lunedì 25 settembre 2017

24 settembre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 24/08/17



Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
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INDICE
Federico Giusti giustifederico@libero.it
STORIE DI SOPRAFFAZIONE DEI PIU’ DEBOLI

Luca Nanfria USB l.nanfria@usb.it
RICHIESTA AL CARDINAL BAGNASCO
Posta Resistenze posta@resistenze.org
MORTI DI LAVORO: L’ESEMPIO PERFETTO
AUMENTANO GLI OMICIDI SUL LAVORO
NO AI LICENZIAMENTI PER IL PROFITTO
IL “PARADISO” SINDACALE DELLA LUXOTTICA
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
DOVE VA LA CLASSE OPERAIA STATUNITENSE? DOVE VANNO I LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO?
Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
RICHIESTA DI SOLIDARIETA’ AL “POPOLO DEGLI ULIVI” DEL SALENTO
Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
VOLANTINO DIFFUSO L’11 SETTEMBRE AL TRIBUNALE DI FIRENZE
MILANO, INCIDENTE SUL LAVORO NEL DEPOSITO DI TRENITALIA: SALVATO DAI COLLEGHI
USB Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
COMUNICATO USB SANITA’ LIGURIA SU TULLIO ROSSI
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
L’UNICA CERTEZZA E’ CHE SIAMO PIU PRECARI
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
ABD ELSALAM, LAVORATORE
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From: Federico Giusti giustifederico@libero.it
To:
Sent: Tuesday, September 05, 2017 1:18 PM
Subject: STORIE DI SOPRAFFAZIONE DEI PIU’ DEBOLI
Dopo la pausa estiva arrivano licenziamenti e demansionamenti, lettere di richiamo…
Manteniamo il riserbo sulla identità dei protagonisti (loro malgrado) e dei datori di lavoro per evitare ai primi ulteriori ritorsioni.
Raccontiamo le loro storie usando nomi di fantasia, tacendo sui luoghi di lavoro, ma assicurando sulla veridicità delle testimonianze.
L’obiettivo è rompere la gabbia dentro cui vengono occultati prepotenze, soprusi, ingiustizie, occorre farlo in fretta e tutti insieme prima che sia troppo tardi
GIUSEPPA
Ho 55 anni, lavoro, anzi lavoravo, da 13 anni in uno studio. Ho avuto compiti di responsabilità in più uffici, poi le circostanze della vita (un marito da anni in condizioni di salute precarie e bisognoso di continue e costose cure, debiti di famiglia scaricati sulle mie esigue spalle, ecc.) mi hanno costretta ad accettare impieghi poco gratificanti sotto il profilo professionale. Meglio un impiego sicuro, ma vicino a casa quando hai familiari non autosufficienti.
Per anni sono stata vittima di continue pressioni, apprezzamenti negativi, mi si contestava anche il modo di vestire, nessun ringraziamento per le ore in più trascorse in ufficio, ma lettere di richiamo per ritardi di 10 minuti.
“Non sei più giovane e di piacevole aspetto per questo vieni licenziata, al tuo posto arriverà una stagista di 20 anni sottopagata e ignara dei suoi diritti”. Ovviamente la cause del licenziamento sono altre, trovi una lettera sulla scrivania che parla di riduzione del personale e di processi di ristrutturazione, di crisi aziendale. Nessuno verificherà la esistenza di questa crisi, nessuno vorrà toccare con mano i processi riorganizzativi, ai padroni si crede solo sulla parola e lo stato deve essere solo l’erogatore degli ammortizzatori sociali. Peccato che a giugno abbia prenotato una vacanza per i padroni da 10.000 euro a testa: non si spendono quelle cifre per 21 giorni quando sei messo male.
Anni vissuti ai margini dell’ufficio, relegata in una stanzetta angusta. Mobbing? E chi è disposto a mettersi contro i datori di lavoro per testimoniare? Le colleghe hanno paura, sperano che la stessa sorte non capiti a loro, è solo questioni di tempo, ma sperimenteranno sulla loro pelle il trattamento umiliante riservatomi.
La mortalità negli uffici è elevata, un ricambio continuo di personale nonostante la carenza delle offerte lavorative. Ti fanno pressione su tutto, vogliono che tu sia a immagine e somiglianza del datore di lavoro, devi dire sempre si, scambiare salario, indennità e maggiorazioni con semplici recuperi.
Il sindacato? Non esiste, arriva il consulente aziendale con qualche sindacalista di sigle autonome, e non solo, disposte ad accettare ogni intesa, anzi sono questi signori a dirti di ridurre l’orario di lavoro, a sottoscrivere un contratto ex novo con clausole sempre più flessibili “per non perdere il posto o farlo perdere alle colleghe”. Un ricatto basato sull’ignoranza, sulla non conoscenza dei nostri diritti per altro ridotti ai minimi termini.
Appena esprimi una opinione conflittuale con la azienda diventi un esubero, la forza lavoro è sempre più ricattabile con la Fornero e il Jobs Act,
Hanno organizzato l’ufficio per dividerci, i nostri salari e gli stessi orari sono diversificati, le pause pranzo variano tra le 12.30 e le 14. Con alcune hanno provato, con successo, la strada della riduzione oraria; 12/14 ore settimanali, soprattutto se abiti lontano, non vivi. Insomma spendi quasi tutta la retribuzione per il viaggio per non parlare poi delle spese per il vestiario (impongono un certo look senza prevedere una voce retributiva di parziale compensazione visto che la divisa aziendale non esiste).
Al ritorno dalle vacanze (trascorse a casa visto che i soldi non ci sono) la lettera di licenziamento, non bastavano anni di vessazioni ora arriva anche l’umiliazione del licenziamento. Io lavoro dall’età di 19 anni, non pensavo di meritare questo trattamento.
ANTONIO
52 anni, un’età critica soprattutto se lavori in un magazzino. Ho una lunga esperienza nel settore, ma vengo considerato vecchio. La mia azienda ha subito in 15 anni 3 cessioni di appalto, il padrone è cambiato e ogni volta si azzerava malattia, anzianità perché firmavamo un contratto nuovo, nessuna continuità con il passato.
15 anni fa potevo dirmi fortunato, oggi no, sono in preda a continue paure e a un’ansia opprimente.
Da autista delle bisarche sono stato demansionato ad aiuto meccanico, poi relegato a fare le pulizie.
Demansionamenti silenziosi, l’azienda dismette il camion e vieni consigliato di accettare un lavoro che non padroneggi, poi, senza formazione e con la tecnologia che avanza, scopri di non essere più adeguato alla nuova mansione. Ho fatto di tutto, seguito perfino corsi via web di aggiornamento, ma alla fine, sempre per scongiurare il licenziamento, vengo invitato ad accettare nuove mansioni, di pulizia e di sorveglianza notturna, qualche consegna diurna con un mezzo vecchio e senza revisione.
Risultato? Lavoro oltre 10 ore al giorno, orario spezzato e una tantum al posto delle maggiorazioni festive e notturne. Il mio contratto è part time al 75%, includendo la indennità onnicomprensiva arrivo a 1.100 euro, poi 150 al nero, ma non tutti i mesi.
So già che torneranno alla carica, a un collega hanno imposto il contratto di collaborazione e alla fine il salario mensile scende a 1.000 euro con il rischio di perdere patente e lavoro in caso di incidente.
YOUSEF
20 anni, rifugiato politico dall’Africa, lo traduciamo dal francese, il suo italiano è ancora approssimativo.
