INDICE
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
LETTERA DI UN MACCHINISTA LETTA IL 29 DICEMBRE
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
REPORT MORTI SUL LAVORO NEL 2016
Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
BUON 2017
A TUTTI
Franco Mugliari noreply+feedproxy@google.com
E CON GLI AUGURI ANCHE IL
MIO ADDIO AI SOCIAL...
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
ALMAVIVA, LA VERITA’ DEI LAVORATORI
Posta
Resistenze posta@resistenze.org
LA LOTTA
DEGLI “UBER”: ALLA SCOPERTA DELLO SFRUTTAMENTO...
Unione Sindacale di Base Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
PERSONALE
REPARTI GASLINI: ANCORA FUMATA NERA
Donato Romito donatoromito@tiscalinet.it
IL
GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
Medicina Democratica Onlus segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
NotizieInMARCIA! redazione@ancorainmarcia.it
FERROVIERI, TRE IMPORTANTI “APPUNTAMENTI CON LA GIUSTIZIA”
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
“NON
PARLATE, NON ANDATE IN BAGNO”: COSI’ SI LAVORA A VOUCHER
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
GRIGIO
LAVORO DI CAMERIERA? NO GRAZIE, A ME PIACCIONO I COLORI FORTI!
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Invio a
seguire e/o in allegato le “Lettere dal fronte”, cioè una raccolta di mail o
messaggi in rete che, tra i tanti che ricevo, hanno come tema comune la tutela
della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini e la tutela del
diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole
essere un contributo a diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente
ai temi del diritto a un lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti
i compagni e gli amici della mia mailing list che riceveranno queste notizie a
diffonderle in tutti i modi.
Marco Spezia
ingegnere e
tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza
sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina
Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
e-mail: sp-mail@libero.it
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From:
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent:
Saturday, December 31, 2016 12:14 AM
Subject: LETTERA
DI UN MACCHINISTA LETTA IL 29 DICEMBRE
Lettera di Savio Galvani, macchinista in pensione,
letta giovedì 29 dicembre 2016 alla stazione di Viareggio durante la fiaccolata
organizzata dai familiari delle vittime de “Il mondo che vorrei” in attesa
della sentenza di primo grado per la strage del 29 giugno 2009.
* * * * *
Vorrei fare alcune considerazioni in merito ad
una questione molto enfatizzata dai difensori degli imputati nel processo per
il disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009.
La difesa è molto semplice e si basa sul fatto
ribadito che le Ferrovie sono al vertice dello sviluppo della tecnologia per la
sicurezza ferroviaria, in particolare il Sistema di Controllo Marcia Treno
(SCMT), argomento esposto da Michele Mario Elia (ex Amministratore Delegato di
RFI) nella dichiarazione spontanea del 15 dicembre 2016.
Sento il bisogno e il dovere di portare alcune
questioni all’attenzione dei familiari che cercano la verità, ai cittadini di
Viareggio e a chi ha la responsabilità di giudicare.
Il 7 gennaio 2005 nel disastro ferroviario di
Bolognina di Crevalcore (BO) muoiono 17 persone. Sapete qual è il lapidario
commento dei ferrovieri?
“Oggi a quel treno non sarebbe stato consentito
di partire, oggi non è ammesso partire col solo pedale dell’Uomo Morto inserito
perché la normativa attuale non ammette la partenza senza il SCMT”. Quella
tragedia nazionale e la mobilitazione dei ferrovieri e degli utenti del
servizio ferroviario e dell’opinione pubblica in generale che ne seguì fu il
vero discrimine circa il livello di sicurezza accettabile socialmente.
Dunque c’è voluta una strage per implementare il
SCMT, il sistema che ora portano come il fiore all’occhiello.
Aggiungo che se da una parte il SCMT è uno
strumento tecnologicamente utile, dall’altra ha motivato l’impresa nella
generale estensione del solo macchinista (in luogo di due) alla guida dei
treni, fatto che si è realizzato purtroppo in maniera generalizzata nel maggio
2009; dopo 70 anni di lotte e mobilitazioni dei ferrovieri, quindi, questo
tema, resta di grande attualità, ben consapevoli dei fattori di rischio
correlati al modulo di condotta a macchinista solo. Basti pensare al soccorso
in caso di malore del macchinista: in un processo che si apre a gennaio l’ex Amministratore
Delegato di Trenitalia, Soprano, dovrà rispondere anche di questo.
Termino ricordando che chiarire le cose, vedere
da dove nascono, fornire informazioni, avere memoria delle stragi passate, fa
parte della solidarietà che esprimo verso le vittime e i loro familiari.
Dicembre 2016
Savio Galvani
Macchinista in pensione
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From: Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent:
Sunday, January 01, 2017 9:12 AM
Subject: REPORT
MORTI SUL LAVORO NEL 2016
L’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro inizia il decimo
anno di monitoraggio delle morti per infortuni sul lavoro e dice BASTA CON LE
BUFALE E LE VERITA’ PARZIALI su queste tragedie.
Politici interessatevi finalmente della vita di chi lavora. I morti per
infortuni sul lavoro sono molti di più se si considerano tali tutti i
lavoratori che muoiono lavorando e non solo gli assicurati INAIL. E’
incredibile che un parlamento democratico non vada a vedere se quello che
scrive da nove anni un cittadino con lavoro volontario è vero. La distanza
dalla politica e dai suoi rappresentanti dal popolo si misura anche e
soprattutto per l’interesse che si ha della vita di chi lavora, e in questi
anni l’interesse che avete manifestato è stato pari a 0.
Nel 2015 sui luoghi di lavoro l’Osservatorio Indipendente di Bologna
morti sul lavoro ne ha registrati 668 e non 352 “fuori dall’azienda” come scrive
l’INAIL che riconosce come tali solo i propri assicurati.
E gli altri morti dove sono finiti? Sono resuscitati? Complessivamente
nel 2015 l’INAIL ne ha riconosciuti 694 e il 52% di questi fuori dall’azienda,
ma le denunce di infortuni mortali arrivate a questo istituto sono
state 1.246. 552 di questi morti come tanti Lazzari?
Insomma basta considerare come morti sul lavoro solo una parte di
lavoratori. Nel 2015 tra morti sui luoghi di lavoro e quelli fuori dall’azienda
si sono superati i 1400 morti complessivi e nel 2016 c’è stato solo un lieve
decremento sui luoghi di lavoro rispetto al 2015 del 3,5%. Ma il 2015 è stato
un anno drammatico. Noi ne abbiamo registrati 641 solo sui luoghi di lavoro.
Ma la cosa più grave che occorrerebbe far conoscere è che nel 2016
rispetto al 2008 i morti sui luoghi di lavoro hanno avuto un incremento, se pur
piccolo di 4 lavoratori.
Non sono mai calati come ci viene raccontato, se come facciamo noi
vengono monitorati tutti i lavoratori. Allora occorre dire chiaramente chi i
miliardi di euro che lo Stato ha speso in questi nove anni sono stati spesi
male, che non ci sono stati risultati, che le risorse che vengono messe a
disposizione andrebbero in larga parte dirottate dove non sono mai arrivate, o
dove ne sono arrivate pochissime. Come per esempio per la sicurezza di
artigiani, Partite IVA e agricoltori.
L’INAIL nelle sue statistiche ha pochissimi agricoltori schiacciati dal
trattore tra le vittime d’infortuni mortali anche quest’anno, probabilmente
sono solo i lavoratori dipendenti. E gli altri? Noi ne abbiamo monitorati 131 schiacciati
dal trattore, questi morti non esistono perché non sono assicurati all’INAIL?
