INDICE
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La sicurezza ferroviaria: un problema che travalica la
dimensione locale e accomuna lavoratori e cittadini
- Lavoro:
addio ai voucher dal 2018, arriva un nuovo strumento
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Smart working: infortunio in itinere anche per il
lavoratore agile
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Le proposte di Sacconi in materia di sicurezza:
semplificare la normativa
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La proposta di introdurre il reato specifico di
mobbing
- Imparare
dagli errori: la manutenzione e pulizia delle macchine
Marco Spezia
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LA SICUREZZA FERROVIARIA: UN PROBLEMA CHE TRAVALICA LA
DIMENSIONE LOCALE E ACCOMUNA LAVORATORI E CITTADINI
Riporto a seguire, su preziosa segnalazione del
compagno macchinista Giuseppe “Peppone” Grillo, l’intervento di Giacomo
Porcellana, Tecnico della Prevenzione SPreSAL ASL TO3 Rivoli
(TO), tenuto al Seminario di confronto operativo “Infortuni sul lavoro
dalla programmazione degli interventi all’efficacia delle azioni preventive”,
svoltosi ad Ancona il 7 aprile 2017.
Marco Spezia
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LA SICUREZZA FERROVIARIA: UN PROBLEMA CHE TRAVALICA LA
DIMENSIONE LOCALE E ACCOMUNA LAVORATORI E CITTADINI
Qualche anno fa i Rappresentanti dei Lavoratori per la
Sicurezza di Trenitalia inviarono un esposto a tutte le Procure della
Repubblica d’Italia e agli Organi di Vigilanza delle Aziende Sanitarie Locali.
Il problema lamentato riguardava il cosiddetto “agente
solo”.
I Servizi di Prevenzione delle ASL hanno un ruolo ben
definito e circoscritto e quindi, laicamente, ho iniziato a guardare al
problema per i riflessi che lo stesso può determinare per la salute e la
sicurezza dei lavoratori.
In questi anni con maestri come il dottor Guariniello,
ho finito per occuparmi di rischi un po’ particolari e normalmente poco
praticati, dunque l’agente solo ha portato a considerare, in prima battuta, un
rischio non certo irrituale, ma anzi noto, come il lavoro in solitudine. Gli
accertamenti hanno quindi riguardato prima l’organizzazione dei soccorsi e poi
lo stress lavoro correlato.
Gli accertamenti sull’organizzazione del primo
soccorso sono stati svolti dalla ASL TO3 alla quale appartengo, unitamente con
le ASL TO1, TO4 e TO5 e hanno riguardato tutte le imprese ferroviarie operanti
sui territori di competenza.
Sul punto, il quadro normativo si può così riassumere:
L’articolo 45 del D.Lgs. 81/08, recante “Primo
soccorso”, stabilisce che il datore di lavoro, tenendo conto della natura delle
attività e delle dimensioni dell’azienda o della unità produttiva, sentito il
medico competente ove nominato, prende i provvedimenti necessari in materia di
primo soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre
eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari
rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori
infortunati.
La norma del D.Lgs. 81/08 trova regolamentazione nel
D.M. 388/03, che a sua volta, in ambito ferroviario, trova una applicazione
particolare definita con il Decreto Interministeriale 24 gennaio 2011, n. 19,
recante “Regolamento sulle modalità di applicazione in ambito ferroviario, del
Decreto 15 luglio 2003, n. 388, ai sensi dell’articolo 45, comma 3, del Decreto
Legislativo 9 aprile 2008, n. 81”.
Il Decreto Interministeriale è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n.58 del 11/03/11 ed è entrato in vigore il 26/03/11.
Occorre però tenere conto del fatto che l’articolo 7 del suddetto Decreto
contiene disposizioni transitorie che prevedono, tra l’altro, che le procedure
operative di intervento in modo coordinato con le procedure attivate dagli
altri soggetti operanti in ambito ferroviario e con i servizi pubblici di
Pronto Soccorso, anche per il trasporto degli infortunati, dovessero essere
predisposte entro 12 mesi.
Detto che in Piemonte nei termini stabiliti è stato
redatto un protocollo tra il gestore delle infrastrutture, il 118 e le imprese
ferroviarie, ci si è posti il problema di comprendere se tale protocollo unito
alle singole procedure aziendali avesse raggiunto l’obiettivo fissato dall’articolo
4 del Decreto Interministeriale 19/11.
A tal proposito è bene ricordare che l’articolo 4
stabilisce che “i gestori delle infrastrutture e le imprese ferroviarie,
coordinandosi fra loro e con i servizi pubblici di Pronto Soccorso,
predispongono procedure operative per attuare uno specifico piano di intervento
che preveda per ciascun punto della rete ferroviaria le modalità più efficaci
al fine di garantire un soccorso qualificato nei tempi più’ rapidi possibili
anche per il trasporto degli infortunati”.
A noi è parso evidente il collegamento tra questo
obbligo e l’obbligo principale definito dal D.Lgs. 81/08, ovvero l’obbligo di
valutazione di tutti i rischi. In particolare abbiamo ritenuto che le scelte
organizzative aziendali, potessero portare ad avere riflessi significativi sui
tempi e sulle modalità di soccorso.
Ciò ha portato anche a una riflessione sul ruolo e
sull’individuazione del datore di lavoro. A tale riguardo, come noto,
l’articolo 2 del D.Lgs 81/08 definisce il datore di lavoro come “il soggetto
che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il
lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione
stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di
spesa”.
La possibilità di individuare questo livello di
responsabilità nell’ambito dell’intera organizzazione ovvero in un ambito più
ristretto come l’unità produttiva ha indotto molte organizzazioni complesse a
ricercare questa figura al livello inferiore. Anche in alcuni casi analizzati
in questa vicenda la scelta aziendale è stata questa. Occorre però ricordare
che anche la “unità produttiva” trova una sua definizione nell’articolo 2,
comma 1, lettera t), del D.Lgs. 81/08 che la descrive come “stabilimento o struttura
finalizzati alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di
autonomia finanziaria e tecnico funzionale”. Inoltre occorre ricordare
l’articolo 299 del D.Lgs. 81/08 che descrive l’esercizio di fatto di poteri
direttivi, stabilendo che le posizioni di garanzia relative alle figure di
datore di lavoro, di dirigente e di preposto, gravano altresì su colui il
quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri
giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti.
Le attività di indagine effettuate utilizzando i
consueti strumenti dell’ordine di esibizione di documenti e l’assunzione di
sommarie informazioni testimoniali, hanno condotto ad individuare una pluralità
di garanti sia tra coloro che formalmente investiti del ruolo di datori avevano
assunto la responsabilità di redigere il documento di valutazione dei rischi,
sia tra coloro che pur dichiarandosi estranei al ruolo di datore di lavoro
occupavano ruoli di vertice e di fatto assumevano decisioni strategiche rilevanti
ai fini della salute e sicurezza ingerendosi nell’autonomia decisionale del
datore di lavoro.
Per quanto riguarda i moduli di condotta dei treni è
noto, che a seguito di accordi sindacali (sarebbe opportuno che i sindacati
consultassero i propri RLS) ed in base a regolamenti approvati da ANSF i treni
possono essere condotti ad agente solo o a doppio agente. A tale riguardo si è
osservato che le Imprese Ferroviarie utilizzano a seconda dei casi e dei
servizi sia moduli di condotta ad agente unico/solo, sia moduli di condotta a
doppio agente. Ad esempio Trenitalia Direzione trasporto regionale Piemonte
adotta la condotta a doppio agente in orario notturno (0.00-5.00), mentre di
regola adotta la condotta ad agente solo in orario diurno.
