Nonostante
negli ultimi due anni sia aumentato il tasso di occupazione femminile
(calcolato sulla fascia 20-64 anni), alla fine del 2017 solo il 53,2%
delle donne risulta essere occupata, contro il 72,3% degli uomini.
L’Italia rimane al penultimo posto della classifica europea del
differenziale di genere per l’occupazione (UE a 28) seguita dalla
Grecia. Se a questo dato si affianca quello relativo al rapporto fra
i tassi di occupazione (25-49 anni) delle donne con figli in età
prescolare e delle donne senza figli, è evidente che a essere
maggiormente penalizzate sono le donne con figli piccoli.
Per
100 donne senza figli occupate, sono 75 quelle occupate con figli in
età prescolare. E il dato registra una costante diminuzione rispetto
al 2015. Sezionando il dato secondo il grado di istruzione il
rapporto cambia: migliora per le donne istruite e peggiora per le
donne con scarsa scolarizzazione passando da quasi un 90% fra le
laureate a un 55,6% fra le donne con la terza media.
Resta
critico anche il divario di genere: una lavoratrice dipendente su 9
(11,7%) prende una paga inferiore alla media mentre questo accade a
un uomo su 12 (8,7%) intendendo una paga minore del 66% rispetto a
quella media. E’ un dato che, analizzato con altri indicatori,
dimostra come le donne comunque percepiscano un salario inferiore agli uomini oppure simile agli uomini con bassa istruzione pur trattandosi di donne istruite.
dimostra come le donne comunque percepiscano un salario inferiore agli uomini oppure simile agli uomini con bassa istruzione pur trattandosi di donne istruite.
Il
43,3% delle donne percepisce un reddito da lavoro rispetto al 62% dei
maschi. Prendendo come base le donne laureate solo il 76,8%
percepisce un reddito da lavoro contro l’81,5% dei maschi con
laurea. Inoltre una donna guadagna circa il 24% in meno di un collega
maschio.
La
qualità del lavoro femminile è ancora svantaggiata rispetto a
quella maschile. La quota di occupate con contratti a termine da
almeno 5 anni è il 19,6% contro il 17,7% degli uomini. Le occupate
con un livello di istruzione più alto di quello maggiormente
richiesto per il lavoro svolto sono il 25,7% rispetto al 22,4% degli
uomini e le donne con un contratto part time involontario sono il
19,1% mentre gli uomini sono il 6,5%. Nel 2017 quasi un quarto della
popolazione femminile, pur volendo lavorare, si trova esclusa dal
mercato del lavoro.
Il
confronto peggiora se si introduce il dato della cittadinanza. Le
donne migranti subiscono una doppia discriminazione rispetto agli
uomini. Il dato delle migranti che percepiscono una bassa paga arriva
al 30% contro il 12% circa delle italiane, contro il 20% degli uomini
stranieri e il 9% circa dei maschi italiani. Si tratta in questo caso
di vero e proprio sfruttamento lavorativo molto visibile nei lavori
di cura (badanti e assistenti domiciliari), fra le addette alle
pulizie, in agricoltura e nel settore alberghiero. Quasi il 27% delle
donne straniere è in condizione di povertà assoluta. In un Paese
che invecchia, le donne migranti si sostituiscono allo Stato sociale
che non c’è più, anche se teoricamente dovrebbe essere ampiamente
finanziato dalla fiscalità generale, che detto volgarmente sono le
tasse che paghiamo, o meglio detto, che solo alcun* pagano!
Le
donne dunque risultano essere tagliate fuori dal mercato del lavoro e
spesso scarsamente retribuite. Quelle che negli anni si sono dedicate
alla cura della famiglia o hanno ottenuto solo lavori precari o
part-time percepiscono una pensione minima al limite della
sopravvivenza. Ma il BES non prende in considerazione gli effetti che
le differenze di genere in abito lavorativo producono sulle donne in
età pensionabile. I dati statistici sulla condizione delle
pensionate, comunque rilevati dall’ISTAT (anno 2016) dimostrano che
pur essendo la maggioranza (52,7% di pensionate ovvero circa 8,5
milioni) le donne percepiscono in media un importo mensile di quasi
450 euro inferiore a quello maschile: il 47,6% prende una pensione
sotto i mille euro, mentre solo – “solo” si fa per dire: è
comunque un dato drammatico – il 29,6% dei pensionati maschi si
trova nella stessa situazione.
(*)
ripreso da https://lavoratoriautoconvocati.wordpress.com
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