Marco Spezia
ingegnere e
tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto
“Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina
Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
e-mail: sp-mail@libero.it
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INDICE
Federico Giusti
giustifederico@libero.it
STORIE DI
SOPRAFFAZIONE DEI PIU’ DEBOLI
Luca Nanfria
USB l.nanfria@usb.it
RICHIESTA AL
CARDINAL BAGNASCO
Posta
Resistenze posta@resistenze.org
MORTI DI
LAVORO: L’ESEMPIO PERFETTO
Teoria &
Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
AUMENTANO GLI
OMICIDI SUL LAVORO
Teoria &
Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
NO AI
LICENZIAMENTI PER IL PROFITTO
Teoria &
Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
IL “PARADISO”
SINDACALE DELLA LUXOTTICA
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
DOVE VA LA
CLASSE OPERAIA STATUNITENSE? DOVE VANNO I LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO?
Alessandra
Cecchi alexik65@gmail.com
RICHIESTA DI
SOLIDARIETA’ AL “POPOLO DEGLI ULIVI” DEL SALENTO
Riccardo
Antonini erreemmea@libero.it
VOLANTINO
DIFFUSO L’11 SETTEMBRE AL TRIBUNALE DI FIRENZE
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
MILANO,
INCIDENTE SUL LAVORO NEL DEPOSITO DI TRENITALIA: SALVATO DAI COLLEGHI
USB Ospedale
Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
COMUNICATO USB
SANITA’ LIGURIA SU TULLIO ROSSI
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
L’UNICA
CERTEZZA E’ CHE SIAMO PIU PRECARI
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
ABD ELSALAM,
LAVORATORE
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From: Federico
Giusti giustifederico@libero.it
To:
Sent: Tuesday,
September 05, 2017 1:18 PM
Subject: STORIE
DI SOPRAFFAZIONE DEI PIU’ DEBOLI
Dopo la pausa
estiva arrivano licenziamenti e demansionamenti, lettere di richiamo…
Manteniamo il
riserbo sulla identità dei protagonisti (loro malgrado) e dei datori di lavoro
per evitare ai primi ulteriori ritorsioni.
Raccontiamo le
loro storie usando nomi di fantasia, tacendo sui luoghi di lavoro, ma
assicurando sulla veridicità delle testimonianze.
L’obiettivo è
rompere la gabbia dentro cui vengono occultati prepotenze, soprusi,
ingiustizie, occorre farlo in fretta e tutti insieme prima che sia troppo tardi
GIUSEPPA
Ho 55 anni,
lavoro, anzi lavoravo, da 13 anni in uno studio. Ho avuto compiti di
responsabilità in più uffici, poi le circostanze della vita (un marito da anni
in condizioni di salute precarie e bisognoso di continue e costose cure, debiti
di famiglia scaricati sulle mie esigue spalle, ecc.) mi hanno costretta ad
accettare impieghi poco gratificanti sotto il profilo professionale. Meglio un
impiego sicuro, ma vicino a casa quando hai familiari non autosufficienti.
Per anni sono
stata vittima di continue pressioni, apprezzamenti negativi, mi si contestava
anche il modo di vestire, nessun ringraziamento per le ore in più trascorse in
ufficio, ma lettere di richiamo per ritardi di 10 minuti.
“Non sei più
giovane e di piacevole aspetto per questo vieni licenziata, al tuo posto
arriverà una stagista di 20 anni sottopagata e ignara dei suoi diritti”.
Ovviamente la cause del licenziamento sono altre, trovi una lettera sulla
scrivania che parla di riduzione del personale e di processi di
ristrutturazione, di crisi aziendale. Nessuno verificherà la esistenza di
questa crisi, nessuno vorrà toccare con mano i processi riorganizzativi, ai
padroni si crede solo sulla parola e lo stato deve essere solo l’erogatore
degli ammortizzatori sociali. Peccato che a giugno abbia prenotato una vacanza
per i padroni da 10.000 euro a testa: non si spendono quelle cifre per 21
giorni quando sei messo male.
Anni vissuti ai
margini dell’ufficio, relegata in una stanzetta angusta. Mobbing? E chi è disposto
a mettersi contro i datori di lavoro per testimoniare? Le colleghe hanno paura,
sperano che la stessa sorte non capiti a loro, è solo questioni di tempo, ma
sperimenteranno sulla loro pelle il trattamento umiliante riservatomi.
La mortalità
negli uffici è elevata, un ricambio continuo di personale nonostante la carenza
delle offerte lavorative. Ti fanno pressione su tutto, vogliono che tu sia a
immagine e somiglianza del datore di lavoro, devi dire sempre si, scambiare
salario, indennità e maggiorazioni con semplici recuperi.
Il sindacato?
Non esiste, arriva il consulente aziendale con qualche sindacalista di sigle
autonome, e non solo, disposte ad accettare ogni intesa, anzi sono questi
signori a dirti di ridurre l’orario di lavoro, a sottoscrivere un contratto ex
novo con clausole sempre più flessibili “per non perdere il posto o farlo
perdere alle colleghe”. Un ricatto basato sull’ignoranza, sulla non conoscenza
dei nostri diritti per altro ridotti ai minimi termini.
Appena esprimi
una opinione conflittuale con la azienda diventi un esubero, la forza lavoro è
sempre più ricattabile con la Fornero e il Jobs Act,
Hanno
organizzato l’ufficio per dividerci, i nostri salari e gli stessi orari sono
diversificati, le pause pranzo variano tra le 12.30 e le 14. Con alcune hanno
provato, con successo, la strada della riduzione oraria; 12/14 ore settimanali,
soprattutto se abiti lontano, non vivi. Insomma spendi quasi tutta la
retribuzione per il viaggio per non parlare poi delle spese per il vestiario
(impongono un certo look senza prevedere una voce retributiva di parziale
compensazione visto che la divisa aziendale non esiste).
Al ritorno
dalle vacanze (trascorse a casa visto che i soldi non ci sono) la lettera di
licenziamento, non bastavano anni di vessazioni ora arriva anche l’umiliazione
del licenziamento. Io lavoro dall’età di 19 anni, non pensavo di meritare
questo trattamento.
ANTONIO
52 anni, un’età
critica soprattutto se lavori in un magazzino. Ho una lunga esperienza nel
settore, ma vengo considerato vecchio. La mia azienda ha subito in 15 anni 3
cessioni di appalto, il padrone è cambiato e ogni volta si azzerava malattia,
anzianità perché firmavamo un contratto nuovo, nessuna continuità con il
passato.
15 anni fa
potevo dirmi fortunato, oggi no, sono in preda a continue paure e a un’ansia
opprimente.
Da autista
delle bisarche sono stato demansionato ad aiuto meccanico, poi relegato a fare
le pulizie.
Demansionamenti
silenziosi, l’azienda dismette il camion e vieni consigliato di accettare un
lavoro che non padroneggi, poi, senza formazione e con la tecnologia che
avanza, scopri di non essere più adeguato alla nuova mansione. Ho fatto di
tutto, seguito perfino corsi via web di aggiornamento, ma alla fine, sempre per
scongiurare il licenziamento, vengo invitato ad accettare nuove mansioni, di
pulizia e di sorveglianza notturna, qualche consegna diurna con un mezzo
vecchio e senza revisione.
Risultato?
Lavoro oltre 10 ore al giorno, orario spezzato e una tantum al posto delle
maggiorazioni festive e notturne. Il mio contratto è part time al 75%,
includendo la indennità onnicomprensiva arrivo a 1.100 euro, poi 150 al nero,
ma non tutti i mesi.
So già che
torneranno alla carica, a un collega hanno imposto il contratto di
collaborazione e alla fine il salario mensile scende a 1.000 euro con il
rischio di perdere patente e lavoro in caso di incidente.
YOUSEF
20 anni,
rifugiato politico dall’Africa, lo traduciamo dal francese, il suo italiano è
ancora approssimativo.
