martedì 31 gennaio 2017

30 gennaio - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 30/01/17, la contro/informazione di M. Spezia



INDICE

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
LA CALMA PRIMA DELLA STRAGE

IL FALLIMENTO DEL JOBS ACT


ALLEVA: “LAVORARE MENO PER CREARE OCCUPAZIONE, ALTRO CHE JOBS ACT”

NEWSLETTER ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO

LA CORTE COSTITUZIONALE E L’ARTICOLO 18...

LIBERTA’ DI LICENZIAMENTO: UNA SENTENZA POLITICA

LICENZIATI PER PROFITTO

INCONTRO TRA LA PRESIDENTE DELLA CAMERA E LE DELEGAZIONI DI VEDOVE DELLA SARDEGNA E DELLA BASILICATA

Medicina Democratica Onlus segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA

Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
PER IL 31 GENNAIO: SENTENZA PER LA STRAGE DI VIAREGGIO

AIEA Paderno Dugnano aieapadernodugnano@gmail.com
COMUNICATO STAMPA SENTENZA DI APPELLO FRANCO TOSI

Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
PER IL 31 GENNAIO A LUCCA

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Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere dal fronte”, cioè una raccolta di mail o messaggi in rete che, tra i tanti che ricevo, hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Monday, January 16, 2017 9:54 AM
Subject: LA CALMA PRIMA DELLA STRAGE

Tra circa un mese ricomincerà una strage della quale tutti si dimenticano.
Lancio l’appello a tutte le persone di buona volontà: salviamo la vita ai nostri agricoltori che muoiono numerosissimi schiacciati dal trattore. Una strage provocata dall’indifferenza.
Ogni anno muoiono un numero spaventoso gli agricoltori schiacciati dal trattore.
Sono stati 156 nel 2014, 136 nel 2015 e 141 nel 2016. Un morto su cinque sui luoghi di lavoro ogni anno muore per infortunio sul lavoro in modo atroce a causa di questo mezzo. Un mezzo spesso obsoleto che non lascia scampo nel caso di ribaltamento. Ma succede anche con trattori moderni.
Spesso le cause non sono dovute a leggerezze nella guida, ma alle instabilità del terreno provocate dalle condizioni climatiche. Terreno asciutto in superfice, ma bagnato in profondità o troppo duro a causa della siccità, ma anche in altre situazioni climatiche che non sto ad elencare. Il terreno prevalentemente collinare del nostro paese complica poi la situazione in modo drammatico. Una manovra sbagliata su un terreno in pendenza può risultare mortale.
Tra l’altro tantissimi di questi lavoratori spariscono anche dalle statistiche delle morti sul lavoro e non vengono riconosciuti come tali perchè non dispongono di un’assicurazione o ne hanno una che è diversa dall’INAIL.
Lo Stato non può essere indifferente verso queste tragedie. Sono anni che avverto, come oggi il Primo Ministro, il Ministro del Lavoro e quello delle Politiche Agricole di questa strage, ma mai se ne sono occupati. Lo Stato dovrebbe anche accertare lo stato di salute di chi guida questo mezzo mortale e incentivare l’acquisto di trattori nuovi, che comunque sono molto meno pericolosi. Ma dovrebbe fare anche una campagna informativa sulle pericolosità del trattore.
Muoiono schiacciati dal trattore lavoratori di tutte le età: diversi con un’età superiore ai 65 anni. A volte vengono coinvolti anche bambini e adolescenti innocenti. Chi guida questo mezzo deve essere in un ottimo stato di salute e avere i riflessi pronti.
Lancio un appello ai familiari e agli amici di queste potenziali vittime. Se volete bene al vostro caro mettetelo al corrente del pericolo che corre. Se volete bene a vostro marito, padre, nonno, ma anche a vostro figlio/a accertatevi del suo stato di salute e se il mezzo che guida è idoneo. Piangere dopo non serve a niente...
Amici di Facebook che a centinaia, a volte in migliaia, che ogni giorno visitate l’Osservatorio, datemi una mano condividendo e far conoscere questa carneficina.
Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro

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To:
Sent: Tuesday, January 17, 2017 9:48 AM
Subject: IL FALLIMENTO DEL JOBS ACT

