Marco Spezia
e-mail: sp-mail@libero.it
INDICE
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
IL SISTEMA DEGLI APPALTI TOGLIE DIRITTI A CHI LAVORA
QUANDO LA DIGNITÀ E’ PIU’ FORTE DELLA PAURA: LA LOTTA
DI 60 BRACCIANTI SIKH NELLE CAMPAGNE ROMANE
Medicina Democratica Onlus segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 3 MESI DEL 2017
Cassa di
Solidarietà tra Ferrovieri cassadisolidarieta@gmail.com
COMUNICATO FEBBRAIO 2017
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
ANCORA SUL LAVORO NELLE COOPERATIVE SOCIALI OGGI
Sindacato di Classe sindacatodiclasse@gmail.com
REPRESSIONE E LOTTE DEI FACCHINI DELLA LOGISTICA
Posta Resistenze posta@resistenze.org
GLI OPERAI INNSE MILANO CONTRO
I LICENZIAMENTI DI 4 LAVORATORI
Assemblea 29
giugno assemblea29giugno@gmail.com
RICCARDO ANTONINI: SUL MIO RICORSO IN CASSAZIONE
NEWSLETTER ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO MARZO
2017
To:
Sent:
Sunday, March 26, 2017 6:07 PM
Subject: IL
SISTEMA DEGLI APPALTI TOGLIE DIRITTI A CHI LAVORA
Ripubblichiamo questo
articolo che abbiamo scritto insieme a Marta Fana per Internazionale.
* * * * *
Attraverso le vertenze di
Almaviva Roma e GSE, che abbiamo sostenuto negli ultimi mesi, proviamo a
ricostruire un’analisi del meccanismo degli appalti e dei motivi per cui
vogliamo l’abolizione degli appalti e la reinternalizzazione di tutti i
lavoratori.
Nell’attesa del decreto governativo che forse
disinnescherà i due quesiti referendari promossi dalla CGIL, il mondo del
lavoro va avanti. Finora il dibattito politico e giornalistico si è concentrato
sui voucher, lasciando in sordina il complesso mondo degli appalti, pubblici e
privati.
Un settore che negli ultimi decenni ha assunto sempre
maggiore rilevanza soprattutto a causa del processo di terziarizzazione
dell’economia e le conseguenti esternalizzazioni di una parte consistente della
produzione.
Il risultato spesso è una zona franca in cui le
esigenze dei committenti di comprimere i costi e quelle degli appaltatori di
generare profitto sono state scaricate sull’organizzazione del lavoro, in
particolare sulle condizioni materiali dei lavoratori coinvolti, in balia del
ricatto occupazionale, dovuto ai frequenti cambi di appalto, e del tentativo di
appaltatori e subappaltatori di comprimere diritti e tutele.
LA VICENDA ALMAVIVA
Una vicenda esemplare sugli effetti drammatici a cui
possono portare i meccanismi di esternalizzazione e di appalto al massimo
ribasso è quella dei 1.666 licenziati del call center di Almaviva Roma.
Licenziati per aver detto no, a dicembre, attraverso le loro rappresentanze
sindacali unitarie, a un prolungamento di una trattativa sindacale che li
avrebbe verosimilmente portati a un accordo capestro come quello alla fine
accettato dai loro colleghi napoletani, che hanno mandato giù il boccone
amarissimo del taglio del costo del lavoro e del controllo a distanza. Proprio
quello contro cui, nei mesi precedenti, romani e napoletani uniti avevano
protestato con innumerevoli presidi e mobilitazioni.
La vicenda è l’effetto diretto della pressione
concorrenziale che si esercita su una filiera frantumata come quella dei call
center, in cui i diversi stabilimenti possono essere messi gli uni contro gli
altri, in cui il lavoro può essere delocalizzato in paesi dove è pagato la
metà, e da cui le committenze (spesso pubbliche) pretendono costi sempre più
contenuti.
Il paesaggio che ne viene fuori è quello di una lotta
per la sopravvivenza, che alimenta la concorrenza interna, l’arrivismo, le
illusioni di potersela cavare a danno dell’altro. Uno stato di cose su cui
spesso i sindacati non sono riusciti a intervenire e che in molti casi non
hanno contrastato.
Per capire fino in fondo il funzionamento di questo
sistema perverso, senza inoltrarci, in questa sede, in una dettagliata analisi
delle vicende di Almaviva, ossia del più grande call center d’Italia, ci viene
incontro una storia che ha dell’incredibile. E’ quella dei circa cento
lavoratori esternalizzati del call center che opera per conto della Gestione
Servizi Energetici (GSE), una società per azioni di proprietà al 100 per cento
del Ministero dell’economia e delle finanze.
Questa società, la GSE, ha tra i suoi obiettivi
principali la pubblicizzazione e l’elargizione degli incentivi per le energie
rinnovabili e, per avere contatti con l’utente, utilizza un call center in
appalto.
Va da sé che si tratta di un servizio essenziale per
l’azienda che altrimenti non saprebbe neanche a chi e come fornire gli
incentivi. L’appalto per la gestione del call center è stato concesso di volta
in volta ad aziende sempre diverse, prima la IRPE, poi la FullThecnology,
infine la Xenesys. I lavoratori sono rimasti però sempre gli stessi, così come
la sede in cui hanno operato per la maggior parte di questi anni, che era in
affitto alla GSE, che a sua volta la subaffittava agli appaltatori (già).
Risultato? Precarietà permanente per dei lavoratori
formalmente a tempo indeterminato ma sempre a rischio di perdere il posto a
ogni cambio appalto. Un ricatto costante che ha portato, tra le altre cose, al
sottoinquadramento di questa manodopera giovane, ma formata (quasi tutti
laureati) che si ritrova con un secondo livello metalmeccanico. I lavoratori
pur di mantenere il loro posto di lavoro hanno dovuto accettare condizioni
stabilmente penalizzanti.
Nel frattempo però le aziende appaltatrici vincitrici
di ingenti fondi pubblici concludevano un ottimo affare senza contribuire a
nulla, neppure alla formazione dei lavoratori, già più che formati e con
esperienza.
CAPORALATO TRA I COLLETTI BIANCHI
Una situazione che va avanti da quasi dieci anni e
contro la quale, un anno fa, i lavoratori, aiutati dalla FIOM hanno intrapreso
un’azione legale proprio per “interposizione illegale di manodopera”. Le tante parole
spese contro il caporalato delle nostre campagne sembrano cogliere le
somiglianze con quello che imperversa in tanti altri settori e a cui a volte
ricorrono le stesse istituzioni pubbliche.
Una situazione che sta per concludersi con un episodio
che oscilla tra la tragedia e la farsa. Perché dopo una serie proroghe,
sentenze del TAR e anche l’arresto di una delle figure apicali dell’azienda
prima aggiudicataria dell’ultimo bando emesso e che proprio per questo è stata
alla fine esclusa, l’appalto è finito proprio ad Almaviva Roma.
Sì: la stessa azienda che licenziava più di 1.600
lavoratori contemporaneamente otteneva la possibilità di assumerne un
centinaio, intascando soldi pubblici senza aggiungere quasi nulla, visto che si
tratta di manodopera già formata pronta a svolgere le mansioni direttamente
assegnate dal committente.
Vita facile per le aziende che gestiscono call center,
un po’ meno per i lavoratori coinvolti.
I lavoratori, di fronte a questo scempio, sostenuti
dalla FIOM, hanno deciso di mobilitarsi, “per spezzare”, come recita il
comunicato “questa catena di appalti, che porta solamente un maggior spreco di
denaro pubblico per l’Ente e un maggior ricavo per le società erogatrici del
servizio, che spesso guadagnano sul taglio del costo del lavoro, aumentando
quindi l’incertezza occupazionale dei lavoratori”.