Si potrebbe continuare con le partite IVA, con gli artigiani, con
carabinieri, poliziotti, soldati e altre categorie. Quanti ne muoiono anche
sulle strade mentre sono in giro per lavoro o in itinere? Nessuno è in grado di
dirlo, ma sono diverse centinaia.
Ma perché la politica se ne frega di queste tragedie che portano il lutto
in tantissime famiglie? Me lo chiedo spesso, senza nessuna risposta
convincente. E questo riguarda tutti i partiti e tutti i senatori e deputati.
Ma probabilmente la ragione principale è che nel parlamento il lavoro
dipendente e autonomo non è rappresentato. C’è rispetto a questi drammi un muro
di omertà e di chiusura di chi non vuole vedere questa triste e drammatica
realtà. Ma persone come me meritano almeno rispetto, svolgono con lavoro
volontario giornaliero di diverse ore un monitoraggio reale che dovrebbero fare
le istituzioni. Ma pretendo un riconoscimento, che lo Stato Italiano attraverso
qualche suo rappresentante mi ringrazi, che mi dica che il mio è un lavoro che
viene apprezzato, chiedo collaborazione, di non avere ostracismo, sarcasmo e
indifferenza. Di non essere considerato un nemico perché scrivo verità scomode,
come ho fatto in questi nove anni con l’Osservatorio. Ma io non mi piego e
prima o poi la verità su queste stragi dell’indifferenza verrà fuori nella sua
interezza e chi non ha fatto il suo dovere dovrà risponderne moralmente.
Colgo l’occasione per ringraziare le centinaia di migliaia di visitatori
del blog dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it,
i tanti giornalisti della carta stampata e del Web, della RAI che da vero
Servizio Pubblico non ha mai smesso di confrontare i dati dell’Osservatorio da
quelli “ufficiali”. Mai le TV private se ne sono occupate e questo la dice
lunga sulla differenza tra pubblico e privato. Colgo l’occasione per augurare
ai familiari delle decine di migliaia di morti sul lavoro morti in questi nove
anni di ritrovare un po’ di serenità, che tantissimi italiani vi sono vicini e
che condividono il vostro dolore.
Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro
A seguire il Report delle morti sul lavoro de 2016.
* * * * *
REPORT MORTI SUL
LAVORO DAL 1 GENNAIO AL 31 DICEMBRE 2016
Dall’inizio
dell’anno sono morti 641 lavoratori sui luoghi di lavoro e oltre 1.400 se si
considerano i morti sulle strade e in itinere (stima minima per l’impossibilità
di conteggiare i morti sulle strade delle partite IVA individuali e dei morti
in nero), e altre innumerevoli posizioni lavorative. L’unico parametro valido
per confrontare i dati dell’INAIL e di chi li utilizza per fare analisi, e dell’Osservatorio
Indipendente di Bologna morti sul lavoro sono i morti per infortuni INAIL senza
mezzo di trasporto, e confrontare quanti ne registra in più l’Osservatorio. Si
ha così il numero reale delle morti per infortuni sui luoghi di lavoro in
Italia e non solo degli assicurati INAIL.
Lieve calo
del 3,9% delle morti sui luoghi di lavoro rispetto allo spaventoso 2015, ma un
aumento dello 0,7% rispetto al 2008 anno d’apertura dell’Osservatorio
Indipendente di Bologna.
Come potete
vedere altro che favolosi cali ogni anno, e nonostante un’enorme spreco di euro
spesi per la sicurezza senza vedere risultati concreti se si prendono in
considerazione tutte le morti sul lavoro e non solo gli assicurati INAIL.
Come tutti
gli anni è l’agricoltura a pagare un prezzo elevatissimo di sangue con il 31%
di tutte le morti per infortuni sui luoghi di lavoro. E delle morti in questo
settore ben il 65% sono provocate dal trattore. Una vergogna che nessuno se ne
occupi se pensate che un morto su cinque di tutte le morti sui luoghi di
lavoro, di tutte le categorie messe insieme sono provocate da questo mezzo.
Sono anni che chiediamo ai Ministri che si susseguono di occuparsene. Ma
niente, sono morti sul lavoro che non esistono e spariscono dalle statistiche.
La seconda
categoria con più morti sui luoghi di lavoro è l’edilizia con il 19,6%. La
caduta dall’alto è il maggior fattore di rischio.
E’ l’autotrasporto
con il 9,3% dei morti la terza categoria con più vittime. In questo comparto
sono inseriti i morti di diverse categorie.
Seguono l’industria,
esclusa l’edilizia, comprese le imprese più piccole, che ha complessivamente l’8,2%
delle morti.
Poi gli
artigiani di tantissime categorie muoiono numerosissimi, soprattutto nelle
imprese appaltatrici, la strage riguarda anche un numero impressionante di partite
IVA che non sono inserite tra le morti sul lavoro nelle statistiche dell’INAIL.
E questo perché questo Istituto dello Stato monitora solo i propri assicurati
(lo scrivo per la milionesima volta, ma tanto non serve a niente). A questo Istituto
arrivano moltissime denunce per infortuni, anche mortali, che poi non vengono
riconosciute come tali proprio per non avere questa assicurazione. non sono
assicurati all’INAIL, quindi non esistono. Poi anche per le morti in itinere
spesso non vengono riconosciute per una normativa specifica, che la maggioranza
di chi lavora non conosce.
Gli
stranieri morti sui luoghi di lavoro sono l’8,2%, un calo dell’1,6% rispetto al
2015, segno che anche più italiani svolgono lavori pericolosi e con meno
sicurezza pur di avere un lavoro.
Impressionante
sapere che il 27,7% dei morti sul lavoro ha più di 61 anni. Angosciante vedere
che tantissimi giovani non trovano lavoro, che svolgono anziani che non hanno
più la salute e i riflessi pronti per fare lavori pericolosi. Questo la dice
lunga anche sui motivi dell’enorme disoccupazione giovanile; si trattengono gli
anziani e si fanno morire lavorando, mentre i giovani sono costretti alla
disoccupazione o a emigrare.
E’ la Campania la regione con
più morti sui luoghi di lavoro sempre se non si fanno giochini di prestigio e
si inseriscono tutti i morti sul lavoro. Seguono la mia regione, l’Emilia
Romagna che nel 2016 raddoppia i morti sui luoghi di lavoro, poi il Veneto.
Quinta la Lombardia
che ha un decremento importante del 27%. Occorre anche ricordare che, a nostro
parere, la Lombardia
è tra le grandi regioni, da quando abbiamo aperto l’Osservatorio, che ha l’andamento
migliore, sempre se si considerano tutte le morti sul lavoro. Ha il doppio
degli abitanti di qualsiasi altra regione e l’indice occupazionale non ha
nessun valore statistico sugli infortuni, anche mortali, visto che in
tantissimi dei morti per infortuni non sono assicurati all’INAIL, le
statistiche vengono fatte solo tenendo in considerazione gli assicurati a
questo Istituto. E’ la provincia di Napoli quella con più morti sui luoghi di
lavoro, compresi tre pescatori morti in mare, la seconda in questa triste
classifica è la provincia di Vicenza con 20 morti, segue Brescia con 18 morti,
a seguire qui sotto ci sono le morti sui luoghi di lavoro di tutte le province
italiane.
MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO NELLE PROVINCE NELL’INTERO 2016
Per Regione
e Provincia in ordine decrescente.
Sui luoghi di lavoro significa che sono
esclusi da questo conteggio i morti per le strade e in itinere che richiedono
interventi completamente diversi.
I morti sulle autostrade e all’estero non sono conteggiati nelle
province.
Se guardate qui sotto l’andamento delle regioni e delle province,
calcolate che ci sono almeno altrettanti morti per infortuni sulle strade e in
itinere.