Lavoro al nero, nei campi a 3 euro all’ora. La mattina usciamo dal centro di accoglienza alle 5 e, a piedi o in bici arriviamo in un posto dove tutti sanno che si raccolgono migranti in attesa dei caporali.
Il caporalato esiste in Toscana? Piu’ di quanto crediate.
Vorrei andare in Germania o in Francia, ma da 13 mesi sono fermo qui. Vengo invitato a svolgere lavori gratuiti per conto di associazioni e enti locali, dieci ore con un panino e una bottiglietta d’acqua. A quel punto è preferibile la paga in nero, 15/20 euro per pagarti una ricarica telefonica e a fine mese un jeans e una felpa. Siamo complici della malavita come ci hanno detto alcuni cittadini?
Noi siamo vittime di guerre e di oppressione, abbiamo conosciuto la malavita che specula sull’immigrazione.
Ma chi alimenta il lavoro gratuito senza offrirci una alternativa dignitosa e credibile? Chi se la prende con i venditori abusivi e i lavoratori al nero è con la coscienza a posto?
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From: Luca Nanfria USB l.nanfria@usb.it
To:
Sent: Thursday, September 07, 2017 9:10 PM
Subject: RICHIESTA AL CARDINAL BAGNASCO
Questa è la richiesta che lo scrittore Carlo Martigli ha pubblicato sul quotidiano La Repubblica il 06/09/17
UNA RICHIESTA AL CARDINAL BAGNASCO
di Carlo Martigli
La lettera aperta al Cardinal Tarcisio Bertone, perché aprisse i dossier sulla “rat line” (quella che consentì a tanti criminali nazisti di fuggire in Sud America passando da Genova) è rimasta inascoltata.
Provo con Sua Eccellenza Eminentissima e Reverendissima (evidente la “captatio benevolentiae”) il Cardinale Angelo Bagnasco, più giovane del predecessore.
Non solo arcivescovo di Genova ma anche già presidente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), quella che, tra l’altro, gestisce l’8x1.000, vice presidente dei vescovi d’Europa e anche Generale del corpo d’armata dell’esercito italiano (ex Legge 512/61), Presidente, tra l’altro, di un fiore all’occhiello della Sanità italiana e genovese l’Ospedale Galliera.
CARO BAGNASCO, UNA PAROLA SUL SINDACALISTA DEL GALLIERA
Per i principi dell’Ente Galliera (riporto dallo Statuto) ci si deve ispirare “al comune senso di condivisione e di solidarietà e ai principi evangelici dell’uomo come immagine di Dio e della Carità cristiana”. Parole sante, verrebbe da dire.
Ma allora, proprio per tale ispirazione, mi chiedo, perché, Eminentissimo e Reverendissimo, accanirsi contro un dipendente che su Facebook ha avuto l’ardire di criticarla per la nota vicenda dei microchip dentro le divise?
Non so come finirà questa vicenda, ma so come è incominciata: la persona in questione rischia il licenziamento.
Magari Lei, come principe della Chiesa, con tanto di scorta non sa nulla di questa vicenda.
L’avviso quindi che dei suoi vassalli, valvassori e valvassini, a fronte di tale lesa maestà, sono intervenuti.
Intervenga Lei, Eminenza (anche grigia, Lei tra coloro che pensano), e faccia smettere questa caccia all’untore, che non ha fatto altro che esprimere, a suo modo, questo che pensano il 98% dei 1808 dipendenti dell’ente da Lei presieduto.
Diciamocela francamente, a viso aperto: Lei un uomo di potere, che non è un’offesa, ma una constatazione. Il potere è bello. In Sicilia c’è un proverbio (forse di stampo mafioso) che asserisce come “cumannari è megghiu ca futtiri”. Nessuna volgarità: futtiri deriva dal latino fuetere, di evidente significato, usato anche da Catullo.
Quindi il potere è bello, forte, e concede quel brivido piacevole nell’usarlo, non è vero?
Usarlo, senza abusarne, però. Come dice (altra citazione) il maestro Franco Battiato nell’indimenticabile Bandiera Bianca: “com’è misera la vita negli abusi di potere”. E non vorremmo mai pensare che un uomo di così alta levatura lasci i suoi sottoposti, subalterni, sub comunque (nel senso di sotto, oggi il latino imperat) lo usino a sproposito.
Lei, come il deandreaiano Don Raffaé, può tutto: “voi vi basta una mossa una voce c’ha ‘sto Cristo ci levano ‘a croce”.
Ecco, usi bene il suo potere, levi ‘a croce al suo dipendente. E io farò pubblica ammenda di queste poche e scherzose, ma serie, parole.
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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Friday, September 08, 2017 7:42 AM
Subject: MORTI DI LAVORO: L’ESEMPIO PERFETTO
Di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa Proletaria “Tagarelli” via Magenta 88, Sesto San Giovanni (MI)
01/08/17
I FATTI
Il 18 giugno 2013 Khaled Farouk Abd Elhamid, un giovane operaio di 34 anni, moriva mentre smontava il palco del concerto appena dato dai Kiss al Forum di Assago (Milano). Khaled era rimasto schiacciato tra la parete del montacarichi e uno dei 6 pesanti carrelli con ruote che vi stava caricando.
Quasi 4 anni dopo il Tribunale di Milano (sempre “celere” quando si tratta di morti sul o di lavoro) ha emesso la sua sentenza, su cui torneremo tra poco.
Per emettere la sentenza, il Tribunale ha dovuto ripercorrere una lunga catena, quella degli appalti. Facciamolo anche noi. Prima di tutto abbiamo: (1) la società americana dei Kiss, la Gapp 2002, partecipe all’organizzazione, che però per l’allestimento del palco aveva stipulato un contratto con (2) la Barley Arts Promotion la quale, per l’allestimento del palco, aveva firmato un contratto con la (3) Cooperativa Working Crew che, a sua volta, per la “somministrazione” di altri operai aveva fatto un contratto con (4) la Cooperativa Work in Progress. Tranquilli... l’elenco è finito.
Le condizioni in cui dovevano lavorare quella sera Khaled e gli altri tre suoi compagni erano le seguenti: “gli era stato consegnato un braccialetto giallo ed erano state impartite direttive da un uomo alto e tatuato. Nessuna formazione e informazione relativa ai rischi”. Uno dei suoi compagni di lavoro le ha poi descritte così durante il dibattimento: “Non conosco la sede della cooperativa, non ci sono mai stato, non ho mai parlato con nessuno. Un amico mi telefona quando c’è qualche lavoro da fare, mi dice dove andare e dopo un po’ di tempo che ho lavorato mi fa avere i soldi”.
LE COLPE
Attribuire responsabilità alla (1) Gapp 2002 è impossibile per il tribunale: “l’inquadramento della società, (di diritto straniero) si rivela in concreto molto problematica all’interno della normativa di riferimento” Quindi... assolti.
Per quello che riguarda la (2) Barley Arts Promotion: poiché si sono rivolti a imprese e professionisti in teoria adeguati e dato che nel 2014 il Ministero del Lavoro ha modificato una norma del 2008 emanando il cosiddetto “Decreto palchi” che “ha inciso sui contenuti minimi del Piano operativo di sicurezza e ne ha ridotto l’estensione” traducendosi in una “parziale depenalizzazione di fatto” della mancata valutazione del rischio tipico nell’utilizzo del montacarichi, la società va... assolta.
La (4) Work in Progress forniva personale che operava “sotto l’esclusiva responsabilità, controllo e direzione di Working Crew”. Di conseguenza... assolta.
