NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
CARENZE NEI LUOGHI DI
LAVORO: DOMANDE E RISPOSTE (SECONDA PARTE)
Da
LavoroInSicurezza
LavoroInSicurezza.org
è un’iniziativa di Rete Iside onlus per lavoratori e lavoratrici, delegati
sindacali e cittadini.
Uno
strumento di intervento per promuovere una nuova cultura della salute e
sicurezza sui luoghi di lavoro. Un progetto totalmente autofinanziato e
indipendente.
Tra
le varie sezioni del sito, vi è quella “Domande/Risposte” dedicata appunto a
fornire risposte a domande poste da lavoratori sui temi della tutela della
salute e sicurezza:
La Sezione è divisa nei
seguenti settori:
RISCHI
PER LA
SALUTE PREVENZIONE-PROTEZIONE
-
esposizione
ad agenti chimico-fisici;
-
rischi
muscolo-scheletrici;
-
rischi
nei lavori ai videoterminali;
-
rischi
nella guida dei veicoli;
-
rischi
da stress lavoro correlato.
RISCHI
PER LA
SICUREZZA PREVENZIONE-PROTEZIONE
-
attrezzature
di lavoro (macchine, utensili elettrici, attrezzi manuali ecc);
-
apparecchiature
per la movimentazione delle merci;
-
carenze
nei luoghi di lavoro.
Nel
presente numero della mia Newsletter riporto le Domande/Risposte relative al
tema “Carenze nei luoghi di lavoro (seconda parte)”.
Marco
Spezia
*
* * * *
DOMANDA
Domani
devo effettuare un lavoro in una zona della mia azienda isolata in cui non ci
sono altri colleghi e non ci sono dispositivi di allerta per eventuali
emergenze.
Come
mi devo comportare?
RISPOSTA
Il
datore di lavoro, ai sensi degli articoli dal 43 al 46 del D.Lgs. 81/08, deve
sempre garantire ai lavoratori un’adeguata gestione delle situazioni di emergenza.
Se,
ad esempio, si verifica un infortunio è fondamentale la presenza di qualcuno
che avvisi un addetto alle emergenze per la gestione adeguata della situazione
(intervento di primo soccorso, chiamata del soccorso esterno ecc).
Un
lavoratore, quindi, non può lavorare da solo perché se, ad esempio, perde
conoscenza, nessuno può effettuare tutte le operazioni di soccorso adeguate.
In
teoria, ma di difficile realizzazione, il datore potrebbe dotare il lavoratore
di un dispositivo di allarme che, in caso di malore del lavoratore, effettua
automaticamente la chiamata di soccorso: in questi casi, però, bisogna
garantire che l’intervento di soccorso venga effettuato in 3-4 minuti.
In
sintesi, quindi, nei locali di lavoro ci deve essere sempre la presenza di
altri lavoratori e di un addetto alle emergenze.
*
* * * *
DOMANDA
Il
mio datore di lavoro mi ha chiesto di lavorare in un ambiente chiuso con
temperature molto elevate dicendomi che la mia sicurezza è garantita.
Vorrei
sapere se c’è un riferimento legislativo e quali diritti ha il lavoratore.
RISPOSTA
Dal
punto di vista tecnico-legislativo in caso di locali confinati (intesi come caratterizzati da limitate aperture
di accesso e da una ventilazione naturale sfavorevole, ad esempio silos, serbatoi
di stoccaggio, ecc.) si applicano degli obblighi specifici, molto più
complessi, per il datore di lavoro rispetto a valutazione dei rischi, misure di
prevenzione, procedure di sicurezza, misure di primo soccorso ed antincendio,
formazione ed addestramento dei lavoratori, ecc.
Quindi
per risponderti in modo corretto servono delle informazioni dettagliate.
Rispetto
al problema della temperatura dei locali la risposta è più semplice: il datore
di lavoro deve garantire, ai sensi dell’articolo 65 e dell’Allegato IV del
D.Lgs. 81/08, una temperatura adeguata dei locali di lavoro connessa con la
tipologia d’attività ed il consumo energetico (sforzo) del lavoratore: ad
esempio per lavoro d’ufficio 21-23
°C oppure per lavoro fisico di media intensità 18-21 °C.
In
ogni caso nel periodo estivo la temperatura dei locali non deve superare i 24
gradi.
Nel
caso in cui, per la tipologia delle lavorazioni effettuate, non è tecnicamente
possibile garantire queste temperature, il datore di lavoro (Allegato IV del
D.Lgs. 81/08) deve provvedere alla
difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante
misure tecniche localizzate o mezzi personali di protezione.
In
sintesi per legge il datore di lavoro deve adottare il seguente schema
d’azione:
-
verificare
se è tecnicamente possibile effettuare queste operazioni, in ambiente
confinato, senza l’intervento del lavoratore; se non è tecnicamente possibile:
-
garantire,
oltre a tutte le altre misure di sicurezza, una temperatura adeguata dei
locali; se non è tecnicamente possibile:
-
adottare
misure tecniche localizzate, o Dispositivi di Protezione Individuale, per
garantire una temperatura adeguata al lavoratore.
*
* * * *
DOMANDA
Nel
caso di lavori nel sottosuolo c’è bisogno di autorizzazioni particolari?
RISPOSTA
In
generale è vietato adibire i locali sotterranei per attività lavorative
A
questo divieto si può derogare solo se ci sono dei vincoli tecnici di
produzione ineliminabili, in sintesi se si tratta di lavorazioni che possono
essere effettuate solo in locali sotterranei.
In
questi casi, però, il datore di lavoro deve sempre garantire i requisiti
adeguati minimi previsti per i locali di lavoro (a livello di aerazione,
illuminazione e microclima) e ottenere un’autorizzazione specifica dagli Organi
di vigilanza.
Ecco
cosa specifica il testo dell’articolo 65 del D.Lgs. 81/08 sui locali
sotterranei o semisotterranei:
-
E’ vietato destinare al lavoro locali chiusi
sotterranei o semisotterranei.
-
In deroga alle disposizioni di cui sopra, possono
essere destinati al lavoro locali chiusi sotterranei o semisotterranei, quando
ricorrano particolari esigenze tecniche. In tali casi il datore di lavoro
provvede ad assicurare idonee condizioni di aerazione, di illuminazione e di
microclima.
-
L’organo di vigilanza può consentire l’uso dei
locali chiusi sotterranei o semisotterranei anche per altre lavorazioni per le
quali non ricorrono le esigenze tecniche, quando dette lavorazioni non diano
luogo a emissioni di agenti nocivi, sempre che siano rispettate le norme del presente
Decreto Legislativo e si sia provveduto ad assicurare le condizioni di cui al
comma precedente.