Campania 63: Napoli 22, Avellino 7, Benevento 6, Caserta 11, Salerno 17.
Emilia Romagna 61: Bologna 12, Forlì Cesena 7, Ferrara 4, Modena 12,
Parma 7, Piacenza 3, Ravenna 4, Reggio Emilia 11, Rimini 1.
Veneto 57: Venezia 7, Belluno 6, Padova 9, Rovigo
3, Treviso 6, Verona 6, Vicenza 20.
Lombardia 54: Milano 4, Bergamo 6, Brescia 18, Como 4, Cremona 4, Lecco
5, Lodi 1, Mantova 1, Monza Brianza 3, Pavia 3, Sondrio 4, Varese 1.
Piemonte 50: Torino 14, Alessandria 5, Asti 6, Biella 2, Cuneo 17, Novara
3, Verbano Cusio Ossola 1, Vercelli 3.
Sicilia 47: Palermo 10, Agrigento 4, Caltanissetta 7, Catania 6, Enna 2,
Messina 8, Ragusa 5, Trapani 5.
Toscana 48: Firenze 3, Arezzo 6, Grosseto 3, Livorno 8, Lucca 5, Massa
Carrara 8, Pisa 3, Pistoia 4, Siena 3, Prato 3.
Lazio 39: Roma 13, Viterbo 5 Frosinone 9 Latina 9, Rieti 3.
Puglia 30: Bari 3, Barletta Andria Trani 6, Brindisi 1, Foggia 6, Lecce 6,
Taranto 8.
Trentino Alto Adige 24: Trento 14, Bolzano 10.
Calabria 23: Catanzaro 6, Cosenza 7, Crotone 1, Reggio Calabria 5, Vibo
Valentia 4.
Abruzzo 20: L’Aquila 3, Chieti 11, Pescara 3, Teramo 3.
Marche 17: Ancona 6, Macerata 6, Fermo 1, Pesaro Urbino 2, Ascoli Piceno
2.
Sardegna 14: Cagliari 4, Nuoro 2, Oristano 3, Sassari 5, Sulcis Inglesiente
1.
Friuli Venezia Giulia 12: Trieste 2, Gorizia 1, Pordenone 2, Udine 7.
Umbria 9: Perugia 4, Terni 5.
Liguria 8: Genova 4, Imperia 2, La Spezia 1, Savona 1.
Valle D’Aosta 3: Aosta 3.
Basilicata 3: Potenza 1, Matera 2.
Consigliamo a tutti quelli che si occupano di queste tragedie di separare
chi muore per infortuni sui luoghi di lavoro, da chi muore sulle strade e in
itinere con un mezzo di trasporto. I lavoratori che muoiono sulle strade e in
itinere sono a tutti gli effetti morti per infortunio sul lavoro, ma richiedono
interventi completamente diversi dai lavoratori morti sui luoghi di lavoro. E
su questo aspetto che si fa una gran confusione. Ci sono categorie come i
metalmeccanici che sui luoghi di lavoro hanno pochissime vittime per infortuni,
poi, nelle statistiche ufficiali, non separando chiaramente le morti causate
dall’itinere dalle morti sui luoghi di lavoro, risultano morire in tantissimi
in questa categoria che è numerosissima, e che ha una forte mobilità per
recarsi o tornare dal posto di lavoro.
Anche quest’anno una strage di agricoltori schiacciati dal trattore, sono
131. Tutti gli anni sui luoghi di lavoro il 20% di tutte le morti per infortuni
sono provocate da questo mezzo. 132 sono i morti schiacciati dal trattore nel
2015 e 152 nel 2014.
Contiamo molto della sensibilità dei media e dei cittadini che a
centinaia ogni giorno visitano il sito.
In questi nove anni di monitoraggio le percentuali delle morti nelle
diverse categorie sono sempre le stesse: l’agricoltura è sempre la categoria
con più vittime, seguono l’edilizia, i servizi, l’industria (tutta) e l’autotrasporto.
Ricordo a tutti quelli che s’interessano di queste tragedie l’unico parametro
valido per valutare l’andamento di una provincia o di una regione è il numero
di abitanti. Tantissime sono le morti in nero.
* * * * *
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comprendere l’entità del triste fenomeno e fallo conoscere ai tuoi amici.
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Grazie amici di Facebook che a centinaia visitate il sito ogni giorno.
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From: Gino
Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent:
Sunday, January 01, 2017 3:33 PM
Subject: BUON
2017 A
TUTTI
Il 2017 che sta per iniziare è un anno evocativo di
importanti e straordinari avvenimenti del passato: ne vorrei ricordare 3.
1. Il Centenario della Rivoluzione di Ottobre (7
novembre 2017 in
quanto il Calendario Giuliano era sfasato di 13 giorni rispetto a quello
Gregoriano) in Russia che portò alla nascita del primo Stato Socialista nel
mondo: l’URSS. Rimane un fatto straordinario al di là di come sia andata poi a
finire.
2. L’ assassinio cinquanta anni fa (ottobre 1967) da
parte degli USA tramite il regime fascista boliviano, di Ernesto “CHE” Guevara eroe
della rivoluzione cubana con Fidel Castro e, come il “nostro” Garibaldi,
combattente a fianco dei popoli oppressi del mondo.
3. La guerra dei 6 giorni (giugno 1967) che portava Israele
ad occupare pressoché totalmente la Palestina. A distanza di 50 anni rimane ancora
inattuata la risoluzione dell’ONU che intimava a Israele il ritiro dai
territori occupati.
I nodi che derivano da questi eventi sono tuttora aperti:
il Capitalismo non è il migliore dei mondi possibile come nel 1989 ci avevano
detto dopo la caduta del Muro e la fine dell’URSS.
La questione Palestinese è tuttora irrisolta e il
tardivo voto di qualche giorno fa di Obama è un passo avanti, ma non la soluzione.
La necessità di una rivoluzione dei popoli del mondo
come avrebbe voluto il “CHE” è tuttora attuale!
Il socialismo del XXI secolo è un’ipotesi tutt’altro
che superata.
Buon anno a tutti!
Gino Carpentiero
Sezione “Pietro Mirabelli” di Medicina Democratica Firenze
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From: Franco Mugliari noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent: Sunday,
January 01, 2017 5:32 PM
Ebbene sì, dopo Muglia La Furia che aveva già
abbandonato qualche settimana fa, ora sono io che ho deciso di smettere di
scrivere e di intervenire su questioni che riguardano la salute e la sicurezza
sul lavoro.
Lascio con una domanda in
sospeso (ma Espenhan dov’è?), con la speranza che un giorno o l’altro giustizia
sarà fatta e che anche i “tedeschi” della Thyssen possano passare un po’ del
loro tempo in galera a riflettere sulle loro malefatte.
Lascio molte persone
conosciute in rete, anche se “dal vivo” (o “da vivi”, per dirla alla moda di
Muglia La Furia)
sarebbe stato ancora meglio, dalle quali ho avuto molto da imparare e delle
quali serberò un ottimo ricordo.
Lascio però, e senza
rimpianto, “champions”, “ambassadors”, “heroes”, “safety evangelist”, “illuminati”,
“alfieri”... solo per citare alcune delle definizioni con le quali amano
presentarsi al “volgo” ricordando loro che, se andiamo indietro nella storia,
chi amava definirsi in tali modi, non ha mai fatto una bella fine.