Gli unici a pagare saranno quelli della (3) Working Crew, i cui amministratori (uno patteggia 22 mesi e l’altra condannata a 9 mesi) vengono inoltre condannati per “illecito amministrativo” alla sanzione di 90.300 euro per “aver usufruito di una somministrazione irregolare di lavoro”.
Pensiero: la vita di un operaio vale 22 mesi (virtuali??) di galera ma un illecito amministrativo è ben più importante.
Non manca, infine, perché il tribunale è al di sopra delle parti (come ben sappiamo) una critica alla condotta di Khaled, che purtroppo, però, non può più replicare: “la sua condotta è stata certamente imprudente proprio per l’esiguità dello spazio libero nel montacarichi”, anche se questa “condotta imprudente rappresenta la conseguenza diretta della mancata formazione”. Ma va’, avevamo proprio bisogno di questa precisazione!!!
Abbiamo scelto di ricordare, nonostante il tempo passato, la storia di Khaled perché è un “esempio perfetto” di quello che è oggi il lavoro salariato. Bene, la vicenda di Khaled non è solo sua, è quella di migliaia e migliaia di altri lavoratori. Lo chiamano “lavoro nero” e ogni volta che scoppia un caso eclatante si tornano a spandere fiumi di inchiostro. Ma quando questi casi arrivano in un Tribunale dello Stato, scopriamo che ci sono una miriade di leggi che concedono la totale impunità ai capitalisti che fanno le loro fortune su questo “lavoro nero”(oltre che su quello regolare): tanto per cominciare non si può processare una società a capitale straniero... con buona pace di quelle frattaglie ideologiche come l’italianità, lo Stato, la Patria, ecc..
Qualcuno pensa ancora che cose come quella successa a Khaled riguardino “solo” una categoria debolissima (super sfruttata e super ricattata) come gli immigrati. Ma ogni volta che si è scardinato un diritto si è sempre partiti dalle categorie “deboli” per arrivare a quelle cosiddette più “forti”. Pensiamo all’allungamento dell’età pensionabile, inflitto per primo ai lavoratori statali (secondo l’opinione pubblica noti fannulloni): adesso tutti andiamo in pensione (se ce la facciamo) a 67 anni. E questo è solo un esempio.
E’ vero che in Italia ci sono ancora leggi e contratti collettivi, ma questi valgono però poco più della carta su cui sono scritti. Il Job Act ha messo definitivamente fine al lavoro “dipendente” per trasformare ogni lavoratore in un precario. Il nostro futuro è il presente di Khaled: qualcuno ci telefonerà e ci dirà dove dobbiamo andare a lavorare poche ore dopo.
Qualcuno dirà che se manca il lavoro non si può fare altro che sottostare alle condizioni più infami. Non è vero, quello che manca è un forte e organizzato movimento operaio, l’unica condizione che può contrastare non la mancanza del lavoro (che non manca), ma l’avidità cieca e senza più alcun freno dei capitalisti. Nessun altro miracoloso marchingegno economico può farlo. Un movimento che, nella storia, ha permesso alle classi sfruttate e oppresse di “strappare” condizioni di vita e di lavoro più umane. Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che non è più sufficiente “strappare”, perché appena il movimento si indebolisce le conquiste di anni e anni di lotte vengono, più o meno immediatamente, cancellate per essere sostituite da un’unica disumana regola, quella del massimo profitto per i capitalisti.
E questo presuppone l’esistenza di un partito di classe, di un sindacato di classe e la prospettiva di un mondo completamente diverso, che noi continuiamo a chiamare socialismo e per cui continuiamo a lavorare e a batterci.
Ad ognuno di noi è capitato di sentire, o di ripetere, la famosa frase di Rosa Luxemburg “Socialismo o barbarie”. La morte di Khaled, e delle migliaia di lavoratori che come lui muoiono ogni anno, ci dice che alla barbarie ci siamo già. Ma non siamo ancora al punto di non ritorno, possiamo ancora invertire la rotta. Che ognuno di noi lavori per questo.
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To:
Sent: Monday, September 11, 2017 9:49 AM
Subject: AUMENTANO GLI OMICIDI SUL LAVORO
Gli operai continuano a morire in fabbrica come mosche, schiacciati dalle presse e da macchinari, precipitati da ponteggi senza dispositivi di protezione, folgorati dalla corrente elettrica.
L’arida contabilità degli omicidi rivela di che sangue e di che lacrime grondi la “ripresina” economica annunciata dal governo.
Secondo i dati INAIL, nei primi sette mesi di quest’anno sono aumentati gli incidenti e i morti sul lavoro: il numero ha raggiunto quota 591, Ventinove in più rispetto l’analogo periodo del 2016.
Le morti sul lavoro non sono mai una “fatalità”, come ripetono i padroni e i loro giornali. Hanno precise cause di classe.
Più sfruttamento, maggiore intensità del lavoro, turni massacranti, ritmi infernali, abolizione delle pause, ricatti su ricatti, minacce su minacce, stress continuo, lavoro insicuro e precario: e cosa c’è dietro l’aumento dei morti, dei feriti, dei malati causati dal lavoro salariato. Altro che la disattenzione degli operai!
Le leggi servono a poco o a niente se non c’è la resistenza e la lotta proletaria contro il sistema che produce inevitabilmente gli omicidi sul lavoro per ottenere il massimo profitto, per un nuovo sistema basato sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
Ricordiamocelo quando agiamo in fabbrica e fuori per limitare le conseguenze dello sfruttamento padronale, per limitare gli assassinii e gli infortuni sul lavoro.
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To:
Sent: Monday, September 11, 2017 9:49 AM
Subject: NO AI LICENZIAMENTI PER IL PROFITTO
Esprimiamo piena solidarietà agli operai della COMITAL di Volpiano (TO), dal 31 luglio in presidio davanti ai cancelli, per lottare contro la decisione di chiusura dell’azienda e l’avvio dei licenziamenti collettivi (138 lavoratori). decisi dalla proprietà francese.
Lo scorso 23 agosto ci sono stati degli scontri. Alcuni camion, che servivano per portare via i macchinari, hanno cercato di forzare il blocco degli operai. I carabinieri hanno caricato il presidio e due operai sono dovuti ricorrere alle cure mediche. Ecco la legge del profitto padronale.
Il segretario della FIOM provinciale, invece di chiamare alla lotta le fabbriche e il territorio, si è limitato a mantenere il presidio operaio isolato e senza prospettive, chiedendo “l’intervento urgente delle istituzioni”, che se ne lavano le mani.
Contro i licenziamenti per i profitti e “di borsa” che colpiscono migliaia di operai ci vuole la lotta dura e unitaria.
Occorre alzare il livello dello scontro, fino all’occupazione delle fabbriche, con il sostegno degli altri lavoratori e delle realtà di lotta locali e nazionali.
Occorre l’unificazione delle vertenze con la costruzione del fronte unico proletario, esigendo la soluzione dei problemi urgenti e immediati della classe operaia. Basta con i licenziamenti per i profitti!
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To:
Sent: Monday, September 11, 2017 9:49 AM
Subject: IL “PARADISO” SINDACALE DELLA LUXOTTICA
Un elemento tipico dei rinnovi contrattuali è l’introduzione del cosiddetto welfare integrativo o aziendale.
Lo scorso aprile abbiamo già affrontato tale tema, mettendone in evidenza le sue caratteristiche generali e denunciando la linea seguita dai vertici sindacali.
