INDICE
Clochard spartacok@alice.it
6 DICEMBRE 2007
– 2017: SULLA STRAGE DI OPERAI ALLA THYSSEN KRUPP DI TORINO
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
STORIE DI
QUOTIDIANA SOPRAVVIVENZA
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
LAVORARE STANCA
Teoria &
Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
DOLCETTI
ANTIOPERAI
Posta Resistenze
posta@resistenze.org
THYSSEN KRUPP:
10 ANNI DOPO NULLA E’ CAMBIATO
Patria
Indipendente redazione@patriaindipendente.it
LA TERRA TREMA:
PERCHE’ E QUANDO
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA
DEMOCRATICA
Carlo Soricelli
carlo.soricelli@gmail.com
FESTE SENZA
GIOIE PER LE MAMME CHE HANNO PERSO UN FIGLIO SUL LAVORO
Giuseppe
Carroccia giuseppecarroccia24@gmail.com
DIFENDIAMO UNO
PER LA SICUREZZA DI TUTTI!
Ferrovieri
Solidali cassadisolidarieta@gmail.com
COMUNICATO PER
SANDRO GIULIANI
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From: Clochard spartacok@alice.it
To:
Sent: Saturday,
December 09, 2017 6:20 AM
Subject: 6
DICEMBRE 2007 – 2017: SULLA STRAGE DI OPERAI ALLA THYSSEN KRUPP DI TORINO
Da La Stampa di
Torino
Esplode una
fabbrica chimica a Torino, due ustionati in gravi condizioni
Nel giorno
dell’anniversario della strage alla Thyssen, una nuova tragedia sul lavoro
TORINO
Oggi, mercoledì
6 dicembre, proprio nell’anniversario della strage alla Thyssen, nella tarda
mattinata si è verificata una forte esplosione in una fabbrica a Torino. E’
successo nella fabbrica di prodotti chimici Vaber di strada San Mauro, 203 a
Torino. Sul posto sono immediatamente accorsi i vigili del fuoco e numerose
ambulanze.
* * * * *
Nella notte fra
il 5 e il 6 dicembre 2007 in un incendio divampato sulla “Linea 5” di ricottura
e decapaggio dello stabilimento Thyssen Krupp di Torino, si verificò la morte
di 1 lavoratore, l’ustione di altri 7 di cui 6 in modo così grave che morirono
nei giorni e settimane seguenti. Gli operai si chiamavano: Giuseppe Demasi,
Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone,
Roberto Scola.
"Il
capitale non ha riguardo per la salute e per la durata della vita dell'operaio,
quando non sia costretto a tali riguardi dalla società" Karl Marx
* * * * *
Circolo di
Iniziativa Proletaria
Giancarlo
Landonio
via Stoppani,
15 21052 Busto Arsizio (VA)
e-mail: circ.pro.g.landonio@tiscali.it
SULLA STRAGE DI
OPERAI ALLA THYSSENKRUPP DI TORINO
Dolore e
collera per i morti devono diventare odio di classe contro gli assassini e
tradursi in azione politica e rivoluzionaria permanente contro padronato e
Stato.
Politicanti e
burocrati sindacali, che piangono lacrime di coccodrillo, sono complici degli
assassini perché trattano gli operai come carne da macello.
Solo
l'organizzazione dei lavoratori può arginare la carneficina.
Costituire in
ogni ambiente di lavoro i "comitati ispettivi operai". Bloccare il
lavoro in caso di pericolo e nocività. Prima la vita, dopo il profitto.
Il nostro
saluto commosso ai morti e ai feriti.
La nostra
solidarietà ai familiari. Il nostro vivo incitamento all'organizzazione, alla
lotta, al rovesciamento del potere padronale e all'instaurazione del potere
proletario.
Giovedì 6
dicembre il nostro gruppo di intervento a Torino, appresa la notizia
dell'esplosione al laminatoio della Linea 5 della Thyssen Krupp, raggiungeva la
fabbrica di corso Regina Margherita per accertarsi dell'accaduto e
solidarizzare con gli operai. Giunto sul posto si rendeva subito conto della
strage avvenuta, delle sue dimensioni e gravità: un operaio (Antonio Schiavone)
bruciato vivo avvolto nelle fiamme senza scampo; altri 7 dipendenti avvolti
nelle fiamme con ustioni su tutto il corpo, di cui 6 gravissimi, tre più morti
che vivi (Bruno Santino di 26 anni, Roberto Scola di 32, Angelo Laurino di 43),
tre (Giuseppe De Masi e Rosario Rodinò di 26 anni, Rocco Marzo di 53)
combattono tra la vita e la morte.
Una
violentissima fiammata, sprigionatasi dalla fuoriuscita di olio bollente dal
tubo di scorrimento, ha investito la squadra addetta alla linea avvolgendola
nel fuoco. Chi era presente non ha potuto far niente; ha assistito impotente
alle urla di morte dei compagni di lavoro e ha potuto solo correre per dare
l'allarme. La fiammata si sprigiona all'una di notte. Scaglione, con gli altri,
era alla 12a ora di lavoro nel reparto trattamento termico sul treno di
lavorazione. Le dimensioni della strage appaiono con nettezza il 7 quando
decedono Santino Scola Laurino; mentre per gli altri tre rimane il fiato
sospeso. [Rocco Marzo è deceduto il 16/12 e il 19/12 è deceduto anche Rosario
Rodinò n.d.r.]
Il nostro
gruppo di intervento, dopo avere espresso la propria solidarietà, discute con
gli operai presenti di come bisogna organizzarsi per porre fine al macello
quotidiano di lavoratori. Ma gli operai sono impietriti dal dolore e
profondamente sconvolti e non si riesce a concretizzare alcuna forma di
protesta.
DIVORATI PRIMA
DELLA CHIUSURA DELLO STABILIMENTO
La strage è
avvenuta in una fabbrica che tra alcuni mesi chiuderà battenti per il
trasferimento della produzione a Terni. E ciò rende più assurda e
raccapricciante la sequela di morti. La Thyssen Krupp è il colosso tedesco
dell'acciaio, formatosi dalla fusione nel 1998 dei due gruppi Thyssen e Krupp
fabbricanti di cannoni del secolo scorso, oggi primo produttore di acciaio in
Europa con più di 190.000 dipendenti, di cui 106.000 all'estero, 7.000 in
Italia. Negli accordi di giugno con i sindacati era stato stabilito il
trasferimento del laminatoio più produttivo e attrezzato (il treno della Linea
4) a Terni e la chiusura a giugno prossimo dello stabilimento. La fabbrica
lavora a ciclo continuo (24 ore su 24) e siccome la domanda tira (per la forte
richiesta di Russia, Brasile, India e Cina) la direzione aveva imposto 4 ore di
straordinario. Praticamente da luglio 200 operai sono chiamati a fare quello
che prima facevano 385 operai. Sulla Linea 5 si facevano quindi 12 ore
consecutive. Per di più da Terni era arrivata una commessa e le Linee dovevano
scorrere al massimo per soddisfare la richiesta.
Per capire la
gravità della strage bisogna dire qualche parola sulla ferocia e sull'azzardo
del moderno sfruttamento della forza-lavoro sotto lo stress della
competitività. Lo stabilimento di Torino era già in collasso da tempo.
Avvicinandosi la smobilitazione la direzione aveva trasferito a Terni la linea
più moderna coi sistemi antincendio ad azoto liquido in grado di bloccare le
fuoriuscite di olio ad alta pressione. I sistemi di protezione nella fabbrica
di Torino non venivano invece nemmeno manutenzionati. Alle ore 22 del 5
dicembre, tre ore prima della fiammata, il computer di comando aveva rilevato
una perdita al tubo di scorrimento dell'olio caldo ad alta pressione con un
principio di incendio; ma la lavorazione è continuata. La direzione era al
corrente che il reparto si trovava ad altissimo rischio; ma non ha arrestato il
ciclo per assecondare la commessa. Non solo, anche dopo la strage ha chiesto di
riprendere la produzione negli altri reparti. E se gli operai non si fossero
rifiutati le cose avrebbero continuato come prima. Ciò indica che la logica di
profitto attuale, della fase in cui viviamo, non indugia di fronte a niente. Si
muore quindi per modernità perché fatica e sangue sono la manna che riempie i
portafogli degli azionisti. Il bilancio del colosso, presentato il 4 dicembre,
registra un aumento del fatturato del 10% con utili dichiarati di 3,3 miliardi
di euro.