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* * * *
DOMANDA
Per
effettuare una lavorazione in un reparto della mia azienda a quali obblighi
deve ottemperare il mio datore di lavoro?
RISPOSTA
Il
datore di lavoro, ai sensi del D.Lgs. 81/08, deve prima di tutto avere il
certificato di usabilità-agibilità
dei locali di lavoro, rilasciato dagli organi di vigilanza (ASL), in cui si
attesta che i locali sono idonei a essere utilizzati per una specifica
tipologia di attività lavorativa. Se l’attività cambia bisogna aggiornare il
certificato per verificare se ci sono ancora le condizioni di idoneità rispetto ai rischi per la
salute dei lavoratori.
Ad
esempio, se si decide di spostare in un locale l’attività di saldatura o
verniciatura, bisogna verificare che ci siano le condizioni per garantire la salubrità dell’area, sia a livello di
areazione naturale (finestre, ecc.), che di sistemi di aspirazione degli agenti
inquinanti (i fumi di saldatura o verniciatura).
Ti
consigliamo di procedere in questo modo:
-
scrivere
prima una lettera al datore di lavoro in cui denunci il problema e chiedi di
visionare il certificato di agibilità
dei locali di lavoro per verificare che siano contemplate anche le attività attualmente
effettuate; nella lettera ti conviene chiarire che ritieni responsabili il datore
di lavoro, e il tuo dirigente di area, dei danni alla salute dei lavoratori che
possono essere causati dal mancato rispetto dei requisiti previsti, da leggi e
norme, per i locali di lavoro rispetto ai rischi connessi alle lavorazioni
effettuate; ti conviene precisare, inoltre, che se il problema non sarà
risolto, ti rivolgerai agli organi di vigilanza territoriali (ASL);
-
se
il problema non viene risolto puoi fare denuncia alla ASL territoriale; in
questo caso gli ispettori ASL verificano la situazione e, se rilevano rischi
per la salute, impongono e prescrivono
al datore di lavoro di attuare le misure adeguate per risolvere il problema: adeguare
i locali di lavoro rispetto ai rischi provocati dalle attività effettuate.
Se
ritieni che non abbia senso la lettera al primo punto, puoi partire
direttamente con la denuncia alla ASL (secondo punto).
Importante: fatti consegnare una copia controfirmata
(dal medico e dal datore di lavoro) della lettera.
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* * * *
DOMANDA
Che
tipi di interventi possono essere intrapresi per i colleghi che soffrono di
allergie e devono lavorare in locali scarsamente puliti?
RISPOSTA
Ciao,
ti consigliamo di procedere in questo modo.
Scrivi
una lettera al medico competente, e al dirigente con delega di “datore di
lavoro” ai sensi del D.Lgs. 81/08, in cui denunci il problema e chiedi:
-
al
medico di certificare, in forma scritta, che il livello igienico dei locali non
può comportare danni alla salute dei lavoratori con problemi di allergie;
-
al
datore di lavoro di certificare, in forma scritta, che nella Valutazione dei
Rischi è stato analizzato il problema ed è stato valutato come “assente” il
livello di rischio per i lavoratori con problemi di allergie.
Ti
conviene precisare, inoltre, che se entro un certo periodo (ad esempio una
settimana) il problema non sarà risolto, ti rivolgerai agli organi di vigilanza
territoriali (ASL).
Se
il problema non viene risolto puoi fare denuncia alla ASL territoriale.
In
questo caso gli ispettori ASL verificano la situazione e, se rilevano rischi
per la salute, impongono o meglio “prescrivono” al datore di lavoro di attuare
le misure adeguate per risolvere il problema: migliorare il livello igienico
dei locali di lavoro.
Importante: fatti consegnare una copia controfirmata
(dal medico e dal datore di lavoro) della lettera.
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DOMANDA
Da
alcuni mesi faccio le pulizie della scuola da solo. Non ci sono né colleghi né
altro personale scolastico.
Volevo
sapere se è previsto che svolga la mia attività da solo?
RISPOSTA
Un
lavoratore non può essere solo durante il lavoro perché, se si fa male, non ci
sarebbe nessuno per soccorrerlo.
Nel
tuo caso, quindi, il datore di lavoro non ha ottemperato agli obblighi di legge
previsti per la gestione delle situazioni di emergenza (primo soccorso ed
incendi).
Ci
possono essere dei casi, ma non mi sembra il tuo, in cui se è previsto che un
lavoratore resti da solo viene dotato di dispositivi (chiamati a “uomo
presente”) che, in caso di perdita della conoscenza, effettuano automaticamente
la chiamata di Pronto Soccorso.
Ti
consiglio di chiedere al datore di lavoro, magari tramite il tuo RLS, il Piano
per la gestione delle emergenze e verificare cosa è stato previsto per il tuo
caso (quando sei da solo).
Ho
paura però che non sia stato considerato e, quindi, puoi richiedere che ci sia
sempre qualcuno (addetto alla gestione delle emergenze) quando lavori.
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DOMANDA
La
porta del montacarichi con cui portiamo la merce dal magazzino alla vendita si
apre quando il montacarichi non è al piano.
RISPOSTA
Ciao,
stai
ponendo un problema di una gravità molto elevata: in una situazione simile,
infatti, si possono verificare infortuni gravi sia per schiacciamento che per caduta
dall’alto.
La
porta del montacarichi, come per gli ascensori, si deve aprire solo quando la
cabina è presente al piano.
Ti
conviene segnalare subito la situazione di rischio (al RSPP, responsabile della
sicurezza in azienda, ed al datore di lavoro) e interrompere l’attività con il
montacarichi fino a quando non viene “messo in sicurezza”.
Il
datore di lavoro, dal punto di vista dei suoi obblighi di legge, non può
costringere un lavoratore a svolgere attività che comportano gravi rischi per
la salute e la sicurezza.
MOBBING, STRAINING,
BOSSING: UNA VITA DIFFICILE
Da
Studio Cataldi
27/12/16
Avvocato
Aldo Maturo
Anche
se è difficile provare il nesso di causalità, la vittima ha a disposizione
diverse forme di tutela.
Deve
essere terribile uscire di casa tutti i giorni per andare al lavoro pensando
che le ore trascorreranno in uno stato di conflittualità permanente per i
difficili rapporti con colleghi invidiosi, gelosi o prevaricatori. Ancora
peggio se un tale rapporto riguarda il superiore gerarchico, capoufficio o
caporeparto che sia.