Vediamo ora un esempio di applicazione “modello” di welfare aziendale: quello alla Luxottica, strombazzato come esempio positivo dal Corriere della Sera. Lo facciamo con l’aiuto di una corrispondenza pervenutaci da una delegata sindacale, che ringraziamo.
Il welfare aziendale alla Luxottica ha una lunga storia, a partire dall’accordo del 2009, ampiamente strombazzato e magnificato dai bonzi sindacali.
Nel maggio 2017 i segretari territoriali di categoria CGIL, CISL,UIL hanno firmato un altro accordo.
La multinazionale ha infatti realizzato alti profitti e può permettersi di distribuire le briciole sotto forma di “welfare” per fidelizzare la forza-lavoro più specializzata e indispensabile al processo di produzione, cercando in tal modo di scongiurare i colpi della concorrenza di capitalisti rivali.
La grande crisi del 2008 ha infatti aumentato la rivalità fra aziende che operano nelle stesse branche produttive, che operano in un mercato sempre più saturo.
E’ questo il vero motivo per cui i capitalisti chiedono ai burocrati sindacali confederali di esercitare ogni pressione sulle rappresentanze operaie di fabbrica e sugli stessi lavoratori, per farne dei propagandisti del sogno di ottenere senza scontri e senza lotte la difesa del valore del salario e il suo aumento.
L’accordo, fortemente voluto da padron Del Vecchio, permette all’impresa, al posto del tipico salario aggiuntivo dato dal “premio di risultato”, di risparmiare il 30% su ogni premio erogato sotto forma di beni e servizi, e al lavoratore di non versare tasse e contributi con un “apparente” risparmio di quasi il 20%, beneficiando inoltre di un contributo aziendale aggiuntivo del 10%. Un esempio “virtuoso”, che padroni, governo e sindacati collaborazionisti intendono estendere in altre fabbriche.
In seguito, la “generosità” del padrone (il secondo uomo più ricco d’Italia con un patrimonio di circa 18 miliardi di dollari) è arrivata a produrre i “bonus vita” (contributo agli eredi in caso di decesso del lavoratore anche al di fuori dell’azienda), e la “banca ore etica”.
Tale accordo ha incontrato la contrarietà di alcuni delegati CGIL della Luxottica di Agordo e riserve da parte di altri delegati. Sottoposto al voto delle RSU, l’accordo è però passato a maggioranza.
Dove sta l’inghippo che rende tale accordo così soddisfacente per il padrone e per i suoi tirapiedi?
Anzitutto bisogna ricordare che quando una parte del salario viene pagata in “buoni” o “servizi” (solitamente di proprietà o associati allo stesso capitalista) non solo diminuisce il monte salari reale (dunque aumenta lo sfruttamento) e il costo del lavoro per il padrone, ma si vincola ancor più l’operaio. Come? Sia facendolo rimanere in quella fabbrica, al successo dell’azienda; sia a versare il proprio salario nelle tasche dello stesso padrone, togliendo all’operaio stesso la
libertà di andare altrove.
Questo sistema era molto diffuso nei secoli scorsi e dichiarato illecito, ma oggi sfruttando la debolezza del movimento operaio e la complicità dei sindacati viene di nuovo ripristinato.
In secondo luogo, questi accordi sono funzionali allo smantellamento del welfare universale e pubblico; infatti i servizi vengono forniti da aziende private che realizzano ampi profitti. In altre parole si liquidano le tutele collettive, in cambio di sedicenti tutele individuali, aumentano i ricatti (più tutele agli operai in cambio di maggior produttività) e si dividono gli sfruttati, perché il sistema del welfare aziendale produce una diseguaglianza tra chi vi accede e chi no.
Se poi un operaio viene licenziato non perderà solo il posto di lavoro e il salario, ma anche il diritto alla salute per sé stesso e per la propria famiglia.
Inoltre, va detto che mentre il risparmio dell’importo relativo a tasse e contributi per l’azienda è reale, per il lavoratore è solo apparente, perché se i beni e servizi scelti fossero il pagamento del mutuo o il pagamento di visite mediche non si potrebbero detrarre quegli importi, pari al 19% della spesa, dalla denuncia dei redditi.
Vi è poi una questione di fondo: come si può parlare di effettivo “risparmio” per il lavoratore, quando il cosiddetto risparmio consiste nel non pagare le tasse e contributi che dovrebbero garantirgli i servizi sociali e una pensione dignitosa?
Quanto al risultato ottenuto in termini di riduzione dell’assenteismo (sceso dal 6 al 4%) la cosa non è certo da imputare al cosiddetto sentimento “di appartenenza” o all’attaccamento aziendale, piuttosto al fatto che la malattia costa caro.
In Luxottica ci sono altissime percentuali di precari in somministrazione o con contratto a termine, ricattabili sotto ogni punto di vista, mentre agli operai a tempo indeterminato, la malattia, oltre ad essere pagata al 50% per i primi 3 giorni, riduce sensibilmente l’importo del premio di risultato.
Con questi accordi (che sono in realtà accordi sulla produttività mascherati) si peggiorano notevolmente le condizioni lavorative: orari, turni, ritmi, pause, ecc, si subordina sempre di più l’operaio alle esigenze aziendali, invece di mettere un freno all’ingordigia di profitti dei capitalisti.
Chi non ci sta viene messo alla porta, come un sindacalista combattivo della Luxottica licenziato per rappresaglia lo scorso anno.
Insomma, il welfare aziendale è fatto di finte beneficenze che servono a tenere gli operai ancora più succubi ai padroni, mentre i burocrati sindacali (uno strato corrotto dal capitalismo per tenere a bada la classe operaia e frenare le sue lotte) si ingrassano sempre più.
Rifiutiamo il meccanismo antioperaio del “welfare aziendale”, diamo linfa al sindacalismo di classe, senza limitare e nostre rivendicazioni a ciò che è “accettabile” al padrone, ma rivolgiamole contro il sistema di sfruttamento degli operai!
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, September 11, 2017 2:50 PM
Subject: DOVE VA LA CLASSE OPERAIA STATUNITENSE? DOVE VANNO I LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO?
Jacobin Magazine
12/08/17
LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO: INTERVISTA A BEVERLY SILVER (SECONDA PUNTATA)
Per gentile concessione di Jacobin Magazine pubblichiamo la traduzione dell’intervista a Beverly Silver, presidente del Dipartimento di Sociologia alla John Hopkins University. Silver è una delle più importanti figure della sociologia del lavoro e da sempre una militante per i lavoratori. Tra le sue opere “Le forze del lavoro” e “Caos e governo del mondo” firmate con Giovanni Arrighi, entrambi pubblicati da Bruno Mondadori.
DOMANDA
In passato, le ondate di militanza e organizzazione hanno tendenzialmente portato nuove e potenti forme organizzative. Nel diciannovesimo secolo ci furono i sindacati dei lavoratori specializzati, nel ventesimo secolo i sindacati industriali. Queste forme sono destinate all’oblio? Se si, cosa potrebbe rimpiazzarle?
RISPOSTA
Di sicuro non sono destinate all’oblio. Negli USA, per esempio, alcuni dei sindacati coi migliori risultati oggi (in termini di reclutamento di nuovi membri e di militanza) sono quelli che hanno le radici nella vecchia American Federation of Labor, nella tradizione dei lavoratori specializzati. Qualcuno sostiene che alcuni elementi di questo vecchio stile organizzativo sono più adatti alla natura orizzontale degli odierni posti di lavoro, piuttosto che i sindacati industriali tipici delle grandi imprese a integrazione verticale.