Si evidenzia, inoltre, quanto previsto al punto 4.28
dell’allegato B “Regolamento per circolazione ferroviaria” del Decreto 4/12
emanato dall’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria al fine di attuare
il riordino normativo nazionale in materia di sicurezza della circolazione
ferroviaria, entrato in vigore il 01/01/13, precisamente: “sui treni, oltre
all’agente di condotta e, per i treni che effettuano servizio di trasporto
passeggeri, al capotreno, devono essere presenti gli altri agenti di
accompagnamento, in possesso delle previste abilitazioni, necessari a garantire
la sicurezza di utenti, clienti, lavoratori interessati e terzi [...]”.
In conseguenza alla scelta organizzativa si osserva
che anche le procedure per il primo soccorso del macchinista si diversificano:
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in caso di equipaggio a doppio agente utilizzato in
alcuni treni il macchinista vittima di un malore viene soccorso presso la
stazione o comunque il primo punto accessibile lungo la linea ferroviaria ove
il treno viene condotto dal secondo agente.
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in caso di equipaggio ad agente unico, se per un caso
fortuito è presente un secondo macchinista sul convoglio si opera come per il
punto precedente, viceversa sono i soccorsi a dover raggiungere il treno che si
arresta in linea a causa del malore del macchinista.
Gli stessi Documenti di Valutazione dei Rischi mettono
in luce come in relazione al territorio e alla linea ferroviaria presa in esame
i tempi possano variare sensibilmente tra i due casi. Ad esempio nell’attuale
condizione dell’infrastruttura, in caso di malore di un agente unico nella zona
tra Salbertrand e Beaulard il soccorso richiederebbe tempi di intervento
superiori a 45 minuti, mentre nella condizione, di malore di un treno con due
agenti abilitati alla condotta (ad esempio in orario notturno) il tempo di
intervento si riduce tra i 5 e i 20 minuti ovvero il tempo necessario agli
operatori del 118 per arrivare presso la stazione più vicina.
L’analisi della tratta tra Torino e Bardonecchia ha
inizialmente richiesto un intervento prescrittivo volto a rendere efficace il
sistema di comunicazione terra-treno migliorando e potenziando i sistemi di comunicazione
telefonici.
Le linee considerate sono equipaggiate con sistemi di
ripetizione del segnale SCMT e alcuni treni operano con il sistema “vigilante”
attivo dunque in caso di malore del macchinista il sistema di sicurezza è in
grado di intervenire automaticamente e mandare il treno in frenatura.
La linea Torino-Bardonecchia è caratterizzata dalla
presenza di gallerie e viadotti che rendono complicata l’attività di accesso
alla linea in tutti i punti. Non si tratta evidentemente di un caso raro, la conformazione
del territorio e la storicità di alcune linee ferroviarie portano a ritenere
che situazioni analoghe si possano ritrovare in diverse zone d’Italia.
In questi casi non è neppure trascurabile l’effetto
sugli utenti dei treni passeggeri, infatti in caso di arresto del treno in
linea per il malore del macchinista vi sono criticità anche per le numerose
operazioni che il capotreno deve effettuare. Con il macchinista bisognoso di
cure e l’arresto del treno in linea, magari in galleria, il capotreno deve in
rapida sequenza ricercare, d’intesa con il Regolatore della circolazione
competente, a bordo treno o su altri circolanti la disponibilità di agente in
grado di completare l’equipaggio e assicurare il proseguimento della marcia,
ricercare e richiedere l’intervento di un medico eventualmente presente a bordo
treno, mettere a disposizione del personale sanitario intervenuto il pacchetto
di medicazione, richiedere al Regolatore della circolazione del Gestore
dell’Infrastruttura, RFI SpA l’intervento del Servizio Sanitario Nazionale,
informare la Sala Operativa Regionale (SOR) dell’accaduto, effettuare la
chiamata in conferenza con il DCCM di RFI e il Servizio 118, fornire ulteriori
informazioni richieste e ricevere istruzioni dagli operatori del Servizio 118,
stazionare il treno e gestire l’utenza... Tutte operazioni che richiedono tempi
non brevi e distolgono il capotreno dall’assistenza al macchinista.
Con lo stazionamento del treno viene a mancare
l’illuminazione elettrica e il condizionamento delle carrozze, di conseguenza
un fermo prolungato può determinare malori e/o panico tra i passeggeri.
L’attività prescrittiva effettuata dalle ASL Torinesi
ha ottenuto una risposta risolutiva da una sola impresa ferroviaria che ha
ritenuto (ma solo in Piemonte) di superare il problema organizzando i treni a
doppio agente di condotta.
Altre imprese ferroviarie hanno invece intrapreso un
lavoro di caratterizzazione delle linee ferroviarie sul territorio, comunque
utile e necessario, per individuare le aree più critiche in caso di malore.
Qualcuna si è spinta nel fare calcoli probabilistici sulla ricorrenza di questi
malori per dimostrare che si tratta di casi remoti. Nulla da eccepire sui
calcoli, ma il ragionamento dovrebbe essere almeno fatto su scala nazionale e
non locale, ed inoltre a noi pare, al momento invalicabile il fatto che il D.M.
19/11, al quale non si può imputare di non aver tenuto conto di questi numeri,
comunque richieda che vengano previste e attuate le modalità più
efficaci al fine di garantire un soccorso qualificato nei tempi più’ rapidi
possibili per ciascun punto della rete ferroviaria.
Nelle more dei procedimenti avviati e in alcuni casi
reiterati per gli avvicendamenti avvenuti nel ruolo di datore di lavoro vi sono
stati due importanti pronunciamenti il primo ancora in itinere, mentre il
secondo, salvo ripensamenti, definitivo.
Il primo pronunciamento riguarda il procedimento
giudiziario, in sede civile, giunto al grado di appello e sul quale pende un
ricorso per Cassazione che vede contrapposti Trenitalia SpA e un suo
dipendente. La vicenda riguarda il licenziamento disciplinare di un macchinista
a fronte del suo rifiuto di condurre il treno senza la presenza in cabina dl un
secondo agente abilitato alia condotta. Trattandosi di un procedimento pendente
non è possibile ricavarne insegnamenti definitivi, ma è senz’altro utile
ricavare spunti dalle due sentenze di merito che sino ad ora hanno visto
prevalere le tesi del lavoratore.
Il Tribunale in funzione di Giudice del lavoro, nelle
motivazioni della sentenza di primo grado, richiamando anche gli esiti delle
attività ispettive svolte dalla ASL Savonese, dalla ASL di Torino 3 e dalla ASL
Marche 3, evidenziava il fatto che il modulo ad agente solo “determina un
rallentamento dei primi soccorsi al macchinista nel caso in cui questi venga
colpito da un malore che gli impedisca di proseguire la conduzione del treno,
costringendolo ad attendere sui posto l’arrivo dei soccorsi” con “un
considerevole arretramento del livelli dl tutela del macchinista”, rispetto
alla condotta a doppio agente.
