INDICE
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
LA CALMA PRIMA DELLA STRAGE
MicroMega kwdirect@newsletter.kataweb.it
IL
FALLIMENTO DEL JOBS ACT
MicroMega kwdirect@newsletter.kataweb.it
ALLEVA:
“LAVORARE MENO PER CREARE OCCUPAZIONE, ALTRO CHE JOBS ACT”
AIEA
Onlus Newsletter newsletter@associazioneitalianaespostiamianto.org
NEWSLETTER ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO
Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
LA CORTE COSTITUZIONALE E L’ARTICOLO 18...
Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
LIBERTA’ DI
LICENZIAMENTO: UNA SENTENZA POLITICA
Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
LICENZIATI
PER PROFITTO
AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
INCONTRO TRA LA PRESIDENTE DELLA CAMERA E LE DELEGAZIONI DI VEDOVE DELLA
SARDEGNA E DELLA BASILICATA
Medicina Democratica Onlus segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
PER IL 31 GENNAIO: SENTENZA PER LA STRAGE DI VIAREGGIO
AIEA Paderno Dugnano aieapadernodugnano@gmail.com
COMUNICATO STAMPA SENTENZA DI APPELLO FRANCO
TOSI
Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
PER IL 31 GENNAIO A LUCCA
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Invio a
seguire e/o in allegato le “Lettere dal fronte”, cioè una raccolta di mail o
messaggi in rete che, tra i tanti che ricevo, hanno come tema comune la tutela
della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini e la tutela del
diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole
essere un contributo a diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente
ai temi del diritto a un lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti
i compagni e gli amici della mia mailing list che riceveranno queste notizie a
diffonderle in tutti i modi.
Marco Spezia
ingegnere e
tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza
sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina
Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
e-mail: sp-mail@libero.it
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From: Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent:
Monday, January 16, 2017 9:54 AM
Subject: LA CALMA PRIMA DELLA
STRAGE
Tra circa un mese ricomincerà una strage della quale
tutti si dimenticano.
Lancio l’appello a tutte le persone di buona volontà:
salviamo la vita ai nostri agricoltori che muoiono numerosissimi schiacciati
dal trattore. Una strage provocata dall’indifferenza.
Ogni anno muoiono un numero spaventoso gli agricoltori
schiacciati dal trattore.
Sono stati 156 nel 2014, 136 nel 2015 e 141 nel 2016.
Un morto su cinque sui luoghi di lavoro ogni anno muore per infortunio sul
lavoro in modo atroce a causa di questo mezzo. Un mezzo spesso obsoleto che non
lascia scampo nel caso di ribaltamento. Ma succede anche con trattori moderni.
Spesso le cause non sono dovute a leggerezze nella
guida, ma alle instabilità del terreno provocate dalle condizioni climatiche.
Terreno asciutto in superfice, ma bagnato in profondità o troppo duro a causa
della siccità, ma anche in altre situazioni climatiche che non sto ad elencare.
Il terreno prevalentemente collinare del nostro paese complica poi la
situazione in modo drammatico. Una manovra sbagliata su un terreno in pendenza
può risultare mortale.
Tra l’altro tantissimi di questi lavoratori spariscono
anche dalle statistiche delle morti sul lavoro e non vengono riconosciuti come
tali perchè non dispongono di un’assicurazione o ne hanno una che è diversa
dall’INAIL.
Lo Stato non può essere indifferente verso queste tragedie.
Sono anni che avverto, come oggi il Primo Ministro, il Ministro del Lavoro e
quello delle Politiche Agricole di questa strage, ma mai se ne sono occupati.
Lo Stato dovrebbe anche accertare lo stato di salute di chi guida questo mezzo
mortale e incentivare l’acquisto di trattori nuovi, che comunque sono molto
meno pericolosi. Ma dovrebbe fare anche una campagna informativa sulle
pericolosità del trattore.
Muoiono schiacciati dal trattore lavoratori di tutte
le età: diversi con un’età superiore ai 65 anni. A volte vengono coinvolti
anche bambini e adolescenti innocenti. Chi guida questo mezzo deve essere in un
ottimo stato di salute e avere i riflessi pronti.
Lancio un appello ai familiari e agli amici di queste
potenziali vittime. Se volete bene al vostro caro mettetelo al corrente del
pericolo che corre. Se volete bene a vostro marito, padre, nonno, ma anche a
vostro figlio/a accertatevi del suo stato di salute e se il mezzo che guida è
idoneo. Piangere dopo non serve a niente...
Amici di Facebook che a centinaia, a volte in
migliaia, che ogni giorno visitate l’Osservatorio, datemi una mano condividendo
e far conoscere questa carneficina.
Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna Morti
sul Lavoro
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To:
Sent:
Tuesday, January 17, 2017 9:48 AM
Subject: IL FALLIMENTO DEL
JOBS ACT
di Guglielmo Forges
Davanzati
12 gennaio 2017
E’
ormai chiaro che, rispetto all’obiettivo dichiarato (accrescere l’occupazione),
il Jobs Act si è rivelato fallimentare. Il provvedimento, che ha introdotto
contratti a tutele crescenti (frequentemente ed erroneamente definiti a tempo
indeterminato) è stato accompagnato da ingenti sgravi contributivi a favore delle
imprese per la ‘stabilizzazione’ dei contratti di lavoro.
Secondo
la propaganda governativa, si sarebbe fatta marcia indietro rispetto alle
misure di precarizzazione del lavoro messe in atto con intensità crescente
negli ultimi decenni. Nei fatti, si è trattato di un provvedimento che ha
semmai reso le condizioni di lavoro ancora più precarie, sia per l’introduzione
di una nuova tipologia contrattuale (il contratto a tutele crescenti) che non stabilizza
il rapporto di lavoro (ma rende più difficile e costoso il
licenziamento al crescere dell’anzianità di servizio), sia per l’abolizione
dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. In più, contrariamente agli
obiettivi dichiarati, si è accentuato il dualismo del mercato del lavoro
italiano, inserendo una inedita cesura (datata 7 marzo 2015) fra lavoratori
assunti con veri contratti a tempo indeterminato e lavoratori assunti con
contratti a tutele crescenti.
Come
da più parti previsto, si è trattato di un provvedimento del tutto inefficace,
e per alcuni aspetti controproducente, per la crescita dell’occupazione. Dopo
un aumento dell’occupazione “a tempo indeterminato”, evidentemente determinato
dalla convenienza da parte delle imprese a riconvertire i contratti per
avvalersi della detassazione, riducendosi i fondi pubblici per gli sgravi
fiscali alle imprese, si è registrata una rapidissima inversione di tendenza: è
aumentato il tasso di disoccupazione e i contratti sono diventati sempre più
precari. In sostanza, si è trattato di un’operazione che ha temporaneamente “drogato”
il mercato del lavoro italiano. Nulla più di questo, se non si fosse trattato
di un vero e proprio spreco di risorse pubbliche per un obiettivo non raggiunto
e verosimilmente non raggiungibile con gli strumenti utilizzati. Terminata questa
fase, ci si ritrova in una condizione sotto molti aspetti peggiore della
precedente, una triste eredità del Governo Renzi, per due ordini di ragioni.
