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I PRESUPPOSTI TEORICI DEL MITO DELLA “DECRESCITA
FELICE”
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BASTA CON LE RAPPRESAGLIE DELLA FCA: MOBILITAZIONE IL
20 GIUGNO A NOLA!
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LE LOTTE DEI LAVORATORI DEL COMMERCIO E IL FRONTE
UNICO PROLETARIO
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SVILUPPARE L’UNITA’ DI AZIONE DAL BASSO PER AVANZARE
NEL LAVORO SINDACALE
Unione Sindacale di Base Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
ASSUNZIONI OSS AL GASLINI
PCARC News pcarc_news@riseup.net
BERGAMO: LICENZIATA DURANTE LA MATERNITA’, GLI OPERAI
SCIOPERANO IN SOLIDARIETA’
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PONTEDERA: LA CLASSE OPERAIA ESISTE E SI ORGANIZZA PER
RIPRENDERSI IL MALTOLTO!
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CUORE D’AMIANTO
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Friday, May 26, 2017 2:23 PM
Subject: IL
CONTO, GRAZIE, SIGNOR ROBOT!
Il lavoro umano, l’automazione e la “fine del lavoro”.
Nessuna macchina oggi in grado di sostituire il lavoro creativo. La politica e
la disoccupazione.
Che le macchine servano per sostituire il lavoro
umano, è noto da quando qualcuno, già nella preistoria, cominciò a usare una
leva invece di far sollevare un carico pesante da molti uomini.
Neppure è una novità che, in una società
capitalistica, il lavoro risparmiato con le macchine non si trasformi in più
tempo libero per i lavoratori, ma in più disoccupati: lo aveva già capito Lord
Byron. Il famoso poeta intervenne, infatti, nel 1812 alla Camera dei Lord
contro la legge che stabiliva la pena di morte per “coloro che distruggono o
danneggiano telai o simile macchinario”, proposta per fermare gli attacchi alle
fabbriche tessili dei luddisti (un movimento operaista sviluppatosi in
Inghilterra all’inizio del XIX secolo proprio a causa della disoccupazione
prodotta dall’introduzione del telaio meccanico). Nel suo discorso, Byron
sottolineò come i telai meccanici stessero levando il lavoro a migliaia di
operai tessili, conducendo le loro famiglie alla fame.
Comunque, fu Karl Marx, nel famoso “Frammento sulle
macchine”, inserito poi nei “Lineamenti fondamentali di critica dell’economia
politica”, a spiegare come sia uno dei capisaldi del capitalismo il fatto che
il lavoratore venga, appena possibile, sostituito dalla macchina, che può far
produrre più merce in meno tempo. Inoltre, sviluppando il capitale fisso (le
macchine) i padroni possono fare a meno di una parte sempre crescente del
capitale variabile (i lavoratori) e quindi possono risparmiarne i salari. Si
noti però che Marx, a differenza dei luddisti, non era affatto contro la
tecnologia e l’innovazione: pensava anzi che questa avrebbe inevitabilmente
prodotto la fine del sistema capitalistico e avrebbe lasciato ai lavoratori
sempre più tempo libero, da dedicare al riposo o allo sviluppo dei propri
interessi personali.
D’altra parte, per tutto il XIX e buona parte del XX
secolo, l’automazione ha sostituito la massima parte del lavoro umano solo
nell’agricoltura dei Paesi ricchi (nei quali il numero degli agricoltori è
perciò ormai molto ridotto), ma l’automazione delle fabbriche è stata molto più
lenta. Infatti, gli automatismi, prima puramente meccanici, poi
elettromeccanici, infine elettromeccanici con servomeccanismi di controllo,
hanno ridotto la necessità di lavoro umano nelle singole fabbriche e ne hanno
aumentato la produzione, ma avevano sempre bisogno del lavoro umano per il loro
controllo e per funzioni che non potevano essere meccanizzate. Nel XX secolo,
poi, lo sviluppo di nuovi prodotti (automobili, elettrodomestici, materie
plastiche, ecc.) a costi accessibili a una gran parte della popolazione ha
costantemente permesso la nascita di nuove fabbriche che hanno assorbito la
manodopera in eccesso, anche se con alti e bassi a seconda della fase
economica.
Così, per circa un secolo, della “fine del lavoro”
prevista da Marx non ne ha parlato più quasi nessuno, anche se Keynes, nel
1933, aveva previsto si sarebbe verificata una espansione della disoccupazione
causata dalla tecnologia “per la scoperta di mezzi di economizzazione
dell’utilizzo del lavoro che supera il ritmo con il quale si possono trovare
nuovi usi per il lavoro”.
Infatti, nell’ultimo quarto del XX secolo la
previsione di Keynes ha cominciato ad avverarsi a causa dello sviluppo dell’informatica,
che ha fatto scomparire mansioni che nessuno poteva prevedere potessero essere
fatte diversamente che “a mano”.
Ricordo che, quando ho cominciato a lavorare nella
ricerca alla fine degli anni 60 (dopo il direttore e il responsabile dell’amministrazione)
insieme ai ricercatori, le persone più importanti dell’istituto erano le
dattilografe e i disegnatori, gli unici che potevano trasformare i nostri testi
scritti a mano e pieni di cancellature e richiami (e i nostri diagrammi su carta
millimetrata) in un articolo pubblicabile in un giornale scientifico. Ora,
dattilografe e disegnatori non esistono più. Certo, ci sono gli informatici che
curano e aggiornano i software di scrittura e di grafica che usiamo
quotidianamente, ma uno solo di questi lavoratori specializzati sostituisce
decine di dattilografe e disegnatori.
Questo però è stato solo l’inizio, perché questi primi
software hanno sostituito solo lavori esecutivi. Lo sviluppo di software di
“autoapprendimento”, cioè di programmi che, una volta “istruiti” con una serie
di esempi, sono capaci di sviluppare autonomamente nuove capacità per far
fronte a situazioni inizialmente non previste, ha cambiato la situazione,
generando la cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”.
Le nuove macchine utensili, definite solitamente
robot, anche se non sono certo i robot descritti dalla fantascienza, sono in
grado di stabilire autonomamente come comportarsi in tutte le situazioni
nell’ambito delle funzioni per le quali sono state progettate. Quindi non
sostituiscono solo il lavoro manuale ma anche, entro certi limiti, quello di
controllo e quindi non solo l’operaio generico, ma anche quello specializzato e
persino il “capo reparto”. Di nuovo, esse hanno bisogno di chi ne esegue la
manutenzione e ne aggiorna il software ma, anche questa volta, uno solo di
questi specialisti sostituisce decine di altri lavoratori.
La sostituzione del lavoro umano, grazie ai programmi
di autoapprendimento, ha cominciato a sostituire anche il lavoro ripetitivo non
materiale. Nel settore amministrativo, il numero di centralinisti, cassieri,
contabili si è ridotto enormemente perché, con l’uso dell’informatica, ognuno
di questi lavoratori riesce a fare da solo il lavoro che prima facevano in
tanti. Sempre più spesso, telefonando a un call center, inizialmente e finché
le risposte alle nostre domande sono facilmente prevedibili, non parliamo con
un essere umano, ma con un calcolatore (a proposito: scusatemi ma, dato che la
lingua italiana ha questa parola per definire una macchina che elabora
informazioni, non vedo perché dobbiamo usare il termine inglese “computer”, che
ha esattamente lo stesso significato!). In banca, spesso c’è ormai un solo
cassiere, quando c’è, perché la maggioranza delle operazioni di prelievo e
deposito sono fatte con il bancomat e molte altre vengono fatte via rete.