Lavoro al nero,
nei campi a 3 euro all’ora. La mattina usciamo dal centro di accoglienza alle 5
e, a piedi o in bici arriviamo in un posto dove tutti sanno che si raccolgono
migranti in attesa dei caporali.
Il caporalato
esiste in Toscana? Piu’ di quanto crediate.
Vorrei andare
in Germania o in Francia, ma da 13 mesi sono fermo qui. Vengo invitato a
svolgere lavori gratuiti per conto di associazioni e enti locali, dieci ore con
un panino e una bottiglietta d’acqua. A quel punto è preferibile la paga in
nero, 15/20 euro per pagarti una ricarica telefonica e a fine mese un jeans e
una felpa. Siamo complici della malavita come ci hanno detto alcuni cittadini?
Noi siamo
vittime di guerre e di oppressione, abbiamo conosciuto la malavita che specula
sull’immigrazione.
Ma chi alimenta
il lavoro gratuito senza offrirci una alternativa dignitosa e credibile? Chi se
la prende con i venditori abusivi e i lavoratori al nero è con la coscienza a
posto?
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From: Luca Nanfria USB l.nanfria@usb.it
To:
Sent: Thursday, September 07, 2017 9:10 PM
Subject:
RICHIESTA AL CARDINAL BAGNASCO
Questa è la
richiesta che lo scrittore Carlo Martigli ha pubblicato sul quotidiano La
Repubblica il 06/09/17
UNA RICHIESTA
AL CARDINAL BAGNASCO
di Carlo
Martigli
La lettera
aperta al Cardinal Tarcisio Bertone, perché aprisse i dossier sulla “rat line”
(quella che consentì a tanti criminali nazisti di fuggire in Sud America
passando da Genova) è rimasta inascoltata.
Provo con Sua
Eccellenza Eminentissima e Reverendissima (evidente la “captatio
benevolentiae”) il Cardinale Angelo Bagnasco, più giovane del predecessore.
Non solo
arcivescovo di Genova ma anche già presidente della CEI (Conferenza Episcopale
Italiana), quella che, tra l’altro, gestisce l’8x1.000, vice presidente dei
vescovi d’Europa e anche Generale del corpo d’armata dell’esercito italiano (ex
Legge 512/61), Presidente, tra l’altro, di un fiore all’occhiello della Sanità
italiana e genovese l’Ospedale Galliera.
CARO BAGNASCO,
UNA PAROLA SUL SINDACALISTA DEL GALLIERA
Per i principi
dell’Ente Galliera (riporto dallo Statuto) ci si deve ispirare “al comune senso
di condivisione e di solidarietà e ai principi evangelici dell’uomo come
immagine di Dio e della Carità cristiana”. Parole sante, verrebbe da dire.
Ma allora,
proprio per tale ispirazione, mi chiedo, perché, Eminentissimo e
Reverendissimo, accanirsi contro un dipendente che su Facebook ha avuto
l’ardire di criticarla per la nota vicenda dei microchip dentro le divise?
Non so come
finirà questa vicenda, ma so come è incominciata: la persona in questione
rischia il licenziamento.
Magari Lei,
come principe della Chiesa, con tanto di scorta non sa nulla di questa vicenda.
L’avviso quindi
che dei suoi vassalli, valvassori e valvassini, a fronte di tale lesa maestà,
sono intervenuti.
Intervenga Lei,
Eminenza (anche grigia, Lei tra coloro che pensano), e faccia smettere questa
caccia all’untore, che non ha fatto altro che esprimere, a suo modo, questo che
pensano il 98% dei 1808 dipendenti dell’ente da Lei presieduto.
Diciamocela
francamente, a viso aperto: Lei un uomo di potere, che non è un’offesa, ma una
constatazione. Il potere è bello. In Sicilia c’è un proverbio (forse di stampo
mafioso) che asserisce come “cumannari è megghiu ca futtiri”. Nessuna
volgarità: futtiri deriva dal latino fuetere, di evidente significato, usato
anche da Catullo.
Quindi il
potere è bello, forte, e concede quel brivido piacevole nell’usarlo, non è
vero?
Usarlo, senza
abusarne, però. Come dice (altra citazione) il maestro Franco Battiato
nell’indimenticabile Bandiera Bianca: “com’è misera la vita negli abusi di
potere”. E non vorremmo mai pensare che un uomo di così alta levatura lasci i
suoi sottoposti, subalterni, sub comunque (nel senso di sotto, oggi il latino
imperat) lo usino a sproposito.
Lei, come il
deandreaiano Don Raffaé, può tutto: “voi vi basta una mossa una voce c’ha ‘sto
Cristo ci levano ‘a croce”.
Ecco, usi bene
il suo potere, levi ‘a croce al suo dipendente. E io farò pubblica ammenda di
queste poche e scherzose, ma serie, parole.
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Friday, September 08, 2017 7:42 AM
Subject: MORTI DI LAVORO: L’ESEMPIO PERFETTO
Di Daniela
Trollio
Centro di
Iniziativa Proletaria “Tagarelli” via Magenta 88, Sesto San Giovanni (MI)
01/08/17
I FATTI
Il 18 giugno
2013 Khaled Farouk Abd Elhamid, un giovane operaio di 34 anni, moriva mentre
smontava il palco del concerto appena dato dai Kiss al Forum di Assago
(Milano). Khaled era rimasto schiacciato tra la parete del montacarichi e uno
dei 6 pesanti carrelli con ruote che vi stava caricando.
Quasi 4 anni
dopo il Tribunale di Milano (sempre “celere” quando si tratta di morti sul o di
lavoro) ha emesso la sua sentenza, su cui torneremo tra poco.
Per emettere la
sentenza, il Tribunale ha dovuto ripercorrere una lunga catena, quella degli
appalti. Facciamolo anche noi. Prima di tutto abbiamo: (1) la società americana
dei Kiss, la Gapp 2002, partecipe all’organizzazione, che però per
l’allestimento del palco aveva stipulato un contratto con (2) la Barley Arts
Promotion la quale, per l’allestimento del palco, aveva firmato un contratto
con la (3) Cooperativa Working Crew che, a sua volta, per la “somministrazione”
di altri operai aveva fatto un contratto con (4) la Cooperativa Work in Progress.
Tranquilli... l’elenco è finito.
Le condizioni
in cui dovevano lavorare quella sera Khaled e gli altri tre suoi compagni erano
le seguenti: “gli era stato consegnato un braccialetto giallo ed erano state
impartite direttive da un uomo alto e tatuato. Nessuna formazione e
informazione relativa ai rischi”. Uno dei suoi compagni di lavoro le ha poi
descritte così durante il dibattimento: “Non conosco la sede della cooperativa,
non ci sono mai stato, non ho mai parlato con nessuno. Un amico mi telefona
quando c’è qualche lavoro da fare, mi dice dove andare e dopo un po’ di tempo
che ho lavorato mi fa avere i soldi”.
LE COLPE
Attribuire
responsabilità alla (1) Gapp 2002 è impossibile per il tribunale:
“l’inquadramento della società, (di diritto straniero) si rivela in concreto
molto problematica all’interno della normativa di riferimento” Quindi...
assolti.
Per quello che
riguarda la (2) Barley Arts Promotion: poiché si sono rivolti a imprese e
professionisti in teoria adeguati e dato che nel 2014 il Ministero del Lavoro
ha modificato una norma del 2008 emanando il cosiddetto “Decreto palchi” che
“ha inciso sui contenuti minimi del Piano operativo di sicurezza e ne ha
ridotto l’estensione” traducendosi in una “parziale depenalizzazione di fatto”
della mancata valutazione del rischio tipico nell’utilizzo del montacarichi, la
società va... assolta.
La (4) Work in
Progress forniva personale che operava “sotto l’esclusiva responsabilità,
controllo e direzione di Working Crew”. Di conseguenza... assolta.