Secondo
le ultime rilevazioni ISTAT, il tasso di disoccupazione, in Italia, torna nel 2016 a quasi il 12%, dopo
una leggera flessione nel 2015, attestandosi a oltre due punti percentuali in
più rispetto alla media europea (11,9% a fronte del 9,8%). Si registra anche
una significativa riduzione del numero di inattivi, fenomeno che, di norma,
viene valutato positivamente come segnale di dinamismo del mercato del lavoro.
Si tende, cioè, a ritenere che una maggiore partecipazione nel mercato del
lavoro sia, di per sé, desiderabile.
E’
bene chiarire che è, questa, una valutazione che riflette una visione del
funzionamento del mercato del lavoro interamente declinata “dal lato dell’offerta”:
in altri termini, più forza-lavoro disponibile dovrebbe implicare maggiore
occupazione. Il che non è nei fatti, né oggi in Italia né è quasi mai accaduto
da quando il fenomeno è oggetto di rilevazione statistica.
La
riduzione del numero di inattivi, se letta in chiave macroeconomica, può non
essere affatto un segnale di vitalità del mercato del lavoro e, in più, può
essere il segnale di un meccanismo niente affatto virtuoso. Ciò a ragione del
fatto che la riduzione del numero di inattivi è associato a un fenomeno noto
come “effetto del lavoratore aggiunto”: in fasi recessive e di caduta della
domanda di lavoro, con conseguente riduzione dei salari reali, entrano nel
mercato del lavoro altri componenti dell’unità familiare per provare a
garantire all’unità familiare il livello di consumi considerato “normale”. Il
che significa che la riduzione del numero di inattivi è innanzitutto un segnale
di impoverimento dei lavoratori occupati e, al tempo stesso, di erosione dei
risparmi delle famiglie (dal momento che una condizione di inattività è
consentita solo attingendo a redditi non da lavoro).
Vi
è poi da considerare che l’aumento del numero di individui alla ricerca di
lavoro, accrescendo la concorrenza fra lavoratori, contribuisce a ridurre i
salari, in una spirale perversa per la quale la domanda interna continua a
contrarsi, così come la domanda di lavoro e dunque i salari e i consumi. In
altri termini, l’aumento dei tassi di partecipazione al
mercato del lavoro è l’effetto della caduta dei salari e, al tempo stesso,
contribuisce a generarla.
Inoltre
il Jobs Act ha contribuito alla precarizzazione del
lavoro anche per mezzo dell’estensione della platea di lavoratori pagati con
buoni lavoro (voucher), per ogni settore
produttivo e committente. I buoni lavoro, già presenti nella cosiddetta Legge
Biagi, erano stati pensati per remunerare mansioni accessorie e occasionali,
spesso prestate in condizioni di illegalità. Tipicamente: lavori domestici
saltuari, badanti. Occorre ricordare che il lavoro con voucher non configura un
contratto di lavoro e, per questa ragione, non dà al lavoratore diritto a
ferie, maternità, né, in caso di non rinnovo del rapporto, si configura un
licenziamento. Il risultato dell’estensione della platea di potenziali
beneficiari è impressionante: nel corso del 2016, sono stati staccati 115
milioni di tagliandi, coinvolgendo circa 700.000 lavoratori (a fronte di 25.000
nel 2008) per un importo complessivo stimato intorno agli 800 milioni di euro.
La
recente decisione della Consulta di consentire il referendum abrogativo dei voucher (uno dei tre proposti dalla CGIL) va accolta con
favore, sebbene si tratti di una decisione opinabile e oggetto di critiche (http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=27177),
avendo impedito ai cittadini italiani di esprimersi contro l’abolizione dell’articolo
18. I buoni lavoro costituiscono la nuova frontiera del precariato, e ogni
azione di contrasto al precariato è da valutare positivamente sia per garantire
dignità al lavoro, sia perché è ampiamente mostrato (sul piano teorico ed
empirico) che la precarizzazione del lavoro non accresce l’occupazione, riduce
la quota dei salari sul PIL, ed è un freno alla crescita.
E’
lo stesso Governo ad ammettere che l’uso dei voucher va maggiormente
regolamentato a ragione del fatto che di questo strumento le imprese avrebbero “abusato”.
Ma è lo stesso Governo a continuare a reiterare l’argomento (falso) per il
quale i buoni lavoro sono uno strumento efficace per contrastare il lavoro
nero. Per decretare la falsità di questo argomento, può essere sufficiente
considerare che, su fonte ISTAT, l’incidenza del sommerso sul PIL è costantemente
aumentata negli ultimi anni, pur essendo stato fornito alle imprese lo
strumento dei buoni lavoro. Ed è proprio l’ISTAT a imputare l’aumento del
sommerso all’aumento del tasso di disoccupazione (non all’eccessiva rigidità
del mercato del lavoro, come nell’interpretazione governativa e dominante) in
linea con la posizione dell’INPS.
E’
poi interessante osservare che, su fonte INPS, l’uso dei voucher è maggiormente diffuso al Nord (fatta eccezione per
il boom di voucher venduti in Sicilia), dove, per le informazioni di cui si
dispone, è normalmente minore l’incidenza del lavoro sommerso o irregolare. Il
che potrebbe dipendere dalla maggiore numerosità di imprese lì localizzate e
dalla loro crescente propensione a competere comprimendo i salari e accelerando
(grazie alla massima flessibilità sui tempi garantita dai voucher) i tempi di
produzione e vendita. E, per quanto attiene l’offerta di lavoro, è ragionevole
ipotizzare che in quella area sia presente, e in crescita, una platea di
lavoratori disposti a lavorare a qualsiasi condizione. Il che, a sua volta, può
innescare un fenomeno irreversibile. Lavoratori che hanno accettato di essere
pagati con voucher saranno evidentemente considerati dalle imprese lavoratori
disponibili a erogare le loro prestazioni con i minimi diritti in un “gioco al
ribasso” che i meccanismi spontanei di mercato non frenano, anzi promuovono.
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From: MicroMega
kwdirect@newsletter.kataweb.it
To:
Sent:
Tuesday, January 17, 2017 9:48 AM
Subject: ALLEVA: “LAVORARE
MENO PER CREARE OCCUPAZIONE, ALTRO CHE JOBS ACT”
Intervista a Piergiovanni Alleva
9 gennaio 2017
“Una
settimana lavorativa di 4 giorni, perché solo ridistribuendo il lavoro potremo
contrastare il dramma della disoccupazione. E l’introduzione del reddito minimo
garantito è un obiettivo da perseguire”.
Le
proposte del giuslavorista Piergiovanni Alleva (docente universitario e
consigliere regionale in Emilia Romagna) appaiono massimaliste, al limite dell’irrealizzabile.
Il pensiero va alla copertura economica, dove trovare i soldi?
“Nessuna
utopia, abbiamo fatto i calcoli e le risorse ci sono: in Emilia Romagna, ad
esempio, sono sufficienti quelle locali”.
Di
certo, Alleva non crede che il Jobs Act sia la soluzione per contrastare la
precarietà, anzi.
Il
giuslavorista, dopo esser stato protagonista lo scorso anno della battaglia in
difesa dell’articolo 18 poi manomesso dal governo Renzi, si prepara adesso per
l’eventuale referendum di primavera: “I lavoratori non hanno più quasi tutele,
e le poche che hanno non le rivendicano per paura di venire licenziati. Il Jobs
Act ha distrutto la giustizia del lavoro, ma grazie ai tre referendum della CGIL
abbiamo una straordinaria occasione di riscatto”.