IL CORTEO DEL
10 DICEMBRE RISCATTA LA DIGNITÀ OPERAIA
Benché promosso
da FIOM, FIM, UILM, che proclamano uno sciopero di 8 ore con concentramento in
piazza Arbarello, il corteo di lunedì 10 dicembre è una manifestazione di forza
operaia e di collera anti-padronale. Alle 9,30 la piazza è strapiena: decine di
migliaia di operai, provenienti dalla provincia e dalla regione, affluiscono
nel luogo di concentramento, cariche di dolore e rabbia (la stima che si tratti
di 30.000 è verosimile). Appoggiano il corteo spezzoni della sinistra
parlamentare, il sindacalismo di base cui si unisce il "blocco antagonista
metropolitano", i raggruppamenti extraparlamentari. I pompieri della FIOM
si erano preparati per contenere ogni trasbordamento e mantenere la
manifestazione in un'atmosfera mesta di cordoglio e concordia cittadina come
chiedeva il sindaco Chiamparino. Il corteo si è mosso dietro lo striscione dei sindacati
metalmeccanici portato dagli operai della Thyssen Krupp e dai familiari, ma è
stato animato e pervaso da un profondo e vibrante senso operaio:
"Assassini pagherete tutto!", e "bastardi, bastardi!": sono
stati questi gli urli spontanei che partivano dalla testa (dalla bocca di Nino
Santino che mostrava la fotografia del figlio Bruno e quella degli altri
bruciati vivi pubblicata da la Stampa) e si ripercuotevano in tutto il corteo.
La collera operaia si è diretta, senza mezzi termini, contro gli assassini
(padroni, manager, dirigenti) e i loro complici, istituzionali (Bertinotti,
governo, ASL, ispettori) e sindacali (vertici confederali e di categoria, da
Rinaldini a estendere). Essa è stata indirizzata non contro chiunque, ma
unicamente contro padroni istituzioni burocrati sindacali, che sono i nemici di
classe del nostro tempo. Ed ha riaffermato l'inconciliabilità del contrasto
capitale-lavoro salariato.
Da via Cernaia
a piazza Castello ai fianchi del corteo e sui marciapiedi c'è un fiume di
lavoratori, che solidarizza con la manifestazione e che ribatte che è ora di
farsi sentire e che così non si può più andare avanti. Ciò che contraddistingue
la piazza è l'estensione operaia. La protesta contro la Thyssen Krupp e le
istituzioni ha messo in fila solo facce operaie in quanto solo gli operai
potevano onorare i loro morti e sfidare i loro assassini senza la compassione
pelosa degli altri ceti cittadini. In piazza è scesa la vecchia e la nuova
classe operaia che ha visto, chi più chi meno, generazioni di politicanti e di
sindacalisti voltagabbana sedicenti comunisti o socialisti. Ed ha fatto bene a
fischiarli e ad allontanarli dalla dimostrazione perché gli operai cominciano a
contare quando si delimitano dai loro falsi rappresentanti, dai vicini ambigui
e da chi sta con un piede in due staffe.
Dopo avere
ascoltato in piazza Castello sotto la Prefettura il breve discorso di Boccuzzi,
l'operaio scampato ma non completamente alle fiamme micidiali, e fischiato e
urlato “Vergogna Vergogna” a tutti i sindacalisti che volevano parlare, la
testa del corteo riprende la marcia e si dirige verso la sede dell'Unione
industriali. Circa 3.000 manifestanti attraversano le vie del centro al grido
“Assassini! Assassini!”.
La sede degli industriali ha i cancelli
sbarrati ed è presidiata da ingenti forze dell'ordine. Dall'angolo dei Centri
sociali volano alcune uova, un fumogeno e slogan contro carabinieri e polizia.
Due sindaci dei paesi di appartenenza di alcuni dei morti, in fascia tricolore,
si interpongono per stemperare la tensione. Alle 13 la manifestazione finisce
non avendo come suo obbiettivo lo scontro con le forze dell'ordine.
In conclusione
a Torino si è rivisto in piedi quel soggetto che è determinante nell'assetto
dei rapporti sociali; ed è certo che chi piange con rabbia i propri morti e
sfida gli assassini ha grande dignità e forza per conquistarsi un avvenire.
COME FARE A FAR
PAGARE TUTTO
La morte o la
mutilazione è lo scotto che paga, normalmente, chi lavora nelle acciaierie alla
catena di montaggio, nei cantieri, in edilizia e via dicendo. I bollettini
infortunistici sono noti bollettini di guerra: nei primi 8 mesi dell'anno hanno
perso la vita 811 lavoratori, mentre un milione ha subito mutilazioni più o
meno gravi o gravissime; in Piemonte i morti sono stati 55, i mutilati 53.000.
Come si fa,
cosa bisogna fare, per far pagare tutto agli assassini, ai padroni; e, prima di
tutto, per contenere questo fiume di sangue? Boccuzzi, dicendo che "quella
sera siamo andati a morire non a lavorare", ha toccato, forse senza
volerlo, il tasto dolente: il comportamento operaio. Si può andare a lavorare,
e lavorare effettivamente e prolungatamente, in condizioni di rischio come
quello incombente nello stabilimento in smobilitazione della Thyssen Krupp?
E ancora in
materia di sicurezza sul lavoro si può stare dietro agli ordini dei padroni e
ai pareri degli esperti (ASL, ispettori)? Discutiamo di queste due questioni
partendo, per la sua pregiudizialità, dalla seconda.
La sicurezza
che interessa alle imprese è, sempre e invariabilmente, la sicurezza dei
profitti. Per i padroni gli operai sono limoni da spremere. Le norme
anti-infortunistiche, che vengono contingentemente varate dai governi, si
uniformano alla logica del profitto. Tutto questo in condizioni normali. In
questo periodo di accesa competitività le imprese, pressate dalla competizione,
compromettono ogni condizione di sicurezza. Da parte loro i burocrati
sindacali, con la scusa di salvare i posti di lavoro, chiudono entrambi gli
occhi.
Le ASL e gli
ispettori nella maggior parte dei casi certificano per routine o per corruzione
la regolarità. E così il compendio normativo anti-infortunistico resta lettera
morta.
Nel laminatoio
di corso Regina Margherita era stata compromessa ogni condizione di sicurezza,
in quanto il dimezzamento della forza-lavoro aveva scompigliato squadre e
competenze e ridotto le stesse capacità di controllo dei lavoratori, che
peraltro sopportavano turni di 12 ore non per sopperire al mancato rincalzo ma
perché così conveniva all'azienda.
In ogni strage
sul lavoro si levano poi in coro gli accademici a reclamare una cultura
manageriale che concili competitività e salute, mentre politicanti e
sindacalisti ragliano che l'operaio venga considerato una risorsa non un costo.
La cultura manageriale è la prassi della razzìa del lavoro e la teoria
dell'operaio risorsa è l'ideologia del lavoro flessibile sottopagato coatto, in
debito con la stessa considerazione espressa dal cardinale Poletto al funerale
del 13 che "il lavoro è per l'uomo, non l'uomo per il lavoro". Quindi
in materia di sicurezza non si può stare dietro, o in compagnia, né dei padroni
né dei burocrati sindacali né degli esperti né di chicchessia.
Passiamo alla
prima questione. Gli operai esistono per sé non per il capitale. Nei luoghi di lavoro
debbono mantenere la loro piena autonomia di azione e movimento. Sono essi che
debbono stabilire come e quando interrompere la prestazione lavorativa in caso
di pericolo o di nocività.
Ci sono limiti
di rischio che non possono essere scavalcati senza incorrere in tragedie. E
bisogna far valere la forza collettiva senza andare sempre più indietro perché
il padrone vuole sempre di più. Non si deve dimenticare che col contratto di
lavoro l'operaio mette a disposizione del padrone la propria capacità di lavoro
non la propria salute o la propria vita. Perciò esso deve anteporre
all'esplicazione dell'attività lavorativa l'interesse inalienato e prioritario
all'integrità fisica, interrompendo questa attività quando occorre e come
prassi normale. C'è un consumo distruttivo della forza-lavoro che va frenato e
bloccato. Questo consumo ha come suo canale protocollare lo straordinario.