Gli unici a
pagare saranno quelli della (3) Working Crew, i cui amministratori (uno
patteggia 22 mesi e l’altra condannata a 9 mesi) vengono inoltre condannati per
“illecito amministrativo” alla sanzione di 90.300 euro per “aver usufruito di
una somministrazione irregolare di lavoro”.
Pensiero: la
vita di un operaio vale 22 mesi (virtuali??) di galera ma un illecito
amministrativo è ben più importante.
Non manca,
infine, perché il tribunale è al di sopra delle parti (come ben sappiamo) una
critica alla condotta di Khaled, che purtroppo, però, non può più replicare:
“la sua condotta è stata certamente imprudente proprio per l’esiguità dello
spazio libero nel montacarichi”, anche se questa “condotta imprudente
rappresenta la conseguenza diretta della mancata formazione”. Ma va’, avevamo
proprio bisogno di questa precisazione!!!
Abbiamo scelto
di ricordare, nonostante il tempo passato, la storia di Khaled perché è un
“esempio perfetto” di quello che è oggi il lavoro salariato. Bene, la vicenda
di Khaled non è solo sua, è quella di migliaia e migliaia di altri lavoratori.
Lo chiamano “lavoro nero” e ogni volta che scoppia un caso eclatante si tornano
a spandere fiumi di inchiostro. Ma quando questi casi arrivano in un Tribunale
dello Stato, scopriamo che ci sono una miriade di leggi che concedono la totale
impunità ai capitalisti che fanno le loro fortune su questo “lavoro nero”(oltre
che su quello regolare): tanto per cominciare non si può processare una società
a capitale straniero... con buona pace di quelle frattaglie ideologiche come
l’italianità, lo Stato, la Patria, ecc..
Qualcuno pensa
ancora che cose come quella successa a Khaled riguardino “solo” una categoria
debolissima (super sfruttata e super ricattata) come gli immigrati. Ma ogni
volta che si è scardinato un diritto si è sempre partiti dalle categorie
“deboli” per arrivare a quelle cosiddette più “forti”. Pensiamo
all’allungamento dell’età pensionabile, inflitto per primo ai lavoratori
statali (secondo l’opinione pubblica noti fannulloni): adesso tutti andiamo in
pensione (se ce la facciamo) a 67 anni. E questo è solo un esempio.
E’ vero che in
Italia ci sono ancora leggi e contratti collettivi, ma questi valgono però poco
più della carta su cui sono scritti. Il Job Act ha messo definitivamente fine
al lavoro “dipendente” per trasformare ogni lavoratore in un precario. Il
nostro futuro è il presente di Khaled: qualcuno ci telefonerà e ci dirà dove
dobbiamo andare a lavorare poche ore dopo.
Qualcuno dirà
che se manca il lavoro non si può fare altro che sottostare alle condizioni più
infami. Non è vero, quello che manca è un forte e organizzato movimento
operaio, l’unica condizione che può contrastare non la mancanza del lavoro (che
non manca), ma l’avidità cieca e senza più alcun freno dei capitalisti. Nessun
altro miracoloso marchingegno economico può farlo. Un movimento che, nella
storia, ha permesso alle classi sfruttate e oppresse di “strappare” condizioni
di vita e di lavoro più umane. Ora dovrebbe essere chiaro a tutti che non è più
sufficiente “strappare”, perché appena il movimento si indebolisce le conquiste
di anni e anni di lotte vengono, più o meno immediatamente, cancellate per
essere sostituite da un’unica disumana regola, quella del massimo profitto per
i capitalisti.
E questo
presuppone l’esistenza di un partito di classe, di un sindacato di classe e la
prospettiva di un mondo completamente diverso, che noi continuiamo a chiamare
socialismo e per cui continuiamo a lavorare e a batterci.
Ad ognuno di
noi è capitato di sentire, o di ripetere, la famosa frase di Rosa Luxemburg
“Socialismo o barbarie”. La morte di Khaled, e delle migliaia di lavoratori che
come lui muoiono ogni anno, ci dice che alla barbarie ci siamo già. Ma non
siamo ancora al punto di non ritorno, possiamo ancora invertire la rotta. Che
ognuno di noi lavori per questo.
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From: Teoria
& Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
To:
Sent: Monday,
September 11, 2017 9:49 AM
Subject:
AUMENTANO GLI OMICIDI SUL LAVORO
Gli operai
continuano a morire in fabbrica come mosche, schiacciati dalle presse e da
macchinari, precipitati da ponteggi senza dispositivi di protezione, folgorati
dalla corrente elettrica.
L’arida
contabilità degli omicidi rivela di che sangue e di che lacrime grondi la
“ripresina” economica annunciata dal governo.
Secondo i dati
INAIL, nei primi sette mesi di quest’anno sono aumentati gli incidenti e i
morti sul lavoro: il numero ha raggiunto quota 591, Ventinove in più rispetto l’analogo
periodo del 2016.
Le morti sul
lavoro non sono mai una “fatalità”, come ripetono i padroni e i loro giornali.
Hanno precise cause di classe.
Più
sfruttamento, maggiore intensità del lavoro, turni massacranti, ritmi
infernali, abolizione delle pause, ricatti su ricatti, minacce su minacce,
stress continuo, lavoro insicuro e precario: e cosa c’è dietro l’aumento dei
morti, dei feriti, dei malati causati dal lavoro salariato. Altro che la
disattenzione degli operai!
Le leggi
servono a poco o a niente se non c’è la resistenza e la lotta proletaria contro
il sistema che produce inevitabilmente gli omicidi sul lavoro per ottenere il
massimo profitto, per un nuovo sistema basato sulla proprietà collettiva dei
mezzi di produzione.
Ricordiamocelo
quando agiamo in fabbrica e fuori per limitare le conseguenze dello
sfruttamento padronale, per limitare gli assassinii e gli infortuni sul lavoro.
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From: Teoria
& Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
To:
Sent: Monday,
September 11, 2017 9:49 AM
Subject: NO AI
LICENZIAMENTI PER IL PROFITTO
Esprimiamo
piena solidarietà agli operai della COMITAL di Volpiano (TO), dal 31 luglio in
presidio davanti ai cancelli, per lottare contro la decisione di chiusura
dell’azienda e l’avvio dei licenziamenti collettivi (138 lavoratori). decisi
dalla proprietà francese.
Lo scorso 23
agosto ci sono stati degli scontri. Alcuni camion, che servivano per portare
via i macchinari, hanno cercato di forzare il blocco degli operai. I
carabinieri hanno caricato il presidio e due operai sono dovuti ricorrere alle
cure mediche. Ecco la legge del profitto padronale.
Il segretario
della FIOM provinciale, invece di chiamare alla lotta le fabbriche e il territorio,
si è limitato a mantenere il presidio operaio isolato e senza prospettive,
chiedendo “l’intervento urgente delle istituzioni”, che se ne lavano le mani.
Contro i
licenziamenti per i profitti e “di borsa” che colpiscono migliaia di operai ci
vuole la lotta dura e unitaria.
Occorre alzare
il livello dello scontro, fino all’occupazione delle fabbriche, con il sostegno
degli altri lavoratori e delle realtà di lotta locali e nazionali.
Occorre
l’unificazione delle vertenze con la costruzione del fronte unico proletario,
esigendo la soluzione dei problemi urgenti e immediati della classe operaia.
Basta con i licenziamenti per i profitti!
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From: Teoria
& Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
To:
Sent: Monday,
September 11, 2017 9:49 AM
Subject: IL
“PARADISO” SINDACALE DELLA LUXOTTICA
Un elemento
tipico dei rinnovi contrattuali è l’introduzione del cosiddetto welfare
integrativo o aziendale.