Avverso alla sentenza di primo grado proponeva
opposizione Trenitalia S.p.A. lamentando che “il Tribunale era intervenuto in
un ambito proprio dell’autonomia collettiva e le aveva sostanzialmente imposto
la presenza a bordo di un secondo agente di condotta benché non esistessero
prescrizioni normative e tecniche che lo prevedessero”.
Questo a noi pare un punto fondamentale, perché è
sicuramente vero che non esistono norme che impongono la condotta a doppio agente,
e che anzi esistono norme che permettono la condotta ad agente solo.
Preziose sono dunque le motivazioni della sentenza di
appello, che nelle more del ricorso per Cassazione, confermano l’esito del
primo grado.
La Corte di Appello afferma che il giudizio non ha
“indebitamente imposto la creazione di una posizione di lavoro da attribuirsi a
un secondo macchinista abilitato alia conduzione del treno”, ma si è limitato
“a ravvisare la sussistenza di un inadempimento datoriale, dando atto che il
modulo del macchinista unico configura un arretramento delle tutele
antinfortunistiche”.
Anche l’azione dell’Organo di Vigilanza non può e non
deve giungere a considerazioni che riguardino il modulo di condotta in quanto
tale, ma deve limitarsi a considerare gli effetti sulla salute e sicurezza dei
lavoratori di tale scelta. Potrebbe sembrare un sofisma, ma è necessario che
ciascuno si muova nel proprio ambito.
Un altro aspetto citato nelle motivazioni della
sentenza di appello riguarda il territorio ove la prestazione si svolge. Appare
evidente che vi possano essere linee ferroviarie che in base al loro tracciato
risultano accessibili in diversi punti ravvicinati tra loro e che quindi in
caso di arresto del treno in linea vi sia comunque la ragionevole possibilità
di accesso diretto da parte dei soccorritori.
Ma ve ne sono altri che “presentano delle
caratteristiche peculiari” quali “lunghi tratti a binarlo unico, percorsi ad
altimetria variabile con saliscendi che rendono difficile valutare la pendenza,
stazioni meccanizzate, spazi particolarmente ristretti che rendono difficile
l’accesso dei mezzi di soccorso, numerose gallerie, alcune delle quali a
binario unico, particolarmente lunghe [...]”.
Pare ovvio che l’azione di vigilanza debba orientarsi
prioritariamente su questo tipo di tratte.
Il secondo pronunciamento riguarda la risposta ad
interpello, ex articolo 12 del D.Lgs. 81/08, rubricata con il numero 2 del
21/03/16.
Come si ricorderà le attività di indagine svolte da
alcune ASL del territorio nazionale avevano avuto origine da esposti presentati
in tutta Italia dai RLS di Trenitalia. Non tutte le ASL, e le Procure della
Repubblica, interessate da quegli esposti hanno ritenuto di impartire
prescrizioni anche per il dubbio fatto proprio dalla Conferenza delle Regioni e
delle Province autonome che ha presentato il quesito alla Commissione
Interpelli.
Il quesito posto risulta molto specifico, ma la
risposta contiene un principio generale applicabile anche al di là dell’ambito
del primo soccorso ferroviario.
La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome
dopo aver riassunto la normativa specifica, già citata nella presente
relazione, ha rappresentato che “le
modifiche recentemente intervenute nella organizzazione del lavoro in ambito
ferroviario prevedono a bordo treno la presenza di un solo operatore in grado
di condurre il treno (anche in condizioni di emergenza)” e che “a seguito di
sollecitazioni pervenute da parte di Rappresentanti di Lavoratori per la
Sicurezza e di Organizzazioni Sindacali, è stata manifestata la criticità
secondo cui, l’assetto organizzativo assunto dagli enti gestori del trasporto
ferroviario potrebbe incidere negativamente sulla tempestività dell’intervento
di primo soccorso in caso di malore del macchinista”.
Ed infine ha posto il seguente quesito: “l’obbligo di portare il soccorso qualificato
nel più breve tempo possibile va inteso considerando come non in discussione il
modello organizzativo scelto dall’azienda (ad esempio l’agente unico) o può
invece rimettere in discussione le scelte aziendali di organizzazione del
lavoro se le stesse determinano, o possono comunque determinare, tempi di
intervento molto più lunghi e certamente superiori a quelli previsti dal
comunicato n. 87 della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativo al D.P.R.
27/03/92? ”.
A fronte di una disamina puntuale della normativa le
conclusioni della Commissione Interpelli, sono lapidarie: “Fermo restando che il modello organizzativo
è una scelta libera del datore di lavoro, l’obbligo di portare il soccorso
qualificato nel più breve tempo possibile per ciascun punto della rete
ferroviaria va inteso comprendendo anche possibili modifiche al modello
organizzativo scelto dall’azienda se lo stesso determina, o può comunque
determinare, tempi di intervento più lunghi o modalità meno efficaci per
garantire il soccorso qualificato ai lavoratori interessati e il trasporto
degli infortunati”.
Il cardine che sorregge la risposta della Commissione
è l’articolo 15, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 81/08 che prevede “la programmazione della prevenzione, mirata
ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni
tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e
dell’organizzazione del lavoro”.
Dunque le scelte
organizzative aziendali, ivi comprese quelle strategiche e di fondo, non
possono sottrarsi all’analisi e valutazione dei rischi per la salute e
sicurezza del lavoro. Non sono le misure di sicurezza a dover inseguire e
mitigare gli effetti delle scelte aziendali, ma piuttosto sono le scelte
aziendali che si devono integrare in una politica di prevenzione dei rischi.
Questo insegnamento
ricevuto dalla Commissione Interpelli dovrebbe oggi favorire l’azione di
vigilanza relativa al primo soccorso in ambito ferroviario, ma dovrebbe essere
applicato e divulgato anche in altri contesti. Basti pensare a quante volte
parlando con i soggetti della prevenzione siano essi RSPP o coordinatori per la
sicurezza raccogliamo la loro frustrazione di fronte al fatto che viene loro
richiesto di “porre rimedio” a scelte prese da altri senza neppure consultarli.
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Da Studio Cataldi
20/03/17
di Marina Crisafi
IL GOVERNO HA APPROVATO IL DECRETO LEGGE CHE ABOLISCE
I BUONI LAVORO
Non è servito il coro compatto delle critiche sollevate
dal mondo delle imprese, la paura dei referendum ha portato il Governo alla
soluzione più drastica: l’abolizione definitiva dei voucher. Oggi infatti il
Consiglio dei Ministri, lasciando da parte le intenzioni precedenti di
sdoppiare i voucher assicurando un deciso giro di vite, ha optato per la
cancellazione dell’uso dei buoni lavoro approvando un Decreto ad hoc (Decreto
Legge n. 25/2017) che recepisce il voto della Commissione della Camera.
Sulle forti preoccupazioni per arginare il lavoro
nero, nelle prossime settimane, ha spiegato il premier Gentiloni al termine del
Consiglio dei Ministri, cercheremo “di rispondere ad una esigenza che
certamente l’eliminazione dei voucher non risolve, per una regolazione seria
del lavoro saltuario e occasionale”.
L’abrogazione, intanto, delle norme su voucher e
appalti, sterilizza i referendum di maggio, nella consapevolezza (ha aggiunto
il presidente del Consiglio) “che l’Italia non aveva certo bisogno nei prossimi
mesi di una campagna elettorale su temi come questi e nella consapevolezza che
la decisione è coerente con l’orientamento che è maturato nelle ultime
settimane in Parlamento”.