Sempre senza rimpianto
lascio tutti i venditori di attestati, i consulenti “che se prendi una multa te
la pagano loro”, gli organizzatori dei “corsi a Cosenza” e quelli che i corsi
li fanno con il “couch”, i “direttori dei centri di formazione tra bagno e
cucina” grazie a un presunto accreditamento da parte di qualche ente o
associazione (anche storica, tanto basta pagare), i responsabili di “organismi
paritetici” tra “4 amici al bar”, magari in virtù di un contratto di lavoro
rumeno “adottato” ecc., insomma tutti i “mercanti” di “fuffa” di cui Muglia La Furia ha cercato di
raccontare le gesta e che però continuano imperterriti ad occupare il “tempio”
della formazione.
Nella speranza che sia il
tempio a crollar loro addosso, auguro a tutti una buona vita.
Franco Mugliari
ULTIMA ORA!
Un’associazione
professionale (una delle tante) ha proposto che a insegnare “sicurezza”
nelle scuole siano insegnanti di diritto. Ne è seguita una vivace discussione
su Linkedin. Fate voi. Io non ho più nulla di dire e da ... ridere!
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From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Monday,
January 09, 2017 8:39 PM
Subject: ALMAVIVA, LA VERITA’ DEI LAVORATORI
E’ veramente una vergogna il livello di
falsificazione al quale si è giunti nei media con la vicenda Almaviva. Si fanno
apparire i lavoratori che hanno lottato contro condizioni di lavoro indegne e
contro un ricatto bello e buono come i responsabili dei licenziamenti. Come
dire che i partigiani sono stati responsabili dell’occupazione nazista e dei
suoi crimini. Diamogli allora voce!
Questo il comunicato che hanno scritto come “Lavoratrici
e lavoratori Almaviva contro lo sfruttamento”.
* * * * *
Siamo avviliti e
schifati per il modo in cui giornali e telegiornali stanno vendendo la nostra
storia all’opinione pubblica. Quasi non crediamo sia possibile che l’unica
versione servita al popolo italiano sia quella dell’azienda, del Governo o al
massimo delle dirigenze sindacali. 1.666
lavoratori vanno a casa dopo anni di lavoro e mesi di battaglie e la loro voce
non viene praticamente ascoltata.
Perché non sono i
mesi di sacrifici, di contratti di solidarietà, di salario perso a forza di
scioperi, gli anni di lavoro che vanno in fumo con una semplice lettera di
licenziamento. Non è questo il nostro principale dolore in questo momento. Sono queste inaccettabili menzogne a ferirci
davvero, quelle che vorrebbero tramutare la vittima in colpevole.
Quelle che vorrebbero far ricadere la colpa di questo licenziamento di
massa sugli stessi che lo subiscono e non su un’azienda che l’ha sempre voluto, che da anni usa
questa minaccia per intascare soldi e commesse pubbliche, che da anni vessa i
propri dipendenti e li mette gli uni contro gli altri. Un’azienda che mentre
chiude le sedi di Roma e Napoli dove i lavoratori sono più anziani e le costano
di più perché hanno ancora dei diritti, non si fa scrupolo di delocalizzare in
Romania e chiedere ore di straordinario nelle sedi di Milano e Rende.
Perché la vera
notizia di oggi doveva essere quella per cui in questo paese pieno di ricatti,
di paura, di un servilismo alimentato da piccole promesse e illusioni,
qualcuno, nonostante il prezzo, ha provato a dire NO: no a un accordo che altro non era che l’ennesimo attacco alla nostra
dignità di lavoratori ed ai nostri diritti conquistati in anni di lavoro.
Questa la proposta “indecente” avanzata da azienda e Governo, proposta che
prevedeva la rinuncia agli scatti di anzianità maturati, controllo individuale
e cassa integrazione. Tutte condizioni che se accettate avrebbero decurtato
stipendi già miseri, reso ancora più insopportabile la nostra vita lavorativa e
reso noi lavoratori ancora più vessati ed umiliati. Tutte proposte, guarda
caso, avanzate dall’associazione padronale di categoria (ASSTELL) per il
rinnovo del contratto nazionale dei dipendenti delle telecomunicazioni.
La pezza che ha provato a metterci il Governo consisteva soltanto in una
proroga della trattativa di altri tre mesi. Uno stillicidio pagato con le tasche dei
contribuenti in forma di cassa integrazione, per imporre poi lo stesso taglio
del costo del lavoro e il controllo individuale che avevamo dichiarato
inaccettabile e quindi concludere il tutto comunque con i licenziamenti. E per
far passare questa schifezza, che nei titoli dei giornali era già “salvataggio”
ancor prima che la trattativa si concludesse, hanno fatto una forzatura
inaccettabile: quella di separare le vertenze di Napoli e Roma, che finora
avevano corso insieme, per metterle l’una contro l’altra.
E ora vorrebbero
mascherarsi dietro i formalismi procedurali e con questi assolvere ancora una
volta dalle sue responsabilità un’azienda da sempre arrogante e spietata!
La verità è che Almaviva voleva il plebiscito e non l’ha ottenuto. Perché è vero che la
paura si è fatta strada, assecondata dalle dirigenze sindacali che, anziché
rafforzare quelli che resistevano, l’hanno pure alimentata con raccolte firme e
un referendum che non aveva nulla di democratico, che chiamava libero un voto
svolto sotto ricatto. Per una volta però questo non è bastato. Perché
nonostante questo, in quel referendum, il 44% dei lavoratori ha comunque detto
NO. Noi capiamo i nostri colleghi del
SI, quelli disposti alla fine ad accettare e non gli facciamo una colpa delle
loro decisioni. I colpevoli dei ricatti non solo quelli che cedono, ma quelli
che li architettano. Capiamo adesso la loro delusione, molto di più
quanto non lo facciano quelli che li hanno provati a sfruttare contro di noi,
che si sono gettati come sciacalli sulle incertezze e difficoltà di noi tutti,
le difficoltà che chiunque proverebbe di fronte a una lettera di licenziamento.
Perché nonostante le nostre scelte diverse noi siamo e ci sentiamo nella stessa
condizione.
Però nonostante gli enormi sacrifici che questa comporta, rivendichiamo
con orgoglio di aver messo un punto, un freno all’arroganza di chi chiama “responsabilità”
accettare di essere servi pur di lavorare. Perché a tutto c’è un limite, ancora siamo
uomini e non ancora schiavi, nonostante le politiche di questi governanti che
ora voglio apparire salvatori ci stiano portano in questa condizione.
Per questo hanno
provato a infamarci, perché abbiamo dimostrato che la loro arroganza non può
tutto. E questo non lo riescono proprio a tollerare. Perché ci tengono ad apparire più forti di quanto siano e hanno il
terrore che anziché farci la guerra tra noi per le briciole che ci concedono
potremmo cominciare a unirci e lottare.
Per noi, infatti, la
lotta non si conclude qui.
Lavoratori e lavoratrici Almaviva contro lo sfruttamento
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent:
Thursday, January 12, 2017 10:06 AM
Subject: LA
LOTTA DEGLI “UBER”:
ALLA SCOPERTA DELLO SFRUTTAMENTO...
da Partito Comunista Rivoluzionario di Francia (PCRF) pcrf-ic.fr
28/12/16
Da diverse settimane gli autisti della società californiana UBER sono
in lotta, con azioni spettacolari per denunciare le loro condizioni di lavoro e
di “salario”, e per cercare di costringere la piattaforma degli Stati Uniti a
negoziare le loro rivendicazioni.
Il Partito
Comunista Rivoluzionario di Francia sostiene risolutamente questi lavoratori,
come tutti coloro che sono vittime delle condizioni di sfruttamento che l’informatizzazione
dell’economia, tanto propagandata dagli studiosi della socialdemocrazia, porta
a vantaggio del grande profitto e, in ultima analisi, all’oligarchia
finanziaria.