Le
giornate lavorative si susseguono in un clima di pressione psicologica che
rende la vita impossibile e spinge il lavoratore verso uno stato di depressione
sempre più invalidante.
Pare
che solo in Italia le vittime del mobbing siano un milione e mezzo con una
percentuale del 70% nella pubblica amministrazione.
Quello
che gli inglesi, in una accezione ormai consolidata, chiamano mobbing, dal verbo
“to mob”, aggredire, è un complesso di violenze morali e psicologiche
esercitate su un dipendente nell’ambiente di lavoro. I mobbers (aggressori)
possono essere i superiori gerarchici, (mobbing verticale), i colleghi di
lavoro (mobbing orizzontale), ma anche i dipendenti (mobbing ascendente).
La Corte di Cassazione
(sentenza n.87 del 10/01/12) ha qualificato come mobbing la condotta del datore
di lavoro nei confronti del dipendente caratterizzata da sistematici e
reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di
prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la
mortificazione morale e l’emarginazione del lavoratore, con effetto lesivo del
suo equilibrio psico-fisico e della sua personalità.
Alcuni
esempi di comportamenti ostili, vessatori e discriminatori possono essere ad
esempio:
-
atteggiamento
palesemente difforme del superiore rispetto agli altri dipendenti;
-
sistematico
discredito, calunnia, diffamazione di colleghi verso un altro collega;
-
dequalificazione
nel lavoro;
-
diniego
immotivato di permessi o ferie;
-
accuse
generiche, non supportate da fatti o circostanze;
-
rimproveri
alla presenza di colleghi pari grado, inferiori o in pubblico;
-
critiche
continue e immotivate, aggressioni verbali;
-
demansionamento
e attribuzione di compiti dequalificanti e non adeguati alla propria professionalità
(se però le mansioni ritenute dequalificanti possono essere ritenute
equivalenti allora questo rientra nel diritto del datore di lavoro di
organizzare l’ufficio o l’azienda)
-
desocializzazione
con isolamento fisico in uffici decentrati, senza contatti con altri, negando
all’interessato le informazioni di lavoro necessarie;
-
richiesta
di più controlli medico-fiscali per lo stesso periodo di assenza per malattia,
diversamente dalle prassi seguite nei confronti di altri;
-
distacchi
illegittimi;
-
minacce
continue o immotivate di procedimenti disciplinari.
E’
opportuno evidenziare che non vi è mobbing se non è provato il carattere
persecutorio dei comportamenti contestati (Sentenza della Corte di Cassazione
n. 19180 del 28/09/16) mentre, d’altra parte, è stato riconosciuto il mobbing
anche senza l’evento dannoso essendo sufficiente la condotta avente
caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione risultante da una
connotazione emulativa e pretestuosa (Corte di Appello di Firenze, Sentenza
n.1100 del 17/11/11).
Forme
di tutela contro il mobbing possono essere la denunzia al dirigente
gerarchicamente sovraordinato all’autore del mobbing, la tutela sindacale, la
segnalazione/denunzia al Ministero o Azienda che hanno l’obbligo di proteggere
i loro dipendenti (Sentenza della Corte di Cassazione n. 1471 del 09/04/13) e
ne rispondono quanto meno ai sensi dell’articolo 2087 del Codice Civile che
impone l’obbligo per il datore di lavoro di adottare le misure necessarie a
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore.
L’estrema
soluzione resta quella della tutela davanti al magistrato, sapendo che bisogna
provare la presenza di tutti gli elementi costitutivi oggettivi e soggettivi
costituenti l’azione mobizzante nonché l’intento persecutorio da parte del
mobber. (Sentenza della Corte di Cassazione n. 3875 del 26/12/08). E’ chiaro
che non c’è mobbing se lo stato psicofisico del denunziante è attribuibile a
mania di persecuzione.
Se
il ricorso per vie giudiziarie va a buon fine, si può chiedere il risarcimento
danni perché è risarcibile ogni danno esistenziale di qualsiasi natura ed
entità, purché accertabile (Sentenza della Corte di Cassazione, n.3057 del
2012).
Diversamente
dal mobbing, nello “straining” manca la continuità nelle azioni vessatorie che
sono invece limitate nel numero e distanziate nel tempo. Il soggetto vive sul
posto di lavoro una situazione di stress forzato non per i normali ritmi di
lavoro, ma perché è destinatario da parte di un superiore di un’azione
volutamente ostile, stressante e discriminante che, pur senza continuità,
riflette nel tempo gli effetti dell’azione ingiusta (Sentenza della Corte di
Cassazione n.3291 del 2016)
Si
pensi ad esempio al trasferimento immotivato in una sede disagiata,
all’affidamento di un carico di lavoro insostenibile nel tempo richiesto, alla
collocazione in una stanza disadorna, alla privazione del computer di lavoro
per un tempo ingiustificato. Anche in questo caso scade la qualità della vita
del soggetto che si sente discriminato ingiustamente e può accusare disturbi
psicofisici.
Il
lavoratore vittima di straining può invocare davanti al giudice la tutela
prevista dal D.Lgs. 81/08, perché il Datore di lavoro deve vigilare sul
comportamento dei suoi dirigenti e in caso negativo deve risarcire la vittima
che abbia prodotto prove sufficienti a dimostrare gli abusi subìti, anche
attraverso testimonianze di colleghi, di perizie mediche e di consulenze
psicologiche.
Con
il termine bossing si è soliti identificare invece una particolare forma di
vessazione psicologica operata nell’ambito del luogo di lavoro nei confronti di
un dipendente da un superiore gerarchico. A differenza del mobbing, dove la
vessazione può essere attuata anche dai colleghi, nel caso specifico di bossing
è un superiore gerarchico ad indurre la “vittima” in uno stato tale da
preferire le dimissioni spontanee piuttosto che la sopportazione delle
pressioni imposte.
La
dottrina più attenta tende a configurare il bossing nel più ampio genus del
mobbing, di cui rappresenta una species. Il datore di lavoro, o comunque un
superiore gerarchico, nel caso che ci occupa, ha intenzione volgarmente di
sbarazzarsi di un suo sottoposto, ma non potendolo licenziare (o non volendo)
preferisce che sia questi a presentare le proprie dimissioni e ponendo in
essere una condotta vessatoria che può assumere forme molteplici, lo induce a
poco a poco a preferire detta soluzione.
Le
condotte che configurano il bossing possono essere varie, come ad esempio la
negazione di determinati benefits o accessori concessi a dipendenti di pari
qualifica e grado, l’assegnazione di funzioni degradanti o, molto più
genericamente, la funesta pressione operata con il semplice scopo di procurare nella
vittima un intollerabile sentimento di vessazione che la induce a preferire
l’interruzione del rapporto di lavoro.