Dal 2001, per
non andare più indietro nel tempo, gli operai si debbono ammazzare di lavoro
per sopravvivere. Con la decontribuzione degli straordinari, concessa dal
governo in carica, il padronato spingerà i lavoratori ancor di più in questa
strettoia infernale. Lo straordinario, anche quando non è la causa diretta
dell'infortunio, alza ugualmente la soglia di rischio ed agisce da concausa.
Perciò lo straordinario a briglie sciolte non va accettato né giustificato dal
ricatto del sottosalario; va combattuto e la lotta portata sull'aumento del
salario. Non si può concedere tutto questo potere al padronato.
Quindi non si
deve andare a farsi scannare o accettare di rischiare la vita; c'è il modo di
porre un freno alla carneficina e anche di eliminarla alla radice; e questo
modo è nelle mani degli stessi lavoratori.
COSA FARE, COME
MUOVERSI E AGIRE
La chiave della
sicurezza sul lavoro sta nel controllo, nell'ispezione operaia, delle
condizioni di lavoro, stabilmente organizzato. L'esercizio del controllo e la
stabilizzazione dello stesso passano attraverso la formazione di organismi
adeguati, di comitati ispettivi operai di azienda, cantiere, zona, ecc.; che
devono avere quale compito specifico quello di controllare, ispezionare,
l'ambiente di lavoro e di bloccare il processo produttivo in caso di pericolo
e/o nocività, fino alla rimozione della fonte di pericolo e/o di nocività.
I comitati
ispettivi operai debbono essere composti da operai combattivi e competenti e
debbono avere la piena consapevolezza che l'incolumità fisica e la salute
costituiscono una questione cruciale del lavoro sfruttato.
I comitati
ispettivi operai non vanno poi confusi coi RLS (Rappresentanti dei Lavoratori
alla Sicurezza), che sono creature di animazione sindacale, ligie alla
competitività e all'efficientamento delle aziende.
Quindi, e
tiriamo con ciò la prima conclusione, la cosa da fare è quella di formare e di
estendere, partendo dalle aziende più grosse, questi organismi di controllo ed
ispezione, per porre un argine al dilagare della carneficina.
Ma questo è il
primo passo da fare. Accanto a questo livello elementare di organizzazione
operaia, che serve solo per contrastare il padronato, occorre costituire un
livello superiore di organizzazione che sia in grado di attaccare lo Stato e di
rovesciare il sistema di sfruttamento; e con ciò tiriamo la seconda conclusione.
La classe
operaia non può stare al rimorchio di un sistema distruttivo, militarizzato,
morente. Per far pagare tutto agli assassini bisogna spodestarli del potere. E
per poter far questo occorre attrezzarsi degli strumenti necessari e, in
particolare, del partito rivoluzionario. Dunque i più forti sentimenti di sfida
debbono tradursi nell'organizzazione di questa arma assoluta.
Edizione a cura
di
Rivoluzione
Comunista
piazza
Morselli, 3 Milano
e-mail: rivoluzionec@libero.it
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From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, December
11, 2017 8:25 PM
Subject: STORIE
DI QUOTIDIANA SOPRAVVIVENZA
di Garabombo
09/12/17
INTRODUZIONE
Garabombo è una
piccolissimo collettivo informale di operatori ed operatrici sociali che vuole
raccontare e raccontarsi le tante storie che accomunano da Aosta a Milazzo la
faticosa, seppur appassionante, professione di chi, per scelta o per necessità
è approdato in una cooperativa sociale nella quale quotidianamente rende
possibile, con il proprio lavoro, con la propria creatività professionale, la
propria capacità relazionale emotiva ed empatica, la vita meno faticosa e
sofferente per le migliaia di persone che vivono condizioni di fragilità
esistenziale nella nostra società.
La crisi
economica nella quale milioni di persone sono sprofondate a causa di politiche
irresponsabili di governi fantoccio e dell’arroganza padronale delle classi
dominanti che ci hanno trasformato da cittadini a meri consumatori di merci e
di servizi ha aumentato la quantità di sofferenza e di precarietà esistenziale.
La povertà
aumenta tra i lavoratori a cui hanno estorto potere salariale cosi come tra le
famiglie a cui nei decenni hanno tagliato le spese sociali offrendo servizi
sempre meno qualitativi e dividendo anche in questo senso i servizi a partire
dalla possibilità economica dei beneficiari.
Noi operatori
sociali a migliaia in tutto il territorio nazionale lavoriamo nelle scuole come
Aec per favorire integrazione e studio agli studenti più svantaggiati per
motivi psichici, fisici o sociali, lavoriamo nelle case per rendere meno
faticosa la vita dei disabili e delle loro famiglie, lavoriamo nei centri
diurni, nelle case famiglia, nei centri terapeutici e riabilitativi, nelle
comunità alloggio e nei centri di accoglienza...
Noi operatori
sociali abbiamo davanti agli occhi il disastro di politiche spregiudicate e
mortificanti.
Insomma siamo
tra i lavoratori quelli meno pagati e più esposti ai cosiddetti mali
professionali, poiché la nostra cassetta degli attrezzi è piena di strumenti
umani, esistenziali, psichici senza i quali il nostro lavoro sarebbe un
calvario.
Eppure bassi
salari, tempi di lavoro massacranti, pessimi rapporti con chi amministra le
cooperative sociali da una parte e con chi amministra e gestisce i servizi e
gli enti locali dall'altra, assenza di tutele sindacali continuano con il
passare degli anni a farla da padrona…
Noi, piccolo
gruppo di operatori sociali diffusi nella metropoli siamo riusciti a
ritagliarci del tempo per vederci e ragionare sul da farsi.
Qui a Roma,
faticosamente qualcosa si sta muovendo, diverse realtà stanno dialogando,
mettendo in connessione le proprie esperienze lavorative e dalla sinergia
circolare contiamo di smuovere le energie giuste.
Sentiamo la
necessità di metterci in relazione e contatto con chi come noi vive le
contraddizioni di cui abbiamo parlato sopra e farlo con i cittadini beneficiari
dei servizi e con i tecnici della salute…
Uniti si può
cambiare!
Noi ci
crediamo.
VITA, MORTE E
MIRACOLI DI NOI OPERATORI SOCIALI: STORIE DI QUOTIDIANA SOPRAVVIVENZA
Laureato in
scienze politiche e sociali all’Università di Bari, arrivo a Roma intorno al
2006, comincio a cercare a mandare curriculum in giro e le uniche risposte
arrivano da call center e agenzie interinali per riempire scaffali nei
supermercati di notte. Squattrinato, senza un euro, in questa città assurda
dove una stanza costa 500 euro al mese, accetto senza nessuna motivazione, se
non quella economica, questi lavori: pomeriggi ad un call center a Ciampino per
Wind, si guadagna in base ai contratti fatti per telefono con i clienti, io per
niente bravo guadagno al massimo 10 euro a pomeriggio; la notte vado a caricare
per Manpower gli scaffali nei supermercati (Carrefour e Auchan) e qui ci
sarebbe tanto da scrivere, si lavora con contratti di massimo 2 giorni, a 7/8
euro l’ora, invisibili, dovevamo scomparire prima dell’apertura del
supermercato, i clienti non dovevano vederci.
Dopo un po’ di
mesi stremato, una mia amica mi dice che una cooperativa sociale cercava
operatori per una ludoteca nel periodo pasquale, la settimana in cui chiudono
le scuole. Ci vado, passo il colloquio, sono felice. Finalmente posso lavorare
facendo qualcosa che mi piace. Conosco le altre operatrici che lavorano in
ludoteca, mi trovo bene, sono contento. Lavoro tanto faticoso, siamo in tre,
dobbiamo tenere a bada e fare attività con cinquanta bambini, paga 5 euro e 50
l’ora. Era un servizio in appalto alla cooperativa dal Comune di Roma, unica
spesa della cooperativa il personale, facile fare i calcoli: 8 ore per 5,5 euro
a ora per tre operatori fa 132 euro di spese al giorno per la cooperativa,
sarebbe bello sapere quanto ci guadagna invece la cooperativa... Che poi
cooperativa di che?? E’ quella che ci lavoro ancora ora, e di cooperativo non
ha assolutamente niente, c’è un capo (mi dicono, tra i potenti di questa città)
e ci sono i dipendenti che si dividono tra coordinatori dei servizi e
operatori, i servizi sono: domiciliare adulti, domiciliare minori, servizio AEC
in due municipi, un centro diurno.
