Lettera di una lavoratrice che racconta l'assurda
normalità della discriminazione di genere durante un colloquio di lavoro. Non è
purtroppo la prima volta che questo tipo di discriminazione accade e che ci
venga segnalato. Ma a costo di ripeterci vogliamo mantenere alta l'attenzione
lasciando la parola alle lavoratrici! Articolo tratto da BgReport.
Sostenere colloqui di lavoro non è mai divertente,
soprattutto se hai necessità reale di lavorare. Lo è ancora di meno se chi
seleziona il personale ti rivolge domande sulla tua volontà di avere figli.
Sono una studentessa universitaria e ho sostenuto qualche settimana fa un primo
colloquio con una cooperativa bergamasca che si occupa di servizi alla prima
infanzia, disabilità, psichiatria e di migranti; cercavano un assistente
scolastico. Il colloquio è stato molto lungo, un’ora e un quarto, e al termine
il responsabile del personale mi ha detto: “vorrei capire quali sono i tuoi
progetti per il futuro, sai, vogliamo investire su persone valide per fare
ricambio”; io non avevo capito, e convinta di fare una battuta, gli ho
risposto: “non capisco, vuoi sapere se voglio avere dei bambini?”.
Inaspettatamente lui ha ribattuto: “Sì, se vuoi fare famiglia. Io sono molto
contento se le mie dipendenti hanno una vita serena e se fanno famiglia, ma ciò
implica problemi tecnici per noi. Io non sono maschilista, ma l’anno scorso ho
avuto dieci maternità da sostituire e in queste condizioni non posso dare
continuità ai ragazzi, creare una relazione”.
Io, allibita, me ne sono andata
con un peso sullo stomaco. Diverse sono le considerazioni possibili su una
storia che (sono sicura) è molto comune: innanzitutto, trovo paradossale che mi
si chieda se voglio far famiglia quando il posto per cui sostengo il colloquio
mi consentirebbe di guadagnare massimo 500 euro al mese (per 25 ore di lavoro
settimanali): come è ipotizzabile mettere al mondo un figlio con queste
condizioni economiche e lavorative?
Inoltre, il responsabile sosteneva che la maternità
delle sue dipendenti fosse un problema non economico, ma di continuità sui ragazzi,
ma io so che ogni anno vengono cambiate persone sui servizi, spostando il
personale… allora, di quale continuità stiamo parlando? Mi viene da pensare
che non sia una questione educativa, ma economica e organizzativa della
cooperativa. Infine, sono più che convinta che se fossi stata un maschio
questa domanda non mi sarebbe stata posta. La maternità infatti è un
“problema” solo femminile, perché si sa, sono le donne a dover gestire i figli!
E’ ancora più agghiacciante che a fare questo ragionamento sia una cooperativa
che si occupa di servizi alla persona e che (almeno in teoria) dovrebbe avere
al centro del proprio operato una visione del mondo e delle persone diversa.
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