Le cose, attualmente, stanno a questo punto: anche il
più sofisticato robot, non può far altro che agire autonomamente solo per uno
specifico compito per il quale è stato progettato, sempre che non si trovi di
fronte a una situazione che i suoi progettisti ritenevano impossibile. Però non
si può chiedere a un bancomat di verniciare un’auto o a una verniciatrice
automatica di darci soldi dal nostro conto corrente. Neppure i “rover” per
l’esplorazione dei pianeti del Sistema Solare o le “armi autonome” possono fare
qualcosa che non sia tra i compiti assegnati dai loro progettisti: muoversi
autonomamente su un certo percorso evitando ostacoli insuperabili, in un caso
facendo misure, nell’altro ammazzando gente.
Nessuna macchina è per ora in grado di sostituire il
lavoro creativo: basti vedere i disastrosi risultati dei traduttori
informatici, se la frase da tradurre non è banale. Se un calcolatore ha battuto
il campione mondiale di scacchi, è solo perché questo gioco risponde a regole
precisissime e il calcolatore ha vinto perché è stato capace di valutare, in
base a queste regole, le conseguenze di un numero grandissimo di possibili
mosse molto più rapidamente di quanto potesse fare il suo avversario umano. Ma
le regole degli scacchi sono fisse e immutabili, quelle della vita no.
La vera “intelligenza artificiale”, cioè la capacità
di rispondere autonomamente a qualsiasi tipo di problema, e anzi assegnarsi da
sola il compito da svolgere, è un’altra cosa: nessun calcolatore attuale è in
grado di sostituire quel meraviglioso calcolatore naturale che è il cervello
umano, il quale con i suoi miliardi di connessioni neuroniche e i suoi milioni
di anni di evoluzione (e forse anche con qualcosa in più, ma su questo
argomento ognuno la pensi come vuole) è in grado di affrontare problemi così
diversi come il fare la spesa, coltivare rose, risolvere una crisi
interpersonale, creare un’opera d’arte che parli a tutti i suoi simili,
studiare l’evoluzione dell’Universo e anche progettare robot.
I neurobiologi, insieme agli informatici, stanno ora
cercando di sviluppare un modello di cervello umano che simuli, su di un
super-calcolatore, tutta la rete neuronica. E’ un compito difficilissimo, anzi
che non pochi studiosi ritengono impossibile, ma è già capitato molte volte che
la tecnologia vinca sfide ritenute impossibili. In ogni caso, questo studio
permetterà certamente di approfondire i meccanismi del nostro cervello e sarà
quindi prezioso per la medicina, ma non servirà (e non vuole servire) per
creare un sostituto artificiale del cervello umano.
Tuttavia, anche se i robot dei film di fantascienza,
se mai diverranno possibili, sono ancora molto lontani nel futuro, gli attuali
“robot” hanno già sostituito molti dei lavori dell’uomo e molti altri ne
sostituiranno. Camerieri robot che prendano le ordinazioni (magari in tutte le
lingue più diffuse), portino al cliente la consumazione richiesta e gli
presentino il conto da pagare con carta di credito sono già alla portata della
tecnologia attuale. Se non sono ancora entrati in servizio è solo perché il
loro costo sarebbe altissimo, mentre lo stipendio di un cameriere umano è
solitamente molto basso. Anche la guida automatica di mezzi di trasporto non è
lontana e questi sono solo alcuni esempi di lavori che potranno essere
automatizzati tra non molto.
Così, diversi economisti hanno iniziato a studiare in
quanto tempo tutti i lavori non creativi potranno essere sostituiti da macchine
e quale impatto ciò potrà avere sull’economia, sul mercato del lavoro e,
quindi, inevitabilmente, sulla politica.
Naturalmente, come capita spesso nelle previsioni
degli economisti, le conclusioni sono molto diverse l’una dall’altra. Carl
Benedikt Frey e Michael Osborne, economisti della Oxford Martin School, sono
arrivati alla conclusione che il 47% dei lavori attuali negli USA verrà svolto
in futuro dalle macchine e che la sostituzione sarà praticamente totale per i
lavori non creativi o sociali: questo creerà una enorme quantità di
disoccupati. Al contrario, gli economisti del CEDEFOP, il Centro Studi per la
Formazione Professionale dell’Unione Europea, prevedono che l’occupazione
crescerà del 3% in Europa entro il 2025, grazie alla creazione di nuovi lavori
e alla sostituzione di lavoratori manuali che andranno in pensione (o in
pre-pensionamento) con addetti alle nuove tecnologie.
Sia come sia, la politica dovrà inevitabilmente
trovare una soluzione alla disoccupazione generata dalle nuove tecnologie. Le
idee sono tante: si va dalla nota proposta di Bill Gates di introdurre una
“robot tax”, cioè di una tassa sull’impiego dei robot che serva a pagare un
sussidio di disoccupazione (o, se preferite, un salario sociale) a chi perderà
il lavoro, a quella di Barack Obama di rallentare il ritmo dell’automazione con
misure restrittive. Trump, come per molti altri casi, afferma che il problema
non esiste.
Tuttavia, nessun governante sembra per ora prendere in
considerazione la semplice soluzione proposta da Marx: con il progredire
dell’automazione, per evitare la disoccupazione è necessario ridurre il tempo
di lavoro a parità di salario e dare ai lavoratori più tempo libero per il
riposo e lo sviluppo dei propri interessi. Sarà forse perché questo porterebbe
alla fine del sistema economico capitalista?
Vito Francesco Porcaro
Scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia
spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per
l’Astronomia e l’Eredità Culturale dell’Università di Ferrara
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Sunday, May 28, 2017 9:17 PM
Subject: I PRESUPPOSTI TEORICI DEL MITO DELLA
“DECRESCITA FELICE”
PERCHÉ E’ UTOPICO PENSARE DI RENDERE IL SISTEMA
CAPITALISTICO COMPATIBILE CON IL RISPETTO DELL’AMBIENTE
di Marco Paciotti
27/05/2017
Il presente articolo trae spunto dal materiale
didattico (lucidi) preparato da Domenico Laise, docente dell’Università La
Sapienza di Roma, e presentato ad un seminario “Sull’attualità del pensiero economico
di Marx”, tenuto presso l’Università Popolare Antonio Gramsci, nell’anno
accademico 2016-2017.
Negli ultimi anni si è assistito, nel variegato campo
della sinistra anticapitalista, a una crescente attenzione dedicata ai temi
della “decrescita felice”, sdoganata dalle opere del filosofo ed economista
francese Serge Latouche, il quale, grazie a tale parola d’ordine, ha acquisito
enorme fama ed è finito per diventare un’icona anche per alcuni ambienti della
sinistra antagonista, oltre che bandiera ideologica del Movimento 5 Stelle. Ma
la decrescita è veramente un tema dirompente contro l’attuale modo di
produzione? Può l’ecologismo alla Latouche essere conciliato nella teoria di
Marx? La decrescita è concretamente realizzabile nel capitalismo?
