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Medicina
Democratica segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER
MEDICINA DEMOCRATICA
Teoria &
Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
ILVA:
IMPEDIRE CON LA LOTTA DURA I LICENZIAMENTI PER I PROFITTI
Teoria &
Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
PENSIONI: LA
PIAGA DI UN SISTEMA DA SEPPELLIRE
Appello 27 appello27@gmail.com
PER UN FRONTE
UNICO SINDACALE DI CLASSE
Comitato
Eureco comitatosostegnovittime.eureco@gmail.com
EX EURECO:
TECNOLOGIE & AMBIENTE E CITTA’ METROPOLITANA FANNO APPELLO AL CONSIGLIO DI
STATO
Posta
Resistenze posta@resistenze.org
PENSIONI, E’
ORA DI TORNARE NELLE PIAZZE
Comitato
Eureco comitatosostegnovittime.eureco@gmail.com
CITTA’
METROPOLITANA RITIRA IL RICORSO AL CONSIGLIO DI STATO
La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
SVOLTA
ALMAVIVA. VITTORIA CONTRO IL LICENZIAMENTO RITORSIVO
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From:
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Monday, October 23, 2017 12:43 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
NON C’E’ FINE
AI VEL-ENI IN VAL D’AGRI
Riportiamo
una corrispondenza di Maurizio Bolognetti, di Medicina Democratica Basilicata
sui veleni della Val d’Agri.
Si veda anche
il link:
con la
conferenza stampa dell’autore su radio radicale.
Leggi tutto
al link:
* * * * *
EURECO BIS,
RICORSI E CONTRORICORSI, LA MAGRA FIGURA DI CITTÀ METROPOLITANA DI MILANO
Riportiamo i
comunicati stampa congiunti di Medicina Democratica e del Comitato a sostegno
dei familiari delle vittime e dei lavoratori Eureco.
La vicenda
riguarda il tentativo di riattivare gli impianti ex Eureco di Paderno Dugnano
(MI) dove trovarono la morte 4 lavoratori il 04/11/10.
La società
Tecnologie & Ambiente aveva infatti presentato una richiesta autorizzativa
per riprendere l’attività di trattamento rifiuti con limitate modifiche
rispetto a quella precedente.
Nonostante
l’opposizione della amministrazione comunale la Città Metropolitana di Milano
ha rilasciato una autorizzazione sulla quale è stato presentato prontamente un
ricorso al TAR da parte del Comune con l’aiuto tecnico di Medicina Democratica.
Il TAR ha
annullato l’autorizzazione il 08/08/17 dando ragione al Comune proprio sulle
motivazioni tecniche presentate.
Leggi tutto
al link:
* * * * *
VIDEO E
DOCUMENTI DAL FORUM INTERNAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE E L’ACCESSO ALLE
CURE
Pubblichiamo
il documento finale del Forum internazionale per il diritto alla salute e
l’accesso alle cure tenutosi quest’oggi a Milano.
In calce sono
pubblicati i video di tutti gli interventi.
* * * * *
FIRENZE E
UNESCO, TRA INCENERITORE E AMPLIAMENTO DELL’AEROPORTO
Continua la
lotta contro l’assurdo e pericoloso ampliamento dell’aeroporto di Firenze.
Dopo la
vittoria al TAR regionale il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso contro
la sentenza della società (riportiamo più sotto il comunicato e il testo della
sentenza) l’Unesco (che si era già coscienziosamente esposta per mettere sull’avviso
la Città di Firenze circa il mantenimento dello status di sito Unesco
considerati, tra l’altro, il progetto di inceneritore e di ampliamento
dell’aeroporto) sembra aver ripensato il suo atteggiamento critico evitando
anche il confronto con le realtà locali.
* * * * *
APPELLO DELLA
RETE SOSTENIBILITÀ E SALUTE SUI FONDI SANITARI “INTEGRATIVI” E SOSTITUTIVI
C’è accordo
generale nell’auspicare un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) efficiente, che
riesca a garantire cure efficaci per tutti in tempi rapidi e medici interessati
e attenti alla nostra salute.
Tuttavia i
tagli alla spesa pubblica avviati negli ultimi decenni e aumentati a seguito
della crisi economica stanno incidendo fortemente sulle scelte di politica
sanitaria e sul finanziamento del SSN sottraendo risorse importanti per lo
stato di salute sia del SSN che dei cittadini di cui dovrebbe tutelare il
diritto alla salute.
* * * * *
Forum di
discussione per contattarci discutere e proporre argomenti:
Aiuta
Medicina Democratica Onlus devolvendo il tuo 5 per mille firmando nella tua
dichiarazione dei redditi nel settore volontariato e indicando il codice
fiscale 97349700159
Sito web:
Facebook:
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To:
Sent: Tuesday, November 21, 2017 8:22 AM
Subject: ILVA: IMPEDIRE CON LA LOTTA DURA I LICENZIAMENTI PER I PROFITTI
Gli operai
dell’ILVA di Cornigliano continuano la lotta ad oltranza (occupazione della
fabbrica, scioperi, cortei e blocchi) decisa dall’assemblea operaia il 6
novembre scorso.
Giudicano del
tutto insufficienti le garanzie del governo Gentiloni-Renzi riguardo il piano
di 4.000 tagli, di cui 600 a Genova, presentato dalla cordata AM Investco.