Lo scorso aprile
abbiamo già affrontato tale tema, mettendone in evidenza le sue caratteristiche
generali e denunciando la linea seguita dai vertici sindacali.
Vediamo ora un
esempio di applicazione “modello” di welfare aziendale: quello alla Luxottica,
strombazzato come esempio positivo dal Corriere della Sera. Lo facciamo con
l’aiuto di una corrispondenza pervenutaci da una delegata sindacale, che
ringraziamo.
Il welfare
aziendale alla Luxottica ha una lunga storia, a partire dall’accordo del 2009,
ampiamente strombazzato e magnificato dai bonzi sindacali.
Nel maggio 2017
i segretari territoriali di categoria CGIL, CISL,UIL hanno firmato un altro
accordo.
La
multinazionale ha infatti realizzato alti profitti e può permettersi di
distribuire le briciole sotto forma di “welfare” per fidelizzare la
forza-lavoro più specializzata e indispensabile al processo di produzione,
cercando in tal modo di scongiurare i colpi della concorrenza di capitalisti
rivali.
La grande crisi
del 2008 ha infatti aumentato la rivalità fra aziende che operano nelle stesse
branche produttive, che operano in un mercato sempre più saturo.
E’ questo il
vero motivo per cui i capitalisti chiedono ai burocrati sindacali confederali
di esercitare ogni pressione sulle rappresentanze operaie di fabbrica e sugli
stessi lavoratori, per farne dei propagandisti del sogno di ottenere senza
scontri e senza lotte la difesa del valore del salario e il suo aumento.
L’accordo,
fortemente voluto da padron Del Vecchio, permette all’impresa, al posto del
tipico salario aggiuntivo dato dal “premio di risultato”, di risparmiare il 30%
su ogni premio erogato sotto forma di beni e servizi, e al lavoratore di non
versare tasse e contributi con un “apparente” risparmio di quasi il 20%,
beneficiando inoltre di un contributo aziendale aggiuntivo del 10%. Un esempio
“virtuoso”, che padroni, governo e sindacati collaborazionisti intendono
estendere in altre fabbriche.
In seguito, la
“generosità” del padrone (il secondo uomo più ricco d’Italia con un patrimonio
di circa 18 miliardi di dollari) è arrivata a produrre i “bonus vita”
(contributo agli eredi in caso di decesso del lavoratore anche al di fuori
dell’azienda), e la “banca ore etica”.
Tale accordo ha
incontrato la contrarietà di alcuni delegati CGIL della Luxottica di Agordo e riserve
da parte di altri delegati. Sottoposto al voto delle RSU, l’accordo è però
passato a maggioranza.
Dove sta
l’inghippo che rende tale accordo così soddisfacente per il padrone e per i
suoi tirapiedi?
Anzitutto
bisogna ricordare che quando una parte del salario viene pagata in “buoni” o
“servizi” (solitamente di proprietà o associati allo stesso capitalista) non
solo diminuisce il monte salari reale (dunque aumenta lo sfruttamento) e il
costo del lavoro per il padrone, ma si vincola ancor più l’operaio. Come? Sia
facendolo rimanere in quella fabbrica, al successo dell’azienda; sia a versare
il proprio salario nelle tasche dello stesso padrone, togliendo all’operaio
stesso la
libertà di
andare altrove.
Questo sistema
era molto diffuso nei secoli scorsi e dichiarato illecito, ma oggi sfruttando
la debolezza del movimento operaio e la complicità dei sindacati viene di nuovo
ripristinato.
In secondo
luogo, questi accordi sono funzionali allo smantellamento del welfare
universale e pubblico; infatti i servizi vengono forniti da aziende private che
realizzano ampi profitti. In altre parole si liquidano le tutele collettive, in
cambio di sedicenti tutele individuali, aumentano i ricatti (più tutele agli
operai in cambio di maggior produttività) e si dividono gli sfruttati, perché
il sistema del welfare aziendale produce una diseguaglianza tra chi vi accede e
chi no.
Se poi un
operaio viene licenziato non perderà solo il posto di lavoro e il salario, ma
anche il diritto alla salute per sé stesso e per la propria famiglia.
Inoltre, va
detto che mentre il risparmio dell’importo relativo a tasse e contributi per
l’azienda è reale, per il lavoratore è solo apparente, perché se i beni e
servizi scelti fossero il pagamento del mutuo o il pagamento di visite mediche
non si potrebbero detrarre quegli importi, pari al 19% della spesa, dalla
denuncia dei redditi.
Vi è poi una
questione di fondo: come si può parlare di effettivo “risparmio” per il
lavoratore, quando il cosiddetto risparmio consiste nel non pagare le tasse e contributi
che dovrebbero garantirgli i servizi sociali e una pensione dignitosa?
Quanto al
risultato ottenuto in termini di riduzione dell’assenteismo (sceso dal 6 al 4%)
la cosa non è certo da imputare al cosiddetto sentimento “di appartenenza” o
all’attaccamento aziendale, piuttosto al fatto che la malattia costa caro.
In Luxottica ci
sono altissime percentuali di precari in somministrazione o con contratto a
termine, ricattabili sotto ogni punto di vista, mentre agli operai a tempo
indeterminato, la malattia, oltre ad essere pagata al 50% per i primi 3 giorni,
riduce sensibilmente l’importo del premio di risultato.
Con questi
accordi (che sono in realtà accordi sulla produttività mascherati) si
peggiorano notevolmente le condizioni lavorative: orari, turni, ritmi, pause,
ecc, si subordina sempre di più l’operaio alle esigenze aziendali, invece di
mettere un freno all’ingordigia di profitti dei capitalisti.
Chi non ci sta
viene messo alla porta, come un sindacalista combattivo della Luxottica
licenziato per rappresaglia lo scorso anno.
Insomma, il
welfare aziendale è fatto di finte beneficenze che servono a tenere gli operai
ancora più succubi ai padroni, mentre i burocrati sindacali (uno strato
corrotto dal capitalismo per tenere a bada la classe operaia e frenare le sue
lotte) si ingrassano sempre più.
Rifiutiamo il
meccanismo antioperaio del “welfare aziendale”, diamo linfa al sindacalismo di
classe, senza limitare e nostre rivendicazioni a ciò che è “accettabile” al
padrone, ma rivolgiamole contro il sistema di sfruttamento degli operai!
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From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday,
September 11, 2017 2:50 PM
Subject: DOVE
VA LA CLASSE OPERAIA STATUNITENSE? DOVE VANNO I LAVORATORI DI TUTTO IL MONDO?
Jacobin
Magazine
12/08/17
LAVORATORI DI
TUTTO IL MONDO: INTERVISTA A BEVERLY SILVER (SECONDA PUNTATA)
Per gentile
concessione di Jacobin Magazine pubblichiamo la traduzione dell’intervista a
Beverly Silver, presidente del Dipartimento di Sociologia alla John Hopkins
University. Silver è una delle più importanti figure della sociologia del
lavoro e da sempre una militante per i lavoratori. Tra le sue opere “Le forze
del lavoro” e “Caos e governo del mondo” firmate con Giovanni Arrighi, entrambi
pubblicati da Bruno Mondadori.
DOMANDA
In passato, le
ondate di militanza e organizzazione hanno tendenzialmente portato nuove e
potenti forme organizzative. Nel diciannovesimo secolo ci furono i sindacati
dei lavoratori specializzati, nel ventesimo secolo i sindacati industriali.
Queste forme sono destinate all’oblio? Se si, cosa potrebbe rimpiazzarle?
RISPOSTA
Di sicuro non
sono destinate all’oblio. Negli USA, per esempio, alcuni dei sindacati coi
migliori risultati oggi (in termini di reclutamento di nuovi membri e di
militanza) sono quelli che hanno le radici nella vecchia American Federation of
Labor, nella tradizione dei lavoratori specializzati. Qualcuno sostiene che
alcuni elementi di questo vecchio stile organizzativo sono più adatti alla
natura orizzontale degli odierni posti di lavoro, piuttosto che i sindacati
industriali tipici delle grandi imprese a integrazione verticale.