Perché
viene praticato il bossing?
Più
che giuridiche le ragioni che determinano il bossing sono meglio ascrivibili
nelle scienze sociologiche.
Il
datore di lavoro, secondo alcuni osservatori, talvolta si sente “minacciato”
dalla presenza del dipendente, ritenendo che lo stesso sia particolarmente
qualificato o meritevole e, come tale, suscettibile di poterlo surclassare,
mettere in ombra o rivestire le sue funzioni. Molto più spesso invece, il
datore di lavoro o il superiore gerarchico preferiscono questa strada perché
non vogliono fare ricorso alle lunghe procedure di licenziamento, accordi
sindacali e tutti gli altri strumenti che il diritto del lavoro impone per
dirimere questo genere di dispute.
Rimproveri,
minacce, ritorsioni o azioni di sabotaggio, sono tra le azioni più comuni che
chi pone in essere il bossing utilizza per poter generare nella vittima uno
stato di ansia e vessazione che la induce a licenziarsi.
Cosa
dice la legge al riguardo?
I
rimedi attuati contro il bossing non sono solo di natura legislativa, ma anche
sindacale o associazionistica.
Numerose
associazioni, non solo sindacali, si battono per affrontare questa condotta che
reca nocumento e disagio nei confronti dei dipendenti.
Il
Decreto Legislativo 81/08 all’articolo 28, comma 1 così dispone: “La
valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta
delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici
impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare
tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli
riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche
quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo
europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di
gravidanza, secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n.
151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla
provenienza da altri Paesi”.
Sul
punto, di particolare rilievo è finanche l’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004
dal quale si apprende che l’individuo ha una maggiore difficoltà a sostenere
un’esposizione prolungata a un’intensa pressione, chiarendo inoltre che lo
stress non è una malattia, ma un’esposizione prolungata ad esso può ridurre
l’efficienza nel lavoro causando finanche delle patologie.
Quali
possono essere i rimedi al bossing?
Il
lavoratore può richiedere in sede giudiziaria un risarcimento danni per essersi
licenziato a causa del bossing, ma la prova del danno è a suo esclusivo carico.
Come
la Corte di
Cassazione ha ammesso in un noto precedente “L’articolo 2087 del Codice Civile
non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la
responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi
di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze
sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe sul lavoratore che
lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla
salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività
dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro e, solo se il
lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze, sussiste per il datore
di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad
impedire il verificarsi del danno e che la malattia de dipendente non è
ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi” (Sentenza della Corte di
Cassazione Civile Sezione Lavoro n. 2038 del 29 gennaio 2013).
Per
approfondimenti, vai alla guida completa sul mobbing, all’indirizzo:
SICUREZZA
E TUTELE PER I LAVORATORI A TERMINE E IN SOMMINISTRAZIONE
Da: PuntoSicuro
12 dicembre 2016
di Tiziano Menduto
Un intervento si sofferma sulla tutela della
salute e sicurezza nelle tipologie contrattuali flessibili dopo il Jobs Act,
con riferimento anche al ruolo del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS). Focus
sul lavoro a termine e sul lavoro in somministrazione.
Le ricerche su infortuni e malattie
professionali sono chiare: i lavoratori flessibili sono esposti a maggiori
rischi proprio in ragione della particolare natura del loro rapporto di lavoro,
a prescindere dall’oggettiva pericolosità dell’attività svolta. E a questo
proposito si può affermare che la flessibilità lavorativa costituisca dunque un
“rischio in sé”.
A raccontare in questi termini i rischi dei
lavoratori flessibili è un intervento al convegno “Modelli di rappresentanza e
forme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori”, che si è tenuto a
Pesaro il 30 settembre 2016.
Un convegno organizzato da OPRAM (Organismo
Paritetico Regionale Artigianato Marche) e coordinato del profesor Paolo
Pascucci (Università di Urbino Carlo Bo), che ha offerto diversi spunti di
riflessioni sugli RLS e sul tema della rappresentanza in materia di salute e
sicurezza.
In “Tutela della salute e sicurezza nelle
tipologie contrattuali flessibili dopo il Jobs Act e ruolo del RLS”, a cura di
Chiara Lazzari (professore a contratto di Diritto del Lavoro presso
l’Università di Urbino Carlo Bo) si ricorda innanzitutto la Direttiva europea
91/383/EE, che “completa le misure volte a promuovere il miglioramento della
sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di
lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale” e ci si
sofferma su due diversi aspetti.
Da un lato l’impatto del D.Lgs. 81/15 D.Lgs.
151/15 rispetto alle problematiche relative alla tutela della salute e sicurezza
dei lavoratori flessibili, e dall’altro il ruolo che il RLS può svolgere nella
tutela di tali lavoratori.
La relatrice entra in particolare nei
dettagli di alcune tipologie di flessibilità: lavoro a termine, lavoro in
somministrazione, collaborazioni autonome e lavoro accessorio.
Ad esempio riguardo al lavoro a termine
indica che si conferma (articolo 20, comma 1, lettera d) del D.Lgs. 81/15),
così come per la somministrazione di lavoro ed il lavoro intermittente il
divieto di stipulazione del contratto a tempo determinato con riferimento a
quei datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi. Il
comma 2 dello stesso articolo aggiunge, però, l’importante precisazione giusta
la quale la violazione (anche) del divieto in questione è sanzionata ora con la
trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato,
conformemente all’orientamento già accolto dalla giurisprudenza e dottrina
maggioritarie.
Tuttavia si segnala la mancata riproposizione
di quanto disposto dall’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 368/01 (“il lavoratore
assunto con contratto a tempo determinato dovrà ricevere una formazione
sufficiente e adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del
contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del
lavoro”). E dal punto di vista sostanziale, continua la relatrice, merita
ricordare come l’articolo 37 del D.Lgs. 81/08 imponga al datore di lavoro di
assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata
in materia di salute e sicurezza, con particolare riguardo, tra l’altro, ai
rischi riferiti alle mansioni (comma 1, lettera b). E in ogni caso, l’articolo
28, comma 2, lettera f), dispone che il documento di valutazione dei rischi
contenga l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i
lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità
professionale, specifica esperienza, adeguata formazione ed addestramento.
Ed è dunque necessario comprendere se
l’abrogazione dell’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. 368/01 possa compromettere
la già incerta attuazione nel nostro ordinamento della citata Direttiva
91/383/CE.