La “uberizzazione”
dell’economia, modello salvifico per Emmanuel Macron, è una vera e propria
regressione sociale: si tratta di un ritorno a forme di sfruttamento della
forza lavoro che erano scomparse o ridotte in misura massiccia, come il lavoro
a domicilio.
Il lavoro a
domicilio per esempio riguardava lavoratori dispersi (contadini e proletari)
addetti alla produzione della seta: essi possedendo i loro mezzi di produzione,
avevano l’illusione di essere artigiani, ma in effetti erano totalmente
dipendenti dai fornitori di materie prime, che imponevano quantità, tempi di
produzione, qualità, ecc.
Si trattava
in realtà di semi-proletari: erano a metà strada tra il proletariato e la
piccola borghesia, ma ciò che ha prevalso è stata la condizione sociale piccolo
borghese, a causa del loro status illusorio di proprietari dei mezzi di
produzione! Il loro sfruttamento era feroce (come illustrato dalla rivolta
degli operai della seta a Lione sotto Luigi Filippo). Questa forma di
sfruttamento del lavoro ha continuato in varie forme: il lavoro delle sarte a domicilio
per esempio, o il lavoro dei pescatori gestiti dai pescivendoli (vedi il film “La terra trema” di Luchino Visconti).
Ma torna in
auge alla fine del XX secolo, con il telelavoro: l’operaio acquista i suoi strumenti di lavoro e risponde all’ordine in
cambio di ciò che è “necessario” per fornire il prodotto del suo lavoro nel
tempo dato. E’ spesso assunto a tempo determinato, e così quando il
datore di lavoro non ne ha più bisogno, viene “gettato via”. Spesso, è lui che
paga la sua sicurezza sociale. Con UBER e piattaforme simili (tutti,
indipendentemente dalle differenze nelle forme e dell’intensità di
sfruttamento), il padrone approfitta del fatto che sia disponibile della
manodopera (a causa della disoccupazione) e che questa manodopera sogni di essere
“indipendente” e libera di organizzare il proprio lavoro; che la legislazione
del lavoro appaia ingombrante e limitante dell’iniziativa della piccola
borghesia; che la digitalizzazione dell’economia renda possibile collegare
immediatamente gli attori sociali superando le relazioni sociali tradizionali;
che la forza lavoro impiegata non si presenti come merce, ma come collaboratore
mentre l’impresa si presenta come un semplice intermediario con il mercato.
In realtà, l’uberizzazione
dell’economia si traduce in una precarizzazione totale dei lavoratori, nel
controllo totale della società. Così, da un lato, il lavoratore sopporta l’acquisto
(o il leasing) del veicolo, che deve rispondere a criteri specifici in termini
di gamma (non sotto una Peugeot 508... e Peugeot trova il suo tornaconto...) e
di colori; mette a sue spese, a disposizione dei clienti, acqua minerale e
caramelle; la previdenza e l’IVA; la manutenzione dei veicoli. D’altra parte, UBER
fissa le tariffe, la percentuale della sua quota (60%), decide chi viene
contattato per effettuare una corsa, se un pilota ha causato l’insoddisfazione
del cliente viene allontanato. Non ha nessuna responsabilità sociale.
Infine, a
guardare bene, vediamo che questo sistema viene utilizzato anche in un altro
settore di attività dei “servizi”: la prostituzione! Che lo stesso gruppo
socialista in parlamento, sotto governi socialisti, avesse approvato sia la
legge Macron (nulla da aspettarsi dalla
banca Rothschild, nemmeno contro Marine Le Pen), che consente la generalizzazione
dell’uberizzazione in una serie di attività a servizio individuale, e la legge
sulla penalizzazione dei clienti delle prostitute, che però depenalizza la
prostituzione, è emblematico di un movimento politico il cui obiettivo è in
nome della “morale” e della buona coscienza, di fornire un quadro più o meno
accettabile per lo sfruttamento capitalistico, a prescindere del dominio nel
quale si eserciti.
Oggi, i
conducenti di UBER scendono in lotta per le loro rivendicazioni senza mettere
in discussione il sistema, per provare a sopravvivere (16 ore di lavoro al
giorno per un reddito finale intorno al salario minimo!). Domani toccherà a
quelli della cucina a domicilio, perché non gli va meglio. Con l’obiettivo
della liquidazione dei costosi servizi pubblici, i Fillon, i Macron, il Partito
Socialista, l’Unione Europea, e, senza dubbio, il Fronte Nazionale (perché
dietro le dichiarazioni demagogiche, il suo programma si inscrive nella stessa
direzione), favoriscono il proliferare di tutta una serie di attività
paramediche, di insegnamento, di gestione della disabilità e della vecchiaia,
che saranno risolte con una uberizzazione diffusa, e con la benedizione dei
sindacati gialli.
Sia chiaro:
non si tratta di un “problema UBER”. Questo è il problema di tutte quelle
società capitaliste che pensano di avere trovato il filone d’oro per
arricchirsi alle spalle dei lavoratori autonomi attraverso le possibilità
offerte da Internet (l’economia digitale vantata dal Hollande e Valls).
In quanto
comunisti, noi certamente non condividiamo la visione del mondo degli autisti
di UBER. Noi crediamo che le loro rivendicazioni potrebbero certamente essere
più radicali (ad esempio l’IVA potrebbe essere esclusivamente a carico di UBER).
Ma diamo piena solidarietà alla loro lotta, perché entrare in conflitto, se ne
abbia o meno coscienza, significa diventare partecipi della lotta di classe per
difendere i diritti e il potere d’acquisto di tutto il mondo del lavoro. E
così, i lavoratori “indipendenti” di UBER si uniscono, la maggior parte di loro
per la prima volta, nella lotta di classe.
Noi non
possiamo che incoraggiare a continuare, e chiediamo ai lavoratori di dimostrare
la solidarietà per la loro classe.
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From: Unione
Sindacale di Base Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent: Thursday, January 12,
2017 10:15 AM
Subject: PERSONALE REPARTI
GASLINI: ANCORA FUMATA NERA
Genova, 12/01/17
COMUNICATO
STAMPA
PERSONALE
REPARTI GASLINI: ANCORA FUMATA NERA
Dagli
atti a nostra disposizione, ancora una volta questa giunta si è mostrata
distante dalla realtà dell’assistenza pediatrica. Nessuna assunzione di OSS ed
infermieri.
Si continua
a conteggiare l’organico presente unendo personale amministrativo e personale
di assistenza. Il personale dei reparti riesce ad andare avanti solo grazie all’impegno
e all’abnegazione di cui è capace, praticamente abbandonato a sé stesso da una
politica e una dirigenza che evidentemente “vola troppo in alto” per comprendere
la realtà quotidiana.
Alla
mancanza oggettiva di personale, a quello rimasto si continua a chiedere sempre
più.
Burocrazia,
compilazione documenti, cartelle cliniche.
Ma non
basta: hanno aggiunto anche le ordinazioni dei pasti e i servizi annessi alla
ristorazione, unico ospedale a utilizzare personale proprio per queste
mansioni.
L’Amministrazione
lo ha annunciato affermando che è soddisfatta perchè così facendo si mantiene
il rapporto tra personale del Gaslini e piccoli ricoverati, ma in realtà tutto
questo nasconde un risparmio utilizzando ulteriormente il proprio personale.
Non
contenti, una mancanza totale di trasparenza interna colloca nei reparti
operatori a scelta discrezionale di caposala e dirigenti pur esistendo delle
graduatorie che non vengono rispettate.