Ma torniamo a
me, dopo la settimana di Pasqua la coordinatrice mi chiede se voglio continuare
a lavorare i pomeriggi, in ludoteca dalle 16 alle 20. Perfetto, accetto! Mi
piace stare con i bimbi, inizio a divorare libri di pedagogia, educazione
alternativa, laboratori psicomotori, psicopedagogia, seguo un corso intensivo
di yoga per bambini e divento insegnante yoga per bambini con diploma
riconosciuto dal CONI. Mi piace lavorare con i bambini, mi fanno star bene, mi
stimolano tanto, ma è dura: gli operatori sono sempre pochi e i bimbi tanti, e
la cosa più difficile rimane “l’arrivare a fine mese”, con 4 ore il pomeriggio,
a 5,5 euro a fine mese arrivo a prendere intorno a 400 euro. E questo senza
contratto e tutto quello che un contratto prevede: ferie, malattie, ecc. Quindi
sono costretto a tenermi il lavoro di notte nei supermercati, lavoro di notte
con Manpower e pomeriggio in ludoteca per un stipendio di 1.000 euro al mese,
incredibile.
Arriva l’estate
e la ludoteca si trasforma in centro estivo, l’orario di lavoro passa da 4 a 8
ore, lascio il lavoro nei supermercati, con il lavoro full time al centro
estivo arrivo a prendere 800 euro al mese, non c’è la faccio, così la
cooperativa mi fa fare un paio d’ore di assistenza domiciliare ai minori il
pomeriggio. Sempre senza contratto, lavoro 10 ore al giorno per guadagnare
sotto i 1.000 euro. Il lavoro di assistenza domiciliare ai minori, come potete
immaginare, casi complicatissimi, sono pagati 7 euro l’ ora e, anche qui,
sarebbe bello sapere quanto ci guadagna la cooperativa.
Arrivato
settembre, con l’apertura delle scuole, la cooperativa mi propone di lavorare
con il servizio AEC finalmente arriva il contratto, 30 ore, due bimbi da
seguire in una scuola elementare, paga mensile all’incirca 700 euro. Quindi
lavoro la mattina a scuola per sei ore, e il pomeriggio due casi di assistenza
domiciliare: siamo alle solite, lavorare 10 ore al giorno per guadagnare unno
stipendio di poco più di 1.000 euro al mese. E attenzione, alle 10 ore di
lavoro c’è da aggiungere gli spostamenti, che naturalmente non sono pagati, 1
ora per arrivare la mattina a scuola, mezz’ora per arrivare dal primo utente il
pomeriggio, un’altra mezz’ora per arrivare dall’altro utente, e un’altra ora
per tornare a casa.
Da quell’anno è
andata sempre più o meno così, sono passati 7/8 anni, la mattina lavoro a
scuola e il pomeriggio faccio assistenze domiciliari. Ora sono arrivato al
punto che non ce la faccio più, ho un figlio piccolo di due anni che durante la
settimana non vedo mai, esco di casa alle 7 e torno alle 21 per portare a casa
1.200 euro se va bene. Non si può, fa tanta rabbia. Questa è la condizione
degli operatori sociali e, purtroppo, questa condizione si riversa anche sugli
utenti. Immaginate come arrivo all’ultimo intervento la sera, da Roberto, un bambino
oppositivo-provocatorio, che mi aspetta tutto il giorno per passare un paio
d’ore tra compiti e gioco, ed io arrivo “cotto”, addirittura a volte mi sento
in colpa perché non riesco a dargli quello di cui lui ha bisogno... che
amarezza.
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From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday, December 11, 2017 8:25 PM
Subject: LAVORARE STANCA
di Giuseppe
Carroccia
09/12/17
Gli studenti si
organizzano per mobilitarsi contro l’alternanza scuola-lavoro e per studiarne
gli effetti.
Centro sociale
Intifada a via di Casal Bruciato, traversa di via Tiburtina. Un chilometro
dalla stazione dei treni. Sabato 2 dicembre, pomeriggio. Dagli alti casermoni,
coi muri di un’archeologia industriale e scolastica tappezzati di manifesti
sulle iniziative per il centesimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre,
escono, sulle note estenuanti della scuola di salsa i partecipanti
all’assemblea nazionale di Eurostop, appena finita, che ha deciso di sostenere
il progetto elettorale di “Potere al Popolo”. Sulle stesse note danzanti
entrano alla spicciolata studenti liceali infreddoliti per l’assemblea
nazionale di Basta Alternanza convocata alle 16.30 da FGCI, “Noi Restiamo” e
collettivi studenteschi. Un cambio della guardia.
La sala si
riempie velocemente di centocinquanta ragazze e ragazzi che trovano già pronti
alla Presidenza i numerosi relatori previsti. Parleranno tutti con una rara
capacità di sintesi. Precisi e ordinati: hanno le idee chiare. Infatti la
riunione inizia alle 5 e alle 7 è già finita. Poi cena sociale e musica.
Introduce
Giulia di “Noi Restiamo” che chiarisce subito i concetti fondamentali: “Siamo
qui per difendere la scuola pubblica. Uno dei diritti fondamentali
dell’umanità: il diritto allo studio L’alternanza scuola lavoro va abolita: non
si può modificare. Per un motivo materiale: si vogliono sfruttare un milione di
studenti togliendo lavoro retribuito e per un motivo ideologico ci vogliono
abituare al lavoro precario malpagato addirittura gratuito. Ci vogliono
spingere ad abbandonare gli studi”. Luca illustra le proposte operative:
“Assemblee studentesche cittadine, sit-in contro le aziende principali che
hanno stipulato accordi con il MIUR, osservatorio per monitorare cosa fanno
concretamente gli studenti durante l’alternanza, elaborazione di un documento
rivendicativo, mobilitazione il 15 dicembre, partecipazione alla manifestazione
nazionale Fight-Right del 16 contro ogni sfruttamento”. I ragazzi di “Scomodo”,
un giornalino studentesco, mettono a disposizione il loro impegno per fare
informazione dal basso. Nella settimana prima delle vacanze di Natale molte
scuole saranno in autogestione.
Salvatore della
FGCI fa la storia di vent’anni di attacchi al diritto allo studio individuando
nell’OCSE e nel tavolo dei 40 manager delle principali aziende europee
riunitisi a metà anni ‘80 i mandanti delle Direttive che spingono a
privilegiare la competenza alla conoscenza. L’addestramento al lavoro precario
invece del sapere volto alla formazione della persona, del cittadino, del
lavoratore consapevole dei propri diritti. No ai licei brevi, l’alternanza
inoltre aggraverà la dispersione scolastica a danno delle classi più deboli e
dei territori più poveri. Tommaso del Plinio ricorda che solo in Italia a
differenza che in Germania l’alternanza ha coinvolto anche i licei. Inoltre il
MIUR non ha stanziato nemmeno risorse sufficienti e le scuole non avendo
risorse non fanno i corsi di formazione sulla sicurezza. Anche Lorenzo,
insegnante USB denuncia i pericoli legati alla sicurezza “Solo per un caso
ancora non ci è scappato il morto”. Lamenta il ritardo con il quale il corpo
docente ha capito i pericoli formativi dell’alternanza, ma segnala che adesso
cominciano a reagire. Invita gli studenti a coinvolgere maggiormente gli
istituti tecnici e professionali. L’istruzione deve avere un rapporto di
conoscenza col mondo del lavoro, ma non deve essere concepita come avviamento
al lavoro. Denuncia come la CISL usi gli studenti per lavorare nei CAF.