Questo non significa che i sindacati industriali siano morti. I successi tipici dei sindacati della Confederation of Industrial Unions (come lo sciopero di Flint e quelli successivi) si basavano sullo strategico potere di contrattazione dei lavoratori sul luogo della produzione. Penso ci siano ancora lezioni da trarre da quei successi.
Chiaramente nessuna di queste due forme ha avuto successo nei confronti dei problemi fondamentali del capitalismo. Come ho già detto, il problema dei sindacati è che, fino a quando sono efficaci, il capitale e lo stato non hanno interesse a collaborare con loro. Nella misura in cui invece non riescono a portare cambiamenti seri nelle vite dei lavoratori (ed è ciò che è successo in larga parte) perdono credibilità e legittimità agli occhi dei lavoratori stessi.
Penso che vediamo costantemente entrambi i lati di questa contraddizione. I sindacati sono parte della soluzione ma non sono la soluzione completa.
DOMANDA
Una delle idee di Marx era che i sindacati avrebbero dovuto integrare i disoccupati in un’unica organizzazione. Questa è un’opzione negli Stati Uniti?
RISPOSTA
Penso che sarebbe certamente l’ideale, è ciò che dicevano Marx e Engels nel Manifesto del Partito Comunista quando discutevano del ruolo dei comunisti e del movimento operaio.
Questo ci riporta anche alla questione della relazione tra il processo di sfruttamento e quello di esclusione, tra la lotta nei luoghi di lavoro e la lotta nelle strade.
Per i sindacati, cercare di seguire l’idea di Marx significa pensare strategicamente alle condizioni in cui i lavoratori con un impiego stabile possano essere portati e radicalizzati nelle lotte dei disoccupati e precari, e viceversa.
DOMANDA
Quali sono le prospettive per la rivitalizzazione del lavoro negli USA? Ti aspetti un aumento della militanza e dell’organizzazione nel prossimo futuro?
RISPOSTA
Da un lato, su un terreno teorico, mi aspetto un aumento della militanza dei lavoratori negli USA. A livello empirico, dal 2008, abbiamo visto un aumento dei disordini sociali legati alla classe in tutto il mondo, che potrebbe in retrospettiva apparire come l’inizio di una rivitalizzazione di lungo termine.
Questo va contro il sentimento prevalente; è interessante comparare il pessimismo di oggi con ciò che dicevano gli esperti negli anni ‘20. Allora, gli esperti osservavano come i lavoratori specializzati fossero minacciati dall’espansione della produzione di massa, e sostenevano che il movimento dei lavoratori fosse indebolito mortalmente, definitivamente morto. E hanno continuato a ripeterlo fino alla vigilia dell’ondata di disordini operai a metà anni ‘30.
Non comprendevano che, mentre era vero che molti dei sindacati dei lavoratori specializzati erano ormai indeboliti, si stava formando una nuova classe operaia. Osserviamo la stessa cosa oggi, una situazione in cui la classe operaia della produzione di massa del ventunesimo secolo viene indebolita, ma c’è anche una nuova classe operaia in formazione, anche nella manifattura.
E’ importante non rimuovere la manifattura dal ragionamento su ciò che sta accadendo, anche negli USA, tantomeno nel mondo intero. Ogni volta che avviene una nuova ondata di disordini operai, la classe operaia appare fondamentalmente diversa, e le strategie e le mobilitazioni sono fondamentalmente diverse.
DOMANDA
Chi pensi che guiderà la rivolta, questa volta?
RISPOSTA
Difficile da dire. Ciò che è chiaro sono le questioni critiche per il lavoro oggi, che in buona parte riguardano la base di massa e la guida necessarie affinché la “prossima rivolta” sia trasformativa. Siamo in una situazione in cui il capitale sta distruggendo le condizioni di vita più velocemente di quanto ne crei di nuove. Stiamo sperimentando su scala globale, e anche nei paesi centrali come gli USA, un’espansione del surplus di popolazione, in particolare quello a cui Marx nel Capitale si riferiva come il surplus di popolazione stagnante: coloro che non verranno mai davvero incorporati nel lavoro salariato stabile.
I lavoratori a chiamata, a tempo determinato, part-time, e i disoccupati di lungo termine, tutto questo gruppo si sta espandendo, portandoci verso la strada della povertà. Nonostante la crisi di legittimità che ciò crea al capitalismo, non c’è nessuna tendenza in direzione diversa all’interno del capitalismo. Se cambieremo direzione, sarà qualcosa che verrà dal movimento politico di massa, piuttosto che dal capitale.
Ci sono due importanti punti da considerare. Uno è che la redditività del capitale, in tutta la sua storia, è dipesa dall’esternalizzazione parziale non solo dei costi di riproduzione del lavoro, ma anche dei costi di riproduzione della natura. Questa esternalizzazione è diventata sempre più insostenibile, ma non c’è nessuna tendenza interna al capitale per correggerla.
In più, dato che la natura come bene liberamente accessibile è stato uno dei pilastri del patto sociale del dopoguerra che legava la produzione di massa al consumo di massa della classe operaia, non è possibile un semplice ritorno all’età dell’oro del keynesismo e dello sviluppismo.
Secondo punto, la tendenza storica del capitalismo è risolvere le crisi politiche ed economiche attraverso politiche espansionistiche e militariste, dobbiamo prendere sul serio la guerra, in particolare in questo periodo di crisi e declino egemonico degli USA.
Il controllo del petrolio, l’accaparramento di risorse, gli scontro per strisce di mare nel Mare Cinese, questi conflitti hanno il potenziale per conseguenze orribili per l’umanità nel suo complesso. Per evitare questo, un internazionalismo del lavoro rinnovato e aggiornato dovrà superare le tendenze visibili verso l’atavico e risorgente nazionalismo del lavoro.
Dobbiamo quindi partire da una considerazione della geopolitica (esaminando i collegamenti tra militarismo, conflitto interno e movimenti dei lavoratori) per arrivare a un’analisi seria. La vecchia dicotomia tra socialismo e barbarie è rilevante oggi come non mai.
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From: Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
To:
Sent: Monday, September 11, 2017 3:58 PM
Subject: RICHIESTA DI SOLIDARIETA’ AL “POPOLO DEGLI ULIVI” DEL SALENTO
A PROCESSO PER AVER DIFESO IL FUTURO DEL SALENTO
I loro volti sono quelli della verità, una verità calpestata, bruciata tra le fiamme dell’omertà, della complicità. Cittadini come tanti, madri, padri, studenti, contadini, professionisti e anche bambini. Erano circa duecento i salentini che nel novembre del 2015 bloccarono il traffico ferroviario alla stazione di San Pietro Vernotico. Di questi, 46 sono stati identificati e denunciati dalla Digos di Brindisi. L’accusa è di aver omesso di dare avviso dalle autorità competenti della manifestazione, cagionando un danno ai passeggeri e alle Ferrovie dello Stato, oltre che di interruzione di pubblico servizio.
La manifestazione in questione aveva la finalità di bloccare il Piano Silletti che prevedeva non solo l’estirpazione degli ulivi salentini perché ritenuti infetti da Xylella (senza però alcun test di patogenicità effettuato sul batterio e soprattutto con la consapevolezza che l’estirpazione delle piante non eradica il batterio), ma anche l’irrorazione a tappeto da Leuca a Brindisi di fitofarmaci riconosciuti dannosi alla salute umana, i cui effetti sarebbero emersi soprattutto nelle generazioni future. Hanno tentato ogni via per evitare il disastro, hanno cercato di dialogare con le Istituzioni, hanno chiesto a gran voce di aprire la ricerca a 360° e di accreditare altri centri analisi ma ogni loro richiesta è rimasta inascoltata. A dicembre la procura di Lecce bloccò quel folle piano indagando lo stesso commissario all’emergenza, il generale Silletti, e parte della scienza che a oggi continua ad occuparsi del disseccamento rapido.
