Ai cancelli di Mirafiori, Stellantis, il primo giugno.
Mirafiori, è uno storico stabilimento che, è bene ricordare, ha avuto un importante ruolo nella storia del movimento operaio con decine di migliaia di operai che in quei reparti, hanno preso coscienza, si sono organizzati sindacalmente e politicamente, fino ad essere avanguardia della lotta di classe nel nostro paese e punto di riferimento per la Torino popolare e proletaria.
Un operaio diceva: “I lavoratori, gli operai, devono avere come obiettivo costruire l’unità, tra gli operai della fabbrica, degli stabilimenti sia italiani che internazionali, bene l’andata a Parigi, ma deve servire per organizzare la lotta da lunedì in fabbrica, perché Mirafiori deve scendere in sciopero a fianco di Pomigliano”.
E come le altre grosse fabbriche resta centrale nello scontro con i padroni e governo e va difesa.
Negli ultimi sette anni, la forza lavoro dello stabilimento è stata tagliata del 38%, circa 7200 tra operaie e operai. A questi vanno aggiunti i posti persi nell‘indotto, collegato alla produzione della fabbrica. A Grugliasco è stato chiuso anche il recente stabilimento dove veniva prodotta la Maserati, ora spostata dentro Mirafiori. Una chiusura simbolo della politica di dismissione Stellantis.
Ogni operazione in fabbrica viene raccontata come efficientamento, che vorrebbe dire far funzionare la produzione al meglio, secondo gli interessi del padrone.
Ma se è pur vero che le scelte aziendali puntano sempre all’aumento dei profitti, la ristrutturazione di Mirafiori, anche dopo la cosiddetta fusione tra Fca e Psa, marcia su due piani, pur se intrecciati, uno immediato e l’altro di prospettiva.
Ci sono 1000 operai che lavorano alla catena sottorganico, mentre 2000 sono attualmente in cassa
integrazione che taglia i salari già insufficienti. Sulle linee i tempi delle singole operazioni vengono ridotti, ‘fai fatica anche a bere una bottiglietta d’acqua’ lanciano l’allarme gli operai. I tagli toccano anche le funzioni indirette, calcolate come costi improduttivi, da ridurre. ‘Hanno tagliato l’ente qualità interna, la pulizia, la raccolta plastica…’, ci dicono. Tagliano la manutenzione, tagliano la sicurezza, nel più classico e criminale comportamento dei padroni.
Dicono delle operaie: “non c’è più nulla di come funzionava la fabbrica prima’. Dice un’altra: “non c’è più organizzazione’, ti trattano così… si va avanti giorno per giorno”. "Non ti danno più tregua, invadono la tua vita. Non ci sono più turni nè orari programmati, ma flessibili, a discrezione dei capi. E noi operaie siamo le più colpite, in difficoltà nel ‘conciliare’ il lavoro in fabbrica con quello di cura in famiglia”.
La nuova organizzazione del lavoro spreme più fatica e plusvalore, gli operai dicono chiaramente ‘non ce la facciamo più con questi carichi’. I ritmi alle catene di montaggio sono insopportabili, escono più auto con meno operai. La produzione alla 500el, modello di punta in questo momento, è stata avviata con 100 auto a turno, per aumentare i volumi sono stati assunti 400 precari, in gran parte poi lasciati a casa, ma ora la produzione è a 215/230 auto e si fa tanta fatica a tenere questi ritmi. E siamo già a 90.000 auto prodotte in queste condizioni.
E proprio con queste condizioni di lavoro, con meno auto prodotte e aumentando i prezzi delle auto vendute, nel 2022 Stellantis ha raggiunto l’aumento record del 26% dell’utile netto.
Dice un delegato di Cassino “ora con l’avvento di Giulia, Maserati e Grevale ci troviamo a fare vetture dall’alto valore aggiunto ma che non vengono riconosciute nei salari dei lavoratori, salari che vengono decurtati”.
Nei numeri di Stellantis oggi ci sono il 23% delle immatricolazioni in più, ma da anni, zero assunzioni. E previsioni per il 2030 sono del 70% di operai fuori dalla fabbrica, vista l’età media di 55 anni.
Senza prospettive occupazionali e piani produttivi per il futuro, mentre il milione e mezzo di metri quadrati di area dello stabilimento non più utilizzata per la produzione è centro di grossi interessi immobiliari e finanziari. Molto limitata resta l’ipotesi di riciclo 4R per le auto rottamate.