Luca Cangemi,
insegnante, ex parlamentare, responsabile scuola del PCI, ricorda come “il 2
dicembre del sessantotto ad Avola la polizia sparava sui braccianti, ma in
quegli anni gli studenti e gli operai lottavano insieme. Bisogna tornare a
farlo. Costruire un fronte studenti, insegnanti, genitori. Rischiamo di tornare
al lavoro minorile. Attraverso i tutor esterni viene inoltre attaccata la
funzione docenza. Non solo le imprese, le multinazionali ma anche le gerarchie
militari stanno entrando pesantemente nelle scuole e nelle università. Grazie
agli studenti che stanno dando un segnale di contrattacco a questa vendetta
della borghesia sulle conquiste del passato, del ‘68”.
Angelica del
liceo Righi ricorda che anche quando ci sono progetti interessanti comunque viene
molto condizionata la didattica. Si sottrae molto tempo allo studio. Anche
quando si mascherano come alternanza i viaggi d’istruzione questo comporta
spese insostenibile per le famiglie visto che il Ministero ha tagliato i fondi.
Anche i rappresentanti del Collettivo di Fabriano lamentano il tempo perso
specialmente nel loro territorio fatto di aziende molto piccole. La
rappresentante dell’UDS di Siena invita a combattere anche contro il Jobs Act,
a combattere l’idea di lavoro gratuito.
Viene citato il
paradosso della festa del PD a Viterbo con gli studenti comandati in alternanza
per cuocere le salsicce durante la visita del ministro Fedeli. Ex, molto ex,
sindacalista.
Conclude
riassumendo il dibattito Francesca che ribadisce l’impegno a costruire l’osservatorio,
per studiare le conseguenze dell’alternanza, e la mobilitazione del 15
dicembre. Come dire allo studio e alla lotta. D’altronde il lavoro dello
studente è lo studio.
Spetterà ai
genitori, lavoratori, in un mondo nel quale il lavoro è svalorizzato, umiliato
e offeso, in cui la rendita è l’aspirazione che viene posta come valore,
trovare i modi e le forme per rendere consapevoli i giovani dell’importanza che
ha nella società e nella formazione il lavoro, manuale e intellettuale. I
comunisti, attraverso i loro circoli e sezioni possono da subito organizzare
dibattiti su questo tema, legandolo alla lotta contro la sciagurata legge
Fornero che inchioda al lavoro i vecchi e toglie lavoro ai giovani.
Partendo da un
concetto fondamentale, che questi ragazzi sembrano aver già colto. Quello che
viene prima di tutto, prima anche della lotta di classe, che Marx ed Engels
davano per scontato nel Manifesto del Partito Comunista. Il fatto cioè che
lavorare stanca. Perciò il lavoro, specialmente quello alienante e ripetitivo,
va diminuito e distribuito tra tutti i componenti della società. E va ben
retribuito.
I vecchi
ferrovieri a noi neoassunti la prima cosa che ci dicevano era: “attenti, la
rotaia è una lima”, cioè lavorare stanca. I padroni lo sanno bene e perciò
evitano di farlo.
Lavorare stanca
è vero, ma i personaggi migliori, più veri, autentici, sinceri come ci ha
mostrato Cesare Pavese, nell’omonima raccolta di poesie, sono proprio quei
lavoratori che mandavano avanti la società e sognano e lottano per un mondo
migliore. Sognano la Liberazione. Magari sulle spiagge dei mari del sud.
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From: Teoria
& Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
To:
Sent: Tuesday, December 12, 2017 10:52 AM
Subject: DOLCETTI ANTIOPERAI
La cooperativa
dei cioccolatini di Perugia è l’ultima trovata dei capitalisti per truffare gli
operai.
Lo scorso
settembre la Nestlé ha annunciato 364 licenziamenti nello stabilimento perugino
di San Sisto dove lavorano in 850. La multinazionale ha chiuso uno stabilimento
a Parma, e conta di fare lo stesso a Perugia.
Ma gli operai
di San Sisto non sono disposti a farsi intimorire dalla multinazionale Nestlé e
ad accettare i suoi piani di super sfruttamento, mentre intorno alla loro lotta
sanno creare una grande solidarietà cittadina.
Subito compare
un gruppetto di ex dirigenti della fabbrica con un ricettario dei dolcetti
prodotti nel buon tempo andato, e animato dallo spirito capitalistico propone
la costituzione di una cooperativa facendosi cedere dalla Nestlé l’uso del nome
Perugina e di parte del macchinario della fabbrica abbandonato alla ruggine.
Incoraggiato, manco a dirlo, dalla deputata locale del M5S.
Sembra di
rivivere i fatti del secolo andato, quando il cavaliere Agnelli per stroncare
il grande movimento dei consigli di fabbrica, offrì ai capi sindacali
riformisti la Fiat, di cui egli era il creatore e il profittatore, perché ne
facessero una grande cooperativa di produzione.
Noi vogliamo
porre agli operai che prestano orecchio a queste sirene di oggi la stessa
questione pregiudiziale di allora, mettendoli in guardia dalle facili
illusioni. Lo facciamo prima di entrare nel merito, prima di esaminare
concretamente la questione del dominio delle società multinazionali nel
commercio mondiale del cacao e nella produzione dolciaria.
E’ consuetudine
per l’aristocrazia operaia che domina nei sindacati e nel cooperativismo
riformista questuare prestiti presso le grandi banche e procacciarsi favori
governativi, allo scopo di tenere in piedi delle cooperative. Ma non può
sorridere agli operai l’idea che nel loro seno si formi una élite di
cooperatori succhioni costretti a farsi essi pure questuanti e procacciatori o
parassiti delle banche e dello Stato capitalista.
I burocrati
sindacali CGIL che sempre magnificano la presenza in Italia delle
multinazionali straniere come la Nestlé e che sempre vedono come unico campo
d’azione il parlamento borghese e i conciliaboli ministeriali, non sono in
grado di offrire nessuna soluzione alla crisi dell’industria, ma vogliono
legare sempre più gli operai alle sorti del capitalismo. Così perdono ogni
giorno di più terreno nelle fabbriche.
Gli operai che
non s’illudono di potersi salvare se non con il rafforzamento della solidarietà
classista e con l’estensione della lotta contro il capitale finanziario
internazionale, non faranno fatica a convincersi come la politica del fronte
unico di lotta operaia è la via per conseguire la vittoria sui capitalisti di
tutte le nazioni.
La situazione
reclama sempre più un’azione chiara e decisa della massa sfruttata. Sta ai
migliori elementi del proletariato mettersi alla testa di questo processo,
rompendo con ogni forma di collaborazionismo e organizzandosi in modo
leninista.
12/12/17
Piattaforma
Comunista per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 14, 2017 12:00 AM
Subject: THYSSEN KRUPP: 10 ANNI DOPO NULLA E’
CAMBIATO
05/12/17
La Riscossa
Thyssen krupp,
parla Ciro Argentino: “10 anni dopo nulla è cambiato. Bisogna lottare e
organizzarsi”.
Sono passati
dieci anni da quella notte tragica tra il 5 e il 6 dicembre 2007, quando nella
linea 5 dello stabilimento Thyssen Krupp di Torino ebbe luogo una delle pagine
più nere per la classe operaia italiana negli ultimi decenni. Da quel momento
si è accesa una flebile luce sul tema, che, però, in assenza di una lotta di
classe organizzata, ha solamente potuto illuminare le pagine buie delle
continue e innumerevoli morti sui luoghi di lavoro.
La Riscossa per
l'occasione ha raggiunto Ciro Argentino, uno degli operai che si salvò quella
notte, di cui proponiamo una breve intervista.
Argentino, sono
passati dieci anni e sulla questione Thyssenkrupp si può ancora dire che non
sia stata fatta giustizia né sul piano strettamente giudiziario, né sul piano
politico. Cosa ne pensi tu adesso a distanza di tutti questi anni?
“Al di là della
ricorrenza dei dieci anni, per noi lavoratori della Thyssen, per i familiari,
ma comunque per qualsiasi persona che perde un caro, un padre, un figlio, un
fratello in un luogo di lavoro, non ci sono anni che passano affinché si possa
dimenticare, e non ci sono ricorrenze più o meno importanti da celebrare. Il
punto è che a dieci anni di distanza, innanzitutto in termini generali, non è
avvenuto nessun cambiamento nonostante i fatti della Thyssen.