UN ANNO DI TEMPO
Il Decreto Legge, che contiene anche norme su appalti
per solidarietà tra committente e appaltatore, con un tratto di penna, cancella
i tre articoli del Decreto Legislativo attuativo del Jobs Act del 2015 (48, 49
e 50), abrogando così la disciplina del lavoro accessorio e recependo
interamente il quesito referendario proposto dalla CGIL.
Stop totale, dunque, ai voucher, che non potranno più
essere utilizzati da nessuno (famiglie, imprese, Pubblica Amministrazione) e in
nessun settore produttivo (dall’agricoltura, ai servizi, al commercio, ecc.).
L’addio partirà operativamente dal 1° gennaio del
prossimo anno. E’ stata prevista infatti una fase transitoria fino alla fine
del 2017, per consentire a chi comprato i voucher di poterli utilizzare. Questo
al momento dell’entrata in vigore del Decreto, per cui nei prossimi giorni si
prevede una vera e propria corsa all’acquisto dei buoni.
I DATI
La linea scelta dal Governo è stata quella di evitare
a tutti i costi il referendum del 28 maggio, per sfuggire magari ad un altro
stop dopo il risultato fallimentare delle scorse consultazioni referendarie del
4 dicembre.
Ma la paura di gettare nello sconforto interi settori
è alta, anche perché i voucher acquistati nel 2016, corrispondenti a circa 130
milioni di ore lavoro, equivalgono a qualcosa come 60.000 lavoratori. Dopo la
tracciabilità introdotta nei mesi scorsi, peraltro, la tendenza è stabile con i
dati (INPS) che parlano per il solo mese di gennaio 2017 di 8,9 milioni. I
buoni, dagli incroci dei dati INPS, ISTAT e Ministero del Lavoro, sono
utilizzati soprattutto nel terziario con redditi annui dei lavoratori
oscillanti tra i 2.000 e i 3.000 euro, di cui il 24% suddiviso tra pensionati e
inoccupati.
Numeri che, a detta di molti, con l’abolizione dei
voucher, si traducono in un ritorno al sommerso, al lavoro nero.
IL NUOVO STRUMENTO
Da domani, dunque, bisognerà mettere a punto un nuovo
strumento con cui rispondere alle necessità effettive del lavoro occasionale.
Lo ha affermato Gentiloni seguito a ruota dal Ministro del lavoro Poletti, che
ha annunciato l’aprirsi, a stretto giro di posta, di un nuovo confronto con
sindacati e imprese. “Apriremo al più presto il confronto con le parti sociali”
- ha spiegato infatti - “d’altra parte un tavolo generale sul lavoro è già in
corso e si potrà inserire questa riflessione”.
“I voucher” -
ha aggiunto Poletti - “non sono responsabilità di questo governo per questo il
modo più efficace di riscriverli era abrogarli”. Tuttavia, ora, se non si vuole
spalancare le porte al lavoro nero, bisognerà offrire al più preso a famiglie e
imprese strumenti normativi idonei a disciplinare i piccoli lavori.
LE POSSIBILI ALTERNATIVE AI VOUCHER
Mentre ancora sono diverse le ipotesi al vaglio
dell’esecutivo, dai centristi (AP, NCD) arriva la prima Proposta di Legge di
riforma dei voucher.
Presentato oggi nella sede del partito a Roma, la
Proposta di Legge di AP, dal titolo “Ampliamento delle possibilità di utilizzo
del lavoro intermittente, introduzione degli istituti del lavoro a orario
ridotto e del lavoro occasionale” si poggia su tre capisaldi (i buoni famiglia,
i mini-contratti e il lavoro intermittente a chiamata), il tutto per evitare
che l’eliminazione dei voucher per il lavoro occasione riporti “nel nero e
nell’evasione fiscale migliaia di giovani, di precari, di disoccupati che
avevano in questo strumento una concreta possibilità di lavoro saltuario e di
arrotondamento del bilancio familiare”.
BUONI FAMIGLIA ORARI DA 12 EURO
La Proposta di Legge introduce i buoni famiglia, ossia
buoni orari da 12 euro esenti da IRPEF (ma con INAIL al 7% e INPS al 12%), da
usare per i lavori occasionali presso le famiglie e le associazioni di
volontariato.
Il compenso massimo annuale è pari a 7.500 euro (che
diventano 2.000 se proviene da un solo committente).
I buoni inoltre non sono cedibili, sono numerati
progressivamente e datati.
LAVORO INTERMITTENTE A CHIAMATA
La Proposta di Legge di AP propone, inoltre, il lavoro
intermittente a chiamata con contratti a termine o a tempo indeterminato
destinati ai lavori discontinui in tutti i settori economici e senza limiti di
età.
Il tetto di utilizzo è di massimo 400 giornate
lavorative in tre anni.
Il meccanismo proposto prevede che il lavoratore offra
la propria disponibilità all’azienda e attenda la chiamata, percependo per la
disponibilità stessa una indennità di attesa.
MINI-CONTRATTI
La Proposta prevede, infine, l’introduzione dei
mini-contratti, ossia di contratti di lavoro a orario ridotto in tempi
predeterminati, per un tetto massimo di 70 giorni annui (o di 500 ore
lavorative), con un reddito limite di 7.500 euro e un costo orario di 12 euro.
Anche tale prestazione, come i buoni famiglia, sarebbe
esente da IRPEF, mentre il datore di lavoro dovrebbe versare il 7% all’INAIL e
il 13% all’INPS.
La differenza, rispetto al lavoro a chiamata, consiste
nel fatto che in tale tipologia contrattuale il lavoratore concorda
direttamente con l’azienda il periodo della prestazione, predeterminandolo
nell’arco di tempo settimanale, mensile o annuale.
Il Decreto Legge n. 25/2017 è consultabile
all’indirizzo:
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Da Studio Cataldi
17/04/17
di Valeria Zeppilli
Questa e altre novità hanno ripreso vita con
l’approssimarsi verso il traguardo finale dello Statuto del lavoro autonomo
L’approssimarsi dello Statuto del lavoro autonomo
verso l’esito del percorso di approvazione in Parlamento sta dando nuova vita
anche alla disciplina del lavoro agile che, quindi, potrebbe presto divenire
realtà.
Il lavoro agile, o “smart working”, nei fatti non è
altro che il recepimento legislativo del processo di sviluppo e modifica che
interessa da diverso tempo l’organizzazione del lavoro, fatto mediante il
declassamento del ruolo accordato al tempo e al luogo in cui si svolge la
prestazione lavorativa, a vantaggio degli obiettivi assegnati ai lavoratori e
da questi raggiunti.
Operativamente, alle parti verrà data la possibilità
di formalizzare il lavoro agile mediante patti specifici che ne regolamentino i
confini, tenendo conto di alcuni paletti imposti dalla legge.