A seguire l’intervista
al giuslavorista
Piergiovanni Alleva.
* * * * *
D: Professore,
in Emilia Romagna lei ha presentato una proposta di legge per passare da 5 a 4 giorni lavorativi: un
modo per contrastare la disoccupazione allo storico grido “lavorare meno, lavorare
tutti”?
R:
Passare da cinque a quattro giorni lavorativi significa ridurre l’orario di
lavoro, e quindi anche il salario, del 20 per cento. Sarebbe perfetto poter
dare al lavoratore che accetta di ridurre l’orario (dico “accetta” perché tutta
l’operazione è strettamente volontaria) una compensazione totale. Poiché la
legislazione nazionale non dà alcuna compensazione nel caso di contratti di
solidarietà espansivi (mentre la dà per quelli difensivi) occorre utilizzare
risorse locali che consentirebbero, secondo i nostri calcoli, una compensazione
fino al 92 per cento del valore del suo salario. Il lavoratore perderebbe solo
l’8 per cento del suo potere di acquisto, ma guadagnerebbe un giorno libero in
più alla settimana che a questo punto sarebbe fatta di quattro giorni
lavorativi e tre di tempo libero. Per “risorse locali” si intende l’utilizzo
del salario di ingresso previsto per i neo assunti, dei risparmi resi possibili
dall’utilizzo di misure di welfare aziendale, nonché di uno specifico contributo
regionale.
D: Ma la
proposta dei 4 giorni lavorativi si potrebbe attuare anche su scala nazionale?
R:
Certo, dovrebbe essere assunta a livello nazionale perché a quel livello con un
ulteriore apporto della finanza centrale si potrebbe arrivare alla compensazione
completa. Sempre in Emilia Romagna è passata una legge
che introduce il reddito minimo. In Parlamento giacciono ben tre proposte di
legge sul reddito minimo garantito, una di SEL, una del PD e una del Movimento
5 Stelle.
D: Potrebbe
essere l’antidoto per contrastare la precarietà e l’enorme tasso di
disuguaglianza nel Paese?
R:
Il reddito minimo garantito è un obiettivo da perseguire. La recente legge
approvata in merito dalla regione Emilia Romagna, lascia a desiderare perché, a
mio giudizio, le risorse destinate vanno concentrate sulle classi di età più
avanzate che difficilmente possono essere reinserite nel mercato del lavoro.
Per i più giovani occorre un inserimento lavorativo quale vera soluzione e
quindi in un certo senso la mia proposta di legge è complementare a quella sul
reddito minimo. In altre parole, reddito garantito per chi difficilmente potrà
ancora lavorare e invece reddito da lavoro per chi può e vorrebbe lavorare.
D: In base
ai recenti dati dell’ISTAT la disoccupazione, soprattutto giovanile, è in
aumento. La politica è rimasta a guardare di fronte a questa emergenza
nazionale? Servono nuovi investimenti pubblici mirati?
R:
La disoccupazione giovanile è il nostro principale problema e infatti la mia
proposta è prioritariamente diretta a ridurla quanto più possibile. Tuttavia,
investimenti pubblici sono certamente indispensabili perché proposte di tipo
redistributivo del lavoro esistente sono necessarie ma non sufficienti.
D: Per la
narrazione dei governi Renzi e Gentiloni, il Jobs Act ha avuto il merito di
abbassare la percentuale dei disoccupati. E’ d’accordo? Qual è il suo giudizio
sul Jobs Act?
R:
Il Jobs Act ha portato la distruzione delle tutele e della dignità dei
lavoratori intrecciata con una vera e propria truffa di dimensioni gigantesche.
Ciò perché l’incremento dell’occupazione a tempo indeterminato altro non è in
realtà che la trasformazione di precedenti contratti precari irregolari e come
tali già da considerare per legge a tempo indeterminato. I molti miliardi, più
di 20 nel triennio, pagati alle imprese per queste apparenti trasformazioni
sono stati un incredibile regalo a dei contravventori delle regole contrattuali
che avrebbero dovuto invece essere multati. Sarebbe stato molto più produttivo
utilizzarli per creare nuovi posti di lavoro.
D:
Finiti gli incentivi alle imprese, in effetti
sarebbero terminate anche le assunzioni...
R:
L’incremento occupazionale di lavoro stabile prospettato non c’è stato perché
il governo Renzi ha creato in concorrenza tipologie contrattuali ultra
precarie, come i contratti a termine acausali ed i voucher-lavoro. Nel mercato
del lavoro, come in ogni mercato, la moneta cattiva scaccia la buona e la
cattivissima la cattiva.
D:
I voucher: vanno aboliti o è sufficiente
regolamentarli?
R:
Il punto fondamentale è che i voucher non devono assolutamente essere
utilizzati nell’impresa dove è essenziale, sia per la produzione sia per la
dignità delle persone, che si instaurino dei rapporti di lavoro. Altra cosa è l’utilizzo
da parte dei datori di lavoro non imprenditori, come famiglie o altri soggetti
privati. Secondo me, comunque, sarebbe meglio abolirli.
D:
Non hanno avuto
almeno il merito di far emergere il lavoro in nero?
R:
Il voucher non fa emergere ma incentiva il lavoro nero, in quanto costituisce
in concreto un alibi per utilizzare lavoro irregolare. Con il voucher si
denunzia un’ora di lavoro, ma questa è la foglia di fico per farne poi svolgere
molte di più in nero. L’obbligo di avvisi telematici e altre annunciate
garanzie di cui parla il governo Gentiloni servirebbero solo se, non appena
fatta la denunzia da parte del datore di lavoro, partisse un controllo “in loco”
degli organi ispettivi il che, come si comprende, è una prospettiva
inattuabile.
D:
Per il giuslavorista Pietro Ichino la Consulta, il prossimo
mercoledì 11 gennaio, potrebbe bocciare l’ammissibilità dei tre quesiti
proposti dalla CGIL, un rischio che vale soprattutto per quello riguardante l’art.
18. Che ne pensa?
R:
L’argomento di Ichino è del tutto infondato e francamente penso che lo sappia
benissimo. Il problema è tutto qui: se una regola ha un limite di applicabilità
e si elimina questo limite attraverso un’abrogazione referendaria ovviamente l’ambito
di applicazione della regola si espande ad un nuovo territorio e se tutti i
limiti vengono aboliti la regola diventa generale. L’abrogazione di un elemento
negativo e il conseguente ampliamento positivo della regola sono in realtà le
due facce di una stessa medaglia. La
Corte ha già affrontato questo problema nella Sentenza n. 41
del 2003 che dichiarò ammissibile un quesito referendario che abrogava tutti i
limiti all’applicabilità dell’articolo 18. Questa volta si chiede di eliminare
un solo limite, quello dei sedici dipendenti.
D:
Però anche altri analisti temono che l’11 gennaio
possa giungere una bocciatura...
R:
Il problema purtroppo non è giuridico e un giudizio di inammissibilità da parte
della Corte costituirebbe un grave caso di incoerenza da un lato e di
interferenza politica dall’altro.
D:
Se alla fine ci sarà il referendum e se dovesse
vincere il SI’ abrogativo, per l’articolo 18 si tornerebbe ad una situazione
pre-Fornero?