Questi cittadini il 6 novembre saranno processati per aver difeso la loro storia e il loro futuro. Oggi hanno bisogno della solidarietà di tutti.
Siamo dunque al loro fianco nell’affermare l’alto valore sociale della loro azione, rivolta ad impedire uno scempio immensamente superiore al presunto danno arrecato dalla loro azione di protesta.
Cari compagni e care compagne,
con la presente vi chiediamo di esprimere la vostra solidarietà ai manifestanti inquisiti per aver lottato contro gli espianti degli ulivi salentini.
Le eradicazioni di massa degli ulivi all’interno di una vasta fascia di territorio fra le province di Lecce e Brindisi erano state disposte nel 2015 dal cosiddetto “piano Silletti”, varato dal Governo Renzi per la gestione dell’epidemia di CoDiRO (Complesso del disseccamento rapido dell’olivo).
Tale piano veniva contestato dalle popolazioni sia nel merito che nel metodo, perché prevedeva la distruzione delle piante e non la cura, perché non vi erano prove sulla reale efficacia degli espianti per contenere l’epidemia, perché venivano imposti manu militari, e anche su piante sane.
Inoltre il piano prevedeva l’obbligo di una massiccia irrorazione di insetticidi nelle zone interessate, con i conseguenti rischi per l’ambiente e la salute.
L’opposizione alle eradicazioni ha mobilitato nel 2015 interi paesi, dove gli abitanti e i solidali hanno presidiato giorno e notte gli uliveti, fermato le ruspe, attuato azioni di protesta.
La loro azione è stata efficace, assieme alla loro opera di denuncia: nel dicembre 2015 la Procura di Lecce ha indagato il commissario straordinario per l’emergenza, Giuseppe Silletti, bloccando gli espianti nella provincia di Lecce grazie al sequestro preventivo di urgenza di tutti gli ulivi interessati.
A due anni di distanza sono arrivate le conseguenze giudiziarie per quelle lotte, e il prossimo 6 novembre ci sarà la prima udienza contro 46 manifestanti accusati di avere bloccato il traffico ferroviario sulla linea adriatica nell’ambito della mobilitazione contro gli espianti.
In vista del processo stiamo promuovendo l’adesione ad un appello garantista per sostenere chi si è opposto alla devastazione di un patrimonio ambientale di valore inestimabile.
Le adesioni vengono raccolte tramite la piattaforma Change:
Le firme verranno consegnato ai mezzi di informazione e poste sui manifesti che, in prossimità del processo del 6 novembre, saranno affissi in quantità nelle città e province di Lecce e Brindisi.
Associazione Bianca Guidetti Serra (BO)
Primi firmatari:
i redattori di Carmilla on Line:
Valerio Evangelisti, scrittore
Sandro Moiso, docente
Gioacchino Toni, saggista
Franco Pezzini, scrittore
Alessandra Daniele, scrittrice
Fabrizio Lorusso, giornalista, scrittore e ricercatore universitario
Gian Domenico Maccentelli, copywriter e regista freelance
Filippo Casaccia, autore televisivo
Domenico Gallo, scrittore e traduttore
Mauro Baldrati, scrittore
Alessandra Cecchi, redattrice
Ascanio Celestini, attore
Giorgio Cremaschi
Antonio Onorati, Centro Internazionale Crocevia
Per approfondire la vicenda degli espianti:
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From: Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
To:
Sent: Wednesday, September 13, 2017 10:13 AM
Subject: VOLANTINO DIFFUSO L’11 SETTEMBRE AL TRIBUNALE DI FIRENZE
L’UNICA LOTTA PERSA E’ QUELLA CHE SI ABBANDONA ...
Riccardo licenziato per aver detto la verità, 7 anni e mezzo prima, sulla strage ferroviaria di Viareggio!
Il “cavalier” Moretti condannato a 7 anni, è risarcito con 10 milioni di euro!
I ricorsi per la reintegrazione di Riccardo Antonini sono stati rigettati per “infedeltà” a Moretti/Elia/Soprano&Company, tutti condannati per la strage ferroviaria del 29 giugno 2009.
La Cassazione conferma la sentenza di 1° grado del 4 giugno 2013, sentenza emessa contro Riccardo dal giudice del lavoro, dottor Nannipieri, trasferito poi al Tribunale di Livorno.
Vincenzo Di Cerbo (presidente), Giuseppe Bronzini, Antonio Manna, Federico Balestrieri, Federico De Gregorio (consiglieri) della Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, e prima i Luigi Nannipieri di Lucca e Giovanni Bronzini (presidente), Gaetano Schiavone e Simonetta Liscio (consiglieri) della Corte d’Appello di Firenze, hanno emesso sentenze d’inchino a poteri forti.
Di fronte al licenziamento politico di Riccardo, quindi al licenziamento DI-SCRI-MI-NA-TO-RIO, si sono piegati ai voleri del “cavalier” Moretti.
Hanno, così, offeso le 32 vittime della strage di Viareggio, i loro familiari e alimentato paura e terrore tra gli attivisti sindacali che lottano per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Nella sentenza di Cassazione si legge: “[...] emerge che il ricorrente aveva più volte sostenuto... la responsabilità della società e dei suoi vertici per aver cagionato il disastro ferroviario di Viareggio, invocandone claris verbis (cioè con parole esplicite la punizione. [...] In tal modo il ricorrente [...] si è posto dichiaratamente come concreto antagonista della società da cui dipendeva”.
Non antagonista, ma concreto...
Ogni commento è superfluo!
I giornalisti possono esprimere diritto di cronaca e di critica, i politici possono..., i giudici possono..., ma al ferroviere Riccardo Antonini è negato il diritto di espressione “per conflitto d’interessi” e per “violazione dell’obbligo di fedeltà” e nei suoi confronti si è tentato (con minacce, ricatti, offese... ed è tutto utto documentato) di impedire il dovere di dire la verità sull’immane tragedia della strage ferroviaria di Viareggio.
Queste sono sentenze genuflesse al “cavalier” Moretti (e a poteri forti) che nonostante la condanna per le gravissime responsabilità nella strage del 29 giugno 2009, dopo rinomine e promozioni (dalla Holding FS a Finmeccanica), è stato ricompensato con una buonuscita di 9.442.000 (9 milioni e 442 mila) euro per i 3 anni a Finmeccanica/Leonardo!
Non smetteremo mai di ringraziarvi e di ricordarvelo!
09/09/17
Associazione familiari “Il Mondo che vorrei” info@ilmondochevorreiviareggio.it
Assemblea 29 giugno assemblea29giugno@gmail.com
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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Thursday, September 14, 2017 11:10 AM
Subject: MILANO, INCIDENTE SUL LAVORO NEL DEPOSITO DI TRENITALIA: SALVATO DAI COLLEGHI
Milano, incidente sul lavoro nel Deposito di Trenitalia: salvato dai colleghi
Milano, dipendente Trenitalia folgorato da una scarica di 380 volt: i colleghi gli salvano la vita
E’ successo nella mattinata di mercoledì nel deposito “Milano Martesana” di via Bressan
Un dipendente di Trenitalia di 63 anni lotta tra la vita e la morte al Pronto Soccorso dell’ospedale Niguarda di Milano dopo essere stato folgorato da una scarica elettrica.