Infortunio in itinere
Lo smart working, infatti, contiene in sé dei rischi
che rendono necessario ripensare alcune discipline tradizionali del diritto del
lavoro, come quella che regola la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Se le norme applicabili sono, tendenzialmente, quelle
vigenti in generale, c’è comunque una grande novità, che è quella rappresentata
dalla disciplina dell’infortunio in itinere: con il Disegno di Legge., infatti,
viene riconosciuta la possibilità di indennizzare tale infortunio anche agli
smart worker, con un’estensione della garanzia anche ai casi in cui gli stessi
restino coinvolti in un incidente quando si recano verso un luogo differente
dalla sede aziendale, comunque per svolgere la loro prestazione lavorativa.
Altre novità dovrebbero riguardare il diritto alla
disconnessione, ovverosia la possibilità per le parti di concordare dei periodi
di tempo durante i quali il lavoratore non è reperibile (fermo restando il
rispetto della disciplina generale sugli orari di lavoro), e il divieto
espresso di qualsivoglia forma di penalizzazione retributiva connessa
esclusivamente all’adesione del dipendente allo smart working.
Per quanto riguarda la forma e la durata dello smart
working, infine, il Disegno di Legge non detta una normativa speciale per il
lavoro agile, ma rinvia ai principi generali, consentendo alle parti di
regolamentare autonomamente la materia tenendo conto, tuttavia, della necessità
che l’accordo che prevede lo svolgimento di smart working sia redatto per
iscritto. Lo stesso, poi, può avere una durata sia determinata che
indeterminata, con la precisazione che in quest’ultimo caso il recesso può
avvenire solo con preavviso di almeno 30 giorni.
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Doverosa
premessa.
Mi preme
mettere in evidenza che non condivido assolutamente (anche se li capisco
perfettamente dal suo punto di vista) i contenuti dell’intervista al famigerato
ex Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi.
Mi sembra
utile però riportarne il pensiero, per meglio comprendere il contenuto del suo
Disegno di Legge e svelare la mal celata ipocrisia delle sue argomentazioni.
Marco
Spezia
Da:
PuntoSicuro
24 marzo
2017
di
Tiziano Menduto
Un
Disegno di Legge propone di ridurre il Testo Unico [D.Lgs. 81/08] da 306 a 22
articoli con l’obiettivo di un miglioramento sostanziale della salute e
sicurezza.
Ne
parliamo con uno dei firmatari della proposta, il Senatore ed ex Ministro
Maurizio Sacconi.
Disegno
di Legge le cui proposte, come abbiamo già indicato in un precedente articolo,
spesso difficilmente arrivano a completare l’iter e a diventare leggi vigenti,
ma che ci permettono di raccontare un clima, una tendenza, un orientamento da
parte di coloro che hanno il compito in Parlamento di elaborare e approvare
nuove norme. Orientamento, tendenze e direzioni che spesso sono tra loro molto
contrastanti e che raccontano, probabilmente, la difficoltà di affrontare la
tematica della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro da punti di vista
condivisi da più gruppi e forze parlamentari.
Ed
infatti dopo aver presentato attraverso un’intervista al senatore Giovanni
Barozzino, un Disegno di Legge per l’introduzione nel codice penale del reato
di omicidio sul lavoro e del reato di lesioni personali sul lavoro gravi o
gravissime, torniamo oggi a presentare una nuova intervista relativa a un
Disegno di Legge che esprime un’altra tendenza, un diverso orientamento.
Stiamo
parlando di un Disegno di Legge tendente al riordino e alla semplificazione del
D.Lgs. 81/08, a firma dei senatori Maurizio Sacconi, Serenella Fucksia e Johann
Karl Berger; una semplificazione estrema che porterebbe la normativa in materia
di salute e sicurezza del Testo Unico dagli attuali 306 articoli e 51 allegati
a 22 articoli e 5 allegati.
Una
proposta che, come abbiamo già raccontato in un precedente articolo, prevede la
possibilità per medici del lavoro o altri professionisti esperti in materia di
sicurezza sul lavoro, di verificare l’avvenuto adempimento in azienda degli
obblighi in materia di salute e sicurezza e certificare, sotto la propria responsabilità,
la correttezza delle misure di prevenzione e protezione adottate dalla singola
azienda.
E non
bisogna dimenticare anche le modifiche, contenute nel Disegno di Legge,
relative alla responsabilità del datore di lavoro. Secondo i proponenti la
colpa in materia di salute e sicurezza è “colpa di organizzazione” con la
conseguenza che “essa viene meno ove l’imprenditore dimostri di aver provveduto
a organizzare la sua azienda in modo corretto e attento rispetto alle esigenze
di tutela dei propri lavoratori” (come riportato nella presentazione del
Disegno di Legge).
Proponiamo
una breve intervista al senatore Maurizio Sacconi, presidente della 11ª
Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale) del Senato della Repubblica
e Ministro del Lavoro dal 2008 al 2011.
Le
domande non solo vogliono comprendere come si è arrivati al disegno di legge,
ma vogliono capire cosa cambierebbe e quali obiettivi ci si pone con questa
proposta “estrema”. Una proposta che, come indica nell’intervista il senatore,
ha “lo scopo di aprire una discussione tecnica, culturale, politica sui modi
con cui rendere ogni ambiente di lavoro più sicuro”.
Abbiamo
anche cercato di fare alcune domande (non a tutte è stata data risposta) per
riflettere su qualche aspetto più critico della proposta, ad esempio in
relazione alla garanzia dell’autonomia dei certificatori.
Infine
non potevamo non chiedere al senatore di raccontarci qualche aspetto della sua
esperienza di presidente della Commissione Lavoro, specialmente in relazione
alla permeabilità della Commissione ai temi della tutela della salute e
sicurezza nei luoghi di lavoro.
Punto
Sicuro
Cerchiamo
di comprendere come si è arrivati al Disegno di Legge, di cui lei è il primo
firmatario, relativo al riordino e alla semplificazione del Testo Unico in
materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Al di là
dei contenuti che approfondirei più avanti, perché avete sentito l’esigenza di
sfrondare così ampiamente il D.Lgs. 81/08, un Testo Unico che malgrado tutto ha
contribuito ad una diminuzione sensibile, dal 2008 ad oggi, degli infortuni?
Maurizio
Sacconi
Come ha
ben spiegato nei giorni scorsi una titolare di bad and breakfast al Corriere,
la attuale regolazione è sostanzialmente a taglia unica e tarata sulla fabbrica
pesante. Prevalgono gli adempimenti formali, sostenuti da sanzioni
significative, che per molte piccole imprese, specie del terziario, sono
sproporzionati. In generale, oltre una certa soglia, il formalismo rischia di
allontanare l’imprenditore da un approccio sostanzialista alla sicurezza.
P.S.
Ci
racconti quali ritiene siano i punti determinanti della vostra proposta e quali
i vantaggi rispetto alla situazione attuale.
M.S.
La
proposta ha lo scopo di promuovere nei luoghi di lavoro una attenzione olistica
alla salute del lavoratore attraverso una sorveglianza sanitaria che partecipi
della attività di prevenzione del servizio sanitario nazionale. Dal lato
dell’impresa ne distingue dimensione e caratteristiche sollecitando, anche
attraverso criteri di bonus malus nella definizione del premio INAIL, scelte
imprenditoriali rivolte alla qualità totale dell’impresa e all’impiego delle
tecnologie più evolute anche ai fini della sicurezza.
P.S.
Un testo
come quello del vostro Disegno di Legge non rischia di scontrarsi con le
attuali Direttive europee da recepire, con il rischio di nuove messe in mora?
M.S.