Questo non
significa che i sindacati industriali siano morti. I successi tipici dei
sindacati della Confederation of Industrial Unions (come lo sciopero di Flint e
quelli successivi) si basavano sullo strategico potere di contrattazione dei
lavoratori sul luogo della produzione. Penso ci siano ancora lezioni da trarre
da quei successi.
Chiaramente
nessuna di queste due forme ha avuto successo nei confronti dei problemi
fondamentali del capitalismo. Come ho già detto, il problema dei sindacati è
che, fino a quando sono efficaci, il capitale e lo stato non hanno interesse a
collaborare con loro. Nella misura in cui invece non riescono a portare
cambiamenti seri nelle vite dei lavoratori (ed è ciò che è successo in larga
parte) perdono credibilità e legittimità agli occhi dei lavoratori stessi.
Penso che
vediamo costantemente entrambi i lati di questa contraddizione. I sindacati
sono parte della soluzione ma non sono la soluzione completa.
DOMANDA
Una delle idee
di Marx era che i sindacati avrebbero dovuto integrare i disoccupati in
un’unica organizzazione. Questa è un’opzione negli Stati Uniti?
RISPOSTA
Penso che
sarebbe certamente l’ideale, è ciò che dicevano Marx e Engels nel Manifesto del
Partito Comunista quando discutevano del ruolo dei comunisti e del movimento
operaio.
Questo ci
riporta anche alla questione della relazione tra il processo di sfruttamento e
quello di esclusione, tra la lotta nei luoghi di lavoro e la lotta nelle
strade.
Per i
sindacati, cercare di seguire l’idea di Marx significa pensare strategicamente
alle condizioni in cui i lavoratori con un impiego stabile possano essere
portati e radicalizzati nelle lotte dei disoccupati e precari, e viceversa.
DOMANDA
Quali sono le
prospettive per la rivitalizzazione del lavoro negli USA? Ti aspetti un aumento
della militanza e dell’organizzazione nel prossimo futuro?
RISPOSTA
Da un lato, su
un terreno teorico, mi aspetto un aumento della militanza dei lavoratori negli
USA. A livello empirico, dal 2008, abbiamo visto un aumento dei disordini
sociali legati alla classe in tutto il mondo, che potrebbe in retrospettiva
apparire come l’inizio di una rivitalizzazione di lungo termine.
Questo va
contro il sentimento prevalente; è interessante comparare il pessimismo di oggi
con ciò che dicevano gli esperti negli anni ‘20. Allora, gli esperti
osservavano come i lavoratori specializzati fossero minacciati dall’espansione
della produzione di massa, e sostenevano che il movimento dei lavoratori fosse
indebolito mortalmente, definitivamente morto. E hanno continuato a ripeterlo
fino alla vigilia dell’ondata di disordini operai a metà anni ‘30.
Non
comprendevano che, mentre era vero che molti dei sindacati dei lavoratori
specializzati erano ormai indeboliti, si stava formando una nuova classe
operaia. Osserviamo la stessa cosa oggi, una situazione in cui la classe
operaia della produzione di massa del ventunesimo secolo viene indebolita, ma
c’è anche una nuova classe operaia in formazione, anche nella manifattura.
E’ importante
non rimuovere la manifattura dal ragionamento su ciò che sta accadendo, anche
negli USA, tantomeno nel mondo intero. Ogni volta che avviene una nuova ondata
di disordini operai, la classe operaia appare fondamentalmente diversa, e le
strategie e le mobilitazioni sono fondamentalmente diverse.
DOMANDA
Chi pensi che
guiderà la rivolta, questa volta?
RISPOSTA
Difficile da
dire. Ciò che è chiaro sono le questioni critiche per il lavoro oggi, che in
buona parte riguardano la base di massa e la guida necessarie affinché la
“prossima rivolta” sia trasformativa. Siamo in una situazione in cui il
capitale sta distruggendo le condizioni di vita più velocemente di quanto ne
crei di nuove. Stiamo sperimentando su scala globale, e anche nei paesi
centrali come gli USA, un’espansione del surplus di popolazione, in particolare
quello a cui Marx nel Capitale si riferiva come il surplus di popolazione
stagnante: coloro che non verranno mai davvero incorporati nel lavoro salariato
stabile.
I lavoratori a
chiamata, a tempo determinato, part-time, e i disoccupati di lungo termine,
tutto questo gruppo si sta espandendo, portandoci verso la strada della
povertà. Nonostante la crisi di legittimità che ciò crea al capitalismo, non
c’è nessuna tendenza in direzione diversa all’interno del capitalismo. Se
cambieremo direzione, sarà qualcosa che verrà dal movimento politico di massa, piuttosto
che dal capitale.
Ci sono due
importanti punti da considerare. Uno è che la redditività del capitale, in
tutta la sua storia, è dipesa dall’esternalizzazione parziale non solo dei
costi di riproduzione del lavoro, ma anche dei costi di riproduzione della
natura. Questa esternalizzazione è diventata sempre più insostenibile, ma non
c’è nessuna tendenza interna al capitale per correggerla.
In più, dato
che la natura come bene liberamente accessibile è stato uno dei pilastri del
patto sociale del dopoguerra che legava la produzione di massa al consumo di
massa della classe operaia, non è possibile un semplice ritorno all’età
dell’oro del keynesismo e dello sviluppismo.
Secondo punto,
la tendenza storica del capitalismo è risolvere le crisi politiche ed
economiche attraverso politiche espansionistiche e militariste, dobbiamo
prendere sul serio la guerra, in particolare in questo periodo di crisi e
declino egemonico degli USA.
Il controllo
del petrolio, l’accaparramento di risorse, gli scontro per strisce di mare nel
Mare Cinese, questi conflitti hanno il potenziale per conseguenze orribili per
l’umanità nel suo complesso. Per evitare questo, un internazionalismo del
lavoro rinnovato e aggiornato dovrà superare le tendenze visibili verso
l’atavico e risorgente nazionalismo del lavoro.
Dobbiamo quindi
partire da una considerazione della geopolitica (esaminando i collegamenti tra
militarismo, conflitto interno e movimenti dei lavoratori) per arrivare a
un’analisi seria. La vecchia dicotomia tra socialismo e barbarie è rilevante
oggi come non mai.
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From:
Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
To:
Sent: Monday,
September 11, 2017 3:58 PM
Subject:
RICHIESTA DI SOLIDARIETA’ AL “POPOLO DEGLI ULIVI” DEL SALENTO
A PROCESSO PER
AVER DIFESO IL FUTURO DEL SALENTO
I loro volti
sono quelli della verità, una verità calpestata, bruciata tra le fiamme
dell’omertà, della complicità. Cittadini come tanti, madri, padri, studenti,
contadini, professionisti e anche bambini. Erano circa duecento i salentini che
nel novembre del 2015 bloccarono il traffico ferroviario alla stazione di San
Pietro Vernotico. Di questi, 46 sono stati identificati e denunciati dalla
Digos di Brindisi. L’accusa è di aver omesso di dare avviso dalle autorità
competenti della manifestazione, cagionando un danno ai passeggeri e alle
Ferrovie dello Stato, oltre che di interruzione di pubblico servizio.
La
manifestazione in questione aveva la finalità di bloccare il Piano Silletti che
prevedeva non solo l’estirpazione degli ulivi salentini perché ritenuti infetti
da Xylella (senza però alcun test di patogenicità effettuato sul batterio e
soprattutto con la consapevolezza che l’estirpazione delle piante non eradica
il batterio), ma anche l’irrorazione a tappeto da Leuca a Brindisi di
fitofarmaci riconosciuti dannosi alla salute umana, i cui effetti sarebbero
emersi soprattutto nelle generazioni future. Hanno tentato ogni via per evitare
il disastro, hanno cercato di dialogare con le Istituzioni, hanno chiesto a
gran voce di aprire la ricerca a 360° e di accreditare altri centri analisi ma
ogni loro richiesta è rimasta inascoltata. A dicembre la procura di Lecce
bloccò quel folle piano indagando lo stesso commissario all’emergenza, il
generale Silletti, e parte della scienza che a oggi continua ad occuparsi del
disseccamento rapido.