Per poter rispondere a queste domande è necessario
risalire alle origini teoriche dell’ecologismo alla Latouche. La formulazione
più organica e coerente, e per certi versi acuta, dei motivi ecologisti può
essere fatta risalire alla Bioeconomia, teoria economica proposta da Nicolae
Georgescu-Roegen (1906-1994) per la realizzazione di un sistema ecologicamente
e socialmente sostenibile. Per utilizzare le parole dello stesso
Georgescu-Roegen, il paradigma teorico della Bioeconomia si fonda sul
presupposto che “la sopravvivenza dell’uomo non è un problema né solo
biologico, né solo economico, ma bioeconomico”.
Per spiegare la crisi ecologica, Georgescu-Roegen si
avvale della scala entropica, in base alla quale si può classificare la materia
che circonda l’uomo. Risalendo gradualmente la scala entropica si parte da
strutture ordinate, che peraltro presentano un elevato indice di utilità
economica, per arrivare a strutture sempre più disordinate, che presentano una
contestuale caduta della propria utilità economica. L’aumento del disordine è
descritto attraverso l’aumento del grado di entropia. Per fare un esempio
concreto possiamo considerare un barile di petrolio, che ha un basso valore
d’entropia. Una volta trasformato in combustibile e utilizzato sotto forma di
carburante, il petrolio genera energia cinetica, inquinamento e calore, il
quale presenta un elevato valore di entropia e viene disperso nell’aria,
divenendo inutilizzabile.
Lo stesso ciclo produttivo è un processo
unidirezionale e irreversibile dall’ordine al disordine, che ha come input
materie prime e risorse naturali a bassa entropia e che ha come output le merci
prodotte, l’inquinamento, gli scarti e i rifiuti, con un elevato grado di
entropia. Si osserva, quindi, come nel processo di produzione le risorse della
terra e l’energia fossile siano sfruttate e risultino progressivamente
degradate. E’ da questo processo che, secondo Georgescu-Roegen, deriva la crisi
ecologica e ambientale del nostro tempo. Egli sostiene che l’economia moderna è
destinata al collasso a causa dell’esaurimento delle riserve di energia non
rinnovabili, lasciando come eredità un mondo degradato, pieno di rifiuti e
inquinato. Da questa considerazione deriva la necessità di fare ricorso alle
risorse naturali in modo più prudente, integrandole con l’utilizzo delle
energie rinnovabili come il sole e il vento, per perpetuare la sostenibilità
delle economie moderne.
In sostanza, Georgescu-Roegen si interroga su che fare
per rendere il modo di produzione capitalistico ecologicamente viabile. L’obiettivo
del teorico della Bioeconomia è quello di rallentare il degrado entropico,
fondando una “nuova etica” ecologica centrata su “una certa simpatia verso gli
esseri umani futuri”. A tal fine, egli propone una “strategia della decrescita”
da realizzare mediante un Programma Bioeconomico Minimale articolato in 8
punti:
proibire la produzione bellica;
pianificare il tenore di vita dei paesi in via di
sviluppo;
ridurre la popolazione a un livello compatibile con
l’agricoltura biologica;
eliminare gli sprechi di energia;
curare la passione morbosa per i congegni stravaganti;
liberare i consumatori dalle mode;
produrre beni che durino più a lungo;
aumentare di molto il tempo libero (questo è l’unico
punto in comune con il programma minimo marxista, dato che coincide con la
riduzione dell’orario di lavoro, anche se va detto che Georgescu-Roegen
“dimentica” di specificare che ciò vada ottenuto senza alcuna contestuale
riduzione del salario).
Per Georgescu-Roegen tale programma deve essere lo
strumento per realizzare un “état de decroissance”: uno stato di decrescita.
Pur senza pretendere di avere risposte certe,
Georgescu-Roegen ritiene tale programma realizzabile in regime di capitalismo.
Tale concezione risulta viziata da un errore di fondo: l’identificazione e la
relazione deterministico-meccanicista tra produzione entropica e crisi
ecologica. Infatti, già in epoca medioevale la produzione era entropica, ma non
vi era alcuna crisi ecologica dovuta al grado molto basso di entropia
riscontrabile in un modo di produzione come quello feudale, dove il surplus era
utilizzato per la costruzione di dimore signorili e cattedrali e non per essere
accumulato come nel sistema economico capitalista, fondato sull’accumulazione
per l’accumulazione. D’altronde è con il passaggio dalla bottega artigiana alla
grande fabbrica che inizia il degrado entropico che è alla base della crisi
ecologica di oggi.
L’ottimismo di Georgescu sull’effettiva realizzabilità
del programma bioeconomico in regime capitalistico non è per nulla condivisibile.
Egli sembra dimenticare che l’attuale modo di produzione sia basato su un
meccanismo di accumulazione di profitto fine a sé stesso e autoperpetuantesi
all’infinito. Lo schema D–M–D’ mette in luce la centralità dell’investimento
finalizzato all’accumulazione di profitto, e la relativa autonomizzazione di
tale ciclo economico nel capitalismo, che si autoalimenta senza limitazioni
assumendo natura di feticcio. Il profitto ricavato alla fine di un processo
produttivo, viene sempre reinvestito per creare nuovo profitto, che a sua volta
verrà investito e così via. Tutto ciò è descritto dal principale teorico del
liberismo Adam Smith: “Il profitto è la fonte degli investimenti, che sono la
fonte del profitto: il capitalismo è accumulazione. Il capitalista è un
benefattore parsimonioso, mentre il prodigo è un nemico pubblico”. Il
capitalismo è basato inoltre sulla concorrenza, perché presupposto della sua
esistenza è la libertà di iniziativa economica. Ognuno può produrre ciò che
ritiene più redditizio nella misura che ritiene più opportuna, e alla fine è il
mercato a decidere chi ha avuto ragione e chi meno. La concorrenza si risolve
quindi in ciò che Marx definisce l’anarchia della produzione, in uno scontro a
tutto campo dove solo i capitalisti più avveduti possono sopravvivere. E’
evidente come un tale sistema sia sostanzialmente incompatibile con una
pianificazione sociale della produzione e con un’accumulazione che tenga conto
dell’equilibrio ecologico.
L’entropia, da sola, non è sufficiente a spiegare
l’esistenza della crisi ecologica mondiale. Non è tanto la natura entropica
della produzione a causare i problemi ambientali, quanto la sua finalizzazione
alla produzione di profitto “ad infinitum”, in un meccanismo perverso che
comporta volumi di produzione tali da generare elevatissimi gradi di entropia,
e quindi, la crisi ecologica. Un sistema che vive sulla base dello sfruttamento
capitalistico dell’uomo sull’uomo, non può che comportare anche lo sfruttamento
indiscriminato dell’uomo sulla natura, creando un inscindibile nesso tra modo
di produzione capitalistico e crisi ecologica. Georgescu-Roegen non si avvede
di tale nesso perché disconosce la teoria del valore-lavoro di Marx, che
(riconoscendo nel lavoro umano, nel lavoro vivo, la fonte della valorizzazione
e del plusvalore) svela la natura strutturale dello sfruttamento capitalistico
dell’uomo sull’uomo. L’analisi bioeconomica rimane invece confinata alla teoria
del valore-entropia, ignorando che un basso grado di entropia di per sé non
genera alcun valore. Essa finisce per presupporre un impensabile capitalismo a
profitto zero (il plusvalore è nullo se non c’è il lavoro umano). Il
bioeconomista non riesce ad avvedersi, quindi, che il superamento del modo di
produzione capitalistico sia la condizione necessaria (anche se non
sufficiente) per poter ovviare alla crisi ecologica. Con questo non si vuole
certo affermare che la fine del capitalismo possa comportare automaticamente la
fine della crisi ecologica. Ma è solo con la rottura dell’autonomia dell’economico,
e quindi con la fine dei processi di reificazione e feticismo che esso
comporta, e con la realizzazione di un modo di produzione progressivo,
successivo a quello capitalistico, sottoposto al diretto controllo dei
lavoratori-produttori associati, che si può pensare di pianificare uno sviluppo
delle forze produttive ecologicamente sostenibile, che realizzi l’equilibrio
tra uomo e natura, garantendo la salvaguardia e la riproduzione dello stesso
genere umano.