Assolutamente
no. Il modello di riferimento assunto è la regolazione vigente in Svezia, paese
dell’Unione.
P.S.
Uno degli
aspetti rilevanti del Disegno di Legge è la possibilità del supporto di medici
del lavoro o di altri professionisti esperti per verificare l’avvenuto
adempimento in azienda degli obblighi in materia di salute e sicurezza
rilasciando una apposita “certificazione” avente valore legale di presunzione
rispetto agli obblighi di legge. Per questa importante certificazione è
garantito un sufficiente grado di autonomia dei certificatori rispetto alle
aziende da certificare?
M.S.
I
certificatori appartengono a professioni ordinistiche o sono figure di
comprovata esperienza che dovranno registrarsi presso il Ministero del lavoro.
La loro terzietà è comunque sostenuta da un impianto sanzionatorio adeguato a
prevenire ogni comportamento doloso o anche gravemente colposo.
P.S.
Sicuramente
il tema della semplificazione e razionalizzazione della normativa in materia di
salute e sicurezza è correlato anche alle specificità della struttura
produttiva italiana che è fatta in gran parte di piccole e medie aziende e non
solo da grandi aziende ben strutturate organizzativamente. Il vostro Disegno di
Legge tiene conto delle differenti realtà aziendali?
M.S.
Sì, come
ho detto, è un criterio fondamentale. Basti pensare agli studi professionali
che sono spesso paragonabili ad abitazioni o sono addirittura
contemporaneamente “casa e bottega”.
P.S.
Quale
sarà l’iter del vostro Disegno di Legge? Quanto tempo passerà prima che sia
discusso in Commissione o in Senato?
M.S.
Premesso
che siamo prossimi alla conclusione della legislatura, il Disegno di Legge è
stato presentato con lo scopo di aprire una discussione tecnica, culturale,
politica sui modi con cui rendere ogni ambiente di lavoro più sicuro e
contestualmente liberare l’impresa dalla oppressione burocratica quando non
necessaria. Solo dopo un adeguato approfondimento di questa ipotesi di lavoro
sarà possibile, nella prossima legislatura, avviare l’iter legislativo.
P.S.
Infine ci
può raccontare la sua attuale esperienza di Presidente della 11ª Commissione
permanente su Lavoro e previdenza sociale? Sono spesso affrontati dalla
Commissione i temi relativi alla salute e sicurezza sul lavoro?
M.S.
La salute
e sicurezza sul lavoro è un parametro immanente nella legislazione lavoristica.
Basti pensare alle complessità che derivano dalla crescente diffusione del
lavoro agile. Non si tratta di un segmento del mercato del lavoro ma del
cambiamento diffuso di tutti i lavori con l’impiego delle nuove tecnologie
digitali e il progressivo ridimensionamento della postazione fissa e
dell’orario. Il Testo Unico riunisce la pesante regolazione che si è via via
sedimentata nel contesto della seconda rivoluzione industriale della quale ora
vengono meno i presupposti della grande fabbrica e della produzione seriale. La
mia esperienza mi induce a ritenere che dovremo sempre più ridimensionare la
fonte legislativa perché rigida in favore della più duttile normazione
secondaria, soprattutto tecnica, e della ancor più duttile contrattazione in
particolare nella dimensione aziendale. Tutto ciò anche in materia di salute e
sicurezza.
Il
Disegno di legge n. 2489 d’iniziativa dei Senatori Maurizio Sacconi, Serenella
Fucksia e Johann Karl Berger, “Disposizioni per il miglioramento sostanziale
della salute e sicurezza dei lavoratori” è scaricabile all’indirizzo:
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Da:
PuntoSicuro
24 marzo
2017
di
Tiziano Menduto
Un
intervento si sofferma sulla necessità dell’inserimento nel Codice Penale del
reato di vessazioni sul lavoro. Nell’attuale ordinamento giuridico italiano la
normativa atta a contrastare il mobbing è sufficiente e efficace?
La Corte
di Cassazione ha ormai elaborato da tempo il concetto di mobbing. Dalla
Sentenza n. 20230 del 25 settembre 2014 si può, ad esempio, ricavare una
definizione che fa riferimento a un eterogeneo fenomeno consistente in una
serie di atti e comportamenti vessatori protratti nel tempo, posti in essere
nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo in cui è
inserito o dal suo capo, caratterizzati di un intento di persecuzione ed
emarginazione finalizzato all’obbiettivo primario di escludere la vittima dal
gruppo. Una definizione che sostanzialmente conferma i precedenti sul punto del
giudice di legittimità.
E le
caratteristiche del mobbing sono poi state ribadite nella Sentenza n. 10037 del
15 maggio 2015 in cui la Corte di Cassazione ha ribadito che “l’onere della
prova grava integralmente sul lavoratore che denunci di essere stato vittima di
condotte vessatorie da parte del datore di lavoro. Onere probatorio duplice in
quanto il lavoratore parte offesa dovrà dare prova piena e rigorosa sia del
fatto che i comportamenti subiti abbiano natura illecita sia della
quantificazione del danno subito”.
E un’altra
sentenza della Sezione Lavoro della Cassazione (Sentenza n. 2920 del 15
febbraio 2016) indica che per poter “ricorrere alla tutela giudiziaria il
lavoratore deve dimostrare l’intento persecutorio che non deve assistere le
singole condotte poste in essere a suo danno ma deve ricomprenderle in un unico
disegno vessatorio”.
E sulla
quantificazione del pregiudizio subito a seguito di mobbing, è intervenuta la
Sezione I del Tribunale di Nocera Inferiore (Sentenza 7 maggio 2014) che ha
rilevato come il danno morale non scatta in “re ipsa” come danno evento ma è
comunque un danno-conseguenza che deve essere provato dal richiedente.
A
ricordare in questi termini alcuni aspetti giuridici del fenomeno del mobbing e
a formulare delle interessanti proposte è un intervento al convegno “Stress,
molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti preventivi, clinici e
normativo-giuridici. Le soluzioni possibili”, organizzato da AIBEL, ATS Milano
e SNOP, che si è tenuto a Milano il 7 giugno 2016.
In
“Necessità dell’inserimento nel codice penale del reato di vessazioni sul
lavoro”, a cura dell’avvocato Alessandro Rombolà (Sezione Pietro Mirabelli
Firenze di Medicina Democratica e Associazione Italiana Benessere e Lavoro), ci
si sofferma in particolare sull’opportunità che tutte le condotte illecite che
(forse con eccessiva semplificazione) sono comunemente conosciute come mobbing,
debbano o meno essere oggetto dell’attenzione del legislatore penale.
Da questo
punto di vista il relatore parte da una profonda convinzione.
Ritiene
infatti necessario un intervento legislativo che dia disciplina unitaria e
rigorosa completa a tale problema. Infatti sino ad oggi l’impressione degli
addetti ai lavori è che il mobbing sia un concetto elaborato dalla
giurisprudenza ma, colpevolmente, poco considerato dal legislatore.
Manca in
realtà una precisa definizione da parte del legislatore il quale prende in
considerazione e stigmatizza le condotte relative al mobbing (anche omissive
come spesso si verifica nel cosiddetto “mobbing orizzontale” dove il datore di
lavoro, per disinteresse o per un preciso intento escludente, evita di
intervenire per porre fine a comportamenti mobbizzanti posti in essere dai
colleghi di lavoro della vittima), ma poi non ne trae le dovute conseguenze sanzionatorie.