Gli operai parlano volentieri alle portinerie. Ma nella voce delle operaie/i con evidenza pesa la mancanza di una prospettiva ‘oggi l’azienda sostiene la produzione della 500el perché tira, e domani?’. Come pesa l’assenza di una risposta sindacale adeguata in fabbrica. Al punto che i capi arrivano ad aumentare arbitrariamente la velocità della cadenza delle linee.
La denuncia è sempre netta: “praticamente sono tutti anziani, sembra che vogliano ridurre lo stabilimento da quello che era, hanno chiuso anche Grugliasco che era nuovo, non c’è futuro, se non assumo i giovani non c’è ricambio man mano che vanno in pensione sempre più operai, si riduce il lavoro, vanno a restringere, si perdono posti di lavoro che non verranno più ripresi”.
La repressione si fa sentire, con la minaccia di postazioni più faticose, di cambi improvvisi e frequenti, della cassaintegrazione. ‘Stiamo zitte per non perdere il lavoro”, ammettono due operaie. “Ma se state zitte avete qualche garanzia?”, “No”.
Un altro attacco ai lavoratori, l’azienda lo fa sbagliando i ‘cartellini’ per i lavoratori RCL che hanno riconosciuta una Ridotta Capacità Lavorativa, assegnati per ‘errore’ a postazioni pesanti. Per spingere fuori dalla fabbrica gli operai che non sono in grado di reggere i ritmi di lavoro.
E’ così che le uscite con incentivo, anche se penalizzanti, sono viste come una liberazione. Perchè i problemi, in queste condizioni, finiscono per essere valutati individualmente.
Parlare alle portinerie ha voluto dire parlare di Pomigliano. Tre giorni di sciopero spontaneo per le dure condizioni in linea. Dello sciopero come azione collettiva necessaria oggi anche a Mirafiori, organizzato dal basso e improvviso, per autodifesa, come ribellione allo strapotere dell’azienda, alla lenta agonia dello stabilimento, per riprendere fiducia e forza, e guadare nella lotta all’unità degli operai e degli stabilimenti.
Parlare dello sciopero che a Mirafiori non parte e sarebbe il momento giusto. “Si, dice un’operaia, sarebbe sempre il momento buono per fare lo sciopero”. E come darle torto, ma quanto è necessario lavorare alla fabbrica perché anche a Mirafiori si apra la strada degli scioperi dal basso e improvvisi, lo confermano altre voci operaie: ‘io ho sempre fatto il mio dovere, scioperi, manifestazioni, siamo entrati alla stazione, in autostrada... ora non si muovono’. ‘Lo sciopero deve essere proclamato dal sindacato’, ‘aspettiamo che li convochi il sindacato’, ‘quale sindacato?’ ribatte un altro, ‘qui nessuno ha ancora proclamato sciopero’, ‘paghiamo le tessere ci devono tutelare i sindacati’, glielo dica ai delegati: come mai’.
Il primo giugno nella piazza del Comune hanno parlato dirigenti e delegati Fiom delle principali fabbriche Stellantis, riuniti a Torino per una trasferta a Parigi sotto i palazzi del gruppo per sollecitare un incontro a Tavares, chiedere garanzie, assunzioni e piani produttivi, viste le pericolose condizioni generali di tutti gli stabilimenti Stellantis. Dalla Fiom un invito al dialogo, rivolto alle istituzioni locali, come al governo, in polemica per la mancanza di un piano di sviluppo industriale per il settore automotive, centrale per l’economia del paese.
Da Pomigliano è arrivato l’appello alla Fiom nazionale a sostenere lo sciopero e ad estenderlo nelle altre fabbriche del gruppo; in generale dai delegati resoconti dalle fabbriche, inviti alla mobilitazione, richieste per un tavolo di trattativa.
Da Verrone l’allarme per l’occupazione, oggi ridotta a 397 operai con forti dubbi per la tenuta dello stabilimento. Un delegato diceva: ‘io ho forti dubbi che Verrone rimarrà a produrre quel cambio, perché ormai la manutenzione dei macchinari è ridicola, ci sono perdite di olio ovunque, non si può andare avanti così, nel senso che con pochi dipendenti e i macchinari in questo stato, non credo che riusciremo a supportare la produzione per quel cambio’. Da Mirafiori la denuncia che alle carrozzerie ci sono due fabbriche: la 500 dove gli operai sono sfruttati e la Maserati dove lavorano 3 giorni a settimana, mentre le altre organizzazioni sindacali fanno il palo o sono complici. Da Melfi la sicurezza sulle linee e il salario pesantemente ridotto dalla cassaintegrazione, con il forte ricatto di trasferta in altri stabilimenti per gli operai che si ribellano. Da Cassino il taglio dei posti di lavoro, da 4500 a 2600 dal 2018, prima con un’auto di massa in produzione, oggi con 3 di lusso che non coprono i turni, la cig utilizzata in fabbrica da 14 anni e la rivendicazione della riduzione di orario a parità di paga.