di Guglielmo Forges Davanzati
12 gennaio 2017
E’ ormai chiaro che, rispetto all’obiettivo dichiarato (accrescere l’occupazione), il Jobs Act si è rivelato fallimentare. Il provvedimento, che ha introdotto contratti a tutele crescenti (frequentemente ed erroneamente definiti a tempo indeterminato) è stato accompagnato da ingenti sgravi contributivi a favore delle imprese per la ‘stabilizzazione’ dei contratti di lavoro.
Secondo la propaganda governativa, si sarebbe fatta marcia indietro rispetto alle misure di precarizzazione del lavoro messe in atto con intensità crescente negli ultimi decenni. Nei fatti, si è trattato di un provvedimento che ha semmai reso le condizioni di lavoro ancora più precarie, sia per l’introduzione di una nuova tipologia contrattuale (il contratto a tutele crescenti) che non stabilizza il rapporto di lavoro (ma rende più difficile e costoso il licenziamento al crescere dell’anzianità di servizio), sia per l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. In più, contrariamente agli obiettivi dichiarati, si è accentuato il dualismo del mercato del lavoro italiano, inserendo una inedita cesura (datata 7 marzo 2015) fra lavoratori assunti con veri contratti a tempo indeterminato e lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti.
Come da più parti previsto, si è trattato di un provvedimento del tutto inefficace, e per alcuni aspetti controproducente, per la crescita dell’occupazione. Dopo un aumento dell’occupazione “a tempo indeterminato”, evidentemente determinato dalla convenienza da parte delle imprese a riconvertire i contratti per avvalersi della detassazione, riducendosi i fondi pubblici per gli sgravi fiscali alle imprese, si è registrata una rapidissima inversione di tendenza: è aumentato il tasso di disoccupazione e i contratti sono diventati sempre più precari. In sostanza, si è trattato di un’operazione che ha temporaneamente “drogato” il mercato del lavoro italiano. Nulla più di questo, se non si fosse trattato di un vero e proprio spreco di risorse pubbliche per un obiettivo non raggiunto e verosimilmente non raggiungibile con gli strumenti utilizzati. Terminata questa fase, ci si ritrova in una condizione sotto molti aspetti peggiore della precedente, una triste eredità del Governo Renzi, per due ordini di ragioni.
Secondo le ultime rilevazioni ISTAT, il tasso di disoccupazione, in Italia, torna nel 2016 a quasi il 12%, dopo una leggera flessione nel 2015, attestandosi a oltre due punti percentuali in più rispetto alla media europea (11,9% a fronte del 9,8%). Si registra anche una significativa riduzione del numero di inattivi, fenomeno che, di norma, viene valutato positivamente come segnale di dinamismo del mercato del lavoro. Si tende, cioè, a ritenere che una maggiore partecipazione nel mercato del lavoro sia, di per sé, desiderabile.
E’ bene chiarire che è, questa, una valutazione che riflette una visione del funzionamento del mercato del lavoro interamente declinata “dal lato dell’offerta”: in altri termini, più forza-lavoro disponibile dovrebbe implicare maggiore occupazione. Il che non è nei fatti, né oggi in Italia né è quasi mai accaduto da quando il fenomeno è oggetto di rilevazione statistica.
La riduzione del numero di inattivi, se letta in chiave macroeconomica, può non essere affatto un segnale di vitalità del mercato del lavoro e, in più, può essere il segnale di un meccanismo niente affatto virtuoso. Ciò a ragione del fatto che la riduzione del numero di inattivi è associato a un fenomeno noto come “effetto del lavoratore aggiunto”: in fasi recessive e di caduta della domanda di lavoro, con conseguente riduzione dei salari reali, entrano nel mercato del lavoro altri componenti dell’unità familiare per provare a garantire all’unità familiare il livello di consumi considerato “normale”. Il che significa che la riduzione del numero di inattivi è innanzitutto un segnale di impoverimento dei lavoratori occupati e, al tempo stesso, di erosione dei risparmi delle famiglie (dal momento che una condizione di inattività è consentita solo attingendo a redditi non da lavoro).
Vi è poi da considerare che l’aumento del numero di individui alla ricerca di lavoro, accrescendo la concorrenza fra lavoratori, contribuisce a ridurre i salari, in una spirale perversa per la quale la domanda interna continua a contrarsi, così come la domanda di lavoro e dunque i salari e i consumi. In altri termini, l’aumento dei tassi di partecipazione al mercato del lavoro è l’effetto della caduta dei salari e, al tempo stesso, contribuisce a generarla.
Inoltre il Jobs Act ha contribuito alla precarizzazione del lavoro anche per mezzo dell’estensione della platea di lavoratori pagati con buoni lavoro (voucher), per ogni settore produttivo e committente. I buoni lavoro, già presenti nella cosiddetta Legge Biagi, erano stati pensati per remunerare mansioni accessorie e occasionali, spesso prestate in condizioni di illegalità. Tipicamente: lavori domestici saltuari, badanti. Occorre ricordare che il lavoro con voucher non configura un contratto di lavoro e, per questa ragione, non dà al lavoratore diritto a ferie, maternità, né, in caso di non rinnovo del rapporto, si configura un licenziamento. Il risultato dell’estensione della platea di potenziali beneficiari è impressionante: nel corso del 2016, sono stati staccati 115 milioni di tagliandi, coinvolgendo circa 700.000 lavoratori (a fronte di 25.000 nel 2008) per un importo complessivo stimato intorno agli 800 milioni di euro.
La recente decisione della Consulta di consentire il referendum abrogativo dei voucher (uno dei tre proposti dalla CGIL) va accolta con favore, sebbene si tratti di una decisione opinabile e oggetto di critiche (http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=27177), avendo impedito ai cittadini italiani di esprimersi contro l’abolizione dell’articolo 18. I buoni lavoro costituiscono la nuova frontiera del precariato, e ogni azione di contrasto al precariato è da valutare positivamente sia per garantire dignità al lavoro, sia perché è ampiamente mostrato (sul piano teorico ed empirico) che la precarizzazione del lavoro non accresce l’occupazione, riduce la quota dei salari sul PIL, ed è un freno alla crescita.
E’ lo stesso Governo ad ammettere che l’uso dei voucher va maggiormente regolamentato a ragione del fatto che di questo strumento le imprese avrebbero “abusato”. Ma è lo stesso Governo a continuare a reiterare l’argomento (falso) per il quale i buoni lavoro sono uno strumento efficace per contrastare il lavoro nero. Per decretare la falsità di questo argomento, può essere sufficiente considerare che, su fonte ISTAT, l’incidenza del sommerso sul PIL è costantemente aumentata negli ultimi anni, pur essendo stato fornito alle imprese lo strumento dei buoni lavoro. Ed è proprio l’ISTAT a imputare l’aumento del sommerso all’aumento del tasso di disoccupazione (non all’eccessiva rigidità del mercato del lavoro, come nell’interpretazione governativa e dominante) in linea con la posizione dell’INPS.
E’ poi interessante osservare che, su fonte INPS, l’uso dei voucher è maggiormente diffuso al Nord (fatta eccezione per il boom di voucher venduti in Sicilia), dove, per le informazioni di cui si dispone, è normalmente minore l’incidenza del lavoro sommerso o irregolare. Il che potrebbe dipendere dalla maggiore numerosità di imprese lì localizzate e dalla loro crescente propensione a competere comprimendo i salari e accelerando (grazie alla massima flessibilità sui tempi garantita dai voucher) i tempi di produzione e vendita. E, per quanto attiene l’offerta di lavoro, è ragionevole ipotizzare che in quella area sia presente, e in crescita, una platea di lavoratori disposti a lavorare a qualsiasi condizione. Il che, a sua volta, può innescare un fenomeno irreversibile. Lavoratori che hanno accettato di essere pagati con voucher saranno evidentemente considerati dalle imprese lavoratori disponibili a erogare le loro prestazioni con i minimi diritti in un “gioco al ribasso” che i meccanismi spontanei di mercato non frenano, anzi promuovono.

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To:
Sent: Tuesday, January 17, 2017 9:48 AM
Subject: ALLEVA: “LAVORARE MENO PER CREARE OCCUPAZIONE, ALTRO CHE JOBS ACT”