In conclusione, se confrontiamo il Programma
Bioeconomico Minimo con il “Circolo virtuoso della decrescita serena”,
teorizzato da Latouche, ci rendiamo conto di come non solo il filosofo francese
ripeta sostanzialmente i punti del già di per sé debole programma di
Georgescu-Roegen, denotando la sua scarsa originalità quale pensatore, ma di
come egli lo depotenzi ulteriormente omettendo qualsiasi riferimento alla
riduzione della giornata lavorativa. Infatti, con i suoi 8 punti, Latouche
propone di:
rivalutare un insieme di valori (altruismo, collaborazione,
localismo, ecc.);
riconcettualizzare le nozioni di ricchezza/povertà,
scarsità/abbondanza, ecc.;
ristrutturare l’apparato produttivo in base ai nuovi
valori;
ridistribuire le ricchezze e il patrimonio naturale;
rilocalizzare la produzione su scala locale;
ridurre l’impatto sulla biosfera della produzione;
ridurre lo spreco sfrenato;
riciclare i rifiuti.
Questo programma, noto come “il programma delle 8 R”,
riassume il pensiero di Latouche, basato sulla nozione della “Decrescita
Felice”. Come già detto, esso è teoricamente “incommensurabile” con il pensiero
di Marx.
Nella concezione di Marx l’Uomo e la Natura sono in un
“rapporto di ricambio organico”. Operando con il suo lavoro sulla Natura,
l’Uomo cambia la Natura, che, a sua volta, cambia l’Uomo (co-evoluzione).
Questo condizionamento “bidirezionale” (circolare) Uomo-Natura non è
compatibile con la concezione “unidirezionale” (lineare) propria del modo di
produzione capitalistico, nel quale “la finalizzazione a senso unico
(esclusiva) della produzione al profitto” implica, di necessità, assenza di
condizionamenti sociali al saccheggio e al degrado della Natura e, quindi, lo
sfruttamento oltre ogni limite delle risorse naturali. La co-evoluzione
dell’Uomo con la Natura, postulata da Marx, è, evidentemente, il presupposto
necessario per un corretto pensiero ecologico. Ma una equilibrata (organica)
co-evoluzione Uomo-Natura nega l’autonomia dell’economico e pone limiti sociali
al profitto, che non sono compatibili con il modo di produzione capitalistico.
Una incompatibilità essenziale che è presente in Marx, ma che è assente nel
pensiero bioeconomico di Latouche.
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From: Teoria & Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
To:
Sent: Monday, May 29, 2017 8:15 AM
Subject: BASTA CON LE RAPPRESAGLIE DELLA FCA:
MOBILITAZIONE IL 20 GIUGNO A NOLA!
Il prossimo 20 giugno lo SLAI Cobas e il Comitato
Mogli Operai di Pomigliano, sulla base delle decisioni prese dall’assemblea
operaia tenutasi lo scorso 1° Maggio, organizzano una giornata di mobilitazione
a sostegno di Antonietta e Carmela, due operaie della Fiat Chrysler Auto
trasferite al reparto-confino WCL di Nola, iscritte allo SLAI Cobas e attiviste
del Comitato Mogli Operaie, colpite da una misura repressiva sindacale e di
genere ad opera dell’azienda.
L’iniziativa si terrà in occasione della discussione
presso il Tribunale di Nola della denuncia contro l’azienda presentata dallo
SLAI Cobas.
Ricordiamo brevemente i fatti: le due operaie dopo
aver partecipato allo sciopero di 3 ore tenutosi in occasione dell’8 Marzo e a
un’assemblea pubblica organizzata dal Comitato Mogli Operai, sono state colpite
per ritorsione da una meschina e vergognosa azione di rappresaglia della FCA:
si sono viste cambiare il calendario lavorativo, con pesanti conseguenze, vista
la mancanza di qualsiasi servizio di trasporto pubblico o aziendale.
Il “modello-Marchionne”, e più in generale tutti i
padroni, non prevedono il diritto di parola, di sciopero e di manifestazione
per le schiave salariate, sfruttate e discriminate.
Analogo atto repressivo è accaduto all’Elettrolux l’8
marzo.
Come affermano le donne del Comitato: “Le forti
implicazioni politiche, sociali e culturali sono evidenti come evidente è lo
scontro tra chi oggi vorrebbe riportarci tutti, uomini e donne, indietro di 100
anni, sottoponendoci alla moderna schiavitù economica, e chi vuole
riorganizzare a tutto campo le ragioni dei lavoratori e quelle sociali, e far
ricontare la classe operaia”.
Ovviamente i partiti e le organizzazioni sindacali
collaborazioniste e opportuniste, e la galassia femminista radical-chic, non
hanno speso una parola di condanna verso il padrone, né di solidarietà e
sostegno verso le operaie colpite.
Quando si tratta di condannare il sistema di
sfruttamento capitalista e lottare concretamente per i diritti delle sfruttate,
costoro stanno zitti e si voltano dall’altra parte.
Piena solidarietà alle compagne operaie colpite!
Chiamiamo gli operai, le forze politiche e sindacali
di classe, le donne del popolo, tutti coloro che hanno a cuore i diritti e le
condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori, al sostegno della mobilitazione
per il ritiro del provvedimento e la condanna della Fiat Chrysler Auto.
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From: Teoria & Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
To:
Sent: Monday, May 29, 2017 8:15 AM
Subject: LE LOTTE DEI LAVORATORI DEL COMMERCIO E IL
FRONTE UNICO PROLETARIO
Lo sciopero attuato il 15 ed il 16 aprile dai
dipendenti dei negozi dell’outlet di Serravalle Scrivia, le proteste a Milano e
Torino nei centri commerciali aperti nei giorni festivi e persino il 1° maggio,
sollecitano alcune riflessioni.
L’accrescimento della pauperizzazione dei lavoratori e
l’aggravamento delle contraddizioni dell’economia capitalista si manifestano
ormai nei modi più clamorosi. Si assiste ad un risveglio dell’attività delle
masse e sempre più larghi strati di lavoratori intraprendono la lotta economica
e politica contro l’ordinamento economico e sociale capitalista.
La trovata pubblicitaria della visita che il
segretario generale della CGIL Susanna Camusso ha effettuato presso l’outlet
con un codazzo di burocrati sindacali e di giornalisti, non riesce certo a
celare ai lavoratori sfruttati la verità.
L’aggravamento in generale delle condizioni di lavoro
allarga il solco tra i lavoratori e la burocrazia sindacale. Se i capitalisti
hanno messo all’opera gli alfieri della “libertà del lavoro” che dichiarano la
fine dei sindacati, i capi dell’aristocrazia operaia vorrebbero nascondere il
tradimento reclamizzandosi presso questi lavoratori con la difesa dei giorni di
festa.