R:
Sì, nel senso che la formulazione originaria dell’articolo 18 varrebbe per
tutti, anche per i lavoratori delle imprese di livello occupazionale compreso
tra i 5 e i 16 dipendenti. Voglio sottolineare questo argomento che potrà avere
un grande valore propagandistico: tutti i lavoratori che sono stati assunti col
cosiddetto “contratto a tutele crescenti”, che in realtà significa senza
garanzia di stabilità, votando I SI’ al referendum regaleranno a sé stessi la
stabilità e la sicurezza del posto di lavoro.
D:
Per anni si è pensato alla flessibilità in uscita (quindi
la possibilità dell’azienda di poter licenziare il lavoratore) per rilanciare l’economia
italiana. Per anni, quindi, visti i risultati odierni, si sono sbagliate tutte
le politiche?
R:
Ho sempre avuto un senso di repulsione verso il ragionamento per cui senza articolo
18 le imprese assumerebbero maggiormente e più volentieri: equivale a dire che
vogliono tenere sotto ricatto di licenziamento ingiustificato i lavoratori in
maniera che questi ultimi non possano mai alzare la testa o avanzare qualche
rivendicazione. Così non si va da nessuna parte, perché è solo dalla fidelizzazione
della risorsa umana, e cioè dalla fiducia e dignità e dall’identificazione dei
lavoratori con l’impresa, che può aumentare la produttività.
D:
Torniamo al dramma della disoccupazione. Come
affrontare la progressiva scomparsa del lavoro provocata dall’automazione
tecnologica? Dalla fase di alienazione dovuta alla diffusione delle macchine,
arriveremo alla scomparsa dell’uomo dai luoghi di lavoro?
R:
La progressiva automazione del processo produttivo resta ovviamente un problema
centrale per i destini della società capitalistica: la continua crescente
sostituzione del lavoro vivo con lavoro morto secondo Marx costituisce per il
capitalismo l’avverarsi del monito “fratello ricordati che devi morire”, nel
senso del riproporsi in modo sempre più drammatico di crisi di sottoconsumo. E’
inevitabile che le merci non trovino più sbocco di mercato se le persone che
dovrebbero acquistarle, vendendo la loro forza lavoro, vengono progressivamente
estromesse dal processo produttivo. Il capitalismo non ha i mezzi per
contrastare questa sua malattia endogena se non quello di aumentare, spesso in
maniera artificiosa, i bisogni e quindi la produzione, ma il risultato finale
non è, a quanto pare, in equilibrio.
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To:
Sent: Wednesday, January 18, 2017 8:11 PM
Subject: NEWSLETTER ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO
Emergenza
amianto, una delegazione della AIEA Sardegna e della AIEA Val Basento
Basilicata è stata ricevuta dalla presidente della Camera Boldrini, che ha
annunciato la massima attenzione al caso assicurando sostegno alle vedove dei
lavoratori vittime della fibra killer.
Leggi tutto al
link:
Il documentario
“Attenti al Treno” girato a Savigliano racconta la storia di alcuni operai e
dei figli delle vittime della Ex Fiat Ferroviaria, morti a causa dell’amianto.
Un percorso tra il mondo delle vittime, dell’associazionismo, del mondo
giuridico e scientifico per denunciare la strage delle morti d’amianto in
Italia e nel mondo. Documentario finanziato da AIEA Onlus, sezione di Savigliano
e girato da Maura Crudeli e Federico Alotto.
Leggi tutto al
link:
Sono stati tutti assolti con formula
piena i sette ex manager di Pirelli accusati a Milano di omicidio colposo e
lesioni gravissime per i 28 casi di operai morti o ammalati a causa dell’amianto,
dopo aver lavorato negli stabilimenti milanesi dell’azienda tra gli anni ‘70 e ‘80.
Leggi tutto al link:
Ancora una volta un’assoluzione
perchè il “fatto non sussiste”, ancora una volta un’accusa di disastro
ambientale ignorata, delegittimata, ribaltata. Cosa significa “il fatto non
sussiste”: significa che non c’era amianto in quella struttura vecchia e
fatiscente nonostante il ritrovamento di quasi 4 tonnellate di amianto dopo l’esplosione
tra le macerie?
Leggi tutto al link:
CONVEGNO: “REGIONE:
AMBIENTE E TERRITORIO - NON CI RESTA CHE LA PREVENZIONE”
La Fondazione Bartolo Longo III Millennio e l’Associazione
For Afterlife Foundation APS comunicano che il prossimo 17 dicembre, si terrà
il Convegno “Regione: Ambiente e Territorio - Non ci resta che la Prevenzione”.
L’Evento si terrà presso il teatro Di Costanzo Mattiello di Pompei con inizio
alle ore 17.30.
Leggi tutto al link:
Questo è il contributo che il un
cittadino, consigliere comunale intende portare come ringraziamento a quelle
persone che fanno parte di AIEA e che dedicano impegno, passione e tempo con il
solo scopo di informare la gente sui pericoli relativi all’ amianto.
Leggi tutto al link:
Il giornale Nuova Basilicata, ha
dedicato oltre dieci pagine alle conseguenze dovute alla presenza di sostanze
pericolose e cancerogene come l’amianto negli ambienti di lavoro dei siti
industriali della Val Basento, ANIC-ENIChem, Liquichimica, Materit, Filteni,
Pirelli. Il servizio inchiesta è intitolato “Val Basento Terra dei fuochi.
Centinaia di morti dimenticati... - Venite a scavare qui ...”.
Leggi tutto al link:
Morti alla centrale termoelettrica
Enel di Turbigo: il Sostituto Procuratore di Milano Gemma Gualdi ha chiesto nel
Processo d’Appello la condanna di due ex manager che furono assolti in primo
grado assieme ad altri due ex dirigenti, accusati di omicidio colposo, perché
secondo l’accusa si sarebbero resi responsabili della morte per mesotelioma
pleurico (un tumore killer che si sviluppa respirando fibre di amianto) di otto
ex dipendenti, non informandoli o proteggendoli dai rischi che correvano stando
a contatto con l’amianto.
Leggi tutto al link:
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From: Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
To:
Sent: Thursday, January 19, 2017 2:28 PM
Subject: LA CORTE COSTITUZIONALE E L’ARTICOLO
18...
Per una riflessione Collettiva e
per la tutela reale della Dignità del prestatore d’opera.
Buona Vita.
Giuseppe Grillo
Cittadino/Lavoratore/Ferroviere/Macchinista
* * * * *
Da:
“La sostituzione, operata dalle
norme sottoposte al referendum, della garanzia reale della reintegrazione nel
posto di lavoro del lavoratore licenziato senza giusto motivo con la garanzia
patrimoniale del pagamento di una somma di denaro ha annullato la dignità del
lavoro, trasformando il lavoratore da persona in cosa, dotata non già di un
valore intrinseco ma di un valore monetario”.
NON SI DEVE LICENZIARE SENZA
GIUSTA CAUSA!!!
NON SI DEVE MONETIZZARE LA DIGNITA’
DELLA PERSONA!!!
Un Sindacato con la S maiuscola non deve accettare
questo.
La Storia siamo noi, siamo noi padri e
figli, siamo noi.
Bella Ciao!
* * * * *
Scrissi nel 2012
PER UNA PICCOLA IMPRESA LICENZIARE E’ SEMPRE GIUSTO?
UNA STORIA REALMENTE ACCADUTA
Cari cittadini della Repubblica Antifascista Italiana.
Sono un cittadino di 54,5 anni. Vi racconto una storia.