Intervista a Piergiovanni Alleva
9 gennaio 2017
“Una settimana lavorativa di 4 giorni, perché solo ridistribuendo il lavoro potremo contrastare il dramma della disoccupazione. E l’introduzione del reddito minimo garantito è un obiettivo da perseguire”.
Le proposte del giuslavorista Piergiovanni Alleva (docente universitario e consigliere regionale in Emilia Romagna) appaiono massimaliste, al limite dell’irrealizzabile. Il pensiero va alla copertura economica, dove trovare i soldi?
“Nessuna utopia, abbiamo fatto i calcoli e le risorse ci sono: in Emilia Romagna, ad esempio, sono sufficienti quelle locali”.
Di certo, Alleva non crede che il Jobs Act sia la soluzione per contrastare la precarietà, anzi.
Il giuslavorista, dopo esser stato protagonista lo scorso anno della battaglia in difesa dell’articolo 18 poi manomesso dal governo Renzi, si prepara adesso per l’eventuale referendum di primavera: “I lavoratori non hanno più quasi tutele, e le poche che hanno non le rivendicano per paura di venire licenziati. Il Jobs Act ha distrutto la giustizia del lavoro, ma grazie ai tre referendum della CGIL abbiamo una straordinaria occasione di riscatto”.
A seguire l’intervista al giuslavorista Piergiovanni Alleva.
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D: Professore, in Emilia Romagna lei ha presentato una proposta di legge per passare da 5 a 4 giorni lavorativi: un modo per contrastare la disoccupazione allo storico grido “lavorare meno, lavorare tutti”?
R: Passare da cinque a quattro giorni lavorativi significa ridurre l’orario di lavoro, e quindi anche il salario, del 20 per cento. Sarebbe perfetto poter dare al lavoratore che accetta di ridurre l’orario (dico “accetta” perché tutta l’operazione è strettamente volontaria) una compensazione totale. Poiché la legislazione nazionale non dà alcuna compensazione nel caso di contratti di solidarietà espansivi (mentre la dà per quelli difensivi) occorre utilizzare risorse locali che consentirebbero, secondo i nostri calcoli, una compensazione fino al 92 per cento del valore del suo salario. Il lavoratore perderebbe solo l’8 per cento del suo potere di acquisto, ma guadagnerebbe un giorno libero in più alla settimana che a questo punto sarebbe fatta di quattro giorni lavorativi e tre di tempo libero. Per “risorse locali” si intende l’utilizzo del salario di ingresso previsto per i neo assunti, dei risparmi resi possibili dall’utilizzo di misure di welfare aziendale, nonché di uno specifico contributo regionale.
D: Ma la proposta dei 4 giorni lavorativi si potrebbe attuare anche su scala nazionale?
R: Certo, dovrebbe essere assunta a livello nazionale perché a quel livello con un ulteriore apporto della finanza centrale si potrebbe arrivare alla compensazione completa. Sempre in Emilia Romagna è passata una legge che introduce il reddito minimo. In Parlamento giacciono ben tre proposte di legge sul reddito minimo garantito, una di SEL, una del PD e una del Movimento 5 Stelle.
D: Potrebbe essere l’antidoto per contrastare la precarietà e l’enorme tasso di disuguaglianza nel Paese?
R: Il reddito minimo garantito è un obiettivo da perseguire. La recente legge approvata in merito dalla regione Emilia Romagna, lascia a desiderare perché, a mio giudizio, le risorse destinate vanno concentrate sulle classi di età più avanzate che difficilmente possono essere reinserite nel mercato del lavoro. Per i più giovani occorre un inserimento lavorativo quale vera soluzione e quindi in un certo senso la mia proposta di legge è complementare a quella sul reddito minimo. In altre parole, reddito garantito per chi difficilmente potrà ancora lavorare e invece reddito da lavoro per chi può e vorrebbe lavorare.
D: In base ai recenti dati dell’ISTAT la disoccupazione, soprattutto giovanile, è in aumento. La politica è rimasta a guardare di fronte a questa emergenza nazionale? Servono nuovi investimenti pubblici mirati?
R: La disoccupazione giovanile è il nostro principale problema e infatti la mia proposta è prioritariamente diretta a ridurla quanto più possibile. Tuttavia, investimenti pubblici sono certamente indispensabili perché proposte di tipo redistributivo del lavoro esistente sono necessarie ma non sufficienti.
D: Per la narrazione dei governi Renzi e Gentiloni, il Jobs Act ha avuto il merito di abbassare la percentuale dei disoccupati. E’ d’accordo? Qual è il suo giudizio sul Jobs Act?
R: Il Jobs Act ha portato la distruzione delle tutele e della dignità dei lavoratori intrecciata con una vera e propria truffa di dimensioni gigantesche. Ciò perché l’incremento dell’occupazione a tempo indeterminato altro non è in realtà che la trasformazione di precedenti contratti precari irregolari e come tali già da considerare per legge a tempo indeterminato. I molti miliardi, più di 20 nel triennio, pagati alle imprese per queste apparenti trasformazioni sono stati un incredibile regalo a dei contravventori delle regole contrattuali che avrebbero dovuto invece essere multati. Sarebbe stato molto più produttivo utilizzarli per creare nuovi posti di lavoro.
D: Finiti gli incentivi alle imprese, in effetti sarebbero terminate anche le assunzioni...
R: L’incremento occupazionale di lavoro stabile prospettato non c’è stato perché il governo Renzi ha creato in concorrenza tipologie contrattuali ultra precarie, come i contratti a termine acausali ed i voucher-lavoro. Nel mercato del lavoro, come in ogni mercato, la moneta cattiva scaccia la buona e la cattivissima la cattiva.
D: I voucher: vanno aboliti o è sufficiente regolamentarli?
R: Il punto fondamentale è che i voucher non devono assolutamente essere utilizzati nell’impresa dove è essenziale, sia per la produzione sia per la dignità delle persone, che si instaurino dei rapporti di lavoro. Altra cosa è l’utilizzo da parte dei datori di lavoro non imprenditori, come famiglie o altri soggetti privati. Secondo me, comunque, sarebbe meglio abolirli.
D: Non hanno avuto almeno il merito di far emergere il lavoro in nero?
R: Il voucher non fa emergere ma incentiva il lavoro nero, in quanto costituisce in concreto un alibi per utilizzare lavoro irregolare. Con il voucher si denunzia un’ora di lavoro, ma questa è la foglia di fico per farne poi svolgere molte di più in nero. L’obbligo di avvisi telematici e altre annunciate garanzie di cui parla il governo Gentiloni servirebbero solo se, non appena fatta la denunzia da parte del datore di lavoro, partisse un controllo “in loco” degli organi ispettivi il che, come si comprende, è una prospettiva inattuabile.
D: Per il giuslavorista Pietro Ichino la Consulta, il prossimo mercoledì 11 gennaio, potrebbe bocciare l’ammissibilità dei tre quesiti proposti dalla CGIL, un rischio che vale soprattutto per quello riguardante l’art. 18. Che ne pensa?
R: L’argomento di Ichino è del tutto infondato e francamente penso che lo sappia benissimo. Il problema è tutto qui: se una regola ha un limite di applicabilità e si elimina questo limite attraverso un’abrogazione referendaria ovviamente l’ambito di applicazione della regola si espande ad un nuovo territorio e se tutti i limiti vengono aboliti la regola diventa generale. L’abrogazione di un elemento negativo e il conseguente ampliamento positivo della regola sono in realtà le due facce di una stessa medaglia. La Corte ha già affrontato questo problema nella Sentenza n. 41 del 2003 che dichiarò ammissibile un quesito referendario che abrogava tutti i limiti all’applicabilità dell’articolo 18. Questa volta si chiede di eliminare un solo limite, quello dei sedici dipendenti.
D: Però anche altri analisti temono che l’11 gennaio possa giungere una bocciatura...
R: Il problema purtroppo non è giuridico e un giudizio di inammissibilità da parte della Corte costituirebbe un grave caso di incoerenza da un lato e di interferenza politica dall’altro.
D: Se alla fine ci sarà il referendum e se dovesse vincere il SI’ abrogativo, per l’articolo 18 si tornerebbe ad una situazione pre-Fornero?
R: Sì, nel senso che la formulazione originaria dell’articolo 18 varrebbe per tutti, anche per i lavoratori delle imprese di livello occupazionale compreso tra i 5 e i 16 dipendenti. Voglio sottolineare questo argomento che potrà avere un grande valore propagandistico: tutti i lavoratori che sono stati assunti col cosiddetto “contratto a tutele crescenti”, che in realtà significa senza garanzia di stabilità, votando I SI’ al referendum regaleranno a sé stessi la stabilità e la sicurezza del posto di lavoro.
D: Per anni si è pensato alla flessibilità in uscita (quindi la possibilità dell’azienda di poter licenziare il lavoratore) per rilanciare l’economia italiana. Per anni, quindi, visti i risultati odierni, si sono sbagliate tutte le politiche?
R: Ho sempre avuto un senso di repulsione verso il ragionamento per cui senza articolo 18 le imprese assumerebbero maggiormente e più volentieri: equivale a dire che vogliono tenere sotto ricatto di licenziamento ingiustificato i lavoratori in maniera che questi ultimi non possano mai alzare la testa o avanzare qualche rivendicazione. Così non si va da nessuna parte, perché è solo dalla fidelizzazione della risorsa umana, e cioè dalla fiducia e dignità e dall’identificazione dei lavoratori con l’impresa, che può aumentare la produttività.
D: Torniamo al dramma della disoccupazione. Come affrontare la progressiva scomparsa del lavoro provocata dall’automazione tecnologica? Dalla fase di alienazione dovuta alla diffusione delle macchine, arriveremo alla scomparsa dell’uomo dai luoghi di lavoro?
R: La progressiva automazione del processo produttivo resta ovviamente un problema centrale per i destini della società capitalistica: la continua crescente sostituzione del lavoro vivo con lavoro morto secondo Marx costituisce per il capitalismo l’avverarsi del monito “fratello ricordati che devi morire”, nel senso del riproporsi in modo sempre più drammatico di crisi di sottoconsumo. E’ inevitabile che le merci non trovino più sbocco di mercato se le persone che dovrebbero acquistarle, vendendo la loro forza lavoro, vengono progressivamente estromesse dal processo produttivo. Il capitalismo non ha i mezzi per contrastare questa sua malattia endogena se non quello di aumentare, spesso in maniera artificiosa, i bisogni e quindi la produzione, ma il risultato finale non è, a quanto pare, in equilibrio.

