Il FattoQuotidiano.it
Voucher, ultratrentenni in disperata ricerca di
occupazione. Chi sono gli “schiavi moderni” della Milano che produce. I
lavoratori a ticket vengono utilizzati da multinazionali come Carrefour o
Burger King, ma anche da enti locali e cantieri edili che hanno cambiato le
carte in tavola da un giorno con l’altro approfittando della loro forza
contrattuale. Il tratto comune è la necessità di un’entrata a tutti i costi per
il mutuo, la famiglia o per mandare i figli a scuola, unita alla paura di
esporsi e subire una ritorsione. La maggior parte ha superato i trent’anni, ha
alle spalle già diverse esperienze lavorative e cerca un’occupazione nei
settori più disparati: dalla grande distribuzione all’edilizia, dai fast food
alla pubblica amministrazione. Sono stati chiamati “schiavi moderni”,
“superprecari”, “lavoratori di serie Z”.
Più semplicemente i voucheristi, “sono
persone che soffrono sulla propria pelle tutte le storture legate agli eccessi
della flessibilità e della svalutazione del lavoro“, come li definisce Federico
Martelloni, professore di Diritto del lavoro all’Università di Bologna. Ma
soprattutto tutti ne parlano e quasi nessuno li conosce di persona, complice la
reticenza che li caratterizza per la paura di subire delle ritorsioni. Allora
Ilfattoquotidiano.it ha battuto la provincia di Milano per incontrarli e capire
come si vive e lavora oggi nel capoluogo e in Lombardia con i voucher. Perché
qui? Lo sintetizza molto bene Marco Beretta, segretario della Filcams-Cgil
locale: “Milano è una provincia che dimostra chiaramente come le politiche
occupazionali di questi ultimi anni, e in primo luogo il Jobs Act, abbiano
aumentato la precarietà. Nel 2015 abbiamo registrato circa 180mila nuovi
avviamenti a tempo indeterminato, a fronte di quasi 6 milioni di voucher”. Che
vengono accettati con la consapevolezza di chi sa bene di faticare senza alcuna
tutela, ma lo fa spinto dalla stringente necessità di incassare una
retribuzione seppur minima. E si apre a una sola condizione: “Racconto la mia
storia, ma eliminiamo qualsiasi dato che possa identificarmi. D’accordo?”.
D’accordo. Luca, lavoratore nell’ipermercato Carrefour: “Qui dentro è
schiavismo puro, ma io ho una famiglia e un mutuo sulle spalle” – Luca (il nome
è di fantasia, come tutti quelli che seguiranno) è nato e cresciuto a Milano.
Ha 34 anni e un diploma in Ragioneria. “Ma soprattutto – aggiunge lui – ho una
famiglia e un mutuo sulle spalle: e questo spiega perché non ho potuto
rifiutare l’offerta di Carrefour”. Tutto è partito, sul finire della scorsa
estate, con un annuncio avvistato su internet. “Avevo già esperienze nella
grande distribuzione – dice – e quindi ho pensato di consegnare un mio
curriculum in un punto vendita”. Pochi giorno dopo, il colloquio e l’offerta:
il lavoro c’è, in uno degli ipermercati di Milano, ma solo coi voucher. “È
stata l’unica soluzione che mi hanno proposto. Io lo so che non è un’opzione
ideale: ma in quel momento ero disoccupato e non potevo permettermi di restare
senza stipendio. E quindi ho accettato. Anche perché – prosegue Luca – subito
mi hanno garantito che, se me lo fossi meritato, avrebbero segnalato il mio
profilo ad una delle agenzie interinali delle quali Carrefour si serve: il che
avrebbe potuto preludere ad un’assunzione più stabile”. A ripensare a quella
promessa, finora rimasta tradita, Luca mostra più disincanto che amarezza:
“Sono promesse che lasciano il tempo che trovano, si sa. Ma in quei momenti,
servono comunque a convincerti ad accettare”. I turni non sono mai inferiori
alle 4 ore: “Spesso, anzi, si va dalle 9:30 alle 18”. Il preavviso è minimo: a
volte si viene allertati il giorno prima, e viene richiesta la disponibilità
anche per eventuali turni notturni. All’inizio i voucheristi coprivano perlopiù
il fine settimana: ma col tempo sono stati assorbiti anche nei turni dei giorni
feriali. E il pagamento? “I soldi guadagnati vengono accreditati su una specie
di carta prepagata che ci è stata rilasciata dopo la nostra registrazione
all’Inps“. La ricarica avviene a fine mese, a seconda delle ore svolte. “Dovrei
dire che sono contento? Ovvio che no. Lì dentro siamo in una condizione di
schiavismo puro”. Usa il plurale, Luca, ma se gli si chiede quanti siano i
voucheristi che lavorano nel suo stesso ipermercato, risponde di non poterlo
dire con certezza. “Saremo 10, forse 15”. Non si parlano, tra loro? Non si
contano? “In generale, si evita di discutere di questi argomenti. C’è il timore
costante che qualche lamentela venga poi riportata ai superiori, che potrebbero
decidere di lasciarci a casa seduta stante, senza che noi possiamo protestare
in alcun modo. Anche ora, mentre vi racconto la mi vicenda, la mia
preoccupazione principale è che non emergano dati che mi rendano riconoscibile.
Anzi, evitiamo di scendere ancora nei dettagli, vi prego”.
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