Dal gennaio del 1980 fino all’aprile del 1981 ho lavorato in una piccola
impresa metalmeccanica del natio paese calabro.
I primi mesi di lavoro trascorsero senza particolari difficoltà con la
dirigenza dell’azienda, pur consapevole che l’impresa non rispettava del tutto
il CCNL dei metalmeccanici.
Si lavorava il sabato, retribuito senza la maggiorazione per lavoro
straordinario previsto dal CCNL. Inoltre i minimi stipendiali erano inferiori a
quelli previsti dal CCNL in vigore.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata quando i miei colleghi
lavoratori mi dissero che sulla 13° mensilità non veniva riconosciuta l’indennità
di contingenza.
Bisogna ammettere che la dirigenza di questa piccola impresa aveva già
capito tutto sul fatto che la scala mobile, prima o poi, dovesse essere
abolita...
Ero un ragazzo più che ventenne iscritto al PCI, partito nelle cui fila
militava il Presidente Giorgio Napolitano.
A tutto questo mi ribellai, convinsi gli operai a scioperare. Con l’aiuto
della CGIL costringemmo l’impresa ad aprire un tavolo di discussione all’associazione
industriale di Cosenza per dirimere la controversia.
In tale occasione seppi che nelle piccole imprese non potevano esserci
delegati dei lavoratori. L’azienda promise il rispetto del CCNL e lo sciopero
terminò.
Purtroppo le cose non andarono per il verso giusto. Alla prima occasione
utile l’impresa mi spedì la lettera del licenziamento senza “Giusta Causa”.
Mi ha licenziato un “imprenditore socialista” con una scusa perché lo
poteva fare, perché in quella piccola azienda non si applicava l’articolo 18
dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/70).
A 23 anni ho potuto verificare la mia “impotenza” di fronte all’arroganza
padronale. Mi disse: “Giuseppe io ti posso licenziare, l’avvocato mi ha detto
che posso farlo occupando meno di 16 persone”.
Per essere più sicuro di licenziare l’imprenditore socialista occupava
solo 13 persone. Dopo pochi mesi dal mio licenziamento l’azienda continuò come
prima, tenendo a bada qualsiasi velleità dei lavoratori rimasti.
Dopo qualche anno l’azienda licenziò tutti gli operai...
Cari cittadini della Repubblica Antifascista Italiana.
Si può licenziare senza o con “Giusta Causa”?
In verità vi dico che la causa è sempre “Giusta” per qualsiasi
imprenditore che vuole eliminare la “gramigna lavoratore” che chiede il
rispetto dei propri Diritti e della propria Dignità!
Bisognerebbe far rispettare a tutte le imprese l’articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori. Che significa che le imprese non vengono ad investire
se non si abolisce l’articolo 18?
Ma che razza di società si vuole costruire?
Spero che il sindacato tutto non accetti siffatto RICATTO!!!
Buona Vita
Cittadino Giuseppe Grillo
05/02/12
* * * * *
Da leggere per riflettere, perché non sarà mai abbastanza farlo.......
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From: Lavoro
& Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent:
Wednesday, January 18, 2017 10:33 AM
Subject: LIBERTA’ DI LICENZIAMENTO: UNA
SENTENZA POLITICA
da Agenzia
ANSA
LIBERTA’ DI
LICENZIAMENTO: UNA SENTENZA POLITICA
DOPO LA BOCCIATURA DEL
REFERENDUM SULL’ARTICOLO 18 DA PARTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Nicolosi di “Democrazia
e Lavoro” CGIL: “Dobbiamo rispondere con l’azione sindacale nella
contrattazione, valutando i contenuti della bocciatura del quesito per poi
agire, non escludendo una nuova raccolta di firme su basi nuove”.
“La
sentenza politica della Corte Costituzionale fa venire meno un principio sancito
dalla Carta costituzionale: ora nella Repubblica democratica fondata sul lavoro
la libertà di licenziamento è piena”: lo afferma Nicola Nicolosi, coordinatore
nazionale della componente “Democrazia Lavoro” della CGIL, riferendosi alla
decisione della Consulta di bocciare il referendum sull’articolo 18.
“La cosa strana” - osserva il sindacalista – “è che
nel 2003 la Corte
Costituzionale approvò il referendum basato sulle stesse identiche
richieste con in più l’estensione a tutti dell’articolo 18 e non solo alle
aziende con più di 5 dipendenti. Le ultime nomine fatte dal Parlamento e dal Presidente
Napolitano hanno spostato gli equilibri”.
“Alla sentenza politica si deve rispondere con l’azione
sindacale nella contrattazione e sviluppando nel Paese una maggioranza politica
che recuperi il principio che non si può essere licenziati senza giusta causa”
- conclude Nicolosi - “Bisognerà valutare i contenuti della bocciatura del
quesito e subito dopo agire non escludendo una nuova raccolta di firme su basi
nuove sempre per ripristinare la reintegrazione dell’articolo 18 previsto dal
vecchio Statuto dei lavoratori”.
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From: Lavoro
& Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent:
Wednesday, January 18, 2017 10:33 AM
Subject: LICENZIATI
PER PROFITTO
di Carlo Clericetti
L’AUMENTO
DEL PROFITTO E’ PIU’ IMPORTANTE DEL MANTENERE UN POSTO DI LAVORO
Una sentenza
della Cassazione ribalta i criteri in base ai quali si stabiliva il “giustificato
motivo” del licenziamento: non conta se l’azienda è in difficoltà, sulla tutela
del posto di lavoro prevale quella della libertà imprenditoriale. Un’interpretazione
forzata della Costituzione che risponde ai paradigmi della cultura politico-ideologica
dominante.
Nei giorni scorsi una sentenza della Cassazione ha convalidato
un licenziamento motivato con il perseguimento di una maggiore efficienza da
parte di un’azienda né in crisi né in passivo.
Questa la frase-chiave della motivazione: “Ai fini
della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo
oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un
presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare e il
Giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività
produttiva e all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile
escludere quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un
incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto
organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione
lavorativa”.
Osserva il giuslavorista Umberto Romagnoli.
“L’espressione ‘giustificato motivo oggettivo’ dà
luogo ad una tipica clausola generale che, in quanto tale, deve essere riempita
dall’interprete. Finora ha prevalso un orientamento politico-culturale più
limitativo del potere aziendale. Lo schema argomentativo è il seguente. Il
licenziamento provoca un sacrificio la cui entità va confrontata con quella del
danno che subirebbe il datore se non licenziasse e, poiché il sacrificio del
lavoratore è valutato altissimo, il datore può licenziare solo se l’azienda va
male. Adesso, è in ascesa uno schema argomentativo che proporziona il sacrificio
del lavoratore al beneficio che il licenziamento procura al datore”.
Diciamolo in termini più semplici. La norma detta un
principio generale, ma è poi il Giudice a valutare se e quando il motivo del
licenziamento è “giustificato”. In altre parole, il Giudice decide quale sia il
danno maggiore: quello del lavoratore che viene licenziato o quello dell’azienda
che (essa sostiene) sarà meno efficiente? Come dice Romagnoli, in passato la bilancia
è stata fatta pendere dalla parte dei lavoratori. In più d’un caso troppo,
bisogna dire.