Essi perseverano nell’organizzazione di scioperi e
manifestazioni cittadini o regionali negando ai lavoratori del commercio
(settore in cui sono sperimentate e praticate tutte le forme di sfruttamento e
flessibilità più selvagge che poi vengono applicate in altri settori)
l’unificazione in un fronte anticapitalista di tutti i lavoratori sfruttati.
All’associazione padronale che mostra gli articoli
delle leggi sul commercio, che in questi ultimi anni i comitati governativi
hanno potuto approvare in nome di una farisaica lotta alla crisi dei consumi
italiani, i capi della CGIL non possono che rivolgere la richiesta di non
esagerare nella loro applicazione
La democrazia piccolo-borghese che sogna la
conciliazione degli opposti, vuole risolvere la questione con l’unione del
capitale monopolistico, del medio e del piccolo dettagliante e dei lavoratori
del commercio in una riedizione regionale del corporativismo.
Questo sogno essa lo vorrebbe fare avverare con una
legge approvata dal parlamento borghese. Sulla questione degli scioperi nei
centri commerciali si è esercitata anche la Chiesa cattolica. A proposito del
“pensiero sociale” dei cattolici, bisogna dire da subito come non si sia mai
trattato di un programma politico al cui raggiungimento vengano rivolte le
forze organizzate della Chiesa. In realtà la Chiesa non intende minimamente
compromettersi nella lotta dei lavoratori e non si spende né per attuare i
principi che afferma, che non sono realizzati al suo interno, né per
ripristinare quelle condizioni dei lavoratori che sono state distrutte.
La Chiesa è disposta a lottare solo per conservare le
condizioni della propria esistenza e il suo “pensiero sociale” torna a farsi
sentire ogni qual volta si renda necessario mantenere stati d’animo di
aspettazione passiva di tipo religioso per combattere il risveglio della
coscienza di classe nelle masse.
I capitalisti accusano i lavoratori del commercio di
danneggiare con gli scioperi la ripresa dei consumi.
La grande distribuzione commerciale sta usando i
licenziamenti collettivi per stroncare la protesta dei dipendenti. Il diritto
di sciopero di questi lavoratori è già seriamente compromesso dall’uso senza
limiti dei più diversi tipi di rapporti di lavoro instabili e senza continuità,
il cui rinnovo è oggetto dei ricatti padronali.
A rigor di termini, gli impiegati del commercio non
sono sfruttati allo stesso modo degli operai delle fabbriche. Ma si tratta di
una differenza, per quanto li riguarda, più teorica che reale. Essi sono tutti
pagati dai capitalisti che considerano i loro salari o stipendi come cose che
intaccano i profitti.
Le leggi che determinano il livello dei salari dei
lavoratori produttivi si applicano anche alle retribuzioni degli impiegati del
commercio, ma la ragione per la quale i capitalisti cercano di abbassare i loro
stipendi e di aumentare le loro giornate lavorative e di allungarne l’orario,
non è quella di ottenere maggiori valori prodotti senza corrispettivo, ma
quella di abbassare i costi commerciali e distributivi e perciò trarre maggiori
profitti dal margine tra il prezzo di vendita e il ricavo del capitalista
industriale.
Il profitto commerciale è una parte del plusvalore che
l’industriale cede al commerciante per la conversione in capitale denaro delle
sue merci.
Il capitale commerciale assicura la vendita delle
merci con lo sfruttamento dei lavoratori del commercio. Il lavoro degli addetti
al commercio, ovverosia la trasformazione delle merci in denaro e del denaro in
merci, non crea valore né plusvalore, ma offre ai monopoli del commercio la
possibilità di appropriarsi di una parte del plusvalore creato nella
produzione.
Tutti i valori distribuiti derivano dalla produzione
che avviene nella fabbrica, ma ciascun monopolio cerca tutti i modi perché le
retribuzioni dei suoi dipendenti siano le più basse possibili, in modo tale che
la massima parte possibile del plusvalore rappresentato dalla differenza tra il
prezzo di fabbrica e il prezzo di vendita finale, vada nelle sue tasche come
profitto.
Ma non solamente il monopolio commerciale prende parte
alla conversione in denaro contante del plusvalore creato nella produzione, ma
per di più sfrutta i lavoratori in quanto consumatori. Sono la concorrenza
capitalista e l’anarchia della produzione all’origine dell’aumento senza sosta
dei costi della circolazione. Questi costi del commercio capitalista sono il
pesante fardello dei lavoratori in quanto consumatori.
Lo sciopero dell’outlet di Serravalle Scrivia e le
altre proteste nei centri commerciali hanno dimostrato la possibilità di
organizzare i lavoratori del commercio in un fronte unico sindacale di lotta,
nonostante i differenti contratti e i differenti regimi a cui sono sottoposti,
nonostante il tradimento dei capi dei sindacati ufficiali.
Hanno dimostrato che è possibile e necessario lottare
contro le imposizioni dei monopoli. Bisogna che i lavoratori del commercio
elevino il livello della loro coscienza in generale, bisogna che essi non si
lascino rinchiudere nella cornice dell’ “accordo sulle festività”, unendosi al
fronte unico della classe operaia nella lotta per un nuovo ordine sociale.
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From: Teoria & Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
To:
Sent: Monday, May 29, 2017 8:15 AM
Subject: SVILUPPARE L’UNITA’ DI AZIONE DAL BASSO PER
AVANZARE NEL LAVORO SINDACALE
Pubblichiamo un nuovo contributo che si concentra su
alcune questioni del lavoro nei sindacati di base, in particolare quelli
presenti nel pubblico impiego.
La lotta per l’unità dei lavoratori sfruttati è uno
dei modi migliori per conquistare le masse alle posizioni rivoluzionarie e
pertanto deve essere una bandiera in mano ai comunisti.
Essa si realizza soprattutto sul terreno pratico, su
una linea e un programma di classe, sulla base del movimento stesso degli
sfruttati, contro i cedimenti e le svendite, a partire dai posti di lavoro ed
in un legame sempre più stretto ed indissolubile fra lotta politica
rivoluzionaria e rivendicazioni immediate.
Il dibattito chiaramente è aperto.
Riprendiamo il discorso su quanto detto sul
sindacalismo di base.
Avevamo già esaminato alcuni punti deboli
dell’esperienza del sindacalismo di base in Italia, evidenziando come a nostro
avviso la mancanza di azione comune incida negativamente sul risultato finale
che è quello della difesa dei diritti dei lavoratori e meglio ancora sulla
conquista di migliori condizioni di lavoro.
Quindi il punto cruciale di partenza è quello di
rimettere in campo un’azione comune.
Partendo dal dato di fatto della proliferazione di
sigle, il punto non è tentare alchimie da apprendista stregone che portino
all’unione in un unico sindacato, abbiamo già visto che le fusioni a tavolino
non danno i risultati voluti.
Occorre individuare degli argomenti su cui si può
lavorare assieme e da quelle basi aprire un dialogo che sviluppi un agire
comune. Bisogna imparare a saper trovare i punti di incontro e non esaltare i
punti di divisione.
Nel Pubblico Impiego la difesa e l’ampliamento dello
stato sociale è un argomento che se visto in tutte le sue sfaccettature
comprende tanti aspetti e può unire mondi diversi.
Facciamo un esempio banale, avere un buon sistema
sanitario a costi ridotti (meglio ancora gratuito) è un interesse di tutti.