Questo il
punto attuale dell’assistenza che comunque continua ad essere fornita in
maniera eccellente non certamente grazie a politica e a questa Amministrazione
Unione
Sindacale di Base Ospedale Gaslini
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From: Donato Romito donatoromito@tiscalinet.it
To:
Sent: Thursday, January 12,
2017 11:40 AM
Subject: IL GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
Il 7 dicembre 2016 la Corte di Cassazione
stabilisce in una sentenza: “si può licenziare per fare più profitti”; il
padrone, per aumentare efficienza e produttività, per meglio organizzare la
produzione, può procedere ai licenziamenti monetizzando. Ovviamente versando al
lavoratore il meno possibile.
Non si tratta quindi
di una esigenza, come sottolineano sempre, legata alla crisi dell’azienda, alla
sua sopravvivenza, ma al semplice “il lavoratore non mi serve più”, viene
sostituto con un robot, con fornitori esterni più economici, la sua mansione
entra in un’altra “organizzazione”.
Si tratta dell’applicazione
della prima frase dell’articolo 41 della Costituzione più bella del mondo (libertà
di iniziativa economica), il resto è frutto della legge Fornero e del Jobs Act,
ovvero la flessibilità in uscita.
Il diritto del lavoro
è diventato inservibile: “nessuno”, nessuna dottrina giuridica, può” entrare”
sostituendosi alle scelte organizzative dell’azienda.
Il mercato della
forza lavoro compone l’altro tassello che mancava al sogno padronale: dopo aver
imposto la massima flessibilità in entrata, la precarizzazione funziona da 20
anni, e l’uso del lavoro accessorio, i voucher.
La falsa discussione
in atto sui voucher, che punta a mantenerli, sul loro dilagare in tutti i
settori, compresa la copertura all’altra parte (il lavoro in nero) e si
potrebbe continuare, non fa emergere il punto fondamentale: sono lo strumento
per la decontrattualizzazione del lavoro e dell’affermazione del rapporto
individuale lavoratore-padrone. L’uscita dallo schema classico del lavoro entra
direttamente nella cultura sociale e nei comportamenti collettivi e dei singoli
lavoratori.
Sempre più ampia la
forbice tra lavoratori che pure senza diritti e tutele adeguate sono remunerati
e svolgono lavoro di qualità e una larga fetta di classe che vive a stretto
contatto con questa, ma svolge lavoro precario e non pagato.
La Ferrari Auto distribuisce un
premio a tutti i suoi dipendenti di 5.000 € per aver lavorato forte e bene
raggiungendo gli obiettivi stabiliti dall’azienda. La comunicazione è stata fatta
direttamente da Marchionne in assemblea. Ma il dipendente Ferrari inoltre ha la
previdenza integrativa con contributi maggiorati, la sanità integrativa anche
per i famigliari e altro welfare.
Il 30 dicembre 2016
la multi utility IREN ha disdettato i 200 contratti aziendali delle varie sedi:
nulla di nuovo, iniziò la FIAT
nel 2009 e tanti altri.
I lavoratori di 2
false cooperative di facchinaggio, di Montese (MO), sono stati licenziati con
la solita consolidata procedura: i lavoratori hanno picchettato, il
committente, la ditta Levoni, che smonta la carne per i supermercati, ha
chiesto agibilità: cariche della polizia e lacrimogeni.
Possiamo continuare
con Barilla che, per “favorire” 200 impiegate, sposta il lavoro a domicilio:
gli elogi si sprecano, ma in particolare le lavoratrici si sentono più libere.
Oggi la classe viene
scomposta, individualizzata, in competizione, si accetta di lavorare gratis
perchè fa curriculum e ci si sente partecipi di qualcosa.
L’ultimo snodo: il
lavoro sembra perdere il suo carattere di subordinazione creando una situazione
dove segmenti di classe sembrano aderire a una cultura sempre più egemonica:
sostanzialmente individualista fatta di competitività e antisolidaristica;
anche se inserito in strutture definite, vivi il tuo lavoro in modo individuale
come se fossi in una condizione di competitività costante.
E quest’ultima parte
dell’analisi critica dei rapporti di produzione, non più esterna ma tutta
interna, va indagata come parte del rapporto e costruzione del soggetto e della
forma che definiamo di dominio sui lavoratori.
96° Consiglio dei
Delegati
Alternativa
Libertaria/FdCA
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From: Medicina Democratica Onlus segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Thursday, January 12, 2017 12:42 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
UNA FANTASMA SI AGGIRA SULLA (SOTTO) LA PEDEMONTANA
Spinta al trotto da
Maroni e da Antonio di Pietro il completamento della Pedemontana (Busto Arsizio-Dalmine)
trova un intoppo a metà strada nella zona di Seveso per il fantasma della
diossina che riaffiora a 40 anni di distanza.
Le analisi per la
caratterizzazione del tracciato (in quella zona in buona parte interrato) hanno
confermato, tra l’altro, la presenza di diossina anche in concentrazioni
superiori ai limiti previsti sia per le zone residenziali/verde che
industriali.
Leggi tutto
al link:
SUL FORUM DI DISCUSSIONE I PRIMI DOCUMENTI DEL CONVEGNO APERTO DI MEDICINA DEMOCRATICA PER INIZIARE IL DIBATTITO
Iniziamo a
pubblicare i primi documenti di discussione sui temi che saranno oggetto dei
gruppi di lavoro nell’ambito del Convegno Aperto che Medicina Democratica Onlus
terrà a Milano i prossimi 20 e 21 gennaio presso la Camera del Lavoro di Corso
Vittoria, 43.
La
partecipazione è totalmente gratuita.
Leggi tutto
al link:
SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 275 DEL 13/01/17
INDICE:
Carenze nei luoghi di lavoro: domande e risposte (Seconda parte); Mobbing,
straining, bossing: una vita difficile; Sicurezza e tutele per i lavoratori a
termine e in somministrazione; Imparare dagli errori: infortuni durante l’uso
dell’argano; Guariniello: la sentenza Thyssen-Krupp, il processo Eternit e le
novità sull’amianto
Leggi tutto
al link:
PIENA SOLIDARIETA’ E SOSTEGNO PER RICCARDO ANTONINI, IN PRIMA LINEA PER LA VERITA’ DEL CRIMINE FERROVIARIO DI VIAREGGIO
Mentre, a
fine mese (il 31/01) è prevista la sentenza di primo grado per il crimine
ferroviario di Viareggio del 29/06/09, continua il calvario di Riccardo
Antonini reo di aver sostenuto la richiesta di verità delle popolazioni colpite
dalle inadempienze dei diversi soggetti imputati nel processo che vede anche
Medicina Democratica tra le parti civili.
Riportiamo
il Comunicato della Cassa dei Ferrovieri e ricordiamo che sul numero 227-230
della rivista di Medicina Democratica, tra gli altri, pubblichiamo uno scritto
di Antonini in cui fa il punto della sua odissea.
Leggi
tutto al link:
AMIANTO DAI RUBINETTI PER GLI ACQUEDOTTI CON CONDUTTORE IN CEMENTO AMIANTO
Il rilascio dell’amianto
dalle condutture degli acquedotti (in molti tratti realizzati nel periodo anni ‘50/’80 sono
stati ampiamente utilizzati manufatti in cemento-amianto) è un tema
controverso per istituzioni e gestori, ma non lo è dal punto di vista della
salute pubblica: vanno eliminati il prima possibile.
Segnaliamo il libro e
l’iniziativa di David Mattacchioni e Maurizio Marchi di Medicina
Democratica a Firenze, ma la questione riguarda tutta Italia e il recente
progetto di legge denominato “testo unico sull’amianto” non propone risposte
concrete (leggasi: tutelanti per l’ambiente e la salute) su questo tema.