Questi
cittadini il 6 novembre saranno processati per aver difeso la loro storia e il
loro futuro. Oggi hanno bisogno della solidarietà di tutti.
Siamo dunque al
loro fianco nell’affermare l’alto valore sociale della loro azione, rivolta ad
impedire uno scempio immensamente superiore al presunto danno arrecato dalla
loro azione di protesta.
Cari compagni e
care compagne,
con la presente
vi chiediamo di esprimere la vostra solidarietà ai manifestanti inquisiti per
aver lottato contro gli espianti degli ulivi salentini.
Le eradicazioni
di massa degli ulivi all’interno di una vasta fascia di territorio fra le
province di Lecce e Brindisi erano state disposte nel 2015 dal cosiddetto
“piano Silletti”, varato dal Governo Renzi per la gestione dell’epidemia di
CoDiRO (Complesso del disseccamento rapido dell’olivo).
Tale piano
veniva contestato dalle popolazioni sia nel merito che nel metodo, perché
prevedeva la distruzione delle piante e non la cura, perché non vi erano prove
sulla reale efficacia degli espianti per contenere l’epidemia, perché venivano
imposti manu militari, e anche su piante sane.
Inoltre il
piano prevedeva l’obbligo di una massiccia irrorazione di insetticidi nelle
zone interessate, con i conseguenti rischi per l’ambiente e la salute.
L’opposizione
alle eradicazioni ha mobilitato nel 2015 interi paesi, dove gli abitanti e i
solidali hanno presidiato giorno e notte gli uliveti, fermato le ruspe, attuato
azioni di protesta.
La loro azione
è stata efficace, assieme alla loro opera di denuncia: nel dicembre 2015 la
Procura di Lecce ha indagato il commissario straordinario per l’emergenza,
Giuseppe Silletti, bloccando gli espianti nella provincia di Lecce grazie al
sequestro preventivo di urgenza di tutti gli ulivi interessati.
A due anni di
distanza sono arrivate le conseguenze giudiziarie per quelle lotte, e il
prossimo 6 novembre ci sarà la prima udienza contro 46 manifestanti accusati di
avere bloccato il traffico ferroviario sulla linea adriatica nell’ambito della
mobilitazione contro gli espianti.
In vista del
processo stiamo promuovendo l’adesione ad un appello garantista per sostenere
chi si è opposto alla devastazione di un patrimonio ambientale di valore
inestimabile.
Le adesioni
vengono raccolte tramite la piattaforma Change:
Le firme
verranno consegnato ai mezzi di informazione e poste sui manifesti che, in
prossimità del processo del 6 novembre, saranno affissi in quantità nelle città
e province di Lecce e Brindisi.
Associazione
Bianca Guidetti Serra (BO)
Primi
firmatari:
i redattori di
Carmilla on Line:
Valerio Evangelisti,
scrittore
Sandro Moiso,
docente
Gioacchino
Toni, saggista
Franco Pezzini,
scrittore
Alessandra
Daniele, scrittrice
Fabrizio
Lorusso, giornalista, scrittore e ricercatore universitario
Gian Domenico
Maccentelli, copywriter e regista freelance
Filippo
Casaccia, autore televisivo
Domenico Gallo,
scrittore e traduttore
Mauro Baldrati,
scrittore
Alessandra
Cecchi, redattrice
Ascanio
Celestini, attore
Giorgio
Cremaschi
Antonio
Onorati, Centro Internazionale Crocevia
Per
approfondire la vicenda degli espianti:
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From: Riccardo
Antonini erreemmea@libero.it
To:
Sent:
Wednesday, September 13, 2017 10:13 AM
Subject: VOLANTINO
DIFFUSO L’11 SETTEMBRE AL TRIBUNALE DI FIRENZE
L’UNICA LOTTA
PERSA E’ QUELLA CHE SI ABBANDONA ...
Riccardo
licenziato per aver detto la verità, 7 anni e mezzo prima, sulla strage
ferroviaria di Viareggio!
Il “cavalier”
Moretti condannato a 7 anni, è risarcito con 10 milioni di euro!
I ricorsi per
la reintegrazione di Riccardo Antonini sono stati rigettati per “infedeltà” a
Moretti/Elia/Soprano&Company, tutti condannati per la strage ferroviaria
del 29 giugno 2009.
La Cassazione
conferma la sentenza di 1° grado del 4 giugno 2013, sentenza emessa contro
Riccardo dal giudice del lavoro, dottor Nannipieri, trasferito poi al Tribunale
di Livorno.
Vincenzo Di
Cerbo (presidente), Giuseppe Bronzini, Antonio Manna, Federico Balestrieri,
Federico De Gregorio (consiglieri) della Corte Suprema di Cassazione, Sezione
Lavoro, e prima i Luigi Nannipieri di Lucca e Giovanni Bronzini (presidente),
Gaetano Schiavone e Simonetta Liscio (consiglieri) della Corte d’Appello di
Firenze, hanno emesso sentenze d’inchino a poteri forti.
Di fronte al
licenziamento politico di Riccardo, quindi al licenziamento
DI-SCRI-MI-NA-TO-RIO, si sono piegati ai voleri del “cavalier” Moretti.
Hanno, così,
offeso le 32 vittime della strage di Viareggio, i loro familiari e alimentato
paura e terrore tra gli attivisti sindacali che lottano per la salute e la
sicurezza nei luoghi di lavoro.
Nella sentenza
di Cassazione si legge: “[...] emerge che il ricorrente aveva più volte
sostenuto... la responsabilità della società e dei suoi vertici per aver
cagionato il disastro ferroviario di Viareggio, invocandone claris verbis (cioè
con parole esplicite la punizione. [...] In tal modo il ricorrente [...] si è
posto dichiaratamente come concreto antagonista della società da cui
dipendeva”.
Non antagonista,
ma concreto...
Ogni commento è
superfluo!
I giornalisti
possono esprimere diritto di cronaca e di critica, i politici possono..., i
giudici possono..., ma al ferroviere Riccardo Antonini è negato il diritto di
espressione “per conflitto d’interessi” e per “violazione dell’obbligo di
fedeltà” e nei suoi confronti si è tentato (con minacce, ricatti, offese... ed
è tutto utto documentato) di impedire il dovere di dire la verità sull’immane
tragedia della strage ferroviaria di Viareggio.
Queste sono
sentenze genuflesse al “cavalier” Moretti (e a poteri forti) che nonostante la
condanna per le gravissime responsabilità nella strage del 29 giugno 2009, dopo
rinomine e promozioni (dalla Holding FS a Finmeccanica), è stato ricompensato
con una buonuscita di 9.442.000 (9 milioni e 442 mila) euro per i 3 anni a
Finmeccanica/Leonardo!
Non smetteremo
mai di ringraziarvi e di ricordarvelo!
09/09/17
Associazione
familiari “Il Mondo che vorrei” info@ilmondochevorreiviareggio.it
Assemblea 29
giugno assemblea29giugno@gmail.com
---------------------
From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Thursday, September 14, 2017 11:10 AM
Subject:
MILANO, INCIDENTE SUL LAVORO NEL DEPOSITO DI TRENITALIA: SALVATO DAI COLLEGHI
Milano,
incidente sul lavoro nel Deposito di Trenitalia: salvato dai colleghi
Milano,
dipendente Trenitalia folgorato da una scarica di 380 volt: i colleghi gli
salvano la vita
E’ successo
nella mattinata di mercoledì nel deposito “Milano Martesana” di via Bressan
Un dipendente
di Trenitalia di 63 anni lotta tra la vita e la morte al Pronto Soccorso
dell’ospedale Niguarda di Milano dopo essere stato folgorato da una scarica
elettrica.