Nell’assemblea è stato invitato a parlare anche il sindaco che ha celebrato indisturbato il funerale della Mirafiori operaia e dato dimostrazione pratica degli interessi delle amministrazioni pubbliche interessate al proprio bilancio e alle relazioni con i grandi capitali, non a difendere i lavoratori.
Ha preso poi la parola la responsabile Filcams per le ricadute su mense e pulizie, con un accenno alla condizione delle donne e ai femminicidi.
Bene l’organizzazione delle trasferta parigina, nel segno dell’unità degli stabilimenti anche internazionale, ma è chiaro che importanti restano le decisioni al ritorno alle fabbriche. Senza trascurare che negli interventi fatti in piazza delegati e sindacalisti hanno parlato delle fabbriche, della pesante situazione come se non ne fossero stati i protagonisti.
Negli altri stabilimenti Stellantis
Lo stato delle cose per quanto riguarda la condizione dei lavoratori e per le prospettive occupazionali negli altri stabilimenti, dopo quello di Mirafiori, non è diverso. Diversa è la dimensione della lotta che attraversa gli stabilimenti.
Questa fase ha avuto un salto di qualità con gli scioperi di Pomigliano, con gli scioperi partiti dal basso che hanno raccolto una maggioranza di lavoratori. Indetti certo dalla Fiom, sostenuti dallo Slai Cobas, ma sono stati gli operai in particolare che hanno raccolto questa indicazione perché la situazione era insopportabile.
Non è tanto il problema che la situazione è insopportabile, questa esiste in tutti gli stabilimenti, ma è la via dello sciopero dal basso che stiamo sostenendo.
Sciopero dal basso non vuol dire sciopero non organizzato e, giustamente, un delegato della Fiom nella piazza di Torino che ha preceduto il viaggio a Parigi ha detto che “gli scioperi non si annunciano, si fanno”. Dobbiamo prendere in parola chi dice questo e sperare che si traducano in fatti. A Melfi, in particolare, perché i due stabilimenti del Sud, di Melfi e di Pomigliano, sono comunque il centro della vicenda Fiat in questo paese.
Siamo stati a Melfi e lì abbiamo portato un discorso altrettanto chiaro per quanto ci riguarda.
Ci siamo trovati in una situazione in cui i sindacati - tutti a dir la verità, compresa la stessa Fiom - inneggiavano al fatto che c'era stato il riconoscimento di crisi industriale di “area complessa” per i territori di Melfi e Potenza, e questo veniva considerato una buona cosa fatta dal governo Meloni/Urso, una buona notizia, e a questo si è collegata l'attività sindacale che le organizzazioni sindacali interne vogliono fare.
In realtà noi non la consideriamo una buona notizia anche per l'esperienza all'ILVA di Taranto e in tutta la città di Taranto e per non dire della Puglia. Da quando quest'area è stata dichiarata “area complessa” abbiamo avuto solo ed esclusivamente cassintegrazione per migliaia di lavoratori, nessuna delle vertenze collegate allo stabilimento dell'ILVA ha avuto una soluzione, dal porto a Cemitaly, dall'appalto di Acciaierie alla Tessitura Albini. Abbiamo avuto chiusura di fabbriche, esuberi, cassintegrazione permanente, soldi buttati esclusivamente in ammortizzatori sociali, in presunti corsi di riqualificazione, che hanno portato un reddito da fame trasformando il territorio in precarietà, disoccupazione, doppio lavoro.
A Melfi è questo il destino deciso, non solo dalla Fiat ma anche dal Governo e dalle istituzioni che accompagnano questo tipo di prospettiva. I governi e le istituzioni, come giustamente hanno rilevato gli operai, a fronte delle loro condizioni spalleggiano i piani delle multinazionali e dei padroni e ne salvaguardano interessi e profitti sulla pelle degli operai e - indirettamente o direttamente – su quella dei lavoratori e delle masse popolari che vivono intorno alle fabbriche.