Leggi
tutto al link:
Sito web:
Facebook:
www.facebook.com/MedicinaDemocratica
www.facebook.com/MedicinaDemocratica
Aiuta Medicina Democratica Onlus devolvendo
il tuo 5 per mille firmando nella tua dichiarazione dei redditi nel settore
volontariato e indicando il codice fiscale 97349700159.
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To:
Sent:
Saturday, January 14, 2017 4:50 PM
Subject: FERROVIERI,
TRE IMPORTANTI “APPUNTAMENTI CON LA GIUSTIZIA”
Invitiamo tutti i
ferrovieri, e coloro che hanno a cuore la sicurezza ferroviaria, la dignità e
le libertà democratiche nei luoghi di lavoro, a partecipare e presenziare, o
comunque a seguire l’evoluzione di questi procedimenti.
Dall’esito di essi, ovvero
dall’atteggiamento della magistratura nei confronti di una potenza economica
come è l’intero gruppo FS, e le altre società del modo ferroviario, deriveranno
i futuri orientamenti giuridici in materia di circolazione dei treni e di
libertà sindacali nei luoghi di lavoro.
Il 25 gennaio a Sassari,
alle ore 10 si terrà presso la Corte
d’Assise, l’ultima udienza del processo per la morte del nostro compagno di
lavoro, il macchinista Giuseppe Solinas, rimasto schiacciato nella cabina della
sua Aln 668, il 27 dicembre 2009, per l’urto con un masso franato sui binari
nella notte precedente. Sono imputati tre dirigenti di RFI e la stessa società
come responsabile amministrativa. Una morte che si sarebbe potuta evitare se
solo il costone roccioso crollato, fosse stato bonificato prima o protetto da
quei sistemi di sicurezza installati solo dopo l’incidente.
Il 25 gennaio a Roma, alle
ore 9 si terrà la prima udienza del processo nei confronti di Vincenzo Soprano,
ex Amministratore Delegato di Trenitalia e di Luca Maria Granieri, attuale
responsabile di Frecciarossa, entrambi accusati di violazione delle norme
sulla sicurezza del lavoro.
Il 31 gennaio a Lucca, alle ore
10,00 si terrà l’ultima udienza del processo per la strage di Viareggio, il
gravissimo disastro ferroviario, avvenuto il 29 giugno 2009, a causa del
deragliamento di una cisterna di GPL a seguito della rottura di un asse. Nel
disastro persero la vita 32 persone, alcune centinaia rimasero ferite e un
intero quartiere venne distrutto dall’incendio e dalle esplosioni che
seguirono. Dopo oltre cento udienze, termina il dibattimento e per la stessa
giornata del 31 è attesa la sentenza nei confronti dei 32 imputati, accusati a
vario titolo di disastro ferroviario, incendio e lesioni colposi e delle otto
società coinvolte, imputate per responsabilità civile ed amministrativa.
Partecipa, sostieni, scrivi
e contribuisci al dibattito e alle iniziative di “Ancora In Marcia!”, abbonandoti alla rivista autogestita dai
lavoratori dal 1908.
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From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
January 15, 2017 11:00 AM
Subject: “NON PARLATE, NON
ANDATE IN BAGNO”: COSI’ SI LAVORA A VOUCHER
All’indomani del verdetto della Corte Costituzionale sull’ammissibilità
dei quesiti referendari, pubblichiamo una lettera di alcuni lavoratori che
raccontano la loro esperienza di lavoro pagata a voucher nel mondo della grande
distribuzione.
Dopo la scelta di dichiarare inammissibile il quesito riguardante
l’articolo 18 depotenziando così il senso politico del referendum, rimangono
tuttavia ammissibili i quesiti riguardanti la responsabilità sugli appalti e
quello sull’abolizione dei voucher. Uno strumento che è esploso grazie al Jobs
Act e che ha visto precarizzare e detutelare ulteriormente i lavoratori.
* * * * *
Siamo tre giovani, di
cui un laureato e uno studente, senza fissa occupazione, e scriviamo indignati
riguardo la nostra ultima esperienza di lavoro saltuario. Come altre 140
persone, di età che variava dai 18 ai 60 anni, siamo stati contattati dalla
società BarCode Italia srl per
svolgere il lavoro di inventario, spalmato in due differenti nottate, in due
differenti sedi del supermercato IPER:
quella di Seriate e quella interna a Orio
Center.
Quando ci siamo
presentati sul posto, all’orario stabilito (cioè le 21:00 e le 20:30, anche se
il lavoro non sarebbe iniziato prima delle 22), ci siamo ritrovati a dover
aspettare per circa un’ora prima di cominciare effettivamente il lavoro. Un’ora, quindi, che non ci verrà pagata, e
che abbiamo passato la prima sera ammassati in una stanza, senza sapere
cosa fare e senza ricevere informazioni, a Seriate, e congelando al parcheggio
di Orio Center la seconda sera, in attesa di venire smistati nei vari gruppi di
lavoro.
Quando poi ci hanno
finalmente divisi per cominciare a lavorare, i nostri “supervisor”, cioè degli
addetti di BarCode che dovevano monitorare il nostro lavoro, hanno subito
specificato le loro regole: non si
fanno pause, non si va in bagno e non si parla tra di noi, anzi, non si parla
proprio.
Inoltre ci è sembrato assurdo che non ci venisse destinato il materiale
utile allo svolgimento della nostra mansione: chi era ai frigoriferi del supermercato non
ha ricevuto i guanti necessari per non congelarsi le mani, chi doveva
verificare il numero dei prodotti sugli scaffali più alti di rado aveva a
disposizione una scala, eppure era costretto a svolgere comunque il compito e
si è ritrovato quindi a utilizzare addirittura strumenti improvvisati e non
idonei quali, per esempio, i classici carrellini da spesa; inoltre l’atteggiamento dei nostri “supervisor” è
stato sempre, categoricamente dai toni autoritari e canzonatori nei nostri
confronti, con frequenti prese in giro. Addirittura uno dei nostri
colleghi a un certo punto, dopo l’ennesima umiliazione, ha alzato la voce per
finalmente farsi rispettare: a quel punto la reazione del “supervisor” è stata
quella di chiedergli immediatamente il nome, come a ricattarlo.
Insomma, oltre a
essere stato trattato a pesci in faccia, il collega doveva anche stare zitto e
non lamentarsi, pena la possibilità di non essere più richiamato per il lavoro,
e questa era la situazione in cui ci trovavamo tutti noi.
Questo, infatti, era
il clima che vigeva durante le ore che abbiamo passato lì, di continuo ed
estenuante ricatto: chi si trova a dover accettare un lavoro del genere,
alienante e ripetitivo, pagato a voucher (10 euro lordi all’ora, l’equivalente
di 7,50 euro netti), durante le ore notturne, non può assolutamente permettersi
di lamentarsi, di dire la sua, perché altrimenti rischia di perdere quei pochi
soldi per cui sta lavorando.
Il punto è che, se si accetta questo tipo di lavoro, significa che i
soldi sono necessari, servono, e non ci si può permettere di rinunciarvi.
Noi abbiamo voluto
raccontare la nostra esperienza, perché riteniamo importante almeno raccontare,
informare di quali sono le possibili dinamiche del mondo del lavoro di oggi,
anche quando si tratta di lavoretti accessori.
Oltre a noi ci sono altre centinaia di persone che si ritrovano
praticamente costrette a svolgere occupazioni simili, in simili condizioni, e
il tutto nella più assoluta legalità, grazie all’introduzione dei voucher e a un sistema
del lavoro che, invece di tutelare i lavoratori, incentiva situazioni del
genere, di sfruttamento e precarizzazione sempre più spietate e palesi,
ovunque, nei più disparati settori del lavoro.