L’incidente sul
lavoro è avvenuto nella mattinata di mercoledì 13 settembre all’interno del
deposito “Milano Martesana” di via Fratelli Bressan.
Il corpo
dell’uomo (secondo quanto riportato in una nota dell’azienda regionale di
emergenza urgenza) è stato attraversato da una scarica da 380 Volt mandandolo
in arresto cardiaco. Le sue condizioni sono subito apparse disperate ma si è
salvato anche grazie ai colleghi che lo hanno rianimato con il defibrillatore.
Accompagnato al pronto soccorso sta ancora lottando tra la vita e la morte.
Non sono ancora
chiare le cause dell’incidente sul lavoro. Sul caso sono intervenuti gli uomini
della Polfer per i rilievi del caso.
Purtroppo è
solo l’ultimo di una lunga serie di incidenti sul lavoro: nei giorni scorsi un
ragazzo di 27 anni era morto mentre smontava un ponteggio nel centro di Milano.
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From: USB
Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent: Friday, September 15, 2017 3:15 PM
Subject: COMUNICATO USB SANITA’ LIGURIA SU TULLIO ROSSI
VICENDA TULLIO
ROSSI: GRANDE RISPOSTA DEI GENOVESI IN PRESIDIO AL GALLIERA
Tullio Rossi
non è solo, mettetevelo in testa
Successivamente
ai vergognosi provvedimenti disciplinari che lo vedono minacciato di
licenziamento (ricordiamo che è padre di famiglia con 4 figli) per due frasi
sul social network Facebook rivolte a Bagnasco e Tettamanzi e non certo ai
datori di lavoro di Tullio Rossi, molti genovesi, scioccati da tanta arroganza,
sono vicini al nostro delegato.
Ricordiamo che
il Galliera è un ospedale finanziato con soldi pubblici, soldi di lavoratori e
cittadini
E a questo
punto è corretto che tutti i cittadini comincino a chiedersi come vengono spesi
i loro soldi.
A marzo 2017 il
M5S è dovuto ricorrere al TAR (vincendo) per ottenere i bilanci dell’Ospedale
Galliera e, leggete questa, l’utilizzo delle auto blu.
Quindi la
dirigenza del Galliera poteva, fino a “ieri”, utilizzare auto blu a spese dei
cittadini senza renderne conto a nessuno. Se saranno riscontrate irregolarità
chi rimborserà ai cittadini: il Direttore Generale o il Cardinal Bagnasco?
Rientra nei
compiti del Servizio qualità e Comunicazione del Galliera il cui dirigente è il
dootor Simone Canepa, il controllo dei profili Facebook dei dipendenti?
E questo
compito, non previsto, è stato svolto durante l’orario di servizio da personale
stipendiato con soldi pubblici?
E ancora...
quali sono i compiti del membro del Consiglio di Amministrazione del Galliera
in quota Comune di Genova (nel nostro caso il dottor Veardo dal 2003)?
E perchè Tullio
Rossi è stato lasciato solo a denunciare le irregolarità?
Perché la
Regione non è intervenuta prima?
Perché
nell’accreditamento regionale non è previsto il rispetto del CCNL e del D.Lgs.
81/08 sulla sicurezza per i dipendenti e le denunce vengono lasciate al singolo
sul quale poi ricadranno le ripercussioni?
Perché il
servizio PSAL (organo di vigilanza della ASL3 per la sicurezza degli ambienti
di lavoro) ha in dotazione solo 3 medici per tutto il territorio genovese?
Chi controlla i
referenti sulle norme anticorruzione e trasparenza degli ospedali liguri?
La vicenda
Tullio Rossi alza un velo su responsabilità politiche e sindacali enormi,
decenni di collusioni, di favori, di appalti ai quali risponderemo con una
forte reazione popolare.
#noisaremotulliorossi
Pagina
Facebook: A sostegno di Tullio Rossi
Firma su:
Change.org “Se parli ti licenzio. Io sto con Tullio”:
Genova,
14/09/17
Coordinamento
USB Sanità Liguria
---------------------
From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday,
September 18, 2017 11:39 AM
Subject:
L’UNICA CERTEZZA E’ CHE SIAMO PIU PRECARI
di Carmine
Tomeo
16/09/17
L’UNICA
CERTEZZA E’ CHE SIAMO PIU’ PRECARI
LA LETTURA DEI
DATI ISTAT MOSTRA CHE L’UNICA CERTEZZA E’ L’AUMENTO DELLA PRECARIETA’, CHE SI
CONFERMA UN DATO STRUTTURALE DEL LAVORO IN ITALIA
Sarebbe
interessante stimare il numero di occupati in Italia partendo dalle ore
effettivamente e complessivamente lavorate. Sì, perché, come sappiamo, i dati
ISTAT sull’occupazione si riferiscono a “persone di 15 anni e più che nella
settimana di riferimento (a cui sono riferite le informazioni) hanno svolto
almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività”, anche non retribuita nel
caso di lavoro nella ditta di un familiare. Così, quando si afferma che il
numero di occupati è aumentato, nel calderone dell’ISTAT è conteggiato anche un
precario chiamato a sostituire un lavoratore in malattia per una settimana e
che poi torna a sbatterti per cercare lavoro, o un lavoratore chiamato a fare
per un paio d’ore il giardiniere del proprio Comune.
E’ su queste
basi, ma nascondendole, che il governo Gentiloni può rallegrarsi di una
crescita statistica dell’occupazione congiunturale (+78.000, un misero +0,3%).
Senza contare che lo stesso governo omette di sottolineare (ancora di più oggi,
con la campagna elettorale praticamente iniziata) che l’aumento dei lavoratori
dipendenti (verificatosi anche per una drastica riduzione degli indipendenti:
-71.000) avviene in otto casi su dieci per la stipulazione di contratti a
termine. E non va meglio osservando i dati su base annua, dal momento che
rispetto al secondo trimestre 2016, quello di quest’anno segna (è vero)
l’aumento (+153.000, +0,7%) del numero di persone che hanno lavorato almeno
un’ora nella settimana di riferimento (è bene sottolineare ulteriormente questo
aspetto statistico degli “occupati ISTAT”). Ma questo dato emerge a fronte di
una riduzione degli indipendenti del 3,6%, e soprattutto a fronte di oltre il
75% di contratti a termine sul totale dei nuovi contratti.
Insomma, il
dato davvero certo è l’aumento della precarietà, che si conferma un dato
strutturale del lavoro in Italia. Alcuni dati potranno meglio rendere l’idea:
la seconda Nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del
Lavoro mostra come, nel secondo trimestre 2017, la durata effettiva dei
contratti a termine non supera i 30 giorni nel 38% dei casi; oltre 340.000
contratti hanno avuto durata di un solo giorno! Per questi lavoratori, anche la
speranza di poter firmare un contratto a tempo indeterminato risulta difficile.
La percentuale dei lavoratori che da contratto a termine sono riusciti a
ottenere un lavoro a tempo indeterminato è infatti calata: se tra il secondo
trimestre 2015 e lo stesso periodo 2016, il 24,3% di chi aveva un contratto a
termine è “transitato” verso uno a tempo indeterminato, tra il secondo
trimestre 2016 e stesso periodo 2017 questa percentuale è diminuita fino al
16,5%. E nel frattempo diminuisce (del 3,1%, arrivando al 22,4%) anche la quota
di coloro che riescono a uscire dalla condizione di disoccupazione. Dati che
mostrano una crescente difficoltà a trovare lavoro, soprattutto che non sia
precario e sottopagato. Una condizione che viene anche dal confronto su base
tendenziale delle ore lavorate, per cui a fronte di un aumento del 3,1% del
monte ore lavorate nelle imprese, quelle pro capite sono diminuite dello 0,7%.