Ricordo che in
quei mesi si consumò al Molino Cordero di Fossano in provincia di Cuneo, qui
nel nostro Piemonte, una delle più gravi tragedie insieme a quella della
Thyssen. Anche lì morirono cinque operai. Poi c'è stata la vicenda dell'Umbria
Oli, poi Mineo, poi le cisterne di Molfetta, ce ne sono state diverse nel giro
di un anno fino a tutto il 2008.
Però non è
stato fatto niente, se non il fatto che grazie alla tragedia della Thyssen e a
queste altre tragedie c'è stata un'accelerazione a livello normativo, è nato il
Decreto 81/08. Si è fatta una legge che anche se è stata una cosa encomiabile
dal punto di vista normativo perché ha agglomerato e unito tutte le vecchie
leggi degli anni '50 e la 626 del '94, in realtà non ha avuto gambe per la
realizzazione, un conto è fare le leggi e un conto è applicarle.
Non abbiamo gli
strumenti. In questo Paese innanzitutto manca la volontà culturale e anche
politica, perché è chiaro che in un paese in cui l'ordinamento statale è
dominato dalla classe borghese, la giustizia va in modo diverso e funziona con
dinamiche e velocità diverse. I manager, i due tedeschi [liberi] ma anche i
quattro italiani di cui due sono già al lavoro durante l'orario giornaliero, i
dirigenti di Terni tra cui il responsabile di Torino e il numero uno della manutenzione,
sono già ai lavori sociali durante l'arco della giornata e rientrano in carcere
solo la sera.
Non è stata
fatta giustizia perché è chiaro che in un Paese con un ordinamento giudiziario
di un certo tipo, ai due manager tedeschi non si applicherà mai nessuna
normativa già esistente di accordo bilaterale con la Germania per
l'estradizione, perché sono dei colletti bianchi, è banalmente così. E’ chiaro
che la classe che domina, la classe che impera, non va a incarcerare per reato
o tantomeno per non aver investito o dirottato risorse nella sicurezza degli
stabilimenti e quindi aver creato le condizioni per cui sono morti i nostri
sette compagni alla linea 5 della Thyssen. Non avremo giustizia in questo
senso.
Io non credo
molto più agli appelli alle istituzioni: sono ormai fiumi e fiumi di parole che
abbiamo sprecato negli anni scorsi, soprattutto nei primi anni”.
Sono state
fatte spesso delle celebrazioni, dei momenti di ricordo da parte delle
istituzioni, a vari livelli. Come ci si sta muovendo a livello locale oltre
l'aspetto mediatico, quali sono le misure che sono state prese a livello di
sicurezza sul lavoro?
”Innanzitutto
io insieme ad alcune famiglie e diversi operai avevamo fondato questa
associazione che molti ricorderanno, Legámi d'acciaio, subito a pochi mesi di
distanza dalla tragedia, ancora prima che cominciasse il processo preliminare a
marzo del 2008.
L'associazione
di fatto esiste ancora sulla carta, le famiglie si muovono giustamente secondo
il loro sentire, il loro tipo di coinvolgimento che ovviamente è di primaria
importanza perché non possono dimenticare ciò che è successo ai cari che hanno
perso. Però nessuno parla, ad esempio, del problema dei 500 operai ex Thyssen
che sono caduti nell'oblio sociale, la maggioranza di questi lavoratori non ha
più trovato un'occupazione. Molti hanno dovuto aprire attività in proprio che
sono già fallite e chiuse, alcuni hanno aperto partite IVA, alcuni compagni
hanno attività in negozi o bar o altri esercizi commerciali.
Poi si
organizzano queste commemorazioni di tipo istituzionale, come la settimana
della sicurezza fatta dal Comune di Torino. Ma sono tutte cose che non
interessano a chi era parte civile nella causa, gli operai che come me hanno
fatto la battaglia insieme alle famiglie ma anche parallelamente alle famiglie,
una battaglia anche sul piano rivendicativo sociale, oltre che sindacale, ma
anche politico, facendo capire che si trattava della battaglia di tutti i
lavoratori e tutte le lavoratrici, il fatto che non si dovesse più morire, o almeno
si tendesse a creare condizioni di miglioramento delle condizioni di salute e
di sicurezza nel mondo del lavoro. Non partecipiamo più a queste cose. Nei
primi anni serviva per dare propulsione e forza alla nostra causa a livello
mediatico, riteniamo di aver provato tutti i canali ma non c'è stato mai verso.
Il problema è che questo tema è un tabù”.
Come hai
ricordato, la tragedia della Thyssen ha smosso gli animi, com'era inevitabile,
sulla questione della sicurezza sul lavoro. Oggi però a 10 anni di distanza ci
ritroviamo nella stessa situazione, se non addirittura peggio. Una condizione
generalizzata di precarietà, di non sicurezza sul lavoro, ecc. A partire da
quell'esperienza, cosa ti senti di dire oggi ai lavoratori giovani e meno
giovani che si trovano a lavorare in fabbrica o in altri posti di lavoro, in
condizioni di sicurezza precarie.
“Il punto è
questo: noi dobbiamo partire da un concetto che è quasi darwiniano, passatemi
il termine. Nel senso che io credo che ogni lavoratore nel proprio luogo di
lavoro, la prima cosa che dovrebbe fare è andare a lavorare per guadagnarsi da
vivere e poter vivere meglio. E non vivere per lavorare. Tanto meno passare al
concetto di morire mentre si lavora, rischiare di andare a morire mentre vai a
lavorare. Credo che questa sia l'aberrazione del sistema economico sociale
dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Attualmente è ancora peggio, perché il
capitalismo è ormai in un vicolo cieco e il sistema prevede anche di mettere in
conto la morte delle persone perché diversamente non può produrre.
Dalla crisi del
2008 il sistema sta scaricando tutte le sue contraddizioni addosso ai
lavoratori, attraverso l'atipicità delle forme contrattuali che porta i giovani
ad essere sovraesposti sul luogo di lavoro anche e soprattutto in termini di
sicurezza, costretti a scendere a compromessi assurdi pur di poter lavorare. Si
lavora senza dispositivi di protezione, ormai è tutto così. E pensare che il
progresso scientifico consentirebbe di lavorare al massimo della sicurezza, di lavorare
meglio, meno e tutti. Ma così non è per garantire il profitto di pochi.
Posso fare un
appello sul piano esistenziale prima che politico: non recedere dal fatto che
prima conta la nostra vita, la nostra pelle e poi dopo contano i regolamenti
interni. E’ sempre meglio rifiutarsi di fare un lavoro senza condizioni di
sicurezza. Chi legge quest'intervista può comprendere bene che non bisogna
delegare a nessun altro la propria salute sul luogo di lavoro. A cominciare da
quel sindacato che ha cominciato a barattare e monetizzare il principio di
sicurezza. Insomma, bisogna lottare, bisogna organizzarsi come classe”.
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From: Patria
Indipendente redazione@patriaindipendente.it
To:
Sent: Friday,
December 15, 2017 12:13 PM
Subject: LA
TERRA TREMA: PERCHE’ E QUANDO
Cosa sono i
terremoti. Attualmente impossibile prevederli, ma con quasi totale certezza si
sa in quali aree geografiche si verificheranno in futuro. Il problema della
messa in sicurezza degli edifici
Tra tutti i
fenomeni naturali, certamente i terremoti sono da sempre tra quelli che hanno
più impressionato l’umanità: in tutte le culture antiche che si sono sviluppate
in aree sismiche, esistono divinità sotterranee che scuotono la terra per
punire gli uomini o per mandare loro, per qualche motivo, un segnale.
In realtà,
finché gli uomini sono stati cacciatori-raccoglitori nomadi, i terremoti erano
certamente impressionanti, ma non particolarmente pericolosi: anche se la tenda
o la capanna fosse crollata, la paura sarebbe stata tanta, ma i danni sarebbero
stati molto limitati. I guai sono incominciati quando gli uomini, divenuti
sedentari, hanno incominciato a costruire edifici in muratura, sempre più
grandi.