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From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent:
Sunday, January 15, 2017 11:00 AM
Subject: GRIGIO LAVORO DI CAMERIERA? NO GRAZIE, A ME PIACCIONO I COLORI FORTI!
Questa è un piccola storia di una rivincita personale e di una piccola vittoria collettiva.
Sai quei baretti
carini, carini, nuovissimi e attraenti? Oppure quei locali luci soffuse e buona
musica, oppure quei pub in stile esotico dove vai a mangiarti un panino, una
bistecca, a bere un bicchiere? Sempre pienissimi di gente, che a volte devi
prenotare e dove spendi bei soldi perché l’economicità non è sempre loro
caratteristica. Per non parlare di quei ristoranti sciccosi che ti puoi
permettere solo nelle grandi occasioni.
Ecco, è in posti come questi che lavora la maggior parte delle ragazze e dei
ragazzi che si rivolgono allo sportello legale della Camera Popolare del Lavoro
dell’ex OPG di Napoli.
Si tratta di lavoratori e lavoratrici per lo più a nero (senza contratto) ma non solo.
Molti hanno situazioni ibride, cosiddette a “grigio”: cioè hanno un contratto
di lavoro che funziona solo come pezza d’appoggio per la loro prestazione, un
contratto che non viene rispettato o perché magari contempla un orario di
lavoro differente da quello effettivo, o perché prevede una mansione inferiore
a quella esercitata realmente dal lavoratore.
Lavorare senza contratto o sulla base di un contratto fasullo
significa non avere orari prestabiliti,
tirare fino a tardi la notte se i
clienti non se ne vanno, rinunciare alla tredicesima,
ai contributi pensionistici, sottostare alle decisioni improvvise del padrone, sia quando decide di cambiarti di turno, sia
quando decide di licenziarti e non versarti il trattamento di fine rapporto che
ti spetta.
Lavorare a nero o a
grigio significa regalare ai padroni il nostro tempo, i nostri soldi e la
nostra dignità. Perché se anche chi ha un contratto regolare oramai è
ricattabile (e il con il Jobs Act i padroni hanno affondato il loro ultimo
colpo ai diritti dei lavoratori e alla sicurezza sociale) immaginiamoci gli
altri, che diritti hanno?
La rassegnazione è il
sentire comune, quello che ognuno di noi superficialmente prova quando si parla
di lavoro irregolare e anche quando è il proprio lavoro a essere irregolare:
aspettiamo la prossima occasione, magari sarà più conveniente, intanto meglio
tenersi stretto questo.
Ma fuori dal
meccanismo del ricatto, che purtroppo è difficile invertire, qualche passo
avanti va fatto, a partire dalla consapevolezza che, nonostante l’assenza di
contratto o il contratto irregolare, i nostri diritti del lavoro (adeguamento
salariale, ferie, contributi, ecc.) ce li abbiamo, ci devono essere garantiti e
possiamo legittimamente rivendicarli.
Non è cosa semplice, parliamo di un cambiamento nel modo di pensare il lavoro oggi,
parliamo di digerire l’idea che esiste un limite allo sfruttamento, che tocca a
noi e solo a noi mantenere quell’asticella il più possibile bassa. Non è cosa
semplice, ma è necessaria, e può funzionare solo se resa
comune, attraverso il mutuo sostegno, la condivisione di
problemi e istanze, la ricerca collettiva delle concrete prospettive di
miglioramento. Un po’ quello che si fa alla Camera Popolare del Lavoro di
Napoli, e tra le tante storie che qui si avvicendano, ce n’è una
particolarmente significativa che ci piace anche stavolta condividere.
Aida, laureata in
architettura ma cameriera da otto anni, contrattualizzata per poche ore in un
locale molto in voga della provincia napoletana, era stanca di essere
sfruttata, stanca di avere orari imprevedibili, di non vedersi riconosciuti gli
straordinari, le ferie, la tredicesima... stanca di non essere trattata con
rispetto. Si è rivolta allo sportello legale per un giro di conoscenze comuni,
innanzitutto per un consiglio: voleva interrompere il suo rapporto di lavoro
perché esasperata dalle sue condizioni, ma non poteva
andarsene così, senza nemmeno provare a ottenere anche quello che le spettava.
La prima cosa
suggerita è stata di non rassegnare le dimissioni perché esasperata dalla
situazione: questo è esattamente quello che vuole il padrone e non è certo nell’interesse
del lavoratore.
Aida ha dovuto tenere
duro per qualche mese ancora, perché il padrone, nonostante i pessimi rapporti
tra i due, non aveva intenzione di licenziarla, forse perché lei era brava, ci
sapeva fare con i clienti, o forse per puro dispetto.
Intanto, fatti i
conteggi di quanto le spettasse economicamente, con il supporto dello sportello
legale, Aida ha avviato la trattativa, che dopo numerosi incontri, telefonate,
incazzature con il signor padrone e i suoi tentativi di prendere tempo, si è
conclusa in sede sindacale con un accordo che prevede l’interruzione, con il
licenziamento, di quel rapporto di lavoro abbrutente (quindi Naspi assicurata)
e un assegno per lei. La somma ottenuta è pari alla metà circa che avrebbe
potuto raggiungere se fosse andata davanti a un giudice, ma la sentenza sarebbe
arrivata con molto ritardo e probabilmente il padrone-debitore sarebbe stato
incapiente (come spesso accade per quei ricchi furbetti ufficialmente nullatenenti).
Alle lungaggini e alla incertezza del recupero del credito, Aida ha preferito
questa soluzione più rapida.
Aida ha condotto un
percorso insieme alla Camera Popolare del Lavoro e con lei abbiamo condiviso
molto tempo durante il quale abbiamo avuto modo di parlare moltissime volte e
di diverse cose: del referendum costituzionale, del concerto dei 99 Posse al
quale con molto rammarico Aida non poté venire perchè era di turno al lavoro,
del suo curriculum spedito in tutta Italia per cercare di essere presa in uno
studio di architettura, per fare il lavoro per cui ha studiato. Aida è una
ragazza vitale, un po’ punk, tutta istinto, con una profonda conoscenza della
storia dell’arte e l’abitudine di recuperare capi d’abbigliamento vintage che
rivende nei mercatini.
Quando si presentò
allo sportello di supporto ai lavoratori la prima volta era arrabbiata, ma
scoraggiata, incredula sulle sue possibilità di averla vinta, di ottenere
quello che voleva.
Il giorno della
conclusione della trattativa Aida appariva diversa, più consapevole, più
serena, diceva che se fosse rimasta sola, se non avesse
chiesto e trovato il supporto della Camera popolare del Lavoro, avrebbe
abbandonato l’idea di presentare il conto al padrone, si
sarebbe dimessa e via, con amarezza e rassegnazione avrebbe finito con una
sconfitta la sua “grigia” carriera di cameriera.
La storia, almeno
questa volta, è andata diversamente, perché Aida ha recuperato i denari che il
padrone le doveva e anche tanta fiducia nelle possibilità di riuscita di una
lotta condivisa; per dirla con parole sue: “oggi posso affermare non solo di
essere stata informata, ma di essere stata accompagnata in un vero e proprio
iter attraverso il quale ho acquisito piena consapevolezza dei miei diritti di
lavoratrice dipendente. Diritti che il lavoratore dipendente ha, ma che spesso
crede effimeri o utopici, che invece dovrebbe far valere sempre. Io dopo una
lunga trattativa ho finalmente ottenuto ciò che di diritto mi spettava e ho
avuto una presa di coscienza, sperando che la mia testimonianza dia forza ad
altre persone che si trovano in situazioni lavorative come la mia”.
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