Hanno perfettamente
ragione ed esprimiamo piena solidarietà!
Oltre ai
licenziamenti di massa, il piano cancella l’accordo di programma e prevede che
tutti gli operai devono passare dal licenziamento per una riassunzione con
salari più bassi e senza le tutele degli accordi precedenti, grazie
all’applicazione del Jobs Act antioperaio.
I padroni
dell’ILVA, con l’arroganza che li contraddistingue, e confidando sulla
compiacenza di istituzioni e magistratura, hanno reagito presentando un esposto
che denuncia presunti danni derivanti dall’occupazione.
Parlano
proprio loro che per decenni hanno rovinato la vita e la salute di centinaia di
migliaia di operai e di cittadini!
Il piano ILVA
è un aspetto della guerra globale che il capitale muove contro il lavoro per
aumentare lo sfruttamento e la precarietà.
Bene hanno
fatto gli operai ILVA di Cornigliano a dare una risposta di lotta dura per
dimostrare che non si deve accettare il moderno schiavismo e non si ci si può
fidare di parole e promesse di ministri filopadronali.
Gli operai
ILVA con la loro lotta rappresentano gli interessi di tutti i lavoratori per
l’occupazione, il blocco dei licenziamenti, migliori condizioni di vita e di
lavoro.
La decisione
presa dagli operai di Cornigliano è un esempio da seguire in tutte le fabbriche
ILVA e in tutte le altre vertenze contro i licenziamenti di massa.
Gli operai
della Richard Ginori di Sesto Fiorentino lo hanno fatto subito, scioperando ed
occupando la fabbrica.
Questa è la
giusta risposta da dare ai capitalisti e al loro governo, che da mesi cerca di
infinocchiare gli operai con la promessa che le trattative con il colosso
dell’acciaio multinazionale stanno andando a buon fine. Un governo per bocca
del ministro Calende (PD-Confindustria) ha condannato l’occupazione e chiesto la
smobilitazione della lotta, assieme ai suoi tirapiedi sindacali.
Per ottenere
risultati la lotta deve proseguire con forza, senza abboccare all’amo della
“pace sociale”.
Rivendichiamo
lo sciopero generale per dire NO ai licenziamenti per i profitti!
Nessun posto
di lavoro deve essere perso, nessuna fabbrica deve essere chiusa! I patti vanno
rispettati!
Lavoro
regolare e stabile per tutti, no al Jobs Act e al precariato!
Risanamento
ambientale!
Riduzione
dell’orario di lavoro!
Contro
qualsiasi tentativo di isolamento e di divisione, va ripresa e unificata la
lotta di tutti i lavoratori ILVA, sulla base dei comuni interessi di classe,
avanzando nella pratica del fronte unico proletario.
Con gli
scioperi, le occupazioni e tutti i mezzi disponibili i lavoratori esprimeranno
la loro volontà di non cedere ai ricatti e ai soprusi dei padroni.
Queste
esperienze faranno maturare nella classe operaia la consapevolezza che essa
deve recuperare interamente la propria autonomia politica ricostruendo il
proprio partito di classe.
3 novembre
2017
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To:
Sent: Tuesday, November 21, 2017 8:22 AM
Subject: PENSIONI: LA PIAGA DI UN SISTEMA DA SEPPELLIRE
L’aumento
delle pensioni a 67 anni dimostra l’irrazionalità di un sistema che costringe i
lavoratori a lavorare sino allo sfinimento, mentre milioni di giovani sono
lasciati a languire senza lavoro o con lavori precari sottopagati (quindi senza
contributi), oppure costretti all’emigrazione.
Un sistema in
cui più cresce la produttività del lavoro e più si deve lavorare per i profitti
dei capitalisti è solo da abbattere con la rivoluzione socialista.
Ci vogliono
schiavi salariati il più possibile, per pagarci meno pensioni e usare i nostri
contributi per salvare le banche piene di titoli spazzatura, pagare il debito
pubblico nelle mani dell’oligarchia finanziaria.
Il trucco
inventato dalla borghesia è quello di legare le pensioni alle speranze di vita.
Ma le
statistiche sono completamente falsate. Le speranze di vita sono in diminuzione
per gli operai e le masse popolari. La sanità pubblica ha subito tagli pesanti
e 10 milioni di cittadini non hanno più soldi per curarsi.
Non solo la
durata, ma anche la qualità della vita è in costante peggioramento per i
lavoratori.
Sono anni che
i governi borghesi e la UE dei monopoli raccontano balle sul deficit INPS e
lanciano l’allarme sui conti pubblici per far passare le controriforme con
l’avallo dei riformisti e dei vertici sindacali.
La verità è
che sono gli operai e gli altri i lavoratori dipendenti a finanziare lo Stato
per le spese assistenziali, fra cui figurano le pensioni d’oro di “lor
signori”.
Non è lo Stato
borghese che trasferisce danaro agli operai attivi e pensionati. Sono i
proletari che pagano con i loro contributi le pensioni e coprono anche molti
costi assistenziali, a partire dai prepensionamenti e i contributi figurativi,
l’indennità di disoccupazione e gli assegni familiari.
I pensionati
con il prelievo fiscale pagano anche le pensioni assistenziali