Dagli anni ‘70 e per oltre un ventennio le sentenze
erano tutte (tranne poche eccezioni) favorevoli al lavoratore, anche in casi
che sembravano indifendibili, come nullafacenti conclamati, assenteisti
inveterati, persino ladri: tanto da far nascere il refrain “in Italia è
impossibile licenziare”. Quei Magistrati non hanno fatto un buon servizio non
solo alla giustizia, ma anche agli interessi dei lavoratori: inevitabilmente
facevano montare una voglia di reazione, una rabbia profonda nei confronti di
quella legge che sembrava voler coprire qualsiasi ingiustizia. Nasce di qui la
guerra dichiarata all’articolo 18.
Ma se il motivo era comprensibile, la battaglia era
sbagliata: la colpa delle distorsioni non era della legge, ma dell’interpretazione
che se ne dava. Che poggiava, è vero, sul dettato costituzionale (articolo 1: “L’Italia
è una Repubblica fondata sul lavoro...”; articolo 4: “La Repubblica riconosce a
tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto”; articolo 35: “La Repubblica tutela il lavoro in
tutte le sue forme e applicazioni”), ma certamente i padri costituenti non
intendevano che bisognasse proteggere anche i ladri o i fannulloni.
Nel corso degli anni ‘90, comunque, l’aria comincia a
cambiare. Le sentenze non sono più così scontate, e col passare del tempo
quelle favorevoli alle aziende aumentano sempre di più. Naturalmente è impossibile
stabilirlo con precisione, ma l’impressione è che, a partire dalla fine del secolo,
la bilancia sia tornata più o meno ad equilibrarsi. Ciò nonostante, l’articolo 18
era diventato ormai il simbolo di uno scontro tanto ideologico quanto di potere
nei rapporti di forza all’interno del mondo del lavoro, tanto da far combattere
infinite battaglie intorno a questa norma, fino all’epilogo ad opera di un
governo che si definiva di centro-sinistra.
La sentenza dei giorni scorsi, però, segna un nuovo
salto di qualità: la bilancia, già squilibrata a favore dei datori di lavoro dopo
la quasi eliminazione delle tutele, si inclina sempre di più dalla parte delle aziende.
Nel dispositivo viene citato l’articolo 41 della Costituzione, che garantisce
la libertà d’impresa. E’ vero, ma leggiamolo tutto: “L’iniziativa economica
privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge
determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
I giudici della Cassazione si sono fermati al primo
capoverso? Perché il secondo e il terzo dovrebbero far escludere che la possibilità
di conseguire un maggior profitto (sostenuta da una delle parti in causa e non
verificabile dal giudice) possa prevalere sulla tutela del lavoro.
Ma lo spirito dei tempi soffia impetuoso nelle aule
della giustizia. Ieri spingeva il pendolo dalla parte del lavoro, facendolo
oscillare oltre il punto di equilibrio. Oggi, dopo oltre un quarto di secolo in
cui sono state le idee neoliberiste a conquistare l’egemonia, lo sposta
altrettanto esageratamente sul lato opposto, forzando il dettato costituzionale
che di sicuro prescrive di tutelare il lavoro, mentre da nessuna parte è
scritto che vada altrettanto (e anzi di più) tutelata non la libertà d’impresa,
ma la facoltà di incrementare i profitti. I giudici sono uomini del loro tempo,
e come tutti sono condizionati dalle idee che in quel tempo sono dominanti.
Naturalmente il dispositivo della sentenza non evita
il problema, e lo risolve sostanzialmente così: “Non spetta al Giudice [...]
surrogarsi nella scelta, con riferimento alla singola impugnativa di
licenziamento, tenuto conto altresì della inevitabile mancanza di strumenti
conoscitivi e predittivi che consentano di valutare quale possa essere la migliore
opzione per l’impresa e per la collettività. Egli, così, non può essere
legittimato a gravare l’impresa di costi impropri o non dovuti in base alla
legge, quando piuttosto la
Costituzione investe i poteri pubblici del compito di
perseguire l’interesse collettivo dell’occupazione, tenuto altresì conto che la
prospettiva individuale della difesa del singolo rapporto di lavoro potrebbe anche
pregiudicare [...] l’intera comunità dei lavoratori dell’azienda interessata”.
Che il Giudice non debba valutare la congruità delle
decisioni dell’impresa lo affermano peraltro due altre recenti leggi del 2010 (Governo
Berlusconi) e 2012 (Governo Monti). E questo è ragionevole.
In passato, però, la stessa Corte riteneva necessario
che “il licenziamento per motivo oggettivo sia giustificato dalla necessità di
fare fronte a sfavorevoli situazioni e non sia meramente strumentale ad un
incremento del profitto”.
Ora questo principio viene invece giudicato sbagliato,
con un ragionamento che ricorda il “trickle down”, quella idea (tra i capisaldi del pensiero neoliberista) secondo cui un
provvedimento a vantaggio dei ricchi va bene per tutta la società, perché poi
quella ricchezza “gocciolerà” a beneficiare anche i meno abbienti. La realtà dei
fatti si è poi incaricata di fare giustizia di questa idea balzana.
L’atmosfera culturale è cosa che cambia lentamente, e
di norma ha una grande capacità di persistenza anche quando cambiano le
condizioni generali. Se questa sentenza è rappresentativa dell’orientamento maturato
dalla magistratura, per il lavoro ci saranno tempi duri per parecchio.
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From: AIEA
Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent: Friday,
January 20, 2017 12:30 PM
Subject: INCONTRO
TRA LA PRESIDENTE DELLA CAMERA E LE DELEGAZIONI DI VEDOVE DELLA SARDEGNA E
DELLA BASILICATA
Si trasmette:
-
il link all’intervista
della giornalista Mariolina Notargiacomo, redazione la Nuova TV Basilicata, alla
Presidente della Camera, onorevole Boldrini:
-
Comunicato Stampa
AIEA in merito all’incontro tra la Presidente della Camera
e le delegazioni di vedove della Sardegna e della Basilicata.
Per
ulteriori informazioni sull’incontro visionare il sito AIEA:
Grazie per l’attenzione.
Mario Murgia
* * * * *
COMUNICATO
STAMPA
INCONTRO TRA LA PRESIDENTE DELLA CAMERA E LE DELEGAZIONI DI VEDOVE DELLA
SARDEGNA E DELLA BASILICATA
Lo stato di
grave ingiustizia che colpisce le innumerevoli famiglie di coloro che hanno
lavorato nei poli industriali della Val Basento, di Assemini (CA) e soprattutto
del comparto fibre di Ottana (NU), è stato denunciato a viva voce dalle vedove
della Sardegna e Basilicata alla Presidentessa della Camera Laura Boldrini.
Molti
lavoratori lucani hanno ottenuto i benefici previdenziali previsti dall’articolo
13, comma 8 della Legge 257/92 per via amministrativa e legale, mentre ai
lavoratori sardi non è stata applicata la suddetta Legge, in quanto, le
relazioni della Contarp (organo certificatore dell’INAIL) emesse negli anni
2003 e 2004, riportavano che i lavoratori avevano manipolato l’amianto in
misura irrilevante, per cui tale sostanza non poteva aver causato eventuali
danni alla salute.
Per questo
motivo, in Sardegna, anche le richieste della rendita al superstite
(sottostante al limite temporale di 3 anni e 150 giorni) e le malattie
professionali oncologiche tabellate e non derivanti dall’esposizione all’amianto,
non vengono riconosciute dall’INAIL territoriale, mentre in Basilicata si.