Anche a Melfi si dice che questo passaggio è l'anticamera di un futuro migliore: non è così. Se il presente è negativo il futuro non è certo migliore. L'obiettivo a cui sindacati puntano parlando di efficace sinergia tra governo regionale e nazionale è l'utilizzo dei finanziamenti a salvaguardia degli attuali livelli occupazionali. La verità è che questi finanziamenti andranno solo - e semplicemente - ad ammortizzatori sociali e a processi di riqualificazione e di riconversione che non riguarderanno tanto la fabbrica ma il territorio, indotto.
Comincia quella lunga trafila di tavoli inconcludenti la cui fine è nota: meno lavoro, meno salario, più precarietà e più sfruttamento.
L'accettazione dei piani del padrone della transizione verso l'elettrico - che, peraltro, verrà in tempi medio/lunghi - farà di Melfi uno stabilimento più piccolo, con un indotto ridotto, con almeno metà degli operai a casa.
Non stiamo qui a ricordare i numeri che vengono dati dalla stessa stampa in merito allo stabilimento: si parla di 11.000 posti di lavoro a rischio tra fabbrica e indotto. Questi numeri vengono anche gonfiati dalla stampa per far considerare i piccoli passi di riduzione di questi numeri come dei risultati, come un male minore e, quindi non saranno 11.000, saranno 1130 ad es., di uscite volontarie come avvenuto finora.
Così come evidentemente questa condizione spinge ad accordi di “mano libera” al patronato nell'intensificato sfruttamento in fabbrica, nei trasferimenti – come quelli tra Melfi e Pomigliano per sostituire operai a casa – nei contratti di solidarietà, con una logica di bassi salari, ritmi e turnazioni infernali. In questo quadro vengono accettate uscite cosiddette “volontarie” e viene accettato tutto quello che avviene in fabbrica: mansioni pesanti e insostenibili, reparti-confine, reparti-ghetto.
Il messaggio che è venuto da Pomigliano ha avuto una buona accoglienza a Melfi. Avere una buona accoglienza significa che maturano anche in questo stabilimento la voglia di scioperi dal basso, di scioperi improvvisi.
La divisione sindacale - che è sempre negativa, chiaramente, perché siamo per l'unità operaia – ma in questa occasione significa che da una parte ci sono i sindacati che firmano qualsiasi accordo con i padroni e sono pronti a questi tavoli ad aprire un’autostrada sia al governo, che ai padroni, nell'interesse delle multinazionali, e dall’altra esiste invece una componente sindacale, delegati, lavoratori che non ci stanno. E questa è una condizione favorevole per lo sviluppo della lotta.
Lo stesso vale negli altri stabilimenti da Cassino alla Sevel. Nello stabilimento di Cassino con un aumento produttivo del 25,7% rispetto al ’21, con una produzione di 55 mila auto, si firmano di fatto accordi che scaricano sui lavoratori i costi della crisi, mentre Stellantis continua a fare profitti.
A Cassino sono trent'anni che la maggioranza degli operai non fa il turno notturno, un operaio di linea riesce a malapena a portarsi a casa €1400 di salario mensile se lavora tutto il mese, altrimenti si scende anche sotto i 1000 euro e nel 2022 il ricorso alla cassa integrazione è stato massiccio. Era anche a fronte di questo che il recente accordo separato ha dato ai lavoratori una miseria assoluta che, sicuramente, non solo non ha coperto in nessuna maniera gli aumenti del costo della vita ma, meno che mai, ciò che i lavoratori stanno perdendo da tempo con la cassa integrazione. Diverse lavorazioni a Cassino stanno ritornando all'interno dello stabilimento e questo ha portato al rischio del posto di lavoro nell’appalto.
E’ da questo che nasce il primo dei problemi: scioperi dal basso per far ripartire la lotta direttamente da dentro gli stabilimenti, unità con gli operai dell’appalto. Questa unità è stata la chiave dei momenti migliori della lotta, vedi i 21 giorni della Fiat Sata, la più grande lotta operaia degli ultimi anni in uno stabilimento automobilistico. Questo comporta che non vengono accettati - neanche dai sindacati che si dicono di base - logiche diverse che non siano quelle dell'organizzazione della lotta e difesa rigida degli interessi operai a partire dai fatti concreti. Sono questi fatti concreti che hanno permesso gli scioperi a Pomigliano, cortei interni, tre giorni di sciopero degli operai impegnati sulla lavorazione della Panda.
Gli operai hanno ottenuto una prima, parziale, vittoria con nuove turnazioni in lastratura e in verniciatura.