Se non sembra che il livello di tutela
precedentemente garantito possa dirsi peggiorato, la mancata riproposizione
della disposizione pare comunque inserirsi in quel farraginoso, e inadeguato,
percorso di recepimento della Direttiva in questione da più parti
stigmatizzato. Sicché, nonostante il rimedio interpretativo riesca tutto
sommato a soddisfare le esigenze preventive e protettive, restano non poche
perplessità per la scarsa sensibilità, che pare emergere dall’abrogazione
operata, dimostrata dal legislatore relativamente alle problematiche concernenti
la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori flessibili, con il
rischio che ciò si traduca altresì in un aggravamento della già dubbia
conformità del nostro ordinamento rispetto al diritto comunitario.
Rimandando ad altro articolo
l’approfondimento sulle problematiche delle collaborazioni autonome, del lavoro
accessorio e del ruolo degli RLS, come contenute nella relazione di Lazzari, ci
fermiamo ora alle problematiche rilevate riguardo al lavoro in
somministrazione.
Anche in questo caso va segnalata
l’abrogazione di quanto statuito dal terzo periodo dell’articolo 23, comma 5,
del D.Lgs. 276/03, secondo cui, “nel caso in cui le mansioni cui è adibito il
prestatore di lavoro richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino
rischi specifici, l’utilizzatore ne informa il lavoratore”. E ancora una volta
la modifica potrebbe porre qualche problema rispetto al Diritto Comunitario,
dal momento che la disposizione costituiva attuazione, già “al minimo”,
dell’obbligo d’informazione (cui, secondo l’articolo 3 della Direttiva
91/383/CE, sono tenuti l’impresa o lo stabilimento utilizzatori prima che il
lavoratore inizi a svolgere la propria attività) avente ad oggetto “i rischi
che (il medesimo) corre”, dovendo riguardare “in particolare l’esigenza di
qualifiche o attitudini professionali particolari o di una sorveglianza medica
speciale definita dalla legislazione nazionale”, e “gli eventuali rischi aggravati
specifici connessi con il posto di lavoro da occupare”. Sicché, continua la
relatrice, il legislatore avrebbe semmai dovuto cogliere l’occasione offerta
dalla nuova regolamentazione per un intervento in materia, a partire dalla
precisazione dell’indefinita nozione di “sorveglianza medica speciale”,
piuttosto che procedere radicalmente all’eliminazione dell’obbligo in questione.
Quanto al resto si ribadisce (articolo 35,
comma 4, ultimo periodo del D.Lgs. 81/15) che l’utilizzatore osserva nei
confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione e protezione
cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, verso i propri dipendenti. E
analogamente si riconferma l’obbligo del somministratore d’informare i
lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività
produttive e di formarli ed addestrarli all’uso delle attrezzature di lavoro
necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale essi vengono
assunti; così come si mantiene la possibilità di trasferire detto adempimento
all’utilizzatore. Quanto all’inciso, che compariva nel citato articolo 23,
comma 5, secondo periodo, “in tale caso ne va fatta indicazione nel contratto
con il lavoratore” (riferito proprio all’ipotesi in cui ci si avvalesse della
ricordata possibilità di trasferimento) sarebbe stato opportuno che la sua
mancata riproposizione fosse coordinata con quanto previsto dall’articolo 33,
comma 3, del D.Lgs. 81/15, nel senso d’inserire tale informazione tra quelle
che il somministratore deve comunicare per iscritto al lavoratore in ordine al
contenuto del contratto di somministrazione, ma così non è stato.
Concludiamo ricordando che la relazione
segnala poi come un passo indietro si registri altresì con riferimento ai
presidi posti a tutela dell’effettività del divieto di ricorrere alla
somministrazione di lavoro in caso di mancata valutazione dei rischi.
Ed infatti in relazione alla relazione
trilaterale che caratterizza questa tipologia contrattuale, il ruolo del
somministratore era reso corresponsabile, per la corretta osservanza del
divieto di cui al vecchio articolo 20, comma 5, lettera c) del D.Lgs. 276/03,
dalla previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria destinata a colpire
entrambi i contraenti (somministratore ed utilizzatore) in caso di sua
violazione (articolo 18, comma 3 del D.Lgs. 276/03).
Tuttavia l’articolo 18, comma 3 è stato
abrogato (articolo 55, comma 1, lettera d) del D.Lgs. 81/15) e, al suo posto,
il nuovo articolo 40, comma 1 del D.Lgs. 81/15 punisce, per la violazione dei
divieti posti dall’articolo 32, solo l’utilizzatore, sgravando, quindi, il
somministratore di ogni responsabilità in proposito.
Si ricorda, comunque, che l’esibizione del
documento di valutazione dei rischi da parte dell’utilizzatore risulta in ogni
caso funzionale al corretto assolvimento delle prescrizioni di cui all’articolo
33, comma 3, del D.Lgs. 81/15, che sanciscono, in capo al somministratore, il
dovere di comunicare per iscritto al lavoratore, all’atto dell’assunzione o
dell’invio in missione, il contenuto del contratto di somministrazione, tra cui
va annoverata l’indicazione della presenza di eventuali rischi per la salute e
la sicurezza, così come delle misure di prevenzione adottate (articolo 33,
comma 1, lettera c) del D.Lgs. 81/15).
Il documento “Tutela della salute e sicurezza
nelle tipologie contrattuali flessibili dopo il Jobs Act e ruolo del RLS”, a
cura di Chiara Lazzari (professoressa a contratto di Diritto del Lavoro presso
l’Università di Urbino Carlo Bo e condirettrice Osservatorio Olympus) è
scaricabile all’indirizzo:
IMPARARE
DAGLI ERRORI: INFORTUNI DURANTE L’USO DELL’ARGANO
Da: PuntoSicuro
22 dicembre 2016
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni correlati all’utilizzo
degli argani nei cantieri. Gli incidenti nelle attività di movimentazione di
mattoni e di sollevamento di sacchi di calce. La dinamica degli infortuni, i
castelli di carico, la documentazione e la prevenzione.
Nei cantieri edili un’attrezzatura spesso
utilizzata per il sollevamento di carichi è l’argano, un’attrezzatura purtroppo
correlata, come ricordato anche dalla nostra rubrica “Imparare dagli errori”, a
cadute dall’alto e a infortuni dipendenti anche dal mancato rispetto delle
procedure di sicurezza nell’utilizzo dell’elevatore.
Per cercare di favorire la prevenzione di
questi infortuni, presentiamo alcuni degli incidenti che avvengono
nell’utilizzo degli argani/elevatori da cantiere proponendo anche spunti e
suggerimenti per migliorare la gestione della sicurezza nei cantieri.