La loro richiesta è semplice e chiara:
internalizzazione. La stanno portando avanti a forza di scioperi e
manifestazioni, come quella sotto al Ministero dello sviluppo economico del 28
febbraio, il giorno in cui intanto veniva firmato l’accordo del sito di Napoli
di Almaviva. Hanno trovato così anche gli ex lavoratori Almaviva di Roma a
sostenerli e a denunciare insieme a loro le scandalose manovre di un’azienda
che piange miseria fintanto che si tratta di imporre sacrifici ai suoi
dipendenti, fino a licenziarli, e intanto si procaccia commesse e appalti.
SPOSTAMENTO NEI RAPPORTI DI FORZA
Una storia sbagliata come tante che quotidianamente
vivono nel mondo degli appalti. Una testimonianza tra le altre del perché il
contenuto del referendum del 28 maggio (che deve essere ancora confermato)
rappresenta solo una parte delle questioni urgenti del mondo del lavoro.
Il sistema degli appalti è l’esemplificazione di ciò
che avviene nel mondo del lavoro, segnato da decenni di liberalizzazioni che
hanno causato uno spostamento nei rapporti di forza tra imprese e lavoratori, a
netto favore delle prime.
Effetti che tuttavia incidono in modo significativo
sull’intero sistema economico e sociale del paese: la terziarizzazione al
ribasso di ampi pezzi del settore pubblico (dagli asili nido ai sistemi
informatici, dall’accoglienza dei migranti ai call center) produce un effetto
negativo non solo sui lavoratori coinvolti ma anche sulla qualità e quantità
dei beni e servizi prodotti dallo stato e dalle sue diramazioni.
Dunque, la battaglia portata avanti dai lavoratori
della GSE è paradigmatica per restituire dignità al lavoro, ma anche
l’obiettivo proprio della funzione pubblica: mettere a disposizione dei cittadini
le infrastrutture materiali e immateriali necessarie al soddisfacimento dei
diritti di cittadinanza. Per questo, l’obiettivo politico non può che andare
oltre il quesito referendario e realizzarsi nel riportare dentro la sfera
pubblica questi servizi, eliminando il ricorso agli appalti.
Scritto da Marta Fana e Clash City Workers
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To:
Sent:
Sunday, March 26, 2017 6:07 PM
Subject: QUANDO
LA DIGNITÀ E’ PIU’ FORTE DELLA PAURA: LA LOTTA DI 60 BRACCIANTI SIKH NELLE
CAMPAGNE ROMANE
Questa è una piccola ma immensa storia di lotta. E’ la
storia di 60 lavoratori impiegati in un’azienda agricola della campagna romana,
nei pressi del litorale, che produce ortofrutta e aromi per i maggiori marchi
della grande distribuzione e discount, da Coop a Conad, ad Eurospin.
I braccianti che lavorano per quest’azienda sono quasi
tutti indiani Sikh provenienti dal Punjab, a eccezione di qualche italiano che
ricopre però mansioni di livello superiore. Anche la loro sarebbe, anzi lo è,
una tra le innumerevoli odiose storie di sfruttamento che percorrono le
campagne del nostro paese da nord a sud. Lavoratori che affollano la cosiddetta
“zona grigia” del mercato del lavoro, con l’esistenza di un contratto che però
è pura carta straccia, e che serve solo al padrone per tenersi al riparo da
eventuali controlli a sorpresa in azienda. Rispetto ai lavoratori, invece,
nessuno scrupolo a farsi beffa di quanto spetterebbe loro effettivamente in
base a quello stesso contratto sottoscritto anche dal padrone.
Accade così che questi lavoratori sono costretti a paghe da fame di 4 euro l’ora e a
giornate lavorative interminabili di 10
ore minimo al giorno, quando per contratto non dovrebbero lavorare più
di 6 ore e mezza al giorno e prendere una retribuzione di 8 euro l’ora circa.
Per non parlare delle condizioni lavorative: una sola pausa giornaliera di lavoro,
quella per il pranzo, di non più di mezz’ora circa e con l’obbligo di portarsi
da casa pasto ed acqua; un lavoro duro e insopportabile, esposti al freddo e
alle intemperie di inverno o alle temperature infuocate delle serre in estate;
sotto lo sguardo scrutatore e vigilante di un caporale autoritario e dispotico;
obbligati a comprarsi in azienda le attrezzature di cui necessitano per
lavorare, come ad esempio i guanti.
Come si fa a sopportare tutto questo?
Per paura! Semplice quanto odiosa, la paura di perdere
anche la più squallida miseria, piegati dal bisogno di portarsi a casa quel
minimo che ci può assicurare la sopravvivenza. E’ quella stessa paura che
abbiamo iniziato ad avvertire un po’ tutti e sempre più intensamente in questi
ultimi anni di crisi, trasformata da padroni e loro “tutori” istituzionali in un’occasione
per renderci sempre più docili e mansueti mentre a colpi di riforme ci stanno
spogliando anche dei più elementari diritti e tutele sul posto di lavoro.
Ma, evidentemente, c’è un sentimento ancora più forte
della paura. E’ quel sentimento che scatta quando si ha la sensazione di aver
toccato il fondo, quando si percepisce che quando è troppo è davvero troppo, quando non c’è più nulla da
cedere, quando non è rimasta che la propria dignità da barattare e quella no,
non si tocca! E’ quel sentimento di
rabbia e di voglia di riscatto che leggi negli occhi dei tuoi colleghi e che ti
fa salire un coraggio di cui non sapevi di essere capace, anche quando
in ballo c’è davvero tanto, non solo il posto di lavoro, ma insieme a questo,
come succede a molti immigrati in questo paese, la possibilità di rinnovare il
proprio permesso di soggiorno e quindi vedersi negati quel minimo di diritti
che ti permette di percepirti ancora come un essere umano. È per questo che la
piccola storia che riguarda questi braccianti sikh della campagna romana è in
realtà immensa. Perché, nonostante le condizioni di profonda precarietà in cui
si trovano a lavorare e a vivere, insieme hanno trovato il coraggio di lottare uniti e compatti per migliorare le
proprie condizioni di lavoro.
Si sono auto-organizzati e sono entrati in sciopero,
richiedendo l’allontanamento del caporale, la fornitura delle attrezzature a
spese dell’azienda, un aumento della paga oraria e un’ulteriore pausa dal
lavoro di 10 minuti la mattina per fare colazione.
Il padrone è stato costretto a recarsi in azienda, che
da tempo immemorabile ormai gestiva a distanza tramite l’intermediario scelto,
e a negoziare con i lavoratori. Ha provato a fare la voce grossa, a non cedere,
a ricattarli, dicendo loro che potevano anche andarsene, tanto ne avrebbe
trovati chissà quanti di indiani disposti a sostituirli alle medesime
condizioni.
Il tempo di metabolizzare il colpo e riorganizzarsi e
il giorno dopo è ancora lotta: i braccianti Sikh si recano sul posto di lavoro,
iniziano la loro giornata lavorativa ma si fermano dopo 5 ore di lavoro e tutti
insieme escono dall’azienda, e al padrone, costretto nuovamente a recarsi sul
posto, gridano: “sarà così tutti i giorni finché non ci riconoscerai quello che
chiediamo!”.
E così vincono! I 60
lavoratori Sikh hanno vinto: hanno ottenuto dall’azienda la fornitura di
attrezzature a suo carico; hanno costretto il datore di lavoro ad allontanare
il caporale autoritario che li aveva gestiti sino ad allora, anche se poi
sostituito da un altro, ma meno dispotico e odioso; hanno ottenuto un ulteriore
pausa dal lavoro di 10 minuti la mattina e un aumento di 50 centesimi della
paga oraria. Forse sembrerà poco, ma
non lo è.
Quello che sono riusciti a
costruire questi lavoratori è straordinario, hanno percepito la loro
forza e l’hanno messa in pratica, e potranno farlo altre 100, 1.000 volte.
Ci hanno insegnato che non può essere la paura, che i
padroni e i politici, loro amici, tentano di diffondere tra noi, a gestire le
nostre vite.
Abbiamo qualcosa di più prezioso che ci costringe a
lottare: la nostra vita, che dobbiamo poter vivere con dignità!
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To:
Sent:
Friday, March 31, 2017 12:43 PM
Subject:
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
LA SALUTE DISEGUALE: LA SFIDA DI UN MONDO INGIUSTO
Per tutelare la salute di
una popolazione non basta mettere all’opera bravi medici, capaci di fare bene
una diagnosi nel singolo paziente e di applicare i trattamenti più efficaci.
Serve anche riconoscere il ruolo che comportamenti individuali, condizioni di
vita e di lavoro, disuguaglianze interne alla società, hanno sulla salute degli
individui.
Non c’è sorpresa allora
se le società più giuste hanno anche migliori livelli di salute. Come spiega
Michael Marmot, docente di Epidemiologia e Sanità Pubblica all’University
College di Londra, la salute e l’uguaglianza nei livelli di salute, non sono
solo valori in sé. Ci dicono qualcosa della qualità complessiva della società
in cui viviamo.
Leggi tutto al link:
VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE: SE NON E’ PARTECIPATA CHE VALUTAZIONE E’?
La procedura di Valutazione di Impatto Ambientale,
preliminare sulle autorizzazioni di opere e progetti, come definita dalle
direttive europee, da 30 anni a questa parte costituisce una importante tutela
ambientale, non tanto sotto il contenuto tecnico (obbligo di esame dei diversi
impatti correlabili con un’opera) ma in quanto si caratterizza (si dovrebbe
caratterizzare) dalla promozione della partecipazione popolare.
E’ da questa partecipazione (peraltro finora quasi
esclusivamente limitata alla possibilità di presentare osservazioni) che
possono emergere tutte le criticità, ambientali ma anche sociali, connesse ad
un progetto (criticità spesso negate o occultate negli studi di impatto
ambientale finanziati dai committenti l’opera) e può davvero (se utilizzata
fino in fondo) costringere a prendere in considerazione anche le alternative
del progetto inclusa l’opzione zero (la non realizzazione dell’opera).
Leggi tutto al link:
* * * * *
Forum di discussione per
contattarci discutere e proporre argomenti:
Aiuta Medicina Democratica Onlus devolvendo il tuo 5
per mille firmando nella tua dichiarazione dei redditi nel settore volontariato
e indicando il codice fiscale 97349700159
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To:
Sent:
Saturday, April 01, 2017 9:13 AM
Subject: REPORT
MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 3 MESI DEL 2017
OSSERVATORIO INDIPENDENTE DI BOLOGNA MORTI SUL LAVORO.
REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI TRE MESI DEL 2017
Sono 138 sui luoghi di lavoro (oltre 280 con i morti
sulle strade e in itinere se vengono conteggiati come fanno nelle statistiche
ufficiali). L’aumento sui luoghi di lavoro è dell’1,5% (due morti in più
rispetto al 31 marzo del 2016), ma rispetto al 31 marzo del 2008 l’aumento è
del 5,8%. Altro che cali favolosi ogni anno se si prendono in considerazione
tutti i morti sui luoghi di lavoro e non solo gli assicurati INAIL.
Sono i morti schiacciati dal trattore la vera
emergenza delle morti sul lavoro. Sono già 19 dall’inizio dell’anno e la bella
stagione è appena cominciata. Le cadute dall’alto in edilizia sono la seconda
emergenza su questo fronte. Ma tutto tace. Basterebbe poco a salvare tantissime
vite, se solo ci fosse la volontà politica di farlo, ma la vita di chi lavora
non è nella priorità di questo governo come di quello che l’ha preceduto.
Purtroppo decine di milioni di lavoratori non hanno nessuna rappresentanza
diretta in parlamento e fino a quando ci sarà questa anomalia le cose non
miglioreranno di certo.
Morti nelle Regioni e Province italiane nel 2017 per
ordine decrescente, sono esclusi dalle province i morti sulle autostrade e
all’estero:
-
Abruzzo 17: L’Aquila (5),
Chieti (0), Pescara (12), Teramo (1);
-
Veneto 17: Venezia (3),
Belluno (0), Padova (1), Rovigo (4), Treviso
(1), Verona (4), Vicenza (4);
-
Campania 11: Napoli (5),
Avellino (0), Benevento (1), Caserta (1), Salerno (4);
-
Lombardia 10: Milano (3),
Bergamo (1), Brescia (1), Como (0), Cremona (0), Lecco (2), Lodi (1), Mantova
(0), Monza Brianza (0), Pavia (1), Sondrio (1), Varese (0);
-
Sicilia 11: Palermo (2),
Agrigento (1), Caltanissetta (0), Catania (0), Enna (0), Messina (0), Ragusa
(3), Siracusa (1), Trapani (4);
-
Toscana 8: Firenze (1),
Arezzo (0), Grosseto (1), Livorno (3), Lucca (1), Massa Carrara (0), Pisa (1), Pistoia (1), Siena (0), Prato (0);
-
Piemonte 6: Torino (2),
Alessandria (0), Asti (0), Biella (1), Cuneo (2), Novara (0), Verbano Cusio
Ossola (0), Vercelli (1);
-
Calabria 6: Catanzaro (2),
Cosenza (3), Crotone (1), Reggio Calabria (0), Vibo Valentia (0);
-
Lazio 5: Roma (2), Viterbo
(0), Frosinone (0), Latina (3), Rieti (0);
-
Emilia Romagna 4: Bologna
(1), Forlì Cesena (0), Ferrara (0), Modena (0), Parma (2), Piacenza (1),
Ravenna (0), Reggio Emilia (0), Rimini (0);
-
Umbria 4: Perugia (2), Terni
(2);
-
Liguria 4: Genova (1),
Imperia (1), La Spezia (0), Savona (2);
-
Puglia 3: Bari (2), Barletta
Andria Trani (0), Brindisi (1), Foggia (0), Lecce (0), Taranto (0);
-
Marche 2: Ancona (0),
Macerata (0), Fermo (0), Pesaro Urbino (2), Ascoli Piceno (0);
-
Sardegna 2: Cagliari (0),
Carbonia Iglesias (0), Medio Campidano (0), Nuoro (0), Ogliastra (0), Olbia
Tempio (0), Oristano (1), Sassari (1), Sulcis Inglesiente (0);
-
Friuli Venezia Giulia 2:
Trieste (1), Gorizia (1), Pordenone (0), Udine (0);
-
Basilicata 1: Potenza
(1), Matera (0);
-
Molise 1: Campobasso (0),
Isernia (1);
-
Trentino Alto Adige 0;
-
Valle d’Aosta 0.
I morti sulle autostrade e all’estero non sono a
carico delle province
REPORT MORTI SUL LAVORO NELL’INTERO 2016
Nel 2016 sono morti 641 lavoratori sui luoghi di
lavoro e oltre 1.400 se si considerano i morti sulle strade e in itinere: stima
minima per l’impossibilità di conteggiare i morti sulle strade delle partite
IVA individuali e dei morti in nero e di altre innumerevoli posizioni
lavorative, ricordando che solo una parte degli oltre 6 milioni di partite IVA
individuali sono assicurate all’INAIL. L’unico parametro valido per confrontare
i dati dell’INAIL e di chi li utilizza per fare analisi, e dell’Osservatorio
Indipendente di Bologna morti sul lavoro sono i morti per infortuni INAIL senza
mezzo di trasporto, e confrontare quanti ne registra in più l’Osservatorio. Si
ha così il numero reale delle morti per infortuni sui luoghi di lavoro in
Italia e non solo degli assicurati INAIL.
Lieve calo del 3,9% delle morti sui luoghi di lavoro
rispetto allo spaventoso 2015, ma un aumento dello 0,7% rispetto al 2008 anno
d’apertura dell’Osservatorio Indipendente di Bologna. Come potete vedere altro
che favolosi cali ogni anno, e nonostante un enorme spreco di euro spesi per la
Sicurezza senza vedere risultati concreti se si prendono in considerazione
tutte le morti sul lavoro e non solo gli assicurati INAIL.
Come tutti gli anni è l’agricoltura a pagare un prezzo
elevatissimo di sangue con il 31% di tutte le morti per infortuni sui luoghi di
lavoro. E delle morti in questo settore ben il 65% sono provocate dal trattore.
Una vergogna che nessuno se ne occupi, se pensate che un morto su cinque di
tutte le morti sui luoghi di lavoro, di tutte le categorie messe insieme sono
provocate da questo mezzo. Sono anni che chiediamo ai Ministri che si
susseguono di occuparsene. Ma niente, sono morti sul lavoro che non esistono e
spariscono dalle statistiche. La seconda categoria con più morti sui luoghi di
lavoro è l’edilizia con il 19,6%. La cadute dall’alto è il maggior fattore di
rischio. E’ l’autotrasporto con il 9,3% dei morti la terza categoria con più
vittime. In questo comparto sono inseriti i morti di diverse categorie. Seguono
l’industria, esclusa l’edilizia, comprese le imprese più piccole, che ha
complessivamente l’8,2% delle morti. Poi gli artigiani di tantissime categorie
muoiono numerosissimi, soprattutto nelle imprese appaltatrici, la strage
riguarda anche un numero impressionante di partite IVA che non sono inserite
tra le morti sul lavoro nelle statistiche dell’INAIL. E questo perché questo
Istituto dello Stato monitora solo i propri assicurati (lo scrivo per la
milionesima volta, ma tanto non serve a niente). A questo Istituto arrivano
moltissime denunce per infortuni, anche mortali, che poi non vengono
riconosciute come tali proprio per non avere questa assicurazione. non sono
assicurati all’INAIL, quindi non esistono. Poi anche per le morti in itinere
spesso non vengono riconosciute per una normativa specifica, che la maggioranza
di chi lavora non conosce.
Gli stranieri morti sui luoghi di lavoro sono l’8,2%,
un calo dell’1,6% rispetto al 2015, segno che anche più italiani svolgono
lavori pericolosi e con meno sicurezza pur di avere un lavoro. Impressionante
sapere che il 27,7% dei morti sul lavoro ha più di 61 anni. Angosciante vedere
che tantissimi giovani non trovano lavoro, che svolgono anziani che non hanno
più la salute e i riflessi pronti per fare lavori pericolosi. Questo la dice
lunga anche sui motivi dell’enorme disoccupazione giovanile; si trattengono gli
anziani e si fanno morire lavorando, mentre i giovani sono costretti alla
disoccupazione o a emigrare.
E’ la Campania la regione con più morti sui luoghi di
lavoro sempre se non si fanno giochini di prestigio e si inseriscono tutti i
morti sul lavoro. Seguono la mia regione, L’Emilia Romagna che nel 2016
raddoppia i morti sui luoghi di lavoro, poi il Veneto. Quinta la Lombardia che
ha un decremento importante del 27%. Occorre anche ricordare che, a nostro
parere, la Lombardia è tra le grandi regioni, da quando abbiamo aperto
l’Osservatorio, che ha l’andamento migliore, sempre se si considerano tutte le
morti sul lavoro. Ha il doppio degli abitanti di qualsiasi altra regione e
l’indice occupazionale non ha nessun valore statistico sugli infortuni, anche
mortali, visto che in tantissimi dei morti per infortuni non sono assicurati
all’INAIL, le statistiche vengono fatte solo tenendo in considerazione gli
assicurati a questo Istituto. E’ la provincia di Napoli quella con più morti
sui luoghi di lavoro, compresi 3 pescatori morti in mare, la seconda in questa
triste classifica è la provincia di Vicenza con 20 morti, segue Brescia con 18
morti, a seguire qui sotto ci sono le morti sui luoghi di lavoro di tutte le
province italiane.
LE MORTI VERDI
Strage continua, non passa giorno senza apprendere
della morti di un agricoltore schiacciato dal trattore, sono già 19 dall’inizio
dell’anno. Il Ministro delle Politiche agricole Martina batta finalmente un
colpo su queste tragedie. Da quando è Ministro sono morti schiacciati da questo
mezzo oltre 430 agricoltori. Un morto su cinque sui luoghi di lavoro di tutte
le categorie è causato da dal ribaltamento del trattore. Occorre che qualcuno
che ci governa faccia una campagna informativa sulla pericolosità del mezzo. E
chi di dovere dia forti incentivi per mettere in sicurezza i vecchi trattori.
I CAPANNONI INDUSTRIALI A RISCHIO SISMICO
Molte delle vittime del terremoto in Emilia erano
lavoratori rimasti schiacciati per il crollo dei capannoni. Lo stesso terremoto
che ha colpito l’Umbria e le Marche ha evidenziato che i capannoni industriali
in Italia sono per la maggior parte a rischi sismico. E’ un miracolo che non ci
siano stati morti nella cartiera a Pioraco di Macerata. Il tetto è crollato nel
cambio turno, nella fabbrica stavano lavorando solo 20 persone che sono riuscite
a scappare.
L’intero tetto della sala macchine è crollato. In
questa fabbrica ci lavorano complessivamente 146 lavoratori e se fossero stati
tutti all’interno ci sarebbe stata una strage. E’ un miracolo, come nel
terremoto in Emilia che pur provocando vittime tra i lavoratori è capitato di
notte e in orari dove sotto e fabbriche ci lavoravano pochissime persone. La
maggioranza dei capannoni industriali in Italia sono costruiti in anni dove non
si teneva in nessun conto il rischio sismico. Se non si comincia a farli
mettere in sicurezza è a rischio la vita di chi ci lavora sotto, e parliamo di
milioni di lavoratori. Del resto con incentivi e detassazioni si potrebbero
mettere tutti in sicurezza con una spesa non eccessivamente alta.
L’OSSERVATORIO INDIPENDENTE
DI BOLOGNA È SU FACEBOOK
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fallo conoscere ai tuoi amici. Segnala, sulla tua pagina di Facebook,
l’Osservatorio Indipendente di Bologna:
Grazie amici di Facebook che
a centinaia visitate questo sito ogni giorno!
Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio
Indipendente d Bologna morti sul lavoro, attivo dal 1° gennaio 2008
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To:
Sent:
Saturday, April 01, 2017 12:35 PM
Subject:
COMUNICATO FEBBRAIO 2017
CASSA DI SOLIDARIETA’ TRA
FERROVIERI
COMUNICATO FEBBRAIO 2017
Cari
colleghi, care colleghe, la Cassa di Solidarietà tra Ferrovieri è attiva da 10
anni!
In
tutto questo tempo siamo cresciuti, oltre ai ferrovieri anche altri lavoratori
e cittadini hanno sostenuto la nostra Cassa, oggi più viva che mai, oggi ancora
di più crediamo che sia uno strumento indispensabile per i lavoratori che
difendono diritti e sicurezza e resistono.
Abbiamo
supportato la battaglia di Riccardo
Antonini, (Riccardo è in attesa di conoscere l’esito del ricorso contro
il licenziamento presentato in Cassazione il 18 gennaio), abbiamo contribuito
alle spese legali dei colleghi RLS che
si sono costituiti parte civile al
processo per la strage di Viareggio del 29 giugno 2009.
La
sentenza di primo grado è stata emessa il 31 gennaio scorso, con la condanna di
23 imputati; tra questi l’ex Amministratore Delegato Mauro Moretti, al quale
sono stati inflitti 7 anni (ed è di pochi giorni fa la notizia che lo stesso
non è stato confermato alla guida di Leonardo-Finmeccanica) e Giulio Margarita,
attualmente dirigente apicale dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza
Ferroviaria. Pensiamo che questo pronunciamento, che riconosce gravi omissioni
e lacune relative alla sicurezza, sia stato “strappato” da familiari, cittadini
e ferrovieri che per 7 anni e mezzo non hanno smesso di lottare. A fronte di
ciò, dovrebbero essere, a maggior ragione, immediatamente reintegrati i nostri
colleghi licenziati per aver difeso la sicurezza.
Intanto
Sandro Giuliani, Capotreno di Roma, ancora sta aspettando che sia fissata
l’udienza di Cassazione contro il suo licenziamento, mentre il nostro collega
Bruno Bellomonte, capostazione di Sassari, continua a essere perseguitato da
RFI e dalla “giustizia” (Bruno ci ricorda che “chi lotta non perde mai”).
Contro la sentenza di appello che confermava il reintegro del nostro collega
macchinista Silvio Lorenzoni, Trenitalia ha presentato ricorso in Cassazione.
Chiediamo
a tutti di continuare ad aiutarci a sviluppare la Cassa, di rinnovare le
iscrizioni, di iscriversi e far iscrivere, e vi invitiamo a consultare il sito
(che abbiamo rinnovato) al solito indirizzo: http://www.casofs.org.
CONTRIBUTI EROGATI DA CASSA DI SOLIDARIETA’ TRA
FERROVIERI – ANNO 2016
Febbraio: contributo per avvocati
RLS, parte civile processo Strage Viareggio: 500 €
Luglio: Spese per RLS processo
Sassari (morte macchinista Solinas): 500 €
Luglio: contributo spese legali
macchinista Falcone: 500 €
Luglio: contributo una-tantum
per capotreno licenziato Stigliano: 500 €
Settembre: saldo spese appello
avvocato Sandro Giuliani: 805 €
Ottobre: contributo per avvocati
RLS parte civile processo Viareggio: 1.000 €
Attualmente
sul Conto Corrente della Cassa ci sono € 10.738.
“La solidarietà è il primo passo verso la libertà!”
Marzo 2017 Il Direttivo della Cassa di Solidarietà tra
Ferrovieri
Conto
Corrente postale n.71092852 intestato a Crociati Marco
Sede:
via dell’Acqua Acetosa 2/a 00043 Ciampino (RM)
e-mail:
cassadisolidarieta@gmail.com
internet:
http://www.casofs.org
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To:
Sent:
Saturday, April 01, 2017 5:22 PM
Subject: ANCORA
SUL LAVORO NELLE COOPERATIVE SOCIALI OGGI
LAVORATORI E CITTADINI NELLA MORSA DELLE
ESTERNALIZZAZIONI E DEI TAGLI AI FONDI PER LA SPESA SOCIALE
Dopo il primo articolo, in cui ci soffermavamo
sull’inchiesta Mafia Capitale e sulla sua valenza esemplificatrice di un tipo
di cooperazione che è tale solo di nome, entriamo nel merito delle condizioni
in cui si trovano ad operare i lavoratori delle cooperative sociali.
Secondo i dati dell’Euricse del 2015, in Italia le cooperative sociali sono 13.000 e impiegano
quasi 300.000 lavoratori e oltre 34.000 volontari, per un fatturato pari all’1%
del PIL nazionale. Possono svolgere attività finalizzate all’offerta di servizi
socio-sanitari ed educativi (cooperative di tipo A, le più diffuse), in appalto esternalizzato dagli Enti
Locali e dagli Enti della sanità pubblica, o possono essere cooperative sociali
di tipo B, ovvero impegnate nell’inserimento
lavorativo di persone svantaggiate, come i disabili fisici e mentali, gli
ex-carcerati, gli ex-tossicodipendenti, e altro, anch’esse soprattutto su bandi
e appalti delle pubbliche amministrazioni.
Le cooperative sociali si diffusero in Italia verso la
fine degli anni ‘70 grazie anche alla grande spinta motivazionale che si
produsse all’interno dei grandi movimenti politici e sociali di quei decenni, e
coinvolse migliaia di persone che si investirono in prima persona per costruire
percorsi di liberazione dallo sfruttamento capitalistico attraverso il lavoro
sociale e fornendo, grazie alle proprie competenze, servizi terapeutici e di
assistenza diversi da quelli che fino a quel momento erano stati erogati (o non
erogati) dallo Stato. Erano gli anni della Legge 180, migliaia di persone
vennero liberate per legge dal circuito totalizzante dei manicomi e le
cooperative sociali si posero l’obiettivo di reinserirle nel tessuto sociale.
La spinta motivazionale di cui parliamo fu ben presto
strumentalizzata dallo Stato e usata a proprio uso e consumo e a beneficio del
progetto più complessivo volto a smantellare
lo stato sociale e a riscrivere la storia dei servizi alla persona che
poi negli anni ha portato alle
esternalizzazioni e alle privatizzazioni con il ricorso degli appalti
per rinnovare i bandi. Appalti che
spesso non tengono in conto né i diritti dei lavoratori, né la qualità dei
servizi, con le solite logiche dell’abbattimento dei costi della mano d’opera
sempre in agguato. A vincere sono generalmente vere e proprie aziende che
mantengono la denominazione sociale unicamente per godere di ciò che resta
dell’impianto che regola il terzo settore nel rapporto fiscale e giuridico con
gli enti locali.
Siamo giunti al paradosso attuale che vede migliaia di lavoratori impegnati nel
contrasto alle povertà stritolati nella morsa della povertà potenziale
di cui i dati ISTAT iniziano a delineare contorni allarmanti. Stiamo parlando
di paghe orarie (quando ci troviamo di fronte a cooperative sociali che applicano
integralmente il Contratto Nazionale di Categoria) che possono variare dai 5,80
agli 8,00 euro l’ora netti a fronte di 4 oppure 8 ore di lavoro giornaliero e
redditi annui che non superano i 13.000 euro. Nello stesso tempo però le
cooperative che assumono questi lavoratori, fanno leva sulla mission valoriale che sta alla base
del lavoro sociale. Il ricatto sul
piano morale è becero: non si possono avanzare richieste economiche altrimenti
oltre a perdere il lavoro, si metterebbero a rischio le vite delle persone di
cui ci si occupa.
Nel corso degli anni, le Cooperative Sociali hanno
allargato il loro raggio di azione fino a essere accreditate anche per poter
partecipare alle gare di appalto negli ospedali, sia pubblici che privati. In
queste circostanze, i lavoratori nel corso degli anni hanno dovuto acquisire il
titolo di Operatori Socio Sanitari (OSS), nella migliore delle ipotesi
partecipando a corsi di formazione organizzati dalle proprie cooperative a
costi contenuti e nella peggiore a corsi organizzati da enti accreditati dalla
Regione a costi che vanno dai 3.000 ai 3.500 euro.
Insomma, siamo in presenza di un sistema dove oltre
alla precarietà del posto di lavoro e al continuo ricatto del datore si
aggiunge la miseria di stipendi che nel migliore dei casi raggiungono i 1.000
euro mensili. A titolo d’esempio, si veda il servizio di Michele Buono e Pietro
Ricciardi andato in onda su Report
RAI 3 domenica 18 ottobre 2009 dove emerge che il costo totale (lo stipendio lordo) dei lavoratori di una cooperativa
sociale che fornisce servizi sanitari a un rinomato ospedale romano è più alto
di quello dei lavoratori internalizzati, ma, sorprendentemente, sia lo
stipendio netto che i contributi percepiti sono più bassi.
Inoltre, siamo di fronte alla più generale tragedia di
senso maggiore, con lo stato che nel corso dei ultimi anni a prescindere dal
Governo che si è ritrovato a gestire il mandato degli elettori ha inferto
pesanti sforbiciate al settore. Quest’anno, i tagli del governo al Fondo Nazionale per le Politiche Sociali
sono stati di 212 milioni (da 313 a 99 milioni), arrivando vicino al minimo
storico, e di 50 milioni al Fondo per
le Non Autosufficienze (da 500 a 450). Va da sé che se il Governo,
nell’ottica della riduzione della spesa pubblica impostagli dall’UE, va a
tagliare sulle spese sociali e sulla cura delle persone, verremo di qui a breve
a trovarci in una situazione di estrema difficoltà. E’ questo il momento di
unire le voci e iniziare a rivendicare politiche sociali e del lavoro conformi
all’idea di un paese civile e fuori dalla logica della crisi permanente e delle
emergenze continue che minano alla radice la qualità dei servizi e il rispetto
dei cittadini.
Sui prossimi numeri proporremo delle interviste
realizzate nei mesi scorsi a diversi lavoratori del sociale che ci hanno
raccontato le loro esperienze da Milano a Napoli, che hanno tra loro una serie
di analogie che ci offrono la possibilità di comprendere il quadro generale al
fine di poter iniziare a delineare collettivamente una piattaforma di richieste
possibili che abbiano come obiettivo quello di migliorare le nostre condizioni
generali in un contesto dove si riescano a conciliare i diritti e le tutele del
lavoratore con la qualità del servizio.
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To:
Sent:
Monday, April 03, 2017 11:36 PM
Subject:
REPRESSIONE E LOTTE DEI FACCHINI DELLA LOGISTICA
A TUTTI I
SINDACATI DI BASE
A TUTTE LE FORZE
SOLIDALI CON LA LOTTA DEI LAVORATORI DELLA LOGISTICA
La repressione dei padroni delle
cooperative della logistica, fatta di attacchi pesanti, di aggressioni ai
presidi di lotta, con l’uso di squadrismo di capi, padroncini, manovalanza
servile, fino all’uccisione mesi fa di un operaio egiziano, fatta di
licenziamenti, di denunce, provocazioni, contro le necessarie e giuste lotte
dei lavoratori della logistica contro il moderno schiavismo, sta diventando
endemica, sempre più pesante, con Polizia, Prefettura, istituzioni che o
contribuiscono alla repressione o col loro silenzio sono comunque
complici.
Questa repressione ora punta ad attaccare
direttamente l’organizzazione di base, di classe dei lavoratori, perché senza
sindacato di classe i lavoratori possano essere meglio supersfruttati, non
riconosciuti i loro diritti fondamentali, divisi.
Questo è il significato principale
dell’ultimo pesantissimo atto repressivo.
11 lavoratori, tra cui 4 delegati dello
Slai Cobas per il Sindacato di Classe dei magazzini Kamila di Brignano (BG)
sono stati licenziati e tutto fa pensare che sono in arrivo altri
licenziamenti.
Gli operai di Brignano hanno ripreso da
mesi la lotta; il loro esempio, il loro coraggio, determinazione a non farsi
piegare sono diventati anche un esempio e altre realtà di operai della zona si
organizzano e scendono in lotta; la loro lotta ha costretto ASL, DTL a fare
accertamenti sulla sicurezza, sull’attacco alla salute, sulla violazione
permanente di diritti contrattuali e legislativi.
E’ tutto questo ora, con questi 11
licenziamenti, che si vuole fermare; tutto questo (insieme alle migliaia di
iniziative, manifestazioni nella zona, denunce pubbliche, controinformazione
nei supermercati, in cui dietro le merci c’è sudore, fatica, attacco alla
salute, neo schiavismo) colpisce al cuore i padroni delle cooperative ed è una
“spina nel fianco” non “domabile”.
Per questo ora si punta tagliare la
“testa” di questa lotta, attaccare direttamente la sua organizzazione
sindacale.
Questo attacco repressivo riguarda tutti,
tutti i sindacati di base, tutte le organizzazioni costruite direttamente dai
lavoratori. Siamo ad un fascismo padronal/statale che utilizza anche il ricatto
dello status di immigrati dei lavoratori della logistica, per ricattarli,
piegarli, dividerli.
ED E’ PROPRIO LA DIVISIONE CHE DOBBIAMO
IMPEDIRE!
La realtà dei lavoratori della logistica
così vasta, così importante, così centrale oggi nella lotta di classe, non si
può pensare di affrontarla ogni realtà per proprio conto.
Ci sono momenti, come questi, in cui la
migliore risposta è l’unità di tutte le forze del sindacalismo di base, di
classe; questo mette in difficoltà padroni e Istituzioni e incoraggia e fa
sentire più forti gli operai.
I lavoratori della logistica dello Slai
Cobas per il Sindacato di Classe sono stati sempre presenti in passato nei
momenti in cui altri lavoratori, altri sindacati di base venivano attaccati,
perché come hanno sempre detto i lavoratori di Bergamo: Se colpiscono uno,
colpiscono tutti!
Chiediamo che ogni realtà dei lavoratori,
ogni organizzazione sindacale veda come proprio questo pesante attacco che sta
avvenendo verso i lavoratori di Kamila, non li lascino soli, e si risponda
tutti insieme!
Lo stesso chiediamo a tutte le realtà
sociali, il cui sostegno alla lotta è sempre importante.
Slai Cobas per
il Sindacato di Classe Coordinamento Nazionale
telefoni: 09 94
79 20 86 – 347 53 01 704
Slai Cobas per
il Sindacato di Classe Bergamo
telefoni: 335 52
44 902 – 340 72 26 074
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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, April 06, 2017 7:54 AM
Subject: GLI
OPERAI INNSE MILANO CONTRO I LICENZIAMENTI DI 4 LAVORATORI
Il 23 marzo al presidio dei lavoratori licenziati e solidali, davanti ai cancelli, Dario Comotti racconta a “Nuova Unità” i motivi del conflitto.
LA STORIA
L’INNSE, nata dall’officina
Innocenti Santeustacchio, è stata il simbolo dell’industria metalmeccanica
all’interno della zona di Lambrate, nell’area ex Maserati. Nel 2002 la messa in
liquidazione e la successiva vendita, quattro anni più tardi al gruppo Genta,
che nel 2008 dichiara la chiusura. Ma gli operai decidono di occuparla, dandosi
i turni e continuando a lavorare, e lo scontro dura più di un anno. La lotta
operaia riconquista le prime pagine dei giornali, grazie a 49 lavoratori che
per oltre un anno occupano l’INNSE Presse di Milano, “per salvarla dal
fallimento”. Il 5 agosto 2009 quattro operai e un funzionario sindacale
della FIOM si barricano per più di una settimana su una gru all’interno della
fabbrica scendendo solo dopo l’accordo che salvaguardia tutti i posti di
lavoro. Una cordata guidata dalla Camozzi di Brescia ha acquistato l’azienda milanese.
Il resto è storia di oggi raccontata nella intervista che abbiamo raccolto da
uno degli operai licenziati.
L’INTERVISTA
DARIO, TU SEI UNO DEGLI
OPERAI LICENZIATI, VUOI SPIEGARE AI LETTORI DI NUOVA UNITA’ PERCHE’ VI HANNO
LICENZIATO?
Siamo in lotta da ormai 14 giorni. C’è stato uno
sciopero che è durato 8 ore al giorno per 11 giorni di tutti gli operai contro
l’azienda che ha licenziato 4 lavoratori (3 operai e una impiegata). L’azienda
ci ha licenziato con delle motivazioni che sono a dir poco scandalose: hanno
dichiarato che i nostri posti venivano meno. Ad esempio il posto di
elettricista veniva a mancare e scrivono addirittura nella lettera di
licenziamento che il posto sarà affidato a un’impresa esterna di elettricisti,
mentre gli altri tre posti, quello dell’impiegata viene fatto a Brescia e gli
altri 2 posti che erano quelli di controllo della qualità, l’azienda intende
farli fare direttamente dagli operai. Questa è la motivazione con cui ci ha
licenziato. In realtà noi siamo in mobilitazione da gennaio del 2016, cioè da
quando l’azienda ha presentato un piano che chiamarlo industriale è una parola
grossa, perché è un piano che fa veramente acqua da tutte le parti e non
corrisponde nella sostanza a quello che, con la nostra lotta del 2009, gli ha
fatto avere la fabbrica. Nel 2009 loro hanno preso dal comune di Milano, con
uno scambio d’area d’uso, la fabbrica al prezzo di 1 euro. Avevano detto e
dichiarato ai quattro venti che qui ci sarebbe stato un incremento
dell’occupazione arrivando a 150 operai, per cui era una fabbrica che
interessava realmente e che per farla funzionare a dovere avevano necessità di
incrementare l’occupazione. Ora, a distanza di 7 anni, siamo ridotti della
metà. Da 50 che eravamo, ci siamo ridotti a quasi la metà, 27/28 persone.
COME STA ANDANDO AVANTI LA
LOTTA?
I lavoratori sono decisi ad andare fino in fondo. Dopo
11 giorni di sciopero continuo i lavoratori non potevano sobbarcarsi ancora un
altro periodo di sciopero, perché oltretutto il padrone non sta portando
produzione. E’ da un anno esatto che all’INNSE non si batte un chiodo, non c’è
praticamente produzione e questo, di fatto, favorisce il padrone. Quindi
continuare con questo strumento di lotta vuol dire solo danneggiare gli operai
e basta. Per questo abbiamo deciso il rientro in fabbrica degli operai. Fuori
il picchetto continua con i 4 licenziati, i compagni e i lavoratori di altre
realtà solidali che ogni giorno si presentano al cancello della fabbrica.
Inoltre a mezzogiorno nell’ora di mensa da tutti gli operai dell’INNSE escono
dalla fabbrica aggiungendosi al picchetto durante la pausa pranzo.
VOI SIETE TUTTI ISCRITTI
ALLA FIOM; COME SI E’ COMPORTATO IL SINDACATO RISPETTO ALLA VERTENZA IN ATTO?
SOSTIENE LA LOTTA? IN CHE MODO?
La FIOM, cui siamo tutti iscritti, fino a metà luglio
del 2016 sosteneva la nostra lotta, tant’è che fece un comunicato sindacale in
cui diceva che la Cassa Integrazione era illegittima. Da luglio in avanti è
intervenuta, probabilmente in accordo con la segreteria milanese della CGIL, la
segreteria nazionale della CGIL nella persona di Landini (segretario generale
FIOM), che ha sottoscritto un accordo su cui non siamo stati d’accordo e che
abbiamo respinto con un referendum. Da lì c’è stata una rottura verticale. La
FIOM qui non si è mai vista. Nessuno della FIOM è mai venuto davanti ai
cancelli in questo periodo.
OLTRE ALLA RESISTENZA
OPERAIA E ALLA SOLIDARIETA’ PORTATA DA COMPAGNI SINGOLI, QUALI ORGANIZZAZIONI
SINDACALI, ANCHE DI BASE, VI HANNO PORTATO FINORA LA SOLIDARIETA’?
Dal punto di vista della solidarietà al presidio
vengono diversi compagni. I sindacati di base legati alla USB, alcuni militanti
sindacali USB, e sono venuti alcuni militanti del SOLCOBAS, il nuovo sindacato
che si staccato dal SICOBAS. Il SOLCOBAS ha dimostrato una concreta solidarietà
anche dal punto di vista economica, del finanziamento. Noi abbiamo aperto una
Cassa di Resistenza per pagare gli avvocati, per mantenere il presidio, per
pagare tutte le spese necessarie alla nostra lotta. Quelli che hanno dato
realmente solidarietà alla nostra lotta sono stati i 90 delegati di varie
fabbriche d’Italia legati alla minoranza sindacale della CGIL, il “sindacato è
un’altra cosa”. Il comunicato di solidarietà con la nostra lotta del “sindacato
è un’altra cosa” è stato firmato da delegati di molte fabbriche anche
importanti, ad esempio la SAME di Treviglio, la Piaggio di Pontedera e la
Ferrari di Modena, che non sono fabbrichette di secondo ordine. Questa è stata
una bella iniziativa che noi abbiamo apprezzato e propagandato e che hanno
propagandato anche loro. Sostanzialmente non credo che Landini e la segreteria
nazionale della FIOM possa far finta di nulla rispetto a quanto successo. Se lo
fanno, vuol dire che non tengono conto di quello che sta succedendo nel sindacato.
Anche alcune realtà del sindacato di base, l’USB di Melfi e l’USB di Mirafiori
hanno fatto un comunicato a nostro favore.
HAI PARLATO DI SPESE PER GLI
AVVOCATI, QUESTO COSA SIGNIFICA CHE OLTRE ALLE SPESE LEGALI PER IL
LICENZIAMENTO, LA REPRESSIONE SI MANIFESTA NON SOLO CONTRO I 4 LICENZIATI MA
ANCHE VERSO GLI OPERAI CHE LOTTANO?
Esattamente. La repressione si manifesta in questo
modo. Durante il periodo di Cassa Integrazione durato un anno da marzo 2016 a
marzo 2017 abbiamo avuto qualcosa come 38 provvedimenti disciplinari, lettere
di sospensione da tre giorni, un giorno, lettere di multa. Quindi è un sistema
che il padrone ha adottato, è una cosa veramente impressionante, perché su 27
persone comminare 38 lettere di provvedimenti disciplinari dà la misura che il
sistema repressivo del padrone sta funzionando alla grande.
ADESSO COME PENSATE DI
CONTINUARE A RESISTERE E ANDARE AVENTI NELLA LOTTA?
Dal nostro punto di vista la lotta è solo sulle nostre
spalle. Noi abbiamo chiesto l’intervento del Comune, della Prefettura, di tutti
quelli che hanno sottoscritto nel 2009 quell’accordo che, in sostanza, regalava
all’azienda 30.000 metri quadri. Ora il Comune di Milano ha in mano una carta
micidiale che è quella del fatto che l’accordo non è stato rispettato per
nulla. In più c’è una richiesta dell’azienda, che il Comune non ha ancora
concesso, di 9.000 metri quadrati attorno al capannone per l’accesso dei
camion. Questa è una leva che si potrebbe usare dal punto di vista del Comune
per tentare di ricostruire un accordo che superi quello vecchio e che
sostanzialmente faccia, non un piano industriale, perché noi non crediamo nei
piani industriali, però che faccia andare avanti la produzione industriale.
DA QUELLO CHE DICI, QUINDI,
LA VOSTRA RESISTENZA CONTINUA SIA SUL PIANO SINDACALE CON GLI SCIOPERI, SIA IN
TRIBUNALE CERCANDO DI ALLARGARE IL FRONTE DELLA SOLIDARIETÀ. E QUESTO QUELLO
CHE STATE FACENDO?
Sì è proprio questo. All’interno della fabbrica gli
operai sono sempre sul piede di guerra perché il fronte non è solo davanti alla
portineria col presidio, è anche interno. Appena il padrone applica un sistema
di lavoro che non è normale, gli operai sono disposti tranquillamente a
scioperare. Inoltre noi licenziati insieme ai solidali andiamo avanti con il
presidio davanti ai cancelli della fabbrica, presidio che gli dà realmente
fastidio, cercando di allargare la solidarietà.
02/04/17
Michele Michelino
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To:
Sent:
Thursday, April 06, 2017 8:29 AM
Subject:
RICCARDO ANTONINI: SUL MIO RICORSO IN CASSAZIONE
Vi invio le poche righe che a caldo ho messo giù e fatto
circolare in queste ore. Quando siamo stati a Roma il 18 gennaio scorso,
avevano già deciso. Al danno del “risultato”, la beffa della messa inscena.
Buona giornata.
Riccardo Antonini
* * * * *
Rigettato il ricorso in Cassazione per “infedeltà” a
Moretti, Elia & Company, presentato alla fine del 2014. Sette
paginette scarne e striminzite hanno confermato la sentenza di 1° grado del 4
giugno 2013.
I signori (o lorsignori, come avrebbe scritto
Fortebraccio) Vincenzo Di Cerbo (presidente), Giuseppe Bronzini, Antonio Manna,
Federico Balestrieri, Federico De Gregorio (consiglieri) della Corte Suprema
(suprema, mah?) di Cassazione, Sezione Lavoro, e prima di loro i signori
Luigi Nannipieri di Lucca e Giovanni Bronzini (presidente), Gaetano Schiavone e
Simonetta Liscio (consiglieri) della Corte d’Appello di Firenze, hanno
(ri)prodotto la sentenza d’inchino, fotocopia di quella di 1° grado del dottor
Nannipieri.
Non hanno aggiunto niente di più e niente altro: il
ricorso è stato rigettato in quanto “improcedibile” e “inammissibile”.
L’udienza si tenne il18 gennaio scorso al 4° piano del
“palazzaccio”, al seguito di altre ventisei (26!) udienze della durata di pochi
minuti ciascuna.Una vera catena di montaggio... Lo stesso giorno, 18 gennaio
2017, avevano già emesso la sentenza. Definirla una farsa è accreditarla
di un complimento che ovviamente non merita.
Tra le 7 paginette si legge: “...emerge che il ricorrente aveva più volte
sostenuto la responsabilità della società e dei suoi vertici per aver cagionato
il disastro ferroviario di Viareggio...”.
Una verità già scritta e scolpita che la stessa
magistratura del Tribunale di Lucca ha emesso con il dispositivo del 31 gennaio
2017 a 7 anni e mezzo dal disastro ferroviario.
Se questi signori, da Lucca a Roma, sono soliti
trattare a questa maniera gli esseri umani, è bene che nel prossimo futuro
siano destinati ad occuparsi di altro, possibilmente cose o merci. Il
danno ed i costi sarebbero utilmente minori.
Gasparazzo disse: “Ma non finisce qui”.
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To:
Sent:
Friday, April 07, 2017 5:16 AM
Subject:
NEWSLETTER ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO MARZO 2017
VERTENZA AMIANTO BASILICATA
Venerdì 31 marzo, nella sala Consiliare del Comune di
Ferrandina, l’Associazione Esposti Amianto Val Basento ha incontrato la stampa
per un focus dettagliato sulla vertenza amianto in Basilicata.
Leggi tutto al link:
CAMPAGNA
#TUTTIUNITICONTROLAMIANTO 24-30 aprile
In occasione della “Giornata mondiale delle vittime
dell’amianto e per la salute e la sicurezza sul lavoro”, le associazioni Onlus
AIEA e Medicina Democratica, tramite lo Sportello Amianto Nazionale, con il
patrocinio del Coordinamento Nazionale Amianto e la collaborazione di tutte le
associazioni partecipanti che costituiscono il CNA, lanciano una campagna di
sensibilizzazione sui temi della salute e della sicurezza invitando al “Cinema”
il mondo delle scuole, dell’associazionismo, della politica, delle istituzioni
e dell’attivismo dal basso per dedicare una giornata di riflessione nella
settimana dal 23 al 30 aprile.
Leggi tutto al link:
HEALTH FOR ALL: LA SALUTE
PRIMA DI TUTTO
In tutta Europa sono in atto da diversi anni politiche
tese a colpire i nuclei centrali del welfare e attaccare i beni comuni. Anche
la salute e la sanità sono sottoposte ad attacchi e tagli di spesa pubblica che
producono e favoriscono diseguaglianze nella tutela e nell’accesso alle cure.
Leggi tutto al link:
ASSEGNO UNA TANTUM EREDI
VITTIME MESOTELIOMA
Gli eredi delle vittime di amianto per esposizione non
professionale decedute nel 2016 senza aver prodotto domanda all’INAIL avranno
tempo sino al 31 marzo per l’istanza. Indennizzo una tantum di 5.600 euro.
Leggi tutto al link:
TESTO UNICO AMIANTO:
CRITICITA’ E PROPOSTE DI EMENDAMENTI
Si è tenuto in una Sala del Senato il 22 gennaio 2017
un convegno promosso dai Senatori Felice Casson e Giovanni Barozzino su
proposta della Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA) e di Medicina
Democratica (MD), al fine di esaminare il Disegno di Legge di cui al titolo,
per brevità Testo Unico sull’Amianto (TUA).
Leggi tutto al link:
PROCESSI AMIANTO A RISCHIO
Il 16 marzo la Corte d’Appello di Venezia ha
pronunciato la sentenza del processo denominato “Marina Militare 1”, per la
morte di due militari dovuta a mesotelioma pleurico. La sentenza è stata di
assoluzione.
Leggi tutto al link:
AMIANTO: COME TUTELARSI PER
OTTENERE GIUSTIZIA
La sua battaglia a fianco delle vittime, insieme alla
collega Cristiana Fabrizio, inizia undici anni fa, nel 2006, quando un gruppo
di operai romani decide di farsi aiutare in campo giuridico: una delle prime
vittorie a livello previdenziale, da cui si è creato un passaparola fra gli
esposti, facendo sì che molti decidessero con coraggio di denunciare la loro
situazione e sopratutto di ribadire i loro diritti.
Leggi tutto al link:
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