Al giorno
d’oggi, con la maggior parte della popolazione mondiale che vive in città più o
meno grandi, spesso in palazzi sviluppati in altezza per decine e decine di
metri, i terremoti sono sicuramente tra i fenomeni naturali più temibili.
In linea di
principio, una strategia efficace per la mitigazione del rischio sismico
richiederebbe di sapere dove, quando e quanto forte un terremoto può colpire la
regione in esame e quali conseguenze ci si deve attendere qualora esso avvenga.
La risposta alla prima domanda riguarda la previsione dei terremoti, mentre la
seconda é oggetto degli studi di rischio sismico.
La previsione
dei terremoti, secondo una definizione data nel 1976 dalla Commissione per la
previsione dei terremoti del Comitato di Sismologia del Consiglio delle
ricerche statunitense, consiste nella indicazione della magnitudo (cioè
dell’intensità), della localizzazione e del tempo origine di un futuro evento
sismico, con una precisione tale da consentire una valutazione univoca del
successo o fallimento della previsione stessa.
Nel corso dei
decenni, sono stati fatti moltissimi studi per trovare il modo di prevedere i
terremoti.
I metodi di
previsione che sono stati proposti e studiati finora sono basati essenzialmente
sulla ricerca di precursori diagnostici, cioè di fenomeni che dovrebbero
precedere i terremoti consentendo di prevederli, magari indicando anche il
luogo, il tempo e l’intensità di questi eventi. A questo scopo, sono state
proposte misure delle variazioni della deformazione delle rocce, della velocità
di propagazione delle onde sismiche, dei livelli delle acque freatiche, della
conducibilità elettrica dei terreni e del contenuto di radon nelle acque, nel
terreno e nell’aria e molte altre, incluse quelle dei comportamenti anomali di
animali.
Nessuna di
queste misure ha però mostrato di essere capace di fornire una previsione
neppure lontanamente affidabile: ognuna di esse, se ha funzionato qualche
volta, in tutti gli altri casi non lo ha fatto, sicché si deve inevitabilmente
concludere che quelle rare occasioni nelle quali il fenomeno in esame ha
effettivamente preceduto un terremoto siano esclusivamente dovute al caso.
In realtà,
prevedere i terremoti si è rivelato un problema molto più complesso di quanto
si supponeva quaranta anni or sono ed oggi la maggior parte degli specialisti
del settore lo ritiene sostanzialmente impossibile, almeno nei termini di
quella vecchia definizione del Consiglio delle ricerche statunitense.
Per capire le
ragioni di ciò, bisogna partire da cosa è un terremoto.
Questi si
dividono in due tipi: i terremoti vulcanici e tettonici. I terremoti vulcanici
sono conseguenza dei movimenti del magma che alimenta i vulcani attivi.
Generalmente, non sono molto forti (anche se a volte possono causare danni
notevoli, come il terremoto che precedette di qualche anno l’eruzione del
Vesuvio del 79 dopo Cristo) e sono localizzati in aree molto limitate.
Non sono
comunque certo questi terremoti a costituire il pericolo maggiore nelle aree
vulcaniche. I terremoti tettonici, che sono quelli che provocano i danni
maggiori, invece hanno origine nei lentissimi movimenti relativi delle placche
terrestri che provocano la deformazione delle rocce nelle regioni di confine
dove l’attrito blocca localmente questi movimenti.
I terremoti si
verificano quando la tensione accumulata supera il carico di rottura della
roccia, che si rompe all’improvviso e l’energia elastica accumulata lentamente
nel corso di anni o di secoli si libera bruscamente.
Parte di essa
viene irradiata nella forma di onde sismiche che si propagano attorno, scuotono
il suolo in superficie e, quando prodotte nei fondali marini, possono provocare
maremoti. Ciò avviene soprattutto nelle regioni di confine fra le placche, ma
non esclusivamente in quelle: infatti, gli scorrimenti che si originano ai
confini delle placche si propagano nelle rocce circostanti per centinaia e
centinaia di chilometri, originando tensioni lungo linee di minore resistenza:
le faglie tettoniche.
Le aree nelle
quali si supera il carico di rottura si possono perciò trovare in qualsiasi
punto lungo le faglie. Il punto dove avviene la frattura viene detto ipocentro
mentre si chiama epicentro il punto della superficie terrestre sulla verticale
dell’ipocentro, sebbene oggi sia noto che in realtà il rilascio di energia non
avviene in un punto, ma in un volume di roccia che può essere anche di molti
chilometri cubici.
E’ proprio
questo meccanismo di origine dei terremoti tettonici che rende così difficile
la loro previsione. Anche se il meccanismo è diverso, la situazione è simile a
quella che ci capita quando vogliamo spezzare un fil di ferro piegandolo
ripetutamente avanti e indietro: sappiamo che prima o poi si spezzerà, ma non
sappiamo per quanto tempo dobbiamo esercitare i nostri sforzi per romperlo.
Bisogna però
dire che se determinare l’intensità, la localizzazione e il tempo origine di un
futuro evento sismico è attualmente (e probabilmente ancora per molto tempo)
impossibile, le nostre conoscenze attuali ci permettono invece di stabilire con
la quasi totale certezza in quali aree geografiche si verificheranno in futuro
terremoti.
Infatti, la
geologia e la geofisica permettono ormai, anche grazie a nuove tecnologie come
il telerilevamento dallo spazio e le reti geodetiche basate sui sistemi GPS, di
identificare con sicurezza la posizione delle faglie lungo le quali si
verificheranno i terremoti. Inoltre, queste nuove tecnologie ci permettono
anche di misurare con quali velocità si stanno muovendo queste faglie, dando
così un’indicazione di quanto probabile sia un evento sismico nel giro di
qualche anno.
Gli studi di
sismologia storica ci dicono poi quali zone sono state colpite in passato da
sismi più o meno intensi e quindi quali sono le zone a rischio più alto. Così,
si possono tracciare mappe di rischio sismico, come quella per l’Italia che si
può scaricare liberamente dal sito dell’Istituto Nazionale di Geofisica e
Vulcanologia. E’ interessante notare come nel nostro Paese l’unica area nel
quale il rischio sismico è assente è la Sardegna.
A questo punto
però evitare i danni e le vittime non è più un problema scientifico ma politico
ed economico. Preso atto che terremoti di intensità maggiore o minore, ma
sicuramente anche forti, si verificheranno prima o poi ovunque in Italia, la
questione non è come trovare il modo di avvertire in tempo la popolazione di
uscire di casa per evitare di essere uccisa dai crolli, ma di fare in modo che
le case (ma anche gli edifici pubblici e i monumenti) non crollino.
Non è un caso
che in zone nei quali i terremoti sono frequenti quanto e più che in Italia, e
spesso anche molto più forti, come nella Costa Ovest di USA e Canada, la Nuova
Zelanda e il Giappone le vittime dei terremoti siano molto meno che nel nostro
Paese. Non è certo la conoscenza di come costruire in modo da resistere a un
terremoto che manca: quello che è necessario è che l’imprenditore edile rinunci
a una parte di profitto per mettere in atto tutte le misure necessarie a
rendere sicuro l’edificio.
Certamente,
rispetto alle nazioni che abbiamo citato in precedenza (ad eccezione del
Giappone, ma l’edilizia storica giapponese è tradizionalmente antisismica)
l’Italia ha anche il problema di centinaia di migliaia di edifici costruiti nel
passato da mettere in sicurezza.
Anche per
questi tuttavia non mancano adeguate tecniche di consolidamento e anzi in
Italia esistono poli di eccellenza in queste tecnologie, come l’Università
della Basilicata a Potenza. Al solito, il problema è economico.
Lo Stato (ma
anche il singolo cittadino) però dovrebbe prendere atto del fatto che investire
subito in sicurezza sismica non è una spesa, ma un investimento che permetterà
sicuramente in futuro di risparmiare non solo somme enormi, ma anche vite umane
e perdita di beni culturali.
Vito Francesco
Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale
(Istituto Nazionale di Astrofisica) e membro del Centro per l’astronomia e
l’eredità culturale dell’Università di Ferrara
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From: Medicina
Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent:
Friday, December 15, 2017 12:42 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
LA FABBRICA
DELLA FELICITA’, UN ROMANZO DI GIULIO DI LUZIO PER TUTTE LE “PORTO MARGHERA”
Segnaliamo il
libro di Giulio di Luzio nella presentazione che segue.