Per ottenerlo occorre amalgamare gli interessi dei
lavoratori (aumento delle piante organiche, nuove assunzioni, stabilizzazione
dei precari, miglioramento delle condizioni di lavoro e sicurezza sul lavoro,
miglioramento dei salari per una maggiore soddisfazione e motivazione) questi
aspetti non possono che portare a un miglioramento dei servizi e quindi
riduzione dei tempi di attesa, maggior personale e quindi più cura al paziente,
ambienti di lavoro più confortevoli e ciò significa anche miglior accoglienza
per il cittadino.
Gli stessi principi possono essere applicati alla
scuola e a tutti i servizi pubblici.
Negli ultimi decenni i tagli sulla spesa pubblica sono
stati fatti principalmente sul personale e sulle infrastrutture. Il pubblico
impiego soffre di un blocco contrattuale quasi decennale, il blocco delle
assunzioni ha falcidiato le piante organiche. I tagli sugli investimenti hanno
portato alla mancata manutenzione dei macchinari, alla mancata formazione del
personale, alla dismissione di servizi ed anche di beni immobiliari della
pubblica amministrazione. In sostanza un costante e continuo peggioramento dei
servizi pubblici. Ciò nonostante la spesa pubblica è aumentata!
Abbiamo visto come un semplice sguardo al sistema
sanitario abbia aperto un mondo di possibilità, per di più abbiamo argomenti su
cui creare un ponte fra lavoratori pubblici e cittadinanza e fra le varie
generazioni.
Maggior assunzioni e stabilizzazioni dei precari
significa poter creare un dialogo con i giovani in attesa di un lavoro stabile,
migliorare il servizio significa tendere la mano a chi ne usufruisce e spesso
sono le persone più anziane.
Volendo pensare ad altri argomenti c’è tutto il
sistema pensionistico da contro-riformare, le prospettive odierne sono quelle
di un’età pensionabile sempre più elevata con una pensione sempre più misera.
Da questi, e altri, minimi comuni denominatori bisogna
partire per lavorare assieme rispettando le attuali differenze di opinione e
lavorando per la ricerca dei punti di incontro anziché evidenziare le differenze.
L’operato dei militanti e dei delegati assume una
notevole importanza in quanto sono loro sul campo e quindi sono loro a doversi
confrontare con gli attivisti o i delegati di altre sigle, oltre che è proprio
la base che deve assumere un atteggiamento critico/costruttivo che cerchi di
impedire le posizioni sclerotiche e divisioniste.
L’unità di azione in questa fase può assumere la forma
del coordinamento che parte dal basso e che riesca a coinvolgere tutte le
sigle.
Di sicuro governi di tutti i colori cercano di
impedire l’agibilità sindacale delle organizzazioni più scomode. Un esempio su
tutti: nel lavoro privato l’accordo del 10/01/14 tenta di impedire l’agibilità
e di smorzare le forme di protesta.
Su questo argomento si sono create delle divisioni nei
sindacati di base tra chi per motivi vari lo ha sottoscritto e chi no. Tra i
sostenitori del no alcune sigle hanno assunto un atteggiamento di critica
intransigente nei confronti di tutti i firmatari.
E’ chiaro che quell’accordo neocorporativo sulla
rappresentanza sindacale è stato una manovra a sostegno dei vertici sindacali
collaborazionisti, per legare al loro carro tutto il movimento sindacale.
Altrettanto chiaro è che ciò che conta è la lotta e non i tavoli.
A nostro avviso, se da parte dei delegati e degli
iscritti delle realtà che hanno scelto la strada dell’adesione formale vi è una
reale azione di rifiuto e contrasto a tale accordo, occorre cercare il dialogo
e la lotta comune per la sua abrogazione, e non puntare il dito solo sulle divisioni.
Tornando al Pubblico Impiego un coordinamento di
lavoratori e delegati, di cui avevamo parlato nell’articolo precedente,
Pubblico Impiego in Movimento ha organizzato per il 10 giugno a Milano un
incontro/dibattito sulla situazione del settore, cercando di aprire un tavolo
di confronto e dialogo con altre realtà e lanciando l’idea di un’azione comune
per le prossime elezioni Rsu (probabilmente marzo 2018) con liste comuni o di
desistenza (così come già fatto nel comune di Milano e in regione Lombardia dove
candidati di sigle diverse si sono presentati sotto un’unica lista).
Concludendo, c’è ancora tanto lavoro da fare e su
tutto pesa la mancanza di un Partito Comunista realmente rivoluzionario
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From: Unione Sindacale di Base Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent:
Monday, May 29, 2017 2:26 PM
Subject:
ASSUNZIONI OSS AL GASLINI
L’otto e il nove giugno 2017 presso i Centri per l’Impiego
genovesi si terrà il ritiro della documentazione inerente la chiamata pubblica
per 10 posti da Operatore Socio-Sanitario (OSS) a tempo indeterminato per
l’Istituto Gaslini (3 dei quali riservati a volontari in ferma breve e
prefissata).
Per informazioni dettagliate rivolgersi ai Centri per
l’impiego oppure andare sul sito della Provincia di Genova al link “Chiamate ex
articolo 16”.
Ci riteniamo soddisfatti per le assunzioni al Gaslini
anche se non crediamo che siano sufficienti.
In base alle recenti statistiche ISTAT vi è un
notevole incremento delle professioni tecniche (tra cui a nostro avviso
erroneamente sono stati inseriti anche gli infermieri).
In un territorio come la Liguria con un’età media
sempre più elevata è possibile equiparare l’OSS al nuovo operaio “generico” se
pur, dalla nascita di questa figura gli obbiettivi fossero differenti.
In Liguria i corsi di qualificazione per OSS, fino a
qualche anno fa erano gratuiti. Ad oggi sono tenuti da enti accreditati con un
costo che arriva ai 2.500 euro, un bell’investimento per chi è disoccupato.
Investimento che non sempre permette di accedere al
mondo del lavoro. Si assiste a un calderone dove a volte, nel privato, “tutti
fanno tutto” e dove vi sono scarsi controlli sulla sicurezza e sui diritti dei
lavoratori.
Per arrivare al settore pubblico dove l’ultimo
concorso è del 2009 e si tenne presso Ospedale Galliera e dove decine di OSS
sono in graduatoria, attendendo un posto di lavoro da quasi dieci anni.
Chiediamo alla Regione l’assunzione degli OSS rimasti
in graduatoria del concorso del Galliera e un serio piano di assunzioni
affinché anche i corsi per l’ottenimento della qualifica OSS non diventino un
mero strumento economico per gli enti accreditati che li gestiscono ma abbiano
una funzione di offerta di lavoro.
Genova, 29/05/17
Coordinamento USB Sanità Liguria
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From: PCARC
News pcarc_news@riseup.net
To:
Sent: Tuesday, May 30, 2017 5:47 PM
Subject: BERGAMO: LICENZIATA DURANTE LA MATERNITA’,
GLI OPERAI SCIOPERANO IN SOLIDARIETA’
Rilanciamo l’articolo apparso ieri su Il Manifesto, in
cui si racconta che a Grassobbio vicino Bergamo, la solidarietà di classe si è
espressa con uno sciopero per un’operaia licenziata dalla sua azienda, al
rientro dalla maternità. L’oppressione di classe e di genere ancora si
intrecciano e ci raccontano di come essere operaia e donna nel capitalismo è
una doppia condanna. La doppia oppressione che le donne della classe operaia e
delle masse popolari subiranno fino a quando esisterà il capitalismo, troverà
soluzione solo con la distruzione di questo sistema sociale e modo di
produzione. Le donne delle masse popolari per liberarsi devono gettarsi senza
riserve nella lotta di classe, è solo lì che troveranno quella solidarietà e
quel protagonismo di cui hanno bisogno per liberarsi dalla prepotenza e la
barbarie machista e maschilista che il capitalismo impone.