Ricordiamo, come sempre, che le dinamiche
degli infortuni presentati sono tratte dalle schede di INFOR.MO., strumento per
l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di
sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il primo caso riguarda un infortunio durante
la movimentazione di mattoni.
Un lavoratore, titolare della ditta, si trova
sul piano di lavoro del castello di tiro a circa 3 metri di altezza e sta
movimentando i mattoni mediante l’utilizzo di una carriola agganciata
all’argano installato sul castello.
Nell’atto di prendere i mattoni dalla
carriola si sbilancia e nel cadere a terra urta la carriola facendone
rovesciare il contenuto. Nel piano di lavoro del castello di tiro era presente
un parapetto. L’infortunato riporta una frattura cranica.
Il secondo caso riguarda un infortunio
durante il sollevamento di sacchi di calce.
Un lavoratore si trova su un castello di
carico di un ponteggio privo di protezioni e sta sollevando con un argano una
carriola carica di sacchi di calce.
Mentre cerca di fare appoggiare la carriola
sul piano di carico dopo averla sganciata, la stessa si sbilancia e il
lavoratore per cercare di bloccarla cade nel vuoto insieme ad essa riportando
la frattura della coscia sinistra.
Per quanto riguarda la prevenzione,
rimandiamo innanzitutto, per quanto riguarda le cadute dall’alto, i rischi dei
lavori in quota e la prevenzione correlata, ai molti articoli della rubrica dedicati
a questi temi, sia con riferimento alla caduta dei ponteggi che all’utilizzo di
protezioni collettive o individuali.
In particolare il tema dei castelli di carico
e della documentazione correlata è affrontato dalla guida “Documentazione di
Cantiere”, pubblicata sul sito del Comitato Paritetico Territoriale di Bergamo
e elaborata dal Coordinamento regionale dei CPT della Lombardia (Bergamo,
Brescia, Como, Cremona, Lecco, Mantova, Milano, Lodi, Monza Brianza, Pavia,
Sondrio e Varese). Una guida che offre un quadro riassuntivo della principale
documentazione, relativa alla sicurezza, che deve essere tenuta in un cantiere
edile.
La guida riporta informazioni sul progetto
(disegno esecutivo con relazione di calcolo) che serve prima della
realizzazione del ponteggio/castello di carico, come richiesto dal D.Lgs. 81/08
al Titolo IV, articolo 133. E si sottolinea che i ponteggi di altezza superiore
ai 20 metri
e quelli che non risultano conformi agli schemi di impiego previsti
nell’Autorizzazione Ministeriale e nel libretto del fabbricante, devono essere
eretti in base ad un progetto comprendente:
-
calcolo
di resistenza e stabilità eseguito secondo le istruzioni approvate
nell’autorizzazione ministeriale;
-
disegno
esecutivo.
Inoltre è vietato l’uso promiscuo di elementi
strutturali di ponteggio aventi Autorizzazioni Ministeriali diverse all’interno
degli schemi previsti. Negli altri casi (partenze e parapetti di sommità al di
fuori degli schemi) occorre un progetto specifico. Senza dimenticare che tutti
i castelli di carico non previsti nell’Autorizzazione Ministeriale devono
essere allestiti in base ad un progetto.
Per avere invece indicazioni specifiche sugli
argani possiamo fare riferimento al documento dell’INAIL “Vademecum per un
cantiere etico”, frutto del Protocollo d’Intesa tra la Direzione Regionale
INAIL Campania e il Coordinamento regionale dei CPT.
Nel documento si indica che gli argani,
apparecchi di sollevamento costituiti da un elevatore e dalla relativa
struttura di supporto, sono principalmente di due tipi:
-
argano
a cavalletto: l’argano elevatore è fissato alla rotaia, provvista di un
dispositivo di arresto di fine corsa ad azione ammortizzante; la rotaia è
sostenuta da due cavalletti posti anteriormente e posteriormente alla trave; la
portata massima sollevabile varia da 300 kg a 1.000 kg;
-
argano
a bandiera: l’argano elevatore è fissato a un supporto a bandiera snodato in
modo da poter permettere la rotazione; la portata massima può essere poco
superiore ai 200 kg.
Si ricorda che per portata superiore a 200 kg l’argano è soggetto
ad omologazione dell’INAIL Settore Ricerca.
Dalle domande contenute nel vademecum, utili
per comprendere se sono attuate le indicazioni normative vigenti, si possono
ricavare alcune indicazioni per la sicurezza.
Ad esempio l’argano deve essere:
-
munito
di targhetta con marchio CE con relativa dichiarazione di conformità e di
libretto di istruzione;
-
munito
di libretto di omologazione e targhetta di immatricolazione rilasciati
dall’INAIL Settore Ricerca (per portata superiore a 200 kg);
-
munito
di un libretto di uso e manutenzione;
-
montato
secondo il libretto di uso.
Queste, infine, come riportato nel documento,
le verifiche da eseguire prima dell’uso di un argano, con riferimento a quanto
disposto dall’Allegato V del D.Lgs. 81/08:
-
devono
essere esposti, in prossimità dell’argano e alla base del castello di carico, i
cartelli indicanti le principali norme d’uso, le segnalazioni per comunicare
con il manovratore, le norme di sicurezza, le istruzioni di imbracatura dei
carichi e il carico nominale dell’elevatore;
-
la
rotaia entro la quale scorre l’argano deve essere provvista all’estremità di un
dispositivo di arresto di fine corsa ad azione ammortizzante;
-
le
estremità delle funi devono essere provviste di piombatura o di legatura a
morsettiera;
-
i
ganci devono essere dotati all’imbocco di dispositivo di chiusura funzionante e
portare inciso il marchio di conformità e la portata massima ammissibile;
-
il
posto di lavoro soggetto al passaggio di carichi sospesi deve essere protetto
tramite una robusta tettoia alta non più di 3 m;
-
la
zona di azione del sollevatore a terra deve essere transennata;
-
deve
essere presente il dispositivo di arresto automatico del carico in caso di
interruzione dell’energia elettrica;
-
deve
essere presente il dispositivo di frenatura per pronto arresto e la posizione
di fermo del carico e del mezzo;
-
le
funi metalliche dell’impianto di sollevamento, in rapporto al carico massimo
ammissibile, devono essere state dimensionate con un coefficiente di sicurezza
almeno pari a 8;
-
devono
essere utilizzate per il sollevamento dei carichi brache omologate e conformi
all’impianto stesso.