L’incidente sul lavoro è avvenuto nella mattinata di mercoledì 13 settembre all’interno del deposito “Milano Martesana” di via Fratelli Bressan.
Il corpo dell’uomo (secondo quanto riportato in una nota dell’azienda regionale di emergenza urgenza) è stato attraversato da una scarica da 380 Volt mandandolo in arresto cardiaco. Le sue condizioni sono subito apparse disperate ma si è salvato anche grazie ai colleghi che lo hanno rianimato con il defibrillatore. Accompagnato al pronto soccorso sta ancora lottando tra la vita e la morte.
Non sono ancora chiare le cause dell’incidente sul lavoro. Sul caso sono intervenuti gli uomini della Polfer per i rilievi del caso.
Purtroppo è solo l’ultimo di una lunga serie di incidenti sul lavoro: nei giorni scorsi un ragazzo di 27 anni era morto mentre smontava un ponteggio nel centro di Milano.
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From: USB Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent: Friday, September 15, 2017 3:15 PM
Subject: COMUNICATO USB SANITA’ LIGURIA SU TULLIO ROSSI
VICENDA TULLIO ROSSI: GRANDE RISPOSTA DEI GENOVESI IN PRESIDIO AL GALLIERA
Tullio Rossi non è solo, mettetevelo in testa
Successivamente ai vergognosi provvedimenti disciplinari che lo vedono minacciato di licenziamento (ricordiamo che è padre di famiglia con 4 figli) per due frasi sul social network Facebook rivolte a Bagnasco e Tettamanzi e non certo ai datori di lavoro di Tullio Rossi, molti genovesi, scioccati da tanta arroganza, sono vicini al nostro delegato.
Ricordiamo che il Galliera è un ospedale finanziato con soldi pubblici, soldi di lavoratori e cittadini
E a questo punto è corretto che tutti i cittadini comincino a chiedersi come vengono spesi i loro soldi.
A marzo 2017 il M5S è dovuto ricorrere al TAR (vincendo) per ottenere i bilanci dell’Ospedale Galliera e, leggete questa, l’utilizzo delle auto blu.
Quindi la dirigenza del Galliera poteva, fino a “ieri”, utilizzare auto blu a spese dei cittadini senza renderne conto a nessuno. Se saranno riscontrate irregolarità chi rimborserà ai cittadini: il Direttore Generale o il Cardinal Bagnasco?
Rientra nei compiti del Servizio qualità e Comunicazione del Galliera il cui dirigente è il dootor Simone Canepa, il controllo dei profili Facebook dei dipendenti?
E questo compito, non previsto, è stato svolto durante l’orario di servizio da personale stipendiato con soldi pubblici?
E ancora... quali sono i compiti del membro del Consiglio di Amministrazione del Galliera in quota Comune di Genova (nel nostro caso il dottor Veardo dal 2003)?
E perchè Tullio Rossi è stato lasciato solo a denunciare le irregolarità?
Perché la Regione non è intervenuta prima?
Perché nell’accreditamento regionale non è previsto il rispetto del CCNL e del D.Lgs. 81/08 sulla sicurezza per i dipendenti e le denunce vengono lasciate al singolo sul quale poi ricadranno le ripercussioni?
Perché il servizio PSAL (organo di vigilanza della ASL3 per la sicurezza degli ambienti di lavoro) ha in dotazione solo 3 medici per tutto il territorio genovese?
Chi controlla i referenti sulle norme anticorruzione e trasparenza degli ospedali liguri?
La vicenda Tullio Rossi alza un velo su responsabilità politiche e sindacali enormi, decenni di collusioni, di favori, di appalti ai quali risponderemo con una forte reazione popolare.
#noisaremotulliorossi
Pagina Facebook: A sostegno di Tullio Rossi
Firma su: Change.org “Se parli ti licenzio. Io sto con Tullio”:
Genova, 14/09/17
Coordinamento USB Sanità Liguria
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, September 18, 2017 11:39 AM
Subject: L’UNICA CERTEZZA E’ CHE SIAMO PIU PRECARI
di Carmine Tomeo
16/09/17
L’UNICA CERTEZZA E’ CHE SIAMO PIU’ PRECARI
LA LETTURA DEI DATI ISTAT MOSTRA CHE L’UNICA CERTEZZA E’ L’AUMENTO DELLA PRECARIETA’, CHE SI CONFERMA UN DATO STRUTTURALE DEL LAVORO IN ITALIA
Sarebbe interessante stimare il numero di occupati in Italia partendo dalle ore effettivamente e complessivamente lavorate. Sì, perché, come sappiamo, i dati ISTAT sull’occupazione si riferiscono a “persone di 15 anni e più che nella settimana di riferimento (a cui sono riferite le informazioni) hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività”, anche non retribuita nel caso di lavoro nella ditta di un familiare. Così, quando si afferma che il numero di occupati è aumentato, nel calderone dell’ISTAT è conteggiato anche un precario chiamato a sostituire un lavoratore in malattia per una settimana e che poi torna a sbatterti per cercare lavoro, o un lavoratore chiamato a fare per un paio d’ore il giardiniere del proprio Comune.
E’ su queste basi, ma nascondendole, che il governo Gentiloni può rallegrarsi di una crescita statistica dell’occupazione congiunturale (+78.000, un misero +0,3%). Senza contare che lo stesso governo omette di sottolineare (ancora di più oggi, con la campagna elettorale praticamente iniziata) che l’aumento dei lavoratori dipendenti (verificatosi anche per una drastica riduzione degli indipendenti: -71.000) avviene in otto casi su dieci per la stipulazione di contratti a termine. E non va meglio osservando i dati su base annua, dal momento che rispetto al secondo trimestre 2016, quello di quest’anno segna (è vero) l’aumento (+153.000, +0,7%) del numero di persone che hanno lavorato almeno un’ora nella settimana di riferimento (è bene sottolineare ulteriormente questo aspetto statistico degli “occupati ISTAT”). Ma questo dato emerge a fronte di una riduzione degli indipendenti del 3,6%, e soprattutto a fronte di oltre il 75% di contratti a termine sul totale dei nuovi contratti.
Insomma, il dato davvero certo è l’aumento della precarietà, che si conferma un dato strutturale del lavoro in Italia. Alcuni dati potranno meglio rendere l’idea: la seconda Nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro mostra come, nel secondo trimestre 2017, la durata effettiva dei contratti a termine non supera i 30 giorni nel 38% dei casi; oltre 340.000 contratti hanno avuto durata di un solo giorno! Per questi lavoratori, anche la speranza di poter firmare un contratto a tempo indeterminato risulta difficile. La percentuale dei lavoratori che da contratto a termine sono riusciti a ottenere un lavoro a tempo indeterminato è infatti calata: se tra il secondo trimestre 2015 e lo stesso periodo 2016, il 24,3% di chi aveva un contratto a termine è “transitato” verso uno a tempo indeterminato, tra il secondo trimestre 2016 e stesso periodo 2017 questa percentuale è diminuita fino al 16,5%. E nel frattempo diminuisce (del 3,1%, arrivando al 22,4%) anche la quota di coloro che riescono a uscire dalla condizione di disoccupazione. Dati che mostrano una crescente difficoltà a trovare lavoro, soprattutto che non sia precario e sottopagato. Una condizione che viene anche dal confronto su base tendenziale delle ore lavorate, per cui a fronte di un aumento del 3,1% del monte ore lavorate nelle imprese, quelle pro capite sono diminuite dello 0,7%. Tra i numeri, quindi, si legge che quella piccola fetta di torta in più è stata suddivisa tra i lavoratori in pezzi ancora più piccoli. Nel frattempo, le imprese si sono viste ridurre il costo del lavoro (-0,1%) anche a scapito delle retribuzioni che diminuiscono dello 0,3%.