Nell’incontro
è stata evidenziata la necessità di rimuovere la pregiudiziale presente nelle
relazioni Contarp-INAIL della Sardegna, per rendere giustizia ai lavoratori e
alle vedove sarde.
Poiché i
lavoratori sardi dei siti industriali Anic, ENIChem, Syndial, Montefibre di
Ottana (NU) e Syndial di Assemini (CA) ex esposti non possono ottenere i
benefici previdenziali previsti dall’articolo 13, comma 8 della Legge 257/92 in
quanto le domande sono decadute.
Si ritiene
indispensabile che vengano predisposte tutte le misure funzionali alla
emanazione di un nuovo atto di indirizzo o all’estensione degli atti di
indirizzo esistenti, superando ogni previsione legislativa di decadenza,
prevista per il rilascio delle certificazioni di esposizione.
L’articolo
10 della Legge 257/92 impone a tutte le regioni l’obbligo di avviare a
sorveglianza sanitaria i lavoratori ex esposti, perché questo non avviene in
Sardegna?
La vasta
letteratura medico-scientifica ci dice che le conseguenze derivanti dalla
esposizione all’amianto, possono emergere anche dopo 40 anni possono causare la
morte di coloro che hanno dedicato la propria vita al lavoro per poter vivere
meglio, non per morire.
La patologia
più comune tra tutti coloro che sono stati esposti all’amianto nelle industrie
è quella del cancro ai polmoni, per cui esiste la diagnosi precoce. Molti di
questi decessi prematuri sono dovuti a diagnosi tardive e imprecise, per questo
abbiamo sempre ritenuto e riteniamo che la Sorveglianza Sanitaria
obbligatoria per tutti i lavoratori ex esposti, debba avere come primo
obiettivo la riduzione di mortalità e la promozione della diagnosi precoce che
sono validi elementi di una concreta prevenzione.
Il numero
dei decessi in Sardegna evidenzia incontrovertibilmente che si tratta di una
vicenda estremamente importante che non ha ancora raggiunto l’apice che
dovrebbe manifestarsi tra il 2020 e il 2030.
La
sorveglianza deve essere idonea alla verifica delle lesioni, anche allo stato
fibroso e alla diagnosi precoce del cancro del polmone soprattutto dove si
registra anche la presenza di altre sostanze pericolose che incrementano l’effetto
cancerogeno dell’amianto.
In siti
industriali simili a quelli di Ottana e di Assemini, la maggior parte degli ex
lavoratori è da diversi anni sottoposta ad uno screening sanitario idoneo alla
diagnosi precoce del cancro polmonare; questo screening ha evidenziato la
presenza di diverse patologie oncologiche e lesioni asbesto correlate in
diverse centinaia di ex esposti.
Nella Unità Operativa
della Medicina del Lavoro di Matera, sono sottoposti a sorveglianza sanitaria circa
2.300 ex esposti, lo screening sanitario è operativo e attivo solo per i circa 500
lavoratori riconosciuti ex esposti dall’INAIL, l’associazione AIEA Val Basento è
stata il veicolo principale per inoltrare le richieste di sorveglianza
sanitaria passiva; in fase precoce sono stati riscontrati più di 37 cancri
polmonari, di questi, oltre 34 vivono in buone condizioni di salute senza
essere stati sottoposti a terapia oncologica.
Ecco perché,
la principale preoccupazione è quella di estendere quanto più possibile la
sorveglianza sanitaria che si è dimostrata estremamente importante non solo per
la sopravvivenza dei lavoratori ma anche per la loro qualità della vita.
Il sindaco
di Ottana ha illustrato l’esigenza di dichiarare il Sito industriale di Ottana,
attualmente sito di interesse regionale, “Sito di interesse nazionale” onde
facilitare la bonifica di tutto il territorio.
In merito
alla rendita al superstite va osservato che l’attuale prescrizione presente nel
quadro normativo riportato dalla Direzione Centrale Prestazioni Ufficio I (protocollo
7187bis del 28/11/05) determina per gli eredi le seguenti perdite:
-
assegno
spese funerale;
-
rendita al
superstite;
-
quota Fondo
vittime amianto;
-
beneficio
previdenziale;
-
sostenibilità
per la rivendicazione dei danni differenziali a carico delle aziende.
Nonostante,
già prima del 2005, i Giudici di legittimità, nell’affrontare la decorrenza
della prescrizione e delle prestazioni per la rendita ai superstiti, hanno
sancito che la decorrenza della prescrizione deve iniziare allo scadere di “3
anni e 150 giorni dall’avvenuta dimostrabile conoscenza o l’oggettiva
conoscibilità, da parte dei superstiti” della causa di morte, l’INAIL
puntualmente continua a rigettare la richiesta di rendita al superstite.
Nella realtà
nazionale italiana, il grado di conoscenza coincide con la sofferenza dei
congiunti di coloro che sono stati colpiti da gravi patologie oncologiche
asbesto-correlate. Si ritiene pertanto necessario e indispensabile rivedere i
termini della prescrizione a meno che la causa lavorativa del decesso non sia
riportata esplicitamente nei referti rilasciati dagli specialisti che si
prendono cura dei pazienti. Per questa ragione si ritiene che il familiare
sopravvissuto possa essere considerato conoscente della causa lavorativa del
decesso solamente quando questa è espressamente riportata negli atti medici.
Pertanto il
superamento della attuale prescrizione è un obiettivo non eludibile.
Sono stati
presentati documenti relativi agli esposti denunciati depositati presso la Procura della Repubblica
di Matera, di Nuoro e di Cagliari, è stato consegnato anche il servizio
inchiesta prodotto dalla “Nuova TV” Basilicata sui siti industriali chimici
della Val Basento e del sito Materit che produceva manufatti in cemento
amianto.
Infine, è
stato richiesto un intervento presso l’INPS nazionale affinché venga
corrisposto agli eredi quanto riconosciuto dal giudice a favore dell’ex esposto
deceduto durante l’iter giudiziario.
---------------------
From: Medicina Democratica Onlus segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Tuesday, January 24, 2017 12:44 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
LA LETTERA DI DARIO MIEDICO ALL’ORDINE DEI MEDICI SULLE VACCINAZIONI
Il dottor
Dario Miedico, tra i fondatori di Medicina Democratica è stato convocato dall’Ordine
dei Medici per “rispondere” delle sue posizioni critiche sulle vaccinazioni sui
quali ha sempre preteso il “principio di precauzione” o comunque la necessità
di un vero consenso informato da parte dei genitori e soprattutto di una vera
informazione, contestando in ogni caso la costrizione (obbligo) della
vaccinazione per poter usufruire dei servizi di asilo nido, scuola materna
e d’obbligo utilizzati ultimamente da diverse realtà locali come forma di
costrizione contro diverse opinioni sul tema (opinioni che non possono certo
scatenare epidemie di malattia).
Leggi
tutto al link:
MEDICINA DEMOCRATICA RINNOVA LA SUA INIZIATIVA A QUARANT’ANNI DALLA SUA NASCITA
Pubblichiamo
il documento finale dell’iniziativa svolta a Milano il 20 e 21 gennaio e
mettiamo a disposizione le slides disponibili degli interventi di diversi
relatori.