Lo stesso
D.Lgs. 81/08 prende in considerazione le patologie collegate allo stress
lavoro-correlato, ma senza dare indicazioni valide per la soluzione concreta di
tali problematiche. Ed è lecito chiedersi: nell’attuale ordinamento giuridico
italiano la normativa atta a contrastare il mobbing è da ritenersi sufficiente
e, soprattutto, efficace?
Secondo
il relatore la risposta non può essere che negativa.
Il
relatore motiva la sua convinzione anche soffermandosi sulle due strade
sostanziali e processuali per tutelare i lavoratori che siano stati vittima di
mobbing: quella giuslavoristica- previdenziale e quella penale. E rileva che
l’opinione prevalente della giurisprudenza è quella di vedere con sospetto e
talvolta con malcelato fastidio la tutela penale.
Rimandando
i nostri lettori alla lettura integrale dell’intervento, che riporta
integralmente alcuni utili riflessioni su questi aspetti, sottolineiamo che
secondo il relatore non è solo opportuno, ma anche necessario che il
legislatore affronti (nel quadro di una più complessa disciplina unitaria del
fenomeno) l’opportunità di introdurre nel nostro ordinamento il reato specifico
di mobbing.
La
carenza della legislazione sul punto comporta due conseguenze negative:
-
l’assoluta inadeguatezza nella doverosa repressione
dei fenomeni di mobbing;
-
l’assoluta incertezza sull’esito delle denunce penali
che troppo spesso dipende dalla sensibilità (ed anche conoscenza del fenomeno)
da parte dell’inquirente cui viene assegnata l’istruttoria penale.
E si
ricorda come in altri casi la soluzione di certe condotte gravemente illecite
(viene fatto l’esempio dello stalking) ha trovato valido ausilio soltanto con e
dopo l’introduzione nell’ordinamento penale di norme repressive ad hoc.
Ed allora
si deve (continua il relatore) uscire dall’ipocrisia: o si ritiene che il
mobbing sia un fatto gravissimo (come in effetti lo è) ed allora si mette mano
a provvedimenti efficaci per combatterlo; oppure si continua nell’incertezza
attuale con palliativi come quello di volere forzatamente includere il mobbing
in già esistenti figure di reato, con tutti i problemi che abbiamo visto in
precedenza.
Dopo aver
presentato alcune possibili critiche alla soluzione dell’introduzione del reato
specifico di mobbing (e alcuni dubbi sull’utilità di altre soluzioni come
l’istituzione di collegi arbitrali o di conciliazione oppure l’adozione da
parte delle aziende di codici etici o comportamentali), il relatore esamina poi
un altro aspetto che rende a suo parere auspicabile l’introduzione del reato di
mobbing e la conseguente tutela in ambito penale.
Si
ricorda quelli che, sul piano processuale civile, sono i principali ostacoli
alla tutela del lavoratore persona offesa:
-
la difficoltà di fornire prove esaustive della condotta
illecita di cui è rimasto vittima sul luogo di lavoro; sul punto, come
osservato in precedenza, la giurisprudenza della Cassazione è univoca e
costante: l’onere della piena prova necessaria per arrivare a una sentenza
favorevole, ricade interamente sul lavoratore: ciò comporta difficoltà spesso
insormontabili per arrivare ad una sentenza di condanna del mobber;
-
la mancata previsione delle malattie conseguenti ad
azioni mobbizzanti nelle tabelle INAIL, non essendo malattie tabellate, la prova
talvolta (anzi spesso) è pressoché impossibile;
-
la difficoltà di trovare magistrati e CTU
medico-legali con una competenza specifica su tali illeciti e patologie.
Invece in
sede penale, la questione cambia in quanto il Pubblico Ministero nell’esercizio
dell’azione penale, ha poteri ispettivi e inquisitori preclusi al
lavoratore-parte offesa. Ecco perché la repressione penale di queste condotte
illecite sarebbe infinitamente più efficace e quindi è auspicabile.
In
conclusione il relatore segnala che l’Associazione Italiana Benessere e Lavoro
(AIBeL) sta conducendo una lotta per l’introduzione del reato di condotte
vessatorie sul luogo di lavoro, anche attraverso la stesura di uno specifico
disegno di legge.
L’intervento
“Necessità dell’inserimento nel codice penale del reato di vessazioni sul
lavoro”, a cura dell’avvocato Alessandro Rombolà (Medicina Democratica -
Sportello Disagio Lavorativo Medicina Democratica - Associazione Italiana
Benessere e Lavoro), al Convegno “Stress, molestie lavorative e organizzazione
del lavoro: aspetti preventivi, clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni
possibili” è consultabile all’indirizzo:
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Da: PuntoSicuro
30 marzo
2017
di
Tiziano Menduto
Informazioni
sugli infortuni degli operatori impegnati in attività di attrezzaggio,
manutenzione e pulizia di macchine. La pulizia e l’attrezzaggio di una macchina
da stampa e di una pressa piegatrice. Gli infortuni, i fattori causali e la
prevenzione.
Dedichiamo
oggi una nuova puntata della rubrica “Imparare dagli errori” ai rischi relativi
ai lavori di manutenzione e pulizia delle macchine. E torniamo a parlare anche
di attrezzaggio, cioè dell’attività di predisposizione di una macchina utensile
a una determinata lavorazione, su cui ci siamo già soffermati con un recente
articolo della rubrica con riferimento all’attrezzaggio di presse e macchine
per stampaggio.
E ne
torniamo a parlare con particolare attenzione anche ai rischi nella pulizia
delle macchine e alla ricerca INAIL “Profili di rischio nei comparti produttivi
dell’artigianato, delle piccole e medie imprese e pubblici esercizi: Industrie
Meccaniche” che contiene il profilo di rischio relativo all’addetto
all’attrezzaggio e alla manutenzione ordinaria.
I casi
presentati sono tratti, come sempre, dalle schede di INFOR.MO., strumento per
l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di
sorveglianza degli infortuni mortali e gravi
Il primo
caso riguarda un infortunio in attività di pulizia di una macchina.
Un
lavoratore effettua l’asciugatura con carta assorbente dei rulli in movimento
di una macchina da stampa per scatole da imballaggio quando i rulli accoppiati
a rotazione contrapposta gli catturano il 1° ed il 2° dito della mano sinistra.
Subisce l’amputazione della falange ungueale del 2° dito e l’amputazione
dell’apice della falange ungueale del 1° dito. In seguito gli verrà amputato il
2° dito.
Il
lavoratore aveva avviato il gruppo di stampa agendo sui comandi di azionamento
automatico, quindi al fine di verificare il corretto allineamento dei rulli
contrapposti aveva mandato acqua su di essi per vedere se si spalmava bene su
tutto il rullo di stampa: riferisce che per fare ciò era necessario tenere in
movimento i rulli stessi.
Poiché il
30% non spalmava e di conseguenza gli stessi non si sarebbero inchiostrati
correttamente durante il lavoro, provvedeva alla loro asciugatura come
descritto, onde poter continuare le operazioni di regolazione e di verifica.