Si spiega anche così la riduzione del tasso di inattività. Se in una famiglia chi lavora è più precario e il reddito disponibile sempre meno sufficiente a garantire una vita dignitosa, altri suoi componenti sono costretti a mettersi alla ricerca di qualsiasi lavoro, anche precario e sottopagato. In questo senso, più che in un ritrovato clima di fiducia rispetto al futuro e quindi a un maggiore ottimismo di trovare lavoro tra quanti in precedenza un lavoro nemmeno lo cercavano più, la riduzione del numero di inattivi è dato da un crescente stato di necessità.
Uno studio della Fondazione Di Vittorio pare confermare questa situazione, sottolineando “il permanere di un sentimento di prevalente sfiducia”, dovuto in modo particolare ad “un lavoro che si impoverisce e si precarizza contribuendo, sulla base di questa condizione reale, a creare un generale effetto di scarsa fiducia fortemente basato anche sul crescere delle diseguaglianze”. E così, seppure “fra i lavoratori dipendenti scende al 20% la quota di chi si ritiene con difficoltà economiche, sale invece al 58% la percentuale di coloro che dichiarano di sentirsi poco tranquilli, in equilibrio instabile”. D’altronde, come può essere diversamente se, come si legge nel rapporto ISTAT, continuano a ridursi le transizioni da dipendente a termine a dipendente a tempo indeterminato (dal 24,3% al 16,5%)? Come può esserci un clima di fiducia, come ci si può sentire in equilibrio stabile se “a fronte della riduzione complessiva delle transizioni dalla disoccupazione all’occupazione (-3,1 punti)”, gli unici flussi positivi (+0,9%) dalla disoccupazione verso l’occupazione riguardano i lavori precari? Come si può essere tranquilli se intanto ci si guarda attorno e si osserva che coloro che escono dall’inattività sempre più spesso transitano verso la disoccupazione (dal 18,5% al 21,3% nei dodici mesi)?
La sintesi di questo quadro, quindi, non è, come affermato dal presidente del Consiglio Gentiloni, di “una tendenza incoraggiante” frutto dei “buoni risultati di Jobs Act e ripresa”, ma semmai la drammaticità di una precarietà che si consolida come condizione sempre più diffusa e generale. Quello che emerge, allora, non è un aumento degli occupati, ma la necessità sempre più estesa di avere un’occupazione, un lavoro per tenere la testa fuori dalla melma e perciò un lavoro purché sia, anche precario e sottopagato.
Il dato politico è la necessità di abbandonare il protagonismo del ceto politico che senza più credibilità pensa di poter continuare a mettere insieme, a tavolino, pezzi di soggetti politici come tessere di un mosaico sperando di raccogliere voti, per tornare, invece, a frequentare i luoghi dello sfruttamento capitalistico così da mettere in campo un lavoro politico che restituisca nuovo protagonismo ai lavoratori e che ne ricomponga la frammentazione.
Fonti:
ISTAT, “Il mercato del lavoro”, 12/09/17;
Tecné CGIL, Fondazione Di Vittorio “Fiducia economica, disuguaglianze, vulnerabilità sociale 2° trimestre 2017”, luglio 2017;
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, “Seconda Nota trimestrale 2017 sulle comunicazioni obbligatorie”, settembre 2017.
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, September 18, 2017 11:39 AM
Subject: ABD ELSALAM, LAVORATORE
IN RICORDO DI ABD ELSALAM, UCCISO UN ANNO FA NELLA LOTTA PER L’ESTENSIONE DEI DIRITTI DI TUTTI I LAVORATORI.
di Carmine Tomeo
16/09/17
Un anno fa, un lavoratore, padre di 5 figli, veniva ucciso investito da un camion che sfondò il picchetto dei lavoratori in sciopero.
La notte tra il 14 ed il 15 settembre del 2016, a Piacenza era in corso uno sciopero dei lavoratori GLS (tra le principali aziende di corriere espresso) indetto dal sindacato USB. Si chiedeva la stabilizzazione con contratto a tempo indeterminato per 13 lavoratori precari, ma l’azienda aveva rinnegato gli accordi presi. La protesta arrivò immediata. I lavoratori entrarono in sciopero. Si formò un presidio davanti ai cancelli del corriere espresso. Ma l’autista di un camion, probabilmente incitato da un dirigente dell’azienda, forzò il picchetto dei lavoratori, travolgendo e uccidendo un lavoratore. Qualche giorno dopo, migliaia di persone, lavoratori italiani e immigrati, manifestarono a Piacenza sotto la pioggia battente. Ed il successivo 22 ottobre, durante il No Renzi Day, i lavoratori in piazza ridenominarono simbolicamente Piazza San Giovanni, Piazza Abd Elsalam.
Era questo il nome di quel lavoratore: Abd Elsalam, professore egiziano che 13 anni prima era arrivato in Italia e qui lavorava per crescere i suoi 5 figli. Aveva un contratto a tempo indeterminato, ma è morto lottando per l’allargamento dei diritti a chiunque sia costretto a vendere la propria forza lavoro; una lotta immediata contro la condizione di precarietà in cui erano costretti i suoi colleghi di lavoro e più in generale affinché qualunque lavoratore potesse uscire dalla condizione di perenne equilibrio precario.
A un anno da quella tragedia, consumatasi nel corso di una lotta per l’estensione dei diritti dei lavoratori, GLS ha scelto di chiudere per un giorno l’azienda. Una “carità pelosa”, l’ha immediatamente definita l’USB, dal momento che se davvero GLS avesse voluto ricordare il lavoratore, il modo migliore “sarebbe invece aprire il centro di smistamento ai lavoratori - afferma il sindacato di classe - per ricordare il nostro compagno proprio nella ricorrenza della sua scomparsa”. Per questo USB ha portato comunque avanti l’iniziativa di sciopero, che si è svolto il 14 settembre, nella stessa “fascia oraria in cui si è consumato quel tragico omicidio”.
Uno sciopero che ha avuto non solo un carattere commemorativo, ma, come si legge nel comunicato del sindacato di base, “un altro momento di denuncia rispetto alle condizioni di sfruttamento e di precarietà che vivono gli addetti nei magazzini della logistica: dalla mancata applicazione dei contratti, alla non osservanza delle norme di sicurezza”. Perché “la morte di Abd Elsalam è infatti la morte di un lavoratore che si è sempre battuto in difesa dei diritti che proprio GLS vuole negare”.
Quel lavoratore lottava perché sapeva che l’uguaglianza dei diritti deve avere una tensione verso l’alto e non verso la riduzione dei diritti di chi ancora ne conserva qualcuno. Quel lavoratore sapeva che non si esce dalla subalternità senza allargare l’unione dei vari frammenti della classe lavoratrice. Quel lavoratore sapeva che è stupido, subalterno, esiziale stare guardare differenze che non siano quelle di classe e dividersi tra giovani e anziani, uomini e donne, neri e bianchi, italiani e stranieri quando si è uniti dalla comune condizione sociale.
Quell’uomo era Abd Elsalam, lavoratore.

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