Ma la vittoria è stata riprendere la lotta. Lo sciopero di Pomigliano ha aperto una luce in tutti gli stabilimenti ex Fiat e ha costituito un’effettiva preoccupazione per padroni e Governo.
Abbiamo detto che abbiamo pienamente sostenuto il viaggio che la Fiom ha organizzato di delegati dei diversi stabilimenti a Parigi, allo stabilimento di Poissy, al di là dei risultati concreti che certamente non sono stati entusiasmanti: sono stati ricevuti da figure minori del management della Stellantis presenti nello stabilimento così come sicuramente è stato positivo - ma nulla di più - il rapporto stabilito in questa occasione con i delegati CGT.
La cosa va vista nella dinamica di quello che era avvenuto nei giorni precedenti: l'inaugurazione di uno dei tre stabilimenti dell'auto elettrica. Questa inaugurazione è stata sostenuta con entusiasmo dal ministro del Governo italiano, dal ministro Urso, che ha già dimostrato da che parte sta.
Quando i rappresentanti della Fiom insistono e fanno appello al ministro Urso perché alzi la voce nei confronti della proprieta’ dello stabilimento, non si tiene conto che questa voce Urso l'ha già alzata. L’ha alzata per dare però massima assicurazione alla Stellantis che sosterrà il suo impegno nella costruzione del processo di transizione all'auto elettrica. Ma come lo sosterrà?
“Stellantis ma anche gli altri Big puntano su mercati alternativi, dai costi inferiori, dove produrre e vendere auto elettriche ha un prezzo accessibile. Stellantis punta sull'India e l’attenzione del gruppo, per quanto riguarda la nostra area, guarda soprattutto all'Algeria: in questo paese, grazie ai bassi costi energetici, la Fiat produrrà a Tafraoui alcuni modelli, tra cui la 500, per una capacità di 90 mila veicoli in tre anni. L'Algeria, grazie al recente asse energetico con l'Italia, rappresenta infatti l'hub ideale per esportare i veicoli nel resto dell'Africa e nei Paesi arabi” (il Giornale).
La posizione italiana è quella di sostenere questo processo e, quindi, di sostenere questa prospettiva del gruppo. E’ evidente che questa prospettiva segue uno schema già portato avanti ai tempi della Fiat di Marchionne, quando si decise di scegliere la Serbia investendo un miliardo al posto di Mirafiori per produrre la Fiat 500L.
Tutto quindi il processo di transizione energetica avrà - e si muove - all'interno della stessa logica. Questa è la logica che guida tutto il piano di tutto il gruppo industriale. Lo stesso Sole 24 Ore si chiede quale sia il posto dell'Italia in tutto questo? Il baricentro della produzione e dei nuovi progetti non è in Italia ma è in Polonia, a Tichy o in impianti spagnoli come a Saragozza. Nel progetto è prevista la gigafactory di Termoli, ma è ben poca cosa: i grandi numeri la Stellantis punta sempre di più a farli fuori dall'Italia, in Turchia come altrove.
Quindi il punto è come gli operai a livello internazionale rispondono a questo gruppo.
Senza l'unità degli operai a livello internazionale sarà molto difficile contrastare i piani padronali. L'azienda usa gli stabilimenti dei diversi paesi l'uno contro l'altro, come evidentemente lo fa già nel nostro paese.
Nei recenti interventi alle fabbriche, da Melfi a Mirafiori, abbiamo pur sempre trovato una situazione favorevole. Si può dire che il momento giusto della mobilitazione operaia è questo. E questo momento è giusto anche rispetto alla pochezza obiettiva delle proposte che vengono dai sindacati. Questa “gara a chi è più produttivo”, la rivendicazione che “è meglio che li fate da noi perché siamo più produttivi”, significa accettare a priori le condizioni di sfruttamento, di cassa integrazione permanente, di repressione dei diritti e significa accettare che sia il padrone a decidere.
Bisogna togliere quest'arma a Stellantis e al Governo che la sostiene. Non è una questione di sigle sindacali, è una questione di unità dal basso, a partire dalla lotta e dalla chiarezza che bisogna opporre al fronte unico di padroni e governo il fronte unico degli operai e dei lavoratori. Fronte unico costruito attraverso la catena degli scioperi e i legami dal basso.
Oggi è fondamentale non solo lo sciopero del basso ma anche la riorganizzazione dal basso dei lavoratori e su questo pensiamo che la partita sia appena cominciata.
Nessun commento:
Posta un commento