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To:
Sent: Wednesday, January 18, 2017 8:11 PM
Subject: NEWSLETTER ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO

Emergenza amianto, una delegazione della AIEA Sardegna e della AIEA Val Basento Basilicata è stata ricevuta dalla presidente della Camera Boldrini, che ha annunciato la massima attenzione al caso assicurando sostegno alle vedove dei lavoratori vittime della fibra killer.
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Il documentario “Attenti al Treno” girato a Savigliano racconta la storia di alcuni operai e dei figli delle vittime della Ex Fiat Ferroviaria, morti a causa dell’amianto. Un percorso tra il mondo delle vittime, dell’associazionismo, del mondo giuridico e scientifico per denunciare la strage delle morti d’amianto in Italia e nel mondo. Documentario finanziato da AIEA Onlus, sezione di Savigliano e girato da Maura Crudeli e Federico Alotto.
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Sono stati tutti assolti con formula piena i sette ex manager di Pirelli accusati a Milano di omicidio colposo e lesioni gravissime per i 28 casi di operai morti o ammalati a causa dell’amianto, dopo aver lavorato negli stabilimenti milanesi dell’azienda tra gli anni ‘70 e ‘80.
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Ancora una volta un’assoluzione perchè il “fatto non sussiste”, ancora una volta un’accusa di disastro ambientale ignorata, delegittimata, ribaltata. Cosa significa “il fatto non sussiste”: significa che non c’era amianto in quella struttura vecchia e fatiscente nonostante il ritrovamento di quasi 4 tonnellate di amianto dopo l’esplosione tra le macerie?
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CONVEGNO: “REGIONE: AMBIENTE E TERRITORIO - NON CI RESTA CHE LA PREVENZIONE”
La Fondazione Bartolo Longo III Millennio e l’Associazione For Afterlife Foundation APS comunicano che il prossimo 17 dicembre, si terrà il Convegno “Regione: Ambiente e Territorio - Non ci resta che la Prevenzione”. L’Evento si terrà presso il teatro Di Costanzo Mattiello di Pompei con inizio alle ore 17.30.
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Questo è il contributo che il un cittadino, consigliere comunale intende portare come ringraziamento a quelle persone che fanno parte di AIEA e che dedicano impegno, passione e tempo con il solo scopo di informare la gente sui pericoli relativi all’ amianto.
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Il giornale Nuova Basilicata, ha dedicato oltre dieci pagine alle conseguenze dovute alla presenza di sostanze pericolose e cancerogene come l’amianto negli ambienti di lavoro dei siti industriali della Val Basento, ANIC-ENIChem, Liquichimica, Materit, Filteni, Pirelli. Il servizio inchiesta è intitolato “Val Basento Terra dei fuochi. Centinaia di morti dimenticati... - Venite a scavare qui ...”.
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Morti alla centrale termoelettrica Enel di Turbigo: il Sostituto Procuratore di Milano Gemma Gualdi ha chiesto nel Processo d’Appello la condanna di due ex manager che furono assolti in primo grado assieme ad altri due ex dirigenti, accusati di omicidio colposo, perché secondo l’accusa si sarebbero resi responsabili della morte per mesotelioma pleurico (un tumore killer che si sviluppa respirando fibre di amianto) di otto ex dipendenti, non informandoli o proteggendoli dai rischi che correvano stando a contatto con l’amianto.
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From: Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
To:
Sent: Thursday, January 19, 2017 2:28 PM
Subject: LA CORTE COSTITUZIONALE E L’ARTICOLO 18...