Il sito web di INFOR.MO., di cui
nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 6299 e 6328 è consultabile
all’indirizzo:
Il documento “Documentazione di Cantiere”,
pubblicato dal Comitato Paritetico Territoriale di Bergamo ed elaborato dal
Coordinamento regionale dei CPT della Lombardia è scaricabile all’indirizzo:
Il documento dell’INAIL “Vademecum per un
cantiere etico”, frutto del Protocollo d’Intesa tra la Direzione Regionale
INAIL Campania e il Coordinamento regionale dei CPT è scaricabile all’indirizzo:
GUARINIELLO:
LA SENTENZA
THYSSEN-KRUPP, IL PROCESSO ETERNIT E LE NOVITA’ SULL’AMIANTO
Da: PuntoSicuro
23 dicembre 2016
di Tiziano Menduto
In questi mesi ci sono state importanti
novità per i processi Eternit bis e Thyssen-Krupp. E siamo in attesa di
rilevanti novità normative in tema di amianto e uranio. Ne parliamo con l’ex
magistrato Raffaele Guariniello.
Raffaele Guariniello, ex Sostituto
Procuratore e ex coordinatore del pool di magistrati della Procura di Torino,
specializzato nei problemi relativi alla sicurezza sul lavoro, si è dimesso,
più o meno un anno fa, anticipando il suo pensionamento che era fissato per
legge al 31 dicembre 2015.
Tuttavia non solo ancora oggi l’ex magistrato
è attivo in materia di sicurezza (ad esempio attraverso la collaborazione a
progetti e strumenti di informazione e attraverso il lavoro di consulenza per la Commissione
parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito),
ma molti degli attuali importanti processi in materia di sicurezza sono nati e
si sono sviluppati attraverso il lavoro dell’ex magistrato e del pool della
Procura torinese.
Per questo motivo parlare oggi con Raffaele
Guariniello ci permette di entrare nella cronaca di alcune delle novità
inerenti due importanti processi: il processo Eternit bis, che succede al processo
Eternit di cui abbiamo più volte parlato nel nostro giornale, e il processo
Thyssen-Krupp.
Nel primo caso, relativo alla richiesta di
giustizia per tante vittime che hanno respirato polveri d’amianto degli
stabilimenti italiani della multinazionale Eternit, a Torino a fine novembre il
Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) (la figura preposta a decidere,
attraverso l’udienza preliminare, sulla richiesta del Pubblico Ministero di
rinvio a giudizio) ha derubricato, per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny,
l’accusa da omicidio volontario a omicidio colposo e ha dichiarato la
prescrizione per un centinaio di casi, mentre per altri ha rinviato a varie
Procure. Una decisione che sembra allontanare ulteriormente il momento in cui
per i morti di amianto si potranno finalmente accertare cause e responsabilità.
Nel secondo caso facciamo invece riferimento
a una novità che risale solo a poche settimane fa e che riguarda il deposito
delle motivazioni della sentenza con cui la Corte di Cassazione, all’udienza del 13 maggio 2016, ha confermato la
condanna per l’ex Amministratore Delegato della Thyssen-Krupp, Harald
Espenhahn, e altri cinque manager per l’incidente avvenuto nella notte tra il 5
e il 6 dicembre del 2007.
Ed è su questi temi che inizia la nostra
intervista all’ex magistrato Raffaele Guariniello.
Qual è il commento di Guariniello alle
decisioni del GUP riguardo il processo Eternit bis?
Ricordiamo che l’ex magistrato fa
riferimento, nelle sue risposte, anche al superamento della questione del
principio giuridico del “bis in idem”, in virtù del quale non si può essere
giudicati due volte per lo stesso fatto.
La derubricazione da omicidio volontario a
omicidio colposo non ricorda il precedente non riconoscimento dell’omicidio
volontario con dolo eventuale per l’amministratore delegato della
Thyssen-Krupp? Quali gli aspetti negativi e positivi di questa nuova evoluzione
del processo Eternit?
Guariniello si sofferma poi sul possibile
futuro Testo Unico in materia di amianto per riordinare e integrare la
complessa normativa correlata (ci sono più di 200 normative con riferimenti diretti
o indiretti all’amianto). Quali sono gli aspetti positivi di questo Testo Unico
sull’amianto? Cosa tuttavia è ancora necessario per facilitare l’applicazione
della legge?
Ed è inevitabile che una risposta faccia
riferimento alla sua, più volte caldeggiata, proposta di una Procura o di
un’Agenzia specifica in materia di sicurezza sul lavoro.
Nell’intervista si affrontano poi le novità
del caso Thyssen-Krupp.
Cosa ne pensa l’ex magistrato delle
motivazioni depositate qualche settimana fa?
In relazione alle sue precedenti affermazioni
sul valore della nostra giurisprudenza in materia di sicurezza, rivolgiamo a
Guariniello alcune domande sul disegno di legge a firma dei senatori Maurizio
Sacconi (Presidente Commissione Lavoro) e Serenella Fucksia che in nome della
semplificazione vorrebbe ridurrebbe il Testo Unico sulla sicurezza da 306 a 22 articoli.
Cosa ne pensa Guariniello di queste proposte?
L’intervista si conclude con un excursus di
alcune attività attuali dell’ex magistrato, partendo dalla Commissione
sull’uranio impoverito e dalla proposta di legge correlata che è stata recentemente
portata all’attenzione della Camera.
Come sempre diamo ai nostri lettori la
possibilità di leggere una trascrizione parziale dell’intervista, realizzata il
20 dicembre, o di ascoltarla integralmente al link:
Punto Sicuro: Il nostro giornale ha seguito
in questi anni il percorso del processo Eternit, fino ad arrivare
all’Eternit-bis e alla derubricazione, per il magnate svizzero Stephan
Schmidheiny, dell’accusa da omicidio volontario a omicidio colposo, con la
prescrizione per un centinaio di casi e il rinvio, per altri, ad altre procure.
Non le chiedo solo un giudizio su queste recenti decisioni, ma vorrei anche un
commento su questa derubricazione, che ricorda il non riconoscimento
dell’omicidio volontario con dolo eventuale per l’amministratore delegato della
Thyssen-Krupp...
Raffaele Guariniello: Sì, diciamo che è un
po’ sulla stessa linea. Noi ci eravamo praticamente mossi nel solco tracciato
dalla Corte di Appello di Torino nel primo processo Eternit. Questo aspetto è
indubbiamente importante e potrà essere ancora ridiscusso, magare in sede di
ricorso per Cassazione. Però non mi sembra il punto più importante in questo
momento.
Ho visto che a seguito di quelle udienze c’è
stato un po’ di scoramento da parte dei parenti delle vittime... Sa, io sono
sempre abituato ad adeguarmi alle situazioni e, a mio parere, credo che sia
comunque molto positivo il fatto che sia stato superato lo scoglio del “bis in
idem” che qualcuno riteneva insuperabile.
