rimuovere, e per questo si devono fermare in fabbrica. Non “chiudere l'Ilva” - una parola d'ordine che può significare tutto e niente – e che diventa di fatto una giustificazione per non fare niente, ma mobilitare gli operai. 



Altrimenti noi siamo affidati alla nuova vias, al trasferimento dell'Osservatorio per la salute da Roma a Taranto, ecc. Ma che ci facciamo? Avremo nuovamente una montagna di dati... 
Non abbiamo più bisogno di dati. Al processo “Ambiente svenduto” hanno testimoniato operai che hanno detto precisamente: questo impianto produceva inquinamento, io l'ho detto e mi hanno messo all'angolo, se invece si interveniva, si poteva bloccare quell'inquinamento. E' questo il punto. 
Ci sono le condizioni in fabbrica perchè si  possa fermare la situazione inquinante, le famose “fonti inquinanti”... Nocivo è il capitale non la fabbrica! Il capitalismo usa le fabbriche per il profitto e siccome le usa solo per questo, il profitto lo tira dallo sfruttamento degli operai e dalla riduzione dei costi per la sicurezza e la salute. Non pensate che se facciamo turismo a Taranto non lo si fa per il profitto, con conseguente devastazione delle spiagge, delle coste, ecc. Quindi, o si elimina una società in cui il profitto è al centro, o si rimuovono le cause, o non avremo le città bonificate, produzioni salubri.
Si dice: “le fonti inquinanti”, ma perchè sono “inquinanti”? Il problema non è l'impianto in sé. E' come parlare del “coltello” e dire che il coltello uccide. No, non è il coltello che uccide, perchè con il coltello ci puoi tagliare la carne..., se invece lo usa un assassino, ti uccide. 
E la fabbrica è come un coltello. E chi l'ha in mano. 



Dobbiamo potenziare gli sforzi, non per “insultare” gli operai, ma per organizzarli. Certo, è una battaglia molto difficile. 
Anche sul territorio le battaglie sono difficili ma si devono vincere. Le scuole non si possono chiudere. Perchè è chiaro che se il sindaco fa un'ordinanza non per rimuovere le collinette, ma per chiudere le scuole, sta facendo quello che non doveva fare. Noi siamo perchè le scuole dei Tamburi rimangano aperte e che si faccia la battaglia perchè si tolgano le collinette non le scuole. Perchè i bambini hanno diritto di studiare nelle loro scuole, e perchè se retrocediamo, oggi mandano i bambini in un'altra scuola, domani manderanno gli abitanti dei Tamburi in un altro quartiere. La fine così è nota: non è la fabbrica che se ne andrà o sarà bonificata, ma è il quartiere che deve essere spostato.  
A Cornigliano la situazione del quartiere era peggiore di quella di Taranto prima della chiusura dell'”area a caldo”. Mentre a Taranto i Tamburi cominciano quando finisce la fabbrica, a Cornigliano il quartiere era dentro la fabbrica: impianto, case, impianto, case. Qui, però, la lotta operai/cittadini ha fatto ottenere dei risultati. 



Noi dobbiamo vincere le battaglie per vincere la guerra. Solo una guerra generale, di popolo, una rimozione delle cause ci potrà portare sollievo, ma le guerre si vincono attraverso certe postazioni conquistate con delle battaglie. 
Dobbiamo vincere la battaglia della mobilitazione degli operai; dobbiamo vincere la battaglia delle “collinette” , ecc. Su questo dobbiamo fare di più, tutti.   
Nello stesso tempo dobbiamo fare dell'Ilva una battaglia generale. 
Un'altra battaglia è che gli operai Ilva che sono stati messi in cassintegrazione e abbandonati a sé stessi con un accordo infame devono rientrare in fabbrica, oppure veramente devono essere utilizzati per la bonifica in emergenza, che vuol dire 1500 lavoratori che vengono richiamati a lavorare con un piano di lavoro ben preciso; non tenuti fermi in attesa di corsi inutili. Gli operai devono rientrare in fabbrica perchè sono stati cacciati per discriminazione, per fare il volere esclusivamente del padrone. Questo non si può far passare, perchè significa che non solo non lavoreranno più in fabbrica, ma non lavoreranno neanche nelle bonifiche.     
Operai, cassintegrati, cittadini, movimento ambientalista, occorre creare un fronte unito, mobilitando con le loro ragioni le forze in campo. Questa battaglia deve ricostruire l'unità tra operai e cittadini, tra fabbrica e quartieri inquinati. Quando questa unità si ricostruisce noi potremo conquistare degli effettivi risultati anche attraverso battaglie parziali che ci potranno far vincere la guerra.

Nessun commento:

Posta un commento