Per una riflessione Collettiva e per la tutela reale della Dignità del prestatore d’opera.
Buona Vita.
Giuseppe Grillo
Cittadino/Lavoratore/Ferroviere/Macchinista
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Da:
“La sostituzione, operata dalle norme sottoposte al referendum, della garanzia reale della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore licenziato senza giusto motivo con la garanzia patrimoniale del pagamento di una somma di denaro ha annullato la dignità del lavoro, trasformando il lavoratore da persona in cosa, dotata non già di un valore intrinseco ma di un valore monetario”.
NON SI DEVE LICENZIARE SENZA GIUSTA CAUSA!!!
NON SI DEVE MONETIZZARE LA DIGNITA’ DELLA PERSONA!!!
Un Sindacato con la S maiuscola non deve accettare questo.
La Storia siamo noi, siamo noi padri e figli, siamo noi.
Bella Ciao!
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Scrissi nel 2012
PER UNA PICCOLA IMPRESA LICENZIARE E’ SEMPRE GIUSTO?
UNA STORIA REALMENTE ACCADUTA
Cari cittadini della Repubblica Antifascista Italiana.
Sono un cittadino di 54,5 anni. Vi racconto una storia.
Dal gennaio del 1980 fino all’aprile del 1981 ho lavorato in una piccola impresa metalmeccanica del natio paese calabro.
I primi mesi di lavoro trascorsero senza particolari difficoltà con la dirigenza dell’azienda, pur consapevole che l’impresa non rispettava del tutto il CCNL dei metalmeccanici.
Si lavorava il sabato, retribuito senza la maggiorazione per lavoro straordinario previsto dal CCNL. Inoltre i minimi stipendiali erano inferiori a quelli previsti dal CCNL in vigore.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata quando i miei colleghi lavoratori mi dissero che sulla 13° mensilità non veniva riconosciuta l’indennità di contingenza.
Bisogna ammettere che la dirigenza di questa piccola impresa aveva già capito tutto sul fatto che la scala mobile, prima o poi, dovesse essere abolita...
Ero un ragazzo più che ventenne iscritto al PCI, partito nelle cui fila militava il Presidente Giorgio Napolitano.
A tutto questo mi ribellai, convinsi gli operai a scioperare. Con l’aiuto della CGIL costringemmo l’impresa ad aprire un tavolo di discussione all’associazione industriale di Cosenza per dirimere la controversia.
In tale occasione seppi che nelle piccole imprese non potevano esserci delegati dei lavoratori. L’azienda promise il rispetto del CCNL e lo sciopero terminò.
Purtroppo le cose non andarono per il verso giusto. Alla prima occasione utile l’impresa mi spedì la lettera del licenziamento senza “Giusta Causa”.
Mi ha licenziato un “imprenditore socialista” con una scusa perché lo poteva fare, perché in quella piccola azienda non si applicava l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/70).
A 23 anni ho potuto verificare la mia “impotenza” di fronte all’arroganza padronale. Mi disse: “Giuseppe io ti posso licenziare, l’avvocato mi ha detto che posso farlo occupando meno di 16 persone”.
Per essere più sicuro di licenziare l’imprenditore socialista occupava solo 13 persone. Dopo pochi mesi dal mio licenziamento l’azienda continuò come prima, tenendo a bada qualsiasi velleità dei lavoratori rimasti.
Dopo qualche anno l’azienda licenziò tutti gli operai...
Cari cittadini della Repubblica Antifascista Italiana.
Si può licenziare senza o con “Giusta Causa”?
In verità vi dico che la causa è sempre “Giusta” per qualsiasi imprenditore che vuole eliminare la “gramigna lavoratore” che chiede il rispetto dei propri Diritti e della propria Dignità!
Bisognerebbe far rispettare a tutte le imprese l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Che significa che le imprese non vengono ad investire se non si abolisce l’articolo 18?
Ma che razza di società si vuole costruire?
Spero che il sindacato tutto non accetti siffatto RICATTO!!!
Buona Vita
Cittadino Giuseppe Grillo
05/02/12
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Da leggere per riflettere, perché non sarà mai abbastanza farlo.......

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From: Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent: Wednesday, January 18, 2017 10:33 AM
Subject: LIBERTA’ DI LICENZIAMENTO: UNA SENTENZA POLITICA

da Agenzia ANSA
LIBERTA’ DI LICENZIAMENTO: UNA SENTENZA POLITICA
DOPO LA BOCCIATURA DEL REFERENDUM SULL’ARTICOLO 18 DA PARTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Nicolosi di “Democrazia e Lavoro” CGIL: “Dobbiamo rispondere con l’azione sindacale nella contrattazione, valutando i contenuti della bocciatura del quesito per poi agire, non escludendo una nuova raccolta di firme su basi nuove”.
“La sentenza politica della Corte Costituzionale fa venire meno un principio sancito dalla Carta costituzionale: ora nella Repubblica democratica fondata sul lavoro la libertà di licenziamento è piena”: lo afferma Nicola Nicolosi, coordinatore nazionale della componente “Democrazia Lavoro” della CGIL, riferendosi alla decisione della Consulta di bocciare il referendum sull’articolo 18.
“La cosa strana” - osserva il sindacalista – “è che nel 2003 la Corte Costituzionale approvò il referendum basato sulle stesse identiche richieste con in più l’estensione a tutti dell’articolo 18 e non solo alle aziende con più di 5 dipendenti. Le ultime nomine fatte dal Parlamento e dal Presidente Napolitano hanno spostato gli equilibri”.
“Alla sentenza politica si deve rispondere con l’azione sindacale nella contrattazione e sviluppando nel Paese una maggioranza politica che recuperi il principio che non si può essere licenziati senza giusta causa” - conclude Nicolosi - “Bisognerà valutare i contenuti della bocciatura del quesito e subito dopo agire non escludendo una nuova raccolta di firme su basi nuove sempre per ripristinare la reintegrazione dell’articolo 18 previsto dal vecchio Statuto dei lavoratori”.

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From: Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent: Wednesday, January 18, 2017 10:33 AM
Subject: LICENZIATI PER PROFITTO