* * *
NEOMAMMA LICENZIATA: TUTTI IN SCIOPERO
Grassobbio (BG).
In solidarietà con la collega, la trentenne appena
rientrata dalla maternità, incrociano le braccia i 230 dipendenti della
Reggiani Macchine rispondendo all’appello di FIM e FIOM.
A 30 anni, appena diventata mamma, torna in fabbrica
ma non trova più il suo posto di lavoro. Licenziata. Per quelle come lei,
nessun Family Day. Per fortuna la solidarietà e la consapevolezza che i diritti
non sono indivisibili e che solo uniti li si può tutelare (per tutti) hanno
ispirato i colleghi della donna che hanno incrociato immediatamente le braccia.
E’ successo nel bergamasco. A darne notizia ieri sono
statigli stessi sindacati a fianco ai quali si sono schierati i lavoratori:
“Tutti in sciopero, immediato e all’improvviso. I 230 dipendenti della Reggiani
Macchine di Grassobbio sono davanti ai cancelli per protestare contro il
licenziamento di una collega e sostenere la trattativa che FIM CISL e FIOM CGIL
stanno intrattenendo con l’azienda, da meno di 18 mesi assorbita dal gruppo
americano EFI e specializzata nella produzione di macchinari per la stampa”.
L’azienda (riferiscono i sindacati) si difende
sostenendo che il licenziamento della “donna di 30 anni, da poco rientrata
dalla maternità” è avvenuto “per giustificato motivo oggettivo e soppressione
della mansione”. Ma FIM CISL e FIOM CGIL, spiegano in una nota che “i
lavoratori sono preoccupati soprattutto dalle modalità e dalle relazioni
sindacali che la proprietà ha adottato da qualche tempo, e chiedono il ritiro
del licenziamento e il ripristino di un sistema di relazioni corrette”. Sembra
infatti che la neomamma sarebbe stata licenziata per una riorganizzazione degli
uffici non comunicata ai rappresentanti sindacali. La stessa proprietà avrebbe
ammesso, secondo fonti sindacali, di non essere in crisi, e di aver assunto
altro personale negli ultimi giorni.
“Bisognerà approfondire ciò che è successo”, ma se
così sono andate le cose, commenta Titti Di Salvo, vicepresidente dei deputati
del PD, si tratta di “un fatto grave”. Ma il gesto di solidarietà dei colleghi,
aggiunge, “è uno straordinario segnale”. “E’ questa la via per sconfiggere le
ingiustizie e l’arroganza che è spesso dietro alle scelte pagate dai lavoratori
e soprattutto dalle lavoratrici. Da Bergamo arriva una lezione di futuro”.
20 maggio 2017
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From: PCARC News pcarc_news@riseup.net
To:
Sent: Tuesday, May 30, 2017 5:47 PM
Subject: PONTEDERA: LA CLASSE OPERAIA ESISTE E SI
ORGANIZZA PER RIPRENDERSI IL MALTOLTO!
Riportiamo di seguito le ultime pubblicazioni de “Il
Manifestino” degli operai Piaggio. Un esempio positivo di rilancio
dell’assemblea del 24 gennaio a Firenze, partecipata da numerosi operai e RSU
di alcune delle più importanti aziende del Paese. Un esempio positivo, inoltre,
di organizzazione e coordinamento tra tutti quegli operai che vogliono
respingere l’attuazione dell’infame CCNL firmato a dicembre 2016, ennesimo
attacco ai diritti dei lavoratori.
Organizzarsi e coordinarsi, occuparsi delle aziende,
legarsi alla resistenza e alla mobilitazione che ogni operaio e ogni elemento
delle masse popolari oppone al procedere della crisi e agli attacchi dei
padroni!
***
PROPOSTA DI DELEGATI E LAVORATORI PIAGGIO E
CONTINENTAL
Per il suo spirito e per le ragioni della
partecipazione, l’assemblea del 24 gennaio a Firenze ci è sembrata un momento
importante di consolidamento delle esperienze e di possibile svolta nella
battaglia per uscire da una situazione di passività e di sconfitta dei
lavoratori.
La prima Assemblea, del 6 dicembre, era stata in
sostanza una riunione di promotori, in vista dell’opposizione nel Referendum
sul nuovo Contratto, ma l’ampia partecipazione del 24 gennaio ci sembra
riflettere l’esistenza e il riconoscimento di un problema permanente, di
collocazione di militanti che non concepiscono altra attività che non sia la
difesa coerente degli interessi di classe.
Quello che più ci ha colpito dell’Assemblea, nei
singoli interventi come nell’aria che si respirava, è stato l’atteggiamento di
indipendenza, libertà e coraggio, di chi si trova ad affrontare questioni
reali, complesse e ineludibili con la propria esperienza, i propri strumenti e
con la coscienza che non esistono soluzioni precostituite. Un clima perciò ben
diverso da quello di riunioni rituali e ripetitive, che hanno spesso
contrassegnato la vita anche delle aree di opposizione sindacale.
E infatti, chi ha partecipato all’Assemblea non lo ha
fatto per costituire una nuova corrente sindacale, ma per esprimere una
condizione di militanza, difficoltà e tensione e ritrovare un’identità
nell’incontrare e confrontarsi con chi condivide le stesse condizioni e gli
stessi obiettivi. Un bisogno che sta raccogliendo militanti attivi da anni, con
storie ed esperienze anche diverse, accomunati oggi dal problema della
ricostruzione delle ragioni e della possibilità stessa della propria militanza.
Quello che ha mosso alla partecipazione è un processo
in corso da tempo, di chiusura degli spazi da parte delle strutture sindacali,
molto accelerato, ma non certo concluso dalla firma del Contratto Nazionale,
che spingerà ancora altri militanti ad avvicinarsi e ragionare sulle
prospettive comuni.
Molti di noi non si sono mai incontrati prima e
continuiamo a sentire innanzitutto la necessità di un ambiente di discussione e
di scambio di esperienze. Ma crediamo che si possa andare anche oltre e
iniziare ad affrontare insieme il problema delle prospettive di una attività
coerente e unitaria e del suo programma a difesa degli interessi della classe
lavoratrice.
Già nell’assemblea di Firenze avevamo concordato di
rivederci e riteniamo che Assemblee periodiche siano il modo migliore per
continuare questo lavoro di confronto. Nell’immediato per:
approfondire lo scambio sulle realtà dei posti di
lavoro;
condividere i problemi che sorgono dall’applicazione
del Contratto Nazionale, e provare a definire delle linee di azione e di
contrasto comuni;
rappresentare pubblicamente l’esistenza di questa
iniziativa, sia per dar forza ai militanti nei propri posti di lavoro, sia per
raccogliere altre forze;
mostrare, a chi cercherà di fermare il nostro lavoro,
un fronte coeso a difesa di ciascun compagno e ciascun gruppo di fabbrica.
Riteniamo che la cosa più utile sarebbero Assemblee in
luoghi diversi, possibilmente in prossimità di grandi fabbriche e di
concentrazioni operaie.