Tra i numeri, quindi, si legge che quella piccola fetta di torta in più è stata
suddivisa tra i lavoratori in pezzi ancora più piccoli. Nel frattempo, le
imprese si sono viste ridurre il costo del lavoro (-0,1%) anche a scapito delle
retribuzioni che diminuiscono dello 0,3%.
Si spiega anche
così la riduzione del tasso di inattività. Se in una famiglia chi lavora è più
precario e il reddito disponibile sempre meno sufficiente a garantire una vita
dignitosa, altri suoi componenti sono costretti a mettersi alla ricerca di
qualsiasi lavoro, anche precario e sottopagato. In questo senso, più che in un
ritrovato clima di fiducia rispetto al futuro e quindi a un maggiore ottimismo
di trovare lavoro tra quanti in precedenza un lavoro nemmeno lo cercavano più,
la riduzione del numero di inattivi è dato da un crescente stato di necessità.
Uno studio
della Fondazione Di Vittorio pare confermare questa situazione, sottolineando
“il permanere di un sentimento di prevalente sfiducia”, dovuto in modo
particolare ad “un lavoro che si impoverisce e si precarizza contribuendo,
sulla base di questa condizione reale, a creare un generale effetto di scarsa
fiducia fortemente basato anche sul crescere delle diseguaglianze”. E così,
seppure “fra i lavoratori dipendenti scende al 20% la quota di chi si ritiene
con difficoltà economiche, sale invece al 58% la percentuale di coloro che
dichiarano di sentirsi poco tranquilli, in equilibrio instabile”. D’altronde, come
può essere diversamente se, come si legge nel rapporto ISTAT, continuano a
ridursi le transizioni da dipendente a termine a dipendente a tempo
indeterminato (dal 24,3% al 16,5%)? Come può esserci un clima di fiducia, come
ci si può sentire in equilibrio stabile se “a fronte della riduzione
complessiva delle transizioni dalla disoccupazione all’occupazione (-3,1
punti)”, gli unici flussi positivi (+0,9%) dalla disoccupazione verso
l’occupazione riguardano i lavori precari? Come si può essere tranquilli se
intanto ci si guarda attorno e si osserva che coloro che escono dall’inattività
sempre più spesso transitano verso la disoccupazione (dal 18,5% al 21,3% nei
dodici mesi)?
La sintesi di
questo quadro, quindi, non è, come affermato dal presidente del Consiglio
Gentiloni, di “una tendenza incoraggiante” frutto dei “buoni risultati di Jobs
Act e ripresa”, ma semmai la drammaticità di una precarietà che si consolida
come condizione sempre più diffusa e generale. Quello che emerge, allora, non è
un aumento degli occupati, ma la necessità sempre più estesa di avere
un’occupazione, un lavoro per tenere la testa fuori dalla melma e perciò un
lavoro purché sia, anche precario e sottopagato.
Il dato
politico è la necessità di abbandonare il protagonismo del ceto politico che
senza più credibilità pensa di poter continuare a mettere insieme, a tavolino,
pezzi di soggetti politici come tessere di un mosaico sperando di raccogliere
voti, per tornare, invece, a frequentare i luoghi dello sfruttamento
capitalistico così da mettere in campo un lavoro politico che restituisca nuovo
protagonismo ai lavoratori e che ne ricomponga la frammentazione.
Fonti:
ISTAT, “Il
mercato del lavoro”, 12/09/17;
Tecné CGIL,
Fondazione Di Vittorio “Fiducia economica, disuguaglianze, vulnerabilità
sociale 2° trimestre 2017”, luglio 2017;
Ministero del
Lavoro e delle Politiche sociali, “Seconda Nota trimestrale 2017 sulle
comunicazioni obbligatorie”, settembre 2017.
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From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, September 18, 2017 11:39 AM
Subject: ABD ELSALAM, LAVORATORE
IN RICORDO DI
ABD ELSALAM, UCCISO UN ANNO FA NELLA LOTTA PER L’ESTENSIONE DEI DIRITTI DI
TUTTI I LAVORATORI.
di Carmine
Tomeo
16/09/17
Un anno fa, un
lavoratore, padre di 5 figli, veniva ucciso investito da un camion che sfondò
il picchetto dei lavoratori in sciopero.
La notte tra il
14 ed il 15 settembre del 2016, a Piacenza era in corso uno sciopero dei
lavoratori GLS (tra le principali aziende di corriere espresso) indetto dal
sindacato USB. Si chiedeva la stabilizzazione con contratto a tempo indeterminato
per 13 lavoratori precari, ma l’azienda aveva rinnegato gli accordi presi. La
protesta arrivò immediata. I lavoratori entrarono in sciopero. Si formò un
presidio davanti ai cancelli del corriere espresso. Ma l’autista di un camion,
probabilmente incitato da un dirigente dell’azienda, forzò il picchetto dei
lavoratori, travolgendo e uccidendo un lavoratore. Qualche giorno dopo,
migliaia di persone, lavoratori italiani e immigrati, manifestarono a Piacenza
sotto la pioggia battente. Ed il successivo 22 ottobre, durante il No Renzi
Day, i lavoratori in piazza ridenominarono simbolicamente Piazza San Giovanni,
Piazza Abd Elsalam.
Era questo il
nome di quel lavoratore: Abd Elsalam, professore egiziano che 13 anni prima era
arrivato in Italia e qui lavorava per crescere i suoi 5 figli. Aveva un
contratto a tempo indeterminato, ma è morto lottando per l’allargamento dei
diritti a chiunque sia costretto a vendere la propria forza lavoro; una lotta
immediata contro la condizione di precarietà in cui erano costretti i suoi
colleghi di lavoro e più in generale affinché qualunque lavoratore potesse
uscire dalla condizione di perenne equilibrio precario.
A un anno da
quella tragedia, consumatasi nel corso di una lotta per l’estensione dei
diritti dei lavoratori, GLS ha scelto di chiudere per un giorno l’azienda. Una
“carità pelosa”, l’ha immediatamente definita l’USB, dal momento che se davvero
GLS avesse voluto ricordare il lavoratore, il modo migliore “sarebbe invece
aprire il centro di smistamento ai lavoratori - afferma il sindacato di classe
- per ricordare il nostro compagno proprio nella ricorrenza della sua
scomparsa”. Per questo USB ha portato comunque avanti l’iniziativa di sciopero,
che si è svolto il 14 settembre, nella stessa “fascia oraria in cui si è
consumato quel tragico omicidio”.
Uno sciopero
che ha avuto non solo un carattere commemorativo, ma, come si legge nel
comunicato del sindacato di base, “un altro momento di denuncia rispetto alle
condizioni di sfruttamento e di precarietà che vivono gli addetti nei magazzini
della logistica: dalla mancata applicazione dei contratti, alla non osservanza
delle norme di sicurezza”. Perché “la morte di Abd Elsalam è infatti la morte
di un lavoratore che si è sempre battuto in difesa dei diritti che proprio GLS
vuole negare”.
Quel lavoratore
lottava perché sapeva che l’uguaglianza dei diritti deve avere una tensione
verso l’alto e non verso la riduzione dei diritti di chi ancora ne conserva
qualcuno. Quel lavoratore sapeva che non si esce dalla subalternità senza
allargare l’unione dei vari frammenti della classe lavoratrice. Quel lavoratore
sapeva che è stupido, subalterno, esiziale stare guardare differenze che non
siano quelle di classe e dividersi tra giovani e anziani, uomini e donne, neri
e bianchi, italiani e stranieri quando si è uniti dalla comune condizione
sociale.
Quell’uomo era
Abd Elsalam, lavoratore.
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