di Carlo Clericetti
L’AUMENTO DEL PROFITTO E’ PIU’ IMPORTANTE DEL MANTENERE UN POSTO DI LAVORO
Una sentenza della Cassazione ribalta i criteri in base ai quali si stabiliva il “giustificato motivo” del licenziamento: non conta se l’azienda è in difficoltà, sulla tutela del posto di lavoro prevale quella della libertà imprenditoriale. Un’interpretazione forzata della Costituzione che risponde ai paradigmi della cultura politico-ideologica dominante.
Nei giorni scorsi una sentenza della Cassazione ha convalidato un licenziamento motivato con il perseguimento di una maggiore efficienza da parte di un’azienda né in crisi né in passivo.
Questa la frase-chiave della motivazione: “Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare e il Giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa”.
Osserva il giuslavorista Umberto Romagnoli.
“L’espressione ‘giustificato motivo oggettivo’ dà luogo ad una tipica clausola generale che, in quanto tale, deve essere riempita dall’interprete. Finora ha prevalso un orientamento politico-culturale più limitativo del potere aziendale. Lo schema argomentativo è il seguente. Il licenziamento provoca un sacrificio la cui entità va confrontata con quella del danno che subirebbe il datore se non licenziasse e, poiché il sacrificio del lavoratore è valutato altissimo, il datore può licenziare solo se l’azienda va male. Adesso, è in ascesa uno schema argomentativo che proporziona il sacrificio del lavoratore al beneficio che il licenziamento procura al datore”.
Diciamolo in termini più semplici. La norma detta un principio generale, ma è poi il Giudice a valutare se e quando il motivo del licenziamento è “giustificato”. In altre parole, il Giudice decide quale sia il danno maggiore: quello del lavoratore che viene licenziato o quello dell’azienda che (essa sostiene) sarà meno efficiente? Come dice Romagnoli, in passato la bilancia è stata fatta pendere dalla parte dei lavoratori. In più d’un caso troppo, bisogna dire.
Dagli anni ‘70 e per oltre un ventennio le sentenze erano tutte (tranne poche eccezioni) favorevoli al lavoratore, anche in casi che sembravano indifendibili, come nullafacenti conclamati, assenteisti inveterati, persino ladri: tanto da far nascere il refrain “in Italia è impossibile licenziare”. Quei Magistrati non hanno fatto un buon servizio non solo alla giustizia, ma anche agli interessi dei lavoratori: inevitabilmente facevano montare una voglia di reazione, una rabbia profonda nei confronti di quella legge che sembrava voler coprire qualsiasi ingiustizia. Nasce di qui la guerra dichiarata all’articolo 18.
Ma se il motivo era comprensibile, la battaglia era sbagliata: la colpa delle distorsioni non era della legge, ma dell’interpretazione che se ne dava. Che poggiava, è vero, sul dettato costituzionale (articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro...”; articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”; articolo 35: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni”), ma certamente i padri costituenti non intendevano che bisognasse proteggere anche i ladri o i fannulloni.
Nel corso degli anni ‘90, comunque, l’aria comincia a cambiare. Le sentenze non sono più così scontate, e col passare del tempo quelle favorevoli alle aziende aumentano sempre di più. Naturalmente è impossibile stabilirlo con precisione, ma l’impressione è che, a partire dalla fine del secolo, la bilancia sia tornata più o meno ad equilibrarsi. Ciò nonostante, l’articolo 18 era diventato ormai il simbolo di uno scontro tanto ideologico quanto di potere nei rapporti di forza all’interno del mondo del lavoro, tanto da far combattere infinite battaglie intorno a questa norma, fino all’epilogo ad opera di un governo che si definiva di centro-sinistra.
La sentenza dei giorni scorsi, però, segna un nuovo salto di qualità: la bilancia, già squilibrata a favore dei datori di lavoro dopo la quasi eliminazione delle tutele, si inclina sempre di più dalla parte delle aziende. Nel dispositivo viene citato l’articolo 41 della Costituzione, che garantisce la libertà d’impresa. E’ vero, ma leggiamolo tutto: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
I giudici della Cassazione si sono fermati al primo capoverso? Perché il secondo e il terzo dovrebbero far escludere che la possibilità di conseguire un maggior profitto (sostenuta da una delle parti in causa e non verificabile dal giudice) possa prevalere sulla tutela del lavoro.
Ma lo spirito dei tempi soffia impetuoso nelle aule della giustizia. Ieri spingeva il pendolo dalla parte del lavoro, facendolo oscillare oltre il punto di equilibrio. Oggi, dopo oltre un quarto di secolo in cui sono state le idee neoliberiste a conquistare l’egemonia, lo sposta altrettanto esageratamente sul lato opposto, forzando il dettato costituzionale che di sicuro prescrive di tutelare il lavoro, mentre da nessuna parte è scritto che vada altrettanto (e anzi di più) tutelata non la libertà d’impresa, ma la facoltà di incrementare i profitti. I giudici sono uomini del loro tempo, e come tutti sono condizionati dalle idee che in quel tempo sono dominanti.
Naturalmente il dispositivo della sentenza non evita il problema, e lo risolve sostanzialmente così: “Non spetta al Giudice [...] surrogarsi nella scelta, con riferimento alla singola impugnativa di licenziamento, tenuto conto altresì della inevitabile mancanza di strumenti conoscitivi e predittivi che consentano di valutare quale possa essere la migliore opzione per l’impresa e per la collettività. Egli, così, non può essere legittimato a gravare l’impresa di costi impropri o non dovuti in base alla legge, quando piuttosto la Costituzione investe i poteri pubblici del compito di perseguire l’interesse collettivo dell’occupazione, tenuto altresì conto che la prospettiva individuale della difesa del singolo rapporto di lavoro potrebbe anche pregiudicare [...] l’intera comunità dei lavoratori dell’azienda interessata”.
Che il Giudice non debba valutare la congruità delle decisioni dell’impresa lo affermano peraltro due altre recenti leggi del 2010 (Governo Berlusconi) e 2012 (Governo Monti). E questo è ragionevole.
In passato, però, la stessa Corte riteneva necessario che “il licenziamento per motivo oggettivo sia giustificato dalla necessità di fare fronte a sfavorevoli situazioni e non sia meramente strumentale ad un incremento del profitto”.
Ora questo principio viene invece giudicato sbagliato, con un ragionamento che ricorda il “trickle down”, quella idea (tra i capisaldi del pensiero neoliberista) secondo cui un provvedimento a vantaggio dei ricchi va bene per tutta la società, perché poi quella ricchezza “gocciolerà” a beneficiare anche i meno abbienti. La realtà dei fatti si è poi incaricata di fare giustizia di questa idea balzana.
L’atmosfera culturale è cosa che cambia lentamente, e di norma ha una grande capacità di persistenza anche quando cambiano le condizioni generali. Se questa sentenza è rappresentativa dell’orientamento maturato dalla magistratura, per il lavoro ci saranno tempi duri per parecchio.

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To:
Sent: Friday, January 20, 2017 12:30 PM
Subject: INCONTRO TRA LA PRESIDENTE DELLA CAMERA E LE DELEGAZIONI DI VEDOVE DELLA SARDEGNA E DELLA BASILICATA