L’autore è
disponibile a presentazioni in Piemonte e Lombardia, contattatelo!
Sinossi. Sul
finire degli anni Sessanta nasce la fabbrica della felicità. Così la chiamano i
figli di contadini e pescatori, che abbandonano aratri e motopescherecci.
Vaffanculo alla pesca e alla terra, dicevano, facevano un corso e il
commendatore li assumeva a fare concimi.
Leggi tutto al
link:
* * * * *
LA PETIZIONE CONTRO LA
NORMATIVA ITALIANA SUL CSS E SUL COINCENERIMENTO NEI CEMENTIFICI E’ SUL PORTALE
DEL PARLAMENTO EUROPEO
L’opposizione nei diversi
siti di cementifici in tutta Italia ove si coinceneriscono rifiuti e
“Combustibili Solidi Secondari” (CSS) ha prodotto, tra l’altro, una petizione
al Parlamento Europeo per fermare la normativa italiana che arriva, distorcendo
le direttive europee, a determinare che i rifiuti combustibili divengano dei
combustibili non più rifiuti. Degli “End of Waste” alla stessa stregua della
carta, dei metalli e di altre matrici riconosciuti come materie da regolamenti
europei al fine di facilitarne il
riciclo.
Leggi tutto al
link:
* * * * *
PRESENTAZIONE DEL LIBRO
“SANITA’ IN SALUTE?”
Presentazione del libro
“Sanità in salute?” il libro bianco della sanità lombarda. Guida pratica per
veder riconosciuti i propri diritti.
Il testo raccoglie le
testimonianze giunte a “37e2” la trasmissione sulla salute che va in onda su
Radio Popolare ogni giovedì mattina dalle 10:35 alle 11:30 (riprenderà il 11
gennaio), che analizza i casi segnalati, suggerisce come risolverli, illustra
ai lettori quali sono i propri diritti in campo sanitario e spiega, in modo
semplice, le leggi sulla sanità attualmente in vigore in Lombardia e in Italia.
Leggi tutto al
link:
* * * * *
Forum di discussione per
contattarci discutere e proporre argomenti:
Aiuta Medicina
Democratica Onlus devolvendo il tuo 5 per mille firmando nella tua
dichiarazione dei redditi nel settore volontariato e indicando il codice
fiscale 97349700159
Sito web:
Facebook:
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From: Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Saturday,
December 16, 2017 9:24 AM
Subject: FESTE
SENZA GIOIE PER LE MAMME CHE HANNO PERSO UN FIGLIO SUL LAVORO
Guardate cosa
scrive mamma Graziella dopo oltre dieci anni dalla perdita del figlio Andrea di
soli 23 anni per infortunio sul lavoro.
“Come stai? Io
non molto bene, cerco di non pensarci, impegno la giornata in mille cose ma poi
arriva la sera, ah la sera, è le mia armatura si riempie di crepe fino a
distruggersi completamente. Cerco la forza nelle piccole cose ma questa forza
non sarà mai così grande da farmi dimenticare che tu sei andato via, che non
posso più abbracciarti, vedere i tuoi occhi sorridermi e sentirti parlare
dieci, cento, mille e altre volte ancora dei tuoi progetti. E no, non posso
sentirti più, non posso chiedere neanche più un abbraccio: l'unica cosa che mi
rimane sono queste foto che parlano solo un po' di noi perché tutto il resto
l'ho impresso nell'anima e non andrà mai via. Sei sempre con me, figlio mio, io
sono qui e ti sento vicino, non ho mai smesso di pensarti, sognarti, volerti e
questa lontananza non ha fatto altro che avvicinarmi a te. Spero che non ti
senta solo. Un abbraccio immenso. La tua mamma”.
Mamma Graziella
Marota ha perso il figlio Andrea di 23 anni con la testa schiacciata da una
pressa in una grande fabbrica, oltre dieci anni fa, lei è una mia amica da
quando ho aperto l'Osservatorio. Ancora oggi il suo livello di sofferenza non è
neppure immaginabile. Ma noi Graziella ti vogliamo bene e continueremo la
battaglia anche per te, affinché altre mamme non soffrano più per le morti più
ingiuste che sono quelle delle morti sul lavoro.
Un abbraccio
grande mamma.
Da quando dieci
anni fa è stato aperto l'osservatorio che compirà dieci anni il 1° gennaio 2008
sono morti quasi 14.000 lavoratori per infortunio sul lavoro. Di questi 6.238
sui luoghi di lavoro.
1.400
agricoltori sono morti schiacciati dal trattore che guidavano.
Carlo Soricelli
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From: Giuseppe
Carroccia giuseppecarroccia24@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
December 17, 2017 3:53 PM
Subject:
DIFENDIAMO UNO PER LA SICUREZZA DI TUTTI!
Girate nelle
mailing list e affiggete negli impianti.
Per chi riesce
a venire, l’appuntamento a Roma il 20 dicembre alle ore 9:45 davanti al
"Palazzaccio".
Mandatemi SMS
di conferma al 335 74 00 252.
Ciao, grazie e buon lavoro
Giuseppe
* * * * *
DIFENDIAMO UNO
PER LA SICUREZZA DI TUTTI!
Mercoledì 20 dicembre
alle ore 10 al Palazzo di Giustizia aula A di Piazza Cavour si svolgerà
l’udienza della Cassazione per il reintegro di Sandro Giuliani.
I due gradi di
giudizio precedenti avevano incomprensibilmente respinto il reintegro
nonostante le argomentazioni puntuali del ricorso.
Sandro è stato
licenziato il 21 gennaio 2011 solo perché applicava scrupolosamente i
regolamenti che garantiscono la sicurezza della circolazione dei treni.
E’ importante
essere presenti, non solo per far sentire la nostra solidarietà a Sandro, ma
anche per riaffermare l’impegno di noi ferrovieri contro i licenziamenti di chi
si batte per la sicurezza di tutti.
Le spese legali
sono sostenute dalla Cassa di Solidarietà dei Ferrovieri che in questi anni ha
sostenuto i lavoratori colpiti da ingiusti provvedimenti disciplinari.
Partecipiamo e
sosteniamo la Cassa di Solidarietà.
Roma, 16
Dicembre 2017
Comitato per il
reintegro di Sandro Giuliani
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From:
Ferrovieri Solidali cassadisolidarieta@gmail.com
To:
Sent: Monday,
December 18, 2017 8:17 PM
Oggetto:
COMUNICATO PER SANDRO GIULIANI
COMUNICATO
6/2017
UDIENZA
CASSAZIONE PER SANDRO GIULIANI
Mercoledì 20
dicembre si terrà l'udienza di Cassazione per il nostro collega Sandro
Giuliani. L'appuntamento è a Roma, alle ore 10.00, presso il Palazzo di
Giustizia Piazza Cavour aula A.
Sandro è un
capotreno di Roma, licenziato da Trenitalia a gennaio 2011 per aver applicato
con determinazione le normative e aver difeso la sicurezza in ferrovia.
In primo grado
e in appello il ricorso di Sandro è stato respinto, fatto che non ci stupisce,
ma di fronte al quale sappiamo che non bisogna fermarsi.
Facciamo nostro
l'appello del Comitato in sostegno di Sandro Giuliani a solidarizzare con il
nostro collega, a essere presenti all'udienza di Cassazione e a sostenere e
partecipare alla nostra Cassa di Solidarietà che provvede alle spese legali di
Sandro e dei ferrovieri perseguiti e licenziati per la loro sacrosanta difesa
della sicurezza in Ferrovia.
Cogliamo
l'occasione per augurare a tutti e tutte un 2018 di solidarietà e di lotta.
La solidarietà
è il primo passo verso la libertà!
16 dicembre
2017 Il Direttivo della Cassa di Solidarietà
Cassa Di
Solidarieta' Tra Ferrovieri
Conto Corrente
postale n. 71092852 intestato a Crociati Marco
via dell’Acqua
Acetosa 2/A
00043 Ciampino
(RM)
e-mail: cassadisolidarieta@gmail.com
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