Poiché da alcuni anni a Pontedera ricordiamo con una
“Festa Operaia” lo sciopero storico del 1962 alla Piaggio, durato 75 giorni,
proponiamo di tenere la prossima Assemblea a Pontedera il 9 Giugno prossimo in
una sala di fronte allo stabilimento Piaggio.
Delegati e Lavoratori Piaggio e Continental
* * * * *
SPAZIO DI OPPOSIZIONE: IL SEMINARIO E LE SUE FOTO
Venerdì 19 e sabato 20 maggio, a Rimini, si è tenuto a
Rimini “Spazio di Opposizione: verso il congresso, per un’altra linea
contrattuale”, il seminario nazionale del “Sindacato Altra Cosa – Opposizione
CGIL”.
Il primo giorno ci siamo dedicati alla recente
stagione contrattuale.
Al mattino in plenaria con una introduzione generale
di Eliana Como, a cui sono seguite diverse comunicazioni: sulle pensioni di
Achille Zasso, sul CCNL del Pubblico impiego di Aurelio Macciò, su quello delle
Telecomunicazioni di Luca Barbuto, su quello degli assicurativi di Aljosha
Stramazzo, su quello del commercio-terziario di Savina Ragno e infine su quello
dei chimici di Giuseppe Stoppini.
Al pomeriggio con 4 gruppi di lavoro in parallelo, su
welfare e sanità pubblica (introduzione di Mario Iavazzi), salario e reddito
(introduzione di Luca Scacchi), orario e organizzazione del lavoro
(introduzione di Dario Salvetti), pensioni (introduzione di Ugo Lucignano), a
cui è seguita una breve discussione conclusiva in plenaria (con l’illustrazione
dei lavori svolti nei gruppi di lavoro).
Il secondo giorno al prossimo congresso della CGIL e
alla nostra prospettiva di intervento, con una discussione tutta in plenaria.
Sono intervenuti 28 compagni e compagne, oltre
l’introduzione e breve replica di Eliana Como (FIOM): Riccardo Antonini di
Viareggio (FILT/SPI), Carlo Carelli di Lodi (FILCTEM), Massimo della Giovanna
di Genova (SLC), Massimiliano Dancelli di Cremona (FIOM), Massimo Demin di
Treviso (FP), Francesco Doro di Padova (FIOM), Francesco Durante di Pescara
(FISAC), Delia Fratucelli di Torino (SLC), “Harper” Franzoso (SPI Torino),
Andrea Furlan di Roma (FILCAMS), Alberto Giorgi di Lucca (SPI), Cristian Goglio
di Torino (FLC), Paolo Grassi di Milano (NIDIL), Simone Grisa di Bergamo
(FIOM), Franco Grisolia di Milano (FISAC), Mario Iavazzi di Bologna (FP),
Francesco Locantore di Roma (FLC), Alberto Madoglio di Cremona (FISAC),
Gianbattista Mineni di Padova (SPI), Matteo Moretti di Firenze (FIOM), Lorenzo
Mortara di Vercelli (FIOM), Renato Pomari della Brianza (FIOM), Rossano
Rubicondi di Perugia (CGIL), Luca Scacchi della Valle d’Aosta (FLC), Beppe
Severgnini di Bergamo (SPI), Nando Simeone di Roma (FILCAMS), Gennaro Spigola
di Roma (SPI), Giuseppe Stoppini di Lodi (FILCTEM).
* * * * *
GRUPPO PIAGGIO: INIZIA IL PERCORSO PER DEFINIRE LA
PIATTAFORMA PER IL RINNOVO DEL CONTRATTO AZIENDALE
Nella giornata di oggi a Pontedera si è svolto il
coordinamento nazionale delle RSU FIM, FIOM. UILM del gruppo Piaggio degli
stabilimenti italiani con la presenza delle segreterie nazionali.
Al centro del confronto le prospettive industriali e
occupazionali degli stabilimenti italiani e le tematiche che saranno oggetto
delle richieste per il rinnovo del contratto aziendale che verranno presentate
alla direzione del Gruppo.
Il coordinamento delle RSU, dopo un ampio dibattito,
ha dato mandato alle segreterie nazionali di FIM, FIOM, UILM di fare una
sintesi unitaria delle posizioni che sono state discusse e che nei prossimi
giorni verranno elaborate dalle RSU e dalle organizzazioni sindacali
territoriali.
Verrà poi predisposta una proposta complessiva che
sarà presentata nelle assemblee degli stabilimenti per ricevere un ulteriore
contributo da parte dei lavoratori del Gruppo.
L’obiettivo è di definire la piattaforma per il
rinnovo del contratto aziendale e completare il relativo percorso democratico
di approvazione entro il mese di giugno 2017.
Approvato con 26 favorevoli e 5 contrari.
Pontedera, 11 maggio 2017
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From: Muglia la furia noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent:
Wednesday, May 31, 2017 5:28 PM
Subject:
CUORE D’AMIANTO
E’ pesante il mio cuore, di pietre il mio pianto,
ma è per questo che canto.
Canto per gli angeli in catene.
Per la rabbia che mi scava nelle vene.
Per quell’antico piazzale bianco come neve…
Canto di ortiche e spine,
con l’alba che ogni volta ancora mi spalanca abissi
sugli abbracci che a volte non ti diedi e le parole,
che per pudore non ti dissi.
Canto per ogni coltello di pietra,
che sta piantato tra i cipressi al camposanto,
per quel grido di sangue che travolge il sole
e che tanto vorrei per sempre coprir di rose e viole.
Canto il mio disprezzo a Pilato,
al ciarlatano e al gran ciambellano,
ai carri di sabbia e maschere di cera,
a tutto il loro affanno per negar la verità più vera!
Canto alla faccia di quelli che “Il padrone era una
brava persona”
Ai Giuda che il re dell’amianto vogliono presto fare
santo!
Canto e mi sento bruciare: Padrone mio, come ti senti?
Ho perduto mio padre!
E verità la griderò comunque ai quattro venti…
Canto come pioggia di sale,
che deve fare male,
come i trentadue anni di falsità
per cui mi sento oggi soffocare…
Canto perché vi amo:
padre mio, madre mia, figlio mio, fratello mio…
Tutta la notte ho dormito con voi,
arrampicato nel mare oscuro del vostro dolore,
supplicando forte che almeno dal Cielo cadesse un
fiore.
Canto con gli uragani furiosi
dei vostri occhi sgomenti nei miei occhi
stanchi e di lacrime corrosi.
Canto e mi sento come bruciare.
“Padrone” come ti senti?
Triste landa d’ ortiche potrai mai immaginare le
nostre fatiche?
Canto vendetta senza anestesia,
per tutte le vite spezzate senza alcuna cortesia,
visto che dal “56” dei rischi lo sapeva il mondo
intero,
perché mai la protezione era pari a zero?
Canto e mi sento bruciare, ma io so come testimoniare!
Padrone mio, come ti senti?
Lo sai che la verità arriverà comunque, anche se a passi
lenti?
Canto al re che fa rullare i suoi tamburi,
perché ha paura di ascoltare
che alla Cemental la morte è stata un grande affare,
Canto che sia resa giustizia agli agnelli immolati,
perché Cristo stesso lo dice: bisogna dar da bere agli
assetati.
O sarà meglio per i giudici che non fossero mai nati.
DEDICATA ALLE VITTIME DELLA CEMENTAL DI CORREGGIO
Maria Petronio
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