Si trasmette:
-         il link all’intervista della giornalista Mariolina Notargiacomo, redazione la Nuova TV Basilicata, alla Presidente della Camera, onorevole Boldrini:
-         Comunicato Stampa AIEA in merito all’incontro tra la Presidente della Camera e le delegazioni di vedove della Sardegna e della Basilicata.
Per ulteriori informazioni sull’incontro visionare il sito AIEA:
Grazie per l’attenzione.
Mario Murgia
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COMUNICATO STAMPA
INCONTRO TRA LA PRESIDENTE DELLA CAMERA E LE DELEGAZIONI DI VEDOVE DELLA SARDEGNA E DELLA BASILICATA
Lo stato di grave ingiustizia che colpisce le innumerevoli famiglie di coloro che hanno lavorato nei poli industriali della Val Basento, di Assemini (CA) e soprattutto del comparto fibre di Ottana (NU), è stato denunciato a viva voce dalle vedove della Sardegna e Basilicata alla Presidentessa della Camera Laura Boldrini.
Molti lavoratori lucani hanno ottenuto i benefici previdenziali previsti dall’articolo 13, comma 8 della Legge 257/92 per via amministrativa e legale, mentre ai lavoratori sardi non è stata applicata la suddetta Legge, in quanto, le relazioni della Contarp (organo certificatore dell’INAIL) emesse negli anni 2003 e 2004, riportavano che i lavoratori avevano manipolato l’amianto in misura irrilevante, per cui tale sostanza non poteva aver causato eventuali danni alla salute.
Per questo motivo, in Sardegna, anche le richieste della rendita al superstite (sottostante al limite temporale di 3 anni e 150 giorni) e le malattie professionali oncologiche tabellate e non derivanti dall’esposizione all’amianto, non vengono riconosciute dall’INAIL territoriale, mentre in Basilicata si.
Nell’incontro è stata evidenziata la necessità di rimuovere la pregiudiziale presente nelle relazioni Contarp-INAIL della Sardegna, per rendere giustizia ai lavoratori e alle vedove sarde.
Poiché i lavoratori sardi dei siti industriali Anic, ENIChem, Syndial, Montefibre di Ottana (NU) e Syndial di Assemini (CA) ex esposti non possono ottenere i benefici previdenziali previsti dall’articolo 13, comma 8 della Legge 257/92 in quanto le domande sono decadute.
Si ritiene indispensabile che vengano predisposte tutte le misure funzionali alla emanazione di un nuovo atto di indirizzo o all’estensione degli atti di indirizzo esistenti, superando ogni previsione legislativa di decadenza, prevista per il rilascio delle certificazioni di esposizione.
L’articolo 10 della Legge 257/92 impone a tutte le regioni l’obbligo di avviare a sorveglianza sanitaria i lavoratori ex esposti, perché questo non avviene in Sardegna?
La vasta letteratura medico-scientifica ci dice che le conseguenze derivanti dalla esposizione all’amianto, possono emergere anche dopo 40 anni possono causare la morte di coloro che hanno dedicato la propria vita al lavoro per poter vivere meglio, non per morire.
La patologia più comune tra tutti coloro che sono stati esposti all’amianto nelle industrie è quella del cancro ai polmoni, per cui esiste la diagnosi precoce. Molti di questi decessi prematuri sono dovuti a diagnosi tardive e imprecise, per questo abbiamo sempre ritenuto e riteniamo che la Sorveglianza Sanitaria obbligatoria per tutti i lavoratori ex esposti, debba avere come primo obiettivo la riduzione di mortalità e la promozione della diagnosi precoce che sono validi elementi di una concreta prevenzione.
Il numero dei decessi in Sardegna evidenzia incontrovertibilmente che si tratta di una vicenda estremamente importante che non ha ancora raggiunto l’apice che dovrebbe manifestarsi tra il 2020 e il 2030.
La sorveglianza deve essere idonea alla verifica delle lesioni, anche allo stato fibroso e alla diagnosi precoce del cancro del polmone soprattutto dove si registra anche la presenza di altre sostanze pericolose che incrementano l’effetto cancerogeno dell’amianto.
In siti industriali simili a quelli di Ottana e di Assemini, la maggior parte degli ex lavoratori è da diversi anni sottoposta ad uno screening sanitario idoneo alla diagnosi precoce del cancro polmonare; questo screening ha evidenziato la presenza di diverse patologie oncologiche e lesioni asbesto correlate in diverse centinaia di ex esposti.
Nella Unità Operativa della Medicina del Lavoro di Matera, sono sottoposti a sorveglianza sanitaria circa 2.300 ex esposti, lo screening sanitario è operativo e attivo solo per i circa 500 lavoratori riconosciuti ex esposti dall’INAIL, l’associazione AIEA Val Basento è stata il veicolo principale per inoltrare le richieste di sorveglianza sanitaria passiva; in fase precoce sono stati riscontrati più di 37 cancri polmonari, di questi, oltre 34 vivono in buone condizioni di salute senza essere stati sottoposti a terapia oncologica.
Ecco perché, la principale preoccupazione è quella di estendere quanto più possibile la sorveglianza sanitaria che si è dimostrata estremamente importante non solo per la sopravvivenza dei lavoratori ma anche per la loro qualità della vita.
Il sindaco di Ottana ha illustrato l’esigenza di dichiarare il Sito industriale di Ottana, attualmente sito di interesse regionale, “Sito di interesse nazionale” onde facilitare la bonifica di tutto il territorio.
In merito alla rendita al superstite va osservato che l’attuale prescrizione presente nel quadro normativo riportato dalla Direzione Centrale Prestazioni Ufficio I (protocollo 7187bis del 28/11/05) determina per gli eredi le seguenti perdite:
-         assegno spese funerale;
-         rendita al superstite;
-         quota Fondo vittime amianto;
-         beneficio previdenziale;
-         sostenibilità per la rivendicazione dei danni differenziali a carico delle aziende.
Nonostante, già prima del 2005, i Giudici di legittimità, nell’affrontare la decorrenza della prescrizione e delle prestazioni per la rendita ai superstiti, hanno sancito che la decorrenza della prescrizione deve iniziare allo scadere di “3 anni e 150 giorni dall’avvenuta dimostrabile conoscenza o l’oggettiva conoscibilità, da parte dei superstiti” della causa di morte, l’INAIL puntualmente continua a rigettare la richiesta di rendita al superstite.
Nella realtà nazionale italiana, il grado di conoscenza coincide con la sofferenza dei congiunti di coloro che sono stati colpiti da gravi patologie oncologiche asbesto-correlate. Si ritiene pertanto necessario e indispensabile rivedere i termini della prescrizione a meno che la causa lavorativa del decesso non sia riportata esplicitamente nei referti rilasciati dagli specialisti che si prendono cura dei pazienti. Per questa ragione si ritiene che il familiare sopravvissuto possa essere considerato conoscente della causa lavorativa del decesso solamente quando questa è espressamente riportata negli atti medici.
Pertanto il superamento della attuale prescrizione è un obiettivo non eludibile.
Sono stati presentati documenti relativi agli esposti denunciati depositati presso la Procura della Repubblica di Matera, di Nuoro e di Cagliari, è stato consegnato anche il servizio inchiesta prodotto dalla “Nuova TV” Basilicata sui siti industriali chimici della Val Basento e del sito Materit che produceva manufatti in cemento amianto.
Infine, è stato richiesto un intervento presso l’INPS nazionale affinché venga corrisposto agli eredi quanto riconosciuto dal giudice a favore dell’ex esposto deceduto durante l’iter giudiziario.

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From: Medicina Democratica Onlus segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Tuesday, January 24, 2017 12:44 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA

LA LETTERA DI DARIO MIEDICO ALL’ORDINE DEI MEDICI SULLE VACCINAZIONI

Il dottor Dario Miedico, tra i fondatori di Medicina Democratica è stato convocato dall’Ordine dei Medici per “rispondere” delle sue posizioni critiche sulle vaccinazioni sui quali ha sempre preteso il “principio di precauzione” o comunque la necessità di un vero consenso informato da parte dei genitori e soprattutto di una vera informazione, contestando in ogni caso la costrizione (obbligo) della vaccinazione per poter usufruire dei servizi di asilo nido, scuola materna e d’obbligo utilizzati ultimamente da diverse realtà locali come forma di costrizione contro diverse opinioni sul tema (opinioni che non possono certo scatenare epidemie di malattia).
Leggi tutto al link:

MEDICINA DEMOCRATICA RINNOVA LA SUA INIZIATIVA A QUARANT’ANNI DALLA SUA NASCITA

Pubblichiamo il documento finale dell’iniziativa svolta a Milano il 20 e 21 gennaio e mettiamo a disposizione le slides disponibili degli interventi di diversi relatori.
Leggi tutto al link:

MORTI PER ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO ALLA FRANCO TOSI DI LEGNANO, UN’ALTRA ASSOLUZIONE

Riportiamo il comunicato stampa congiunto di AIEA e Medicina Democratica sull’esito nefasto della sentenza di secondo grado che conferma l’assoluzione dei dirigenti Franco Tosi per l’esposizione all’amianto per decenni di molti lavoratori. Tra l’altro, è solo di metà novembre 2016, l’ultima morte operaia per infortunio presso l’azienda che ha in parte rilevato le attività della ex Franco Tosi Spa.
Leggi tutto al link:
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Sito web:

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From: Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
To:
Sent: Thursday, January 26, 2017 8:09 PM
Subject: PER IL 31 GENNAIO: SENTENZA PER LA STRAGE DI VIAREGGIO

Martedì 31 gennaio, dopo 7 anni e 7 mesi (!) la conclusione di primo grado sul processo della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009.
Il 20 settembre 2016, i pubblici ministeri fanno le richieste di condanna per gli imputati: 16 anni a Moretti, 15 ad Elia, 13 a Margarita, 12 a Galloni e così via. Complessivamente 258 anni per tutti gli imputati.
Il 21 settembre, dopo poche ore, il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Delrio, si “lascia andare...” ed entra a gamba tesa sull’operato della Magistratura. Proprio loro, uomini delle istituzioni, che si sono sempre negati ai familiari per non “interferire nel processo...”.
Intervistato alla trasmissione “Otto e mezzo” su La7, Delrio dichiara che la richiesta a Moretti è “enormemente sproporzionata”. Alla stravagante e demenziale affermazione del Ministro, le legittime e giustificate reazioni dei familiari delle 32 Vittime.
A Delrio, sarebbe da chiedere:
qual è per il cavalier Moretti una richiesta di condanna non enormemente sproporzionata;
se le richieste dei Pubblico Ministero nei confronti degli altri imputati sono anch’esse “enormemente sproporzionate”.
La nostra migliore risposta è la presenza e la partecipazione il 31 gennaio al Polo Fieristico a Lucca, ex Bertolli, località Sorbano del Giudice, dalle ore 09.30 per attendere assieme l’ora della sentenza.
Per la prima volta dall’inizio del processo le telecamere sono ammesse in aula alla lettura della sentenza. 
La partenza da Viareggio è alle 08.45, dal parcheggio del PAM sotto il cavalcaferrovia.

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From: AIEA Paderno Dugnano aieapadernodugnano@gmail.com
To:
Sent: Friday, January 27, 2017 6:00 PM
Subject: COMUNICATO STAMPA SENTENZA DI APPELLO FRANCO TOSI

COMUNICATO STAMPA
FRANCO TOSI TRIBUNALE DI MILANO V SEZIONE PENALE: TUTTI ASSOLTI
Ancora una volta la Quinta Sezione penale della Corte d’Appello del Tribunale di Milano non si è smentita. I dirigenti della Industria Franco Tosi di Legnano sono stati assolti dall’accusa di omicidio colposo per la morte di 34 operai causa l’esposizione all’amianto.
E’ stata confermata la prima sentenza di assoluzione sulla base di ragionamenti cosiddetti scientifici, già smentiti in molte altre sentenze, compresa la Corte di Cassazione. 33 sono stati i morti per mesotelioma pleurico e uno per carcinoma dei polmoni.
A sostenere l’accusa erano rimaste Medicina Democratica e l’Associazione Italiana Esposti Amianto che hanno avuto la sorpresa per la prima volta di essere condannati pure alle spese di giudizio. Forse si è voluto far capire a queste associazioni che insistono per ottenere giustizia per i morti che devono seguire altre strade o magari starsene a casa loro.
Certamente le motivazioni che verranno depositate fra 90 giorni spiegheranno tutte le ragioni di diritto, ma ne mancherà una, quella della Giustizia.
Come nel caso della Pirelli, dove pure vi è stata l’assoluzione di tutti i dirigenti, MD e AIEA non mancheranno di ricorrere per Cassazione.
Milano, 24 gennaio 2015
Medicina Democratica e Associazione Italiana Esposti Amianto

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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Saturday, January 28, 2017 9:53 AM
Subject: PER IL 31 GENNAIO A LUCCA

Martedì 31 gennaio, dopo 7 anni e 7 mesi(!) ci sarà la conclusione del primo grado del processo per la strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009.
Nelle 140 udienze, da quelle bocche è uscito di tutto e di più. Avvocati di imputati, profumatamente pagati (addetti ai lavori parlano di migliaia di euro a udienza) e consulenti di parte, si sono sbizzarriti nel definire i familiari come “quelli là dietro...”.
Quelli là dietro che la mattina, a ogni inizio udienza, non davano loro il buongiorno e, forse, neppure la buonasera. Consulenti, altrettanto profumatamente pagati, per mostrare scientificamente (si fa per dire) che i loro assistiti non avevano alcuna responsabilità di quanto accaduto quella tragica notte.
Avvocati che nello loro requisitorie e repliche, hanno definito i loro “clienti” persone perbene, che hanno conseguito lauree con 110 e lode e che nello loro attività ferroviaria (profumatamente e ben retribuita) hanno dedicato la vita alla sicurezza ferroviaria (sic!) e che sono persino figli di ferrovieri. Come difesa, è stato un bel dire... e che loro sono vittime o, meglio, le vere vittime di questo processo.
C’è stato chi si è persino soffermato provocatoriamente sulla parola strage nel dire che quella di Bologna (del 2 agosto 1980) sì che è stata una strage. Per Viareggio si deve parlare d’altro: di uno “spiacevolissimo episodio” o di cigno nero.
Abbiamo sempre scritto e detto che il 29 giugno 2009 è avvenuto un incidente di lavoro che si è trasformato in disastro ferroviario che ha provocato una strage di bambini, ragazze, uomini e donne. Non si è trattato né di sciagura, né di disgrazia, né di uno spiacevole episodio. Per difese e consulenti di parte, invece, è stato questo. Non c’è modo migliore per negare concretamente la realtà con fantasie, offese e provocazioni.
A quei bambini e a quelle ragazze non è stato dato il tempo per diventare “persone perbene”, per laurearsi con 110, per affrontare la vita, per conoscere il mondo.
I loro familiari e tanti altri cittadini e cittadine, con l’impegno di questi sette anni, hanno voluto non dimenticarli, pretendere sicurezza, verità e giustizia ed hanno dovuto farli conoscere al mondo. Far di tutto affinché non siano uccisi una seconda volta.
Vi invitiamo il 31 gennaio al Polo Fieristico a Lucca, ex Bertolli, località Sorbano dal Giudice, dalle ore 09.30 per attendere assieme l’ora della sentenza.
Per la prima volta dall’inizio del processo le telecamere sono ammesse in aula alla lettura della sentenza. 
La partenza da Viareggio è alle 08.45, dal parcheggio della PAM

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