Leggi
tutto al link:
MORTI PER ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO ALLA FRANCO TOSI DI LEGNANO, UN’ALTRA ASSOLUZIONE
Riportiamo
il comunicato stampa congiunto di AIEA e Medicina Democratica sull’esito
nefasto della sentenza di secondo grado che conferma l’assoluzione dei
dirigenti Franco Tosi per l’esposizione all’amianto per decenni di
molti lavoratori. Tra l’altro, è solo di metà novembre 2016, l’ultima
morte operaia per infortunio presso l’azienda che ha in parte rilevato le
attività della ex Franco Tosi Spa.
Leggi
tutto al link:
*
* * * *
Aiuta
Medicina Democratica Onlus devolvendo il tuo 5 per mille firmando nella tua
dichiarazione dei redditi nel settore volontariato e indicando il codice
fiscale 97349700159
Sito
web:
Facebook:
www.facebook.com/MedicinaDemocratica
www.facebook.com/MedicinaDemocratica
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From: Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
To:
Sent:
Thursday, January 26, 2017 8:09 PM
Subject: PER IL
31 GENNAIO: SENTENZA PER LA STRAGE DI VIAREGGIO
Martedì 31
gennaio, dopo 7 anni e 7 mesi (!) la conclusione di primo grado sul processo
della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009.
Il 20
settembre 2016, i pubblici ministeri fanno le richieste di condanna per gli
imputati: 16 anni a Moretti, 15 ad Elia, 13 a Margarita, 12 a Galloni e così via.
Complessivamente 258 anni per tutti gli imputati.
Il 21
settembre, dopo poche ore, il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti,
Delrio, si “lascia andare...” ed entra a gamba tesa sull’operato della Magistratura.
Proprio loro, uomini delle istituzioni, che si sono sempre negati ai familiari
per non “interferire nel processo...”.
Intervistato
alla trasmissione “Otto e mezzo” su La7, Delrio dichiara che la richiesta a
Moretti è “enormemente sproporzionata”. Alla stravagante e demenziale
affermazione del Ministro, le legittime e giustificate reazioni dei familiari
delle 32 Vittime.
A Delrio,
sarebbe da chiedere:
qual è per il
cavalier Moretti una richiesta di condanna non enormemente sproporzionata;
se le
richieste dei Pubblico Ministero nei confronti degli altri imputati sono anch’esse
“enormemente sproporzionate”.
La nostra
migliore risposta è la presenza e la partecipazione il 31 gennaio al Polo Fieristico
a Lucca, ex Bertolli, località Sorbano del Giudice, dalle ore 09.30 per
attendere assieme l’ora della sentenza.
Per la prima
volta dall’inizio del processo le telecamere sono ammesse in aula alla lettura
della sentenza.
La partenza
da Viareggio è alle 08.45, dal parcheggio del PAM sotto il cavalcaferrovia.
---------------------
From: AIEA Paderno
Dugnano aieapadernodugnano@gmail.com
To:
Sent: Friday,
January 27, 2017 6:00 PM
Subject: COMUNICATO
STAMPA SENTENZA DI APPELLO FRANCO TOSI
COMUNICATO STAMPA
FRANCO TOSI TRIBUNALE DI MILANO V SEZIONE PENALE:
TUTTI ASSOLTI
Ancora una volta la Quinta Sezione penale
della Corte d’Appello del Tribunale di Milano non si è smentita. I
dirigenti della Industria Franco Tosi di Legnano sono stati assolti dall’accusa
di omicidio colposo per la morte di 34 operai causa l’esposizione all’amianto.
E’ stata confermata la prima sentenza di assoluzione
sulla base di ragionamenti cosiddetti scientifici, già smentiti in molte altre
sentenze, compresa la Corte di
Cassazione. 33 sono stati i morti per mesotelioma pleurico e uno per carcinoma
dei polmoni.
A sostenere l’accusa erano rimaste Medicina
Democratica e l’Associazione Italiana Esposti Amianto che hanno avuto la
sorpresa per la prima volta di essere condannati pure alle spese di giudizio.
Forse si è voluto far capire a queste associazioni che insistono per ottenere
giustizia per i morti che devono seguire altre strade o magari starsene a casa
loro.
Certamente le motivazioni che verranno depositate fra
90 giorni spiegheranno tutte le ragioni di diritto, ma ne mancherà una, quella
della Giustizia.
Come nel caso della Pirelli, dove pure vi è stata l’assoluzione
di tutti i dirigenti, MD e AIEA non mancheranno di ricorrere per Cassazione.
Milano, 24 gennaio 2015
Medicina Democratica e Associazione Italiana Esposti
Amianto
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From: Assemblea
29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent:
Saturday, January 28, 2017 9:53 AM
Subject: PER IL
31 GENNAIO A LUCCA
Martedì 31 gennaio, dopo 7 anni e 7 mesi(!) ci sarà la
conclusione del primo grado del processo per la strage ferroviaria di Viareggio
del 29 giugno 2009.
Nelle 140 udienze, da quelle bocche è uscito di tutto
e di più. Avvocati di imputati, profumatamente pagati (addetti ai lavori
parlano di migliaia di euro a udienza) e consulenti di parte, si sono
sbizzarriti nel definire i familiari come “quelli là dietro...”.
Quelli là dietro che la mattina, a ogni inizio
udienza, non davano loro il buongiorno e, forse, neppure la buonasera.
Consulenti, altrettanto profumatamente pagati, per mostrare scientificamente
(si fa per dire) che i loro assistiti non avevano alcuna responsabilità di
quanto accaduto quella tragica notte.
Avvocati che nello loro requisitorie e repliche, hanno
definito i loro “clienti” persone perbene, che hanno conseguito lauree con 110
e lode e che nello loro attività ferroviaria (profumatamente e ben retribuita)
hanno dedicato la vita alla sicurezza ferroviaria (sic!) e che sono persino
figli di ferrovieri. Come difesa, è stato un bel dire... e che loro sono
vittime o, meglio, le vere vittime di questo processo.
C’è stato chi si è persino soffermato provocatoriamente
sulla parola strage nel dire che quella di Bologna (del 2 agosto 1980) sì che è
stata una strage. Per Viareggio si deve parlare d’altro: di uno “spiacevolissimo
episodio” o di cigno nero.
Abbiamo sempre scritto e detto che il 29 giugno 2009 è
avvenuto un incidente di lavoro che si è trasformato in disastro ferroviario
che ha provocato una strage di bambini, ragazze, uomini e donne. Non si è
trattato né di sciagura, né di disgrazia, né di uno spiacevole episodio. Per
difese e consulenti di parte, invece, è stato questo. Non c’è modo migliore per
negare concretamente la realtà con fantasie, offese e provocazioni.
A quei bambini e a quelle ragazze non è stato dato il
tempo per diventare “persone perbene”, per laurearsi con 110, per affrontare la
vita, per conoscere il mondo.
I loro familiari e tanti altri cittadini e cittadine,
con l’impegno di questi sette anni, hanno voluto non dimenticarli, pretendere
sicurezza, verità e giustizia ed hanno dovuto farli conoscere al mondo. Far di
tutto affinché non siano uccisi una seconda volta.
Vi invitiamo il 31 gennaio al Polo Fieristico a Lucca,
ex Bertolli, località Sorbano dal Giudice, dalle ore 09.30 per attendere
assieme l’ora della sentenza.
Per la prima volta dall’inizio del processo le
telecamere sono ammesse in aula alla lettura della sentenza.
La
partenza da Viareggio è alle 08.45, dal parcheggio della PAM
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