Amianto, manager Pirelli
assolti a Milano: "Gli operai morti avevano già lavorato in ambienti a
rischio"
La protesta
dei parenti delle vittime dopo l'assoluzione
Le
motivazioni della Corte d'appello che ha ribaltato la sentenza di condanna. I
giudici negano il nesso di causalità tra l'operato dei dirigenti e la
malattia, anche alla luce delle esperienze professionali pregresse dei
lavoratori "in settori fortemente caratterizzati dalla presenza di
amianto"
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30 dicembre
2016
Non vi è
"prova del nesso di causa" tra le azioni dei dieci ex
dirigenti della Pirelli e la morte di una decina di lavoratori dell'azienda per forme tumorali provocate
dall'esposizione all'amianto. Lo scrivono i giudici della Corte d'Appello di
Milano nelle motivazioni della sentenza con cui il 24 novembre scorso hanno
ribaltato il verdetto di primo grado e assolto, per "non
avere commesso il fatto", dieci imputati nel processo per omicidio colposo e
lesioni gravissime per la morte di una decina di operai che lavoravano, tra gli
anni Settanta e Ottanta, negli stabilimenti milanesi dell'azienda.
Nel luglio 2015 gli ex vertici erano stati tutti condannati a pene fino a 4 anni e 8 mesi di carcere. Secondo i giudici di secondo grado, si legge nelle motivazioni, la realizzazione delle condotte degli ex dirigenti "non avrebbe influito sulle aspettative di vita dei lavoratori offesi". Giudizio questo, scrive la Corte, che si "rafforza" in relazione al fatto che alcuni lavoratori avevano esperienze professionali pregresse, in alcuni casi extralavorative rispetto all'attività negli stabilimenti milanesi, "in settori fortemente caratterizzati dalla presenza di amianto". In primo grado invece, la "rilevanza causale" di queste attività pregresse o extra non era stata ammessa. Una esclusione, scrivono i giudici di secondo grado, "non condivisibile, vuoi perché non sorretta da idonea motivazione, vuoi perché contraddetta dalle risultanze istruttorie". Nelle motivazioni si legge poi che sarebbe "pacifica" l'affermazione scientifica "secondo cui deve essere assegnato peso eziologico maggiore alle esposizioni più lontane nel tempo". Ecco perché non è possibile attribuire "rilevanza causale delle dosi successive a quelle del definitivo innesco". Peraltro, si legge ancora, "vi è assenza di ogni certezza di una effettiva accelerazione dell'insorgenza della malattia nei soggetti più esposti e di accorciamento della latenza in funzione di una esposizione prolungata". Tra gli ex dirigenti assolti in secondo grado, figurano Ludovico Grandi e Gianfranco Bellingeri, amministratori delegati della Pirelli negli anni Ottanta, l'ex manager Armando Moroni, condannato in primo grado e nel frattempo deceduto, Piero Giorgio Sierra, ex ad dell'azienda e presidente per nove anni dell'Airc (Associazione italiana ricerca sul cancro) e tuttora nel comitato direttivo. La posizione di Guido Veronesi, invece, fratello del noto oncologo Umberto, da poco deceduto, era già stata stralciata nei mesi scorsi per motivi di salute.
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