Dagli accertamenti effettuati sulla macchina è risultato che il gruppo di
stampa al quale operava, nella parte opposta a quella in cui si trovava l’operaio,
sono presenti due pulsanti a pedale dislocati lungo il fronte della macchina
per coprire tutta la larghezza della stessa, che azionati consentono una
rotazione lenta e controllata dei citati rulli. Si è inoltre accertato che da
questa posizione, sporgendosi verso quella occupata dal lavoratore al momento
dell’infortunio, è possibile la pulizia dei rulli. L’operaio ha però riferito
di non essere a conoscenza di altre modalità operative diverse da quella da lui
attuata e di non aver ricevuto formazione sui rischi specifici legati al
funzionamento della macchina, ribadendo che l’operazione da lui svolta era
usuale non potendosi svolgere altrimenti. La macchina con cui è avvenuto
l’infortunio era in fase di completamento e attrezzaggio per la produzione di scatole
di cartone.
Questo il
fattore causale dell’incidente rilevato dalla scheda:
-
il lavoratore eseguiva la pulizia dei rulli avendo
attivato la rotazione automatica dei rulli invece di quella ad azione
mantenuta.
Il
secondo caso riguarda un infortunio avvenuto durante la fase di pulizia di una
pressa.
Un
lavoratore, terminata una lavorazione sulla pressa piegatrice, richiede al
caporeparto l’attrezzaggio della stessa per l’esecuzione di una nuova
lavorazione. Quest’ultimo, visto l’operatore distante dalla pressa, inizia la
procedura di smontaggio degli stampi azionando la risalita della tavola
inferiore ed apprestandosi ad inserire il blocco della stessa a mezzo della
apposita leva, quando, nel momento in cui la tavola sale e quindi gli stampi si
accostano tra loro, l’infortunato nell’intento di pulire lo stampo con la mano
destra, a mezzo del guanto indossato, passa la mano destra stessa tra gli
stampi, rimanendo con le dita schiacciate tra gli stessi non essendo
intervenute le fotocellule dell’impianto. Alla richiesta di aiuto il
caporeparto rilascia il pedale liberando prontamente la mano dell’infortunato e
prestando il primo soccorso.
Questi i
fattori causali individuati:
-
pulizia dello stampo ad attrezzaggio iniziato;
-
mancato intervento delle fotocellule.
Il terzo
caso riguarda un infortunio avvenuto ad un lavoratore lavora presso
un’industria di componentistica per altoparlanti con mansione di conduttore di
macchine “centratrici”.
Il
lavoratore per eseguire l’attrezzaggio di una macchina ha disinserito gli
interruttori di posizione delle protezioni agendo su un interruttore a chiave.
Al termine dell’operazione avvia il ciclo continuo dimenticandosi di
disinserire la chiave e si pone in pausa colazione.
Terminata
la pausa si accorge che la qualità del prodotto non è soddisfacente, solleva un
riparo e si avvicina con la mano destra agli organi lavoratori in movimento,
convinto che la rimozione del riparo abbia provocato l’arresto del moto.
Poiché la
chiave è ancora inserita, la macchina non si è arrestata ed egli subisce
l’amputazione parziale del 2° dito della mano destra. L’infortunato non ha
fatto uso di una pinza per rimuovere il materiale difettoso, benché l’avesse in
dotazione. Si è rilevato che la macchina centratrice si poteva avviare a ciclo
continuo con le protezioni disinserite.
Questi i
fattori causali individuati:
-
attrezzaggio e controllo qualità senza l’uso della
pinza in dotazione;
-
macchina centratrice con possibilità d’avviamento a
ciclo continuo con protezioni disinserite.
Al di là
di quanto anticipato nelle schede di INFOR.MO. relativamente ai fattori causali
o alla carenza di formazione, riguardo alla prevenzione torniamo a prendere
spunto dalla scheda “S.P.R.3_Addetto all’attrezzaggio e manutenzione ordinaria”
relativa al documento “Profili di rischio nei comparti produttivi
dell’artigianato, delle piccole e medie imprese e pubblici esercizi: Industrie
Meccaniche”.
La scheda
contiene un profilo di rischio che riguarda l’attività del lavoratore
specializzato a svolgere tutte le operazioni necessarie a predisporre la
macchina per la produzione (cambio e sostituzione degli stampi) e loro
manutenzione ordinaria. Le operazioni vengono svolte con gli impianti fermi.
Innanzitutto
presentiamo i rischi di infortunio:
-
cadute al piano: pavimentazione sconnessa, superfici
scivolose; presenza di ingombri ed ostacoli; mancanza di visibilità per
illuminazione insufficiente;
-
cadute dall’alto:
-
caduta materiale: trasferimento e sollevamento dei
materiali ai reparti e interferenza fra le lavorazioni; attrezzaggio impianti e
macchine e manutenzioni;
-
investimenti o possibili incidenti tra mezzi in
movimento all’interno e all’esterno
-
contatto con organi in movimento
-
proiezioni di materiali
-
presenza di sostanze e materiali potenzialmente
comburenti, infiammabili, esplosivi o di macchine e attrezzature alimentate con
sostanze le stesse
-
contatto con apparecchiature elettriche difettose,
cavi, ecc.
Nella
scheda sono indicati anche i rischi fisici:
-
esposizione a livelli di rumore eccessivo prodotto
principalmente dalle attrezzature meccaniche, a cui si somma quello di fondo
dovuto a impianti in genere (prodotto da linee in produzione);
-
esposizione a vibrazioni sistema mano-braccio:
utilizzo di utensili di tipo percussorio (avvitatori, cesoie, ecc.); utilizzo
di utensili di tipo rotativo (levigatrici, smerigliatrici, ecc.);
-
esposizione a vibrazioni corpo intero: trasmesse dalle
attrezzature al suolo; attività svolta a bordo di sistemi di trasporto;
attività svolta a bordo di sistemi di movimentazione;
-
esposizione a radiazioni elettromagnetiche (CEM)
(prodotta da linee in produzione);
-
esposizione a radiazioni ottiche artificiali (prodotta
da linee in produzione);
-
microclima.
Questi
sono invece i rischi chimici:
-
esposizione a sostanze o preparati potenzialmente
pericolosi per la salute e/o per la sicurezza dell’operatore;
-
esposizione a polveri metalliche inalabili
potenzialmente pericolose;
-
esposizione a polveri inalabili e/o respirabili
provenienti dalle lavorazioni;
-
utilizzo di olii minerali;
-
esposizione a nebbie di olii lubrificanti/refrigeranti
generati dalle macchine operatrici e dai centri di lavoro durante il normale
funzionamento;
-
esposizione a prodotti della combustione (composti
volatili vari e ossido di carbonio) in seguito al riscaldamento del pezzo da
lavorare;
-
esposizione a fumi di saldatura (gas nocivi, metalli).
Sono
infine riportate anche indicazioni sui rischi biologici e sui vari fattori
ergonomici, psicosociali e organizzativi che possono influire sulla salute e
sicurezza dell’operatore (movimentazione manuale dei carichi, posture
incongrue, movimenti ripetitivi, stress lavoro-correlato, ecc.).
Il sito
web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 301,
2880 e 2883 è consultabile all’indirizzo:
Il documento “I profili di rischio nei comparti
produttivi dell’artigianato, delle piccole e medie industrie e pubblici
esercizi: Industrie meccaniche” redatto da INAIL luglio 2010 è scaricabile
all’indirizzo:
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