Molti dicevano che siccome era stato fatto un
processo non si poteva fare il processo bis invece, tra la Corte Costituzionale
è il Giudice della Udienza Preliminare, si è risposto che questo processo si
può invece fare perché non c’è il “bis in idem”. Questo mi pare un dato molto
positivo.
E l’altro dato molto positivo è che comunque
un processo verrà fatto.
Poi si è detto: “però viene spezzato in più
parti”. Peraltro non si può non sottolineare che la maggior parte dei casi si
tratterà a Vercelli, sono i casi di Casale Monferrato ... Anche questo mi
sembra un po’ un aspetto da valutare non solo criticamente, ma anche in
positivo...
E ricordiamoci sempre che siamo l’unico paese
in cui un processo per l’Eternit viene fatto. In alcuni paesi in cui c’è stata
l’Eternit hanno tentato di fare il processo, ma nessuno è riuscito a portarlo
avanti. E invece qui il processo si farà.
Questo mi sembra un dato molto positivo. E
con il fatto che è caduto il “bis in idem” si farà un processo che comprenderà
i casi già contestati ma anche tutti i casi nuovi che purtroppo si verificheranno
via via nel tempo.
Quindi in un momento storico in cui vediamo
che, purtroppo, ci sono alcune decisioni che hanno destato un po’ di sconcerto
(ad esempio con riferimento alle sentenze su Pirelli, su Fibronit e su altri
casi) di una situazione in cui il processo sarà fatto bisogna saper cogliere
anche gli aspetti positivi.
Punto Sicuro: L’attenzione verso il tema
dell’amianto, anche attraverso i processi, ha contribuito ad avvicinarci sempre
più ad un Testo Unico in materia di amianto per riordinare e integrare tutta la
complessa normativa correlata. Qual è il suo giudizio su questo Testo Unico?
Raffaele Guariniello: Sì, ho visto. C’è
questo Testo Unico che è un dato molto positivo e che naturalmente dovrà essere
accompagnato da alcune premesse di carattere organizzativo e procedurale.
Perché non basta purtroppo (noi lo stiamo vedendo sotto vari aspetti) fare una
nuova legge. E’ importante, ma bisogna anche creare le premesse di carattere
organizzativo, quindi una organizzazione che poi metta mano alle leggi. Se no
poi queste leggi restano disapplicate...
Punto Sicuro: La proposta di Testo Unico
prevede anche di raddoppiare i termini delle indagini preliminari e della prescrizione
in caso di processi per i reati di disastro, lesioni e morti per malattie
asbesto derivate.
Raffaele Guariniello: Sì, questo va tutto
bene. Però lei capisce che non basta allungare i termini di prescrizione...
Bisogna anche accelerare i processi. E’ giusto evitare le prescrizioni, ma bisogna
anche accelerare i processi.
Il messaggio che noi avevamo avuto dal
processo Thyssen-Krupp è significativo.
E’ stata un’esperienza eccezionale. Siamo
riusciti a evitare la prescrizione del reato e le pene sono in corso di
esecuzione. E questo perché? Perché le indagini preliminari sono state fatte in
due mesi e mezzo. Non perché i Pubblici Ministeri erano più bravi degli altri,
ma perché c’era una organizzazione e questa organizzazione consente di fare le indagini
in tempi molto più rapidi.
E’ questo che bisogna porsi come problema:
chi applica, chi fa applicare queste norme? E quindi la mia risposta è
quantomeno un “Agenzia nazionale sulla sicurezza del lavoro”...
Punto Sicuro: Questo è un tema che abbiamo affrontato
spesso. Secondo lei oggi una Procura nazionale in materia di sicurezza potrebbe
essere più facilmente realizzabile rispetto a 10 anni fa?
Raffaele Guariniello: Se non una procura,
quantomeno un’agenzia che abbia compiti di polizia giudiziaria.
Punto Sicuro: Le chiedo un commento in
riferimento alla pubblicazione delle motivazioni del verdetto del 13 maggio
2016 riguardo al processo Thyssen-Krupp.
Raffaele Guariniello: Beh, insomma sembra che
sia stata un’esperienza eccezionale. C’è chi dice che non c’è il dolo, ma
arrivare a 9 anni e 8 mesi di reclusione, non era mai successo. Quindi mi pare
che sia un dato positivo. E soprattutto che il processo non sia incorso in
prescrizione.
Quindi devo dire che questa motivazione della
sentenza della Cassazione accoglie tutte le nostre impostazioni, di fatto.
Punto Sicuro: E si riconosce nelle
motivazioni, per l’amministratore delegato Harald Espenhahn, una “colpa
imponente”?
Raffaele Guariniello: Sì, è una bellissima
sentenza che chiude il processo.
A questo punto resta solo da fare opera di
giustizia, nel senso di dare esecuzione alle pene non solo nei confronti degli
imputati italiani ma anche nei confronti degli imputati stranieri.
Punto Sicuro: Parlerei ora di Testo Unico in
materia di sicurezza.
Un disegno di legge, a firma dei senatori
Maurizio Sacconi e Serenella Fucksia, in nome della semplificazione vorrebbe
ridurrebbe il Testo Unico sulla sicurezza da 306 a 22 articoli. Cosa ne
pensa di queste proposte?
Raffaele Guariniello: Devo dire che ho avuto occasione
di parlarne anche con il senatore Sacconi. E’ ancora una proposta allo stato
iniziale. Poi ci sono una serie di tematiche che occorre affrontare perché sono
tematiche pressanti, tipo la tutela dei lavoratori distaccati, i modelli di
organizzazione e gestione nelle piccole e medie imprese... Insomma c’è una
serie di temi e che sono nati dalla applicazione concreta del Testo Unico e che
invece bisognerà affrontare...
Punto Sicuro: Sappiamo che lei, benché si sia
dimesso dalla magistratura, ha continuato e continua ad occuparsi di sicurezza.
So che lei collabora con una Commissione sull’uranio impoverito.
Raffaele Guariniello: Lì si sta facendo un
lavoro di eccellenza. Perché c’è una proposta di legge che è stata portata
adesso all’attenzione della Camera e che dovrebbe essere discussa. Noi dobbiamo
trasformare i militari in lavoratori. I militari anche loro devono essere
tutelati così come i lavoratori di tutte le altre imprese pubbliche e private.
E poi dobbiamo creare una organizzazione di vigilanza che non sia di
giurisdizione domestica, ma che sia esterna alle Forze Armate...
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