È il 31 maggio, suo marito ha 48 anni, lavora per una
cooperativa esterna che sta
allestendo una impalcatura all’Adriatica Arena di Pesaro. La cena è pronta, ma
lui non arriva. Perché questo ritardo? E perché non risponde al telefono? E
allora la donna comincia a chiamare tutti gli ospedali della zona, ma niente.
Passa la notte così, al telefono, disperata, in attesa. E poi arriva l’alba e
quella telefonata dall’ospedale di Pesaro, che durante la notte invece aveva
rassicurato la donna, e quella frase: “Lei è la moglie di… suo marito non c’è
più”. Lui era morto il giorno prima, sulla lettiga di un’ambulanza che lo
stava portando in ospedale, dopo essere crollato mentre montava l’impalcatura,
forse un collasso o un infarto, il caldo, la fatica, il cuore che non regge.
Intanto, gente senza scrupoli evitava perfino di compiere un ultimo, forse
unico, gesto di umanità verso quell’uomo senza più vita e quella famiglia senza
più il proprio caro.
Questa è soltanto una delle storie di cui si sono occupati negli
ultimi giorni le cronache dei giornali locali, rimasti ormai gli unici a dedicare
ancora spazio ai “poveri cristi” vittime della mattanza nel settore delle
costruzioni. Solo nell’ultima settimana sei le morti e decine gli infortuni
gravi e gravissimi. Tragedie che riportano all’ordine del giorno il tema
della sicurezza e delle condizioni in cui gli operai del settore sono costretti
a lavorare, condizioni spesso estreme, per l’assenza di protezioni, i ritmi di
lavoro frenetici, l’usura dei macchinari, la fatica che colpisce pesantemente i
più anziani. Fattori a cui in estate, con le alte temperature associate ai
picchi di umidità, si aggiunge un ulteriore killer, l’infarto.
“Non ce la faccio più”: sono queste le ultime parole di Ivano,
54 anni. È il 3 giugno, insieme ad alcuni artigiani sta lavorando alla
ristrutturazione di un immobile a Sanzano, nel Veneziano. Non si sente bene,
gli manca il fiato, sente una fitta, va a rinfrescarsi a una fontana. I suoi
compagni lo troveranno poco dopo, accasciato al suolo, privo di vita,
probabilmente un infarto. Il 4 giugno Alfredo, 42 anni, sta facendo
lavori di manutenzione nel balcone di un appartamento di Ponticelli (Napoli).
La caduta in strada non gli lascia scampo, muore sul colpo, letali le ferite alla
testa.
Philipp ha 29 anni, sono le 7.30 del 6 giugno, sta lavorando in una cava
di marmo di Covelano, in Val Venosta, Alto Adige. Una lastra di marmo
improvvisamente si stacca, per il giovane non c’è nulla da fare. Gaspare, di
anni ne ha addirittura 50 più di Philipp, 76. Non è un errore: 76 anni. È
un muratore in pensione, ma deve arrotondare per aggiungere qualcosa a quel
poco di assegno che prende, come del resto fanno in tanti altri in edilizia. Il
suo cadavere lo trovano sul fondo di una piscina senz’acqua, nella periferia di
Marsala. La sua morte risale al 27 aprile, ma il figlio ha reso pubblica la
vicenda solo in questi giorni, denunciando l’ex parlamentare marsalese Pietro
Pizzo, proprietario della villa in cui è avvenuta la tragedia.
Stefano, 48 anni, il 5 giugno è al lavoro dentro lo stabilimento
Wärtsilä di Bagnoli della Rosandra, Trieste. È un carpentiere di una ditta
esterna, la Italfer, impegnata nella rimozione di materiali da un capannone in
dismissione. Una pesantissima barra di metallo lo schiaccia. Muore poco dopo il
trasferimento all’ospedale di Cattinara, fatali le lesioni riportate agli arti
inferiori e al bacino.
Rodolfo ha 49 anni e lavora alla Profilglass di Fano da più di vent’anni.
Alla Fillea lo conoscono, è un iscritto. È il 5 giugno, sta spostando dei
bancali di lana di roccia con il muletto all’esterno della fabbrica, quando il
carico all’improvviso si sposta, allora lui scende dal muletto per tentare di
sistemarli. Muore sul colpo sommerso dal pesantissimo carico. Ricordiamoli
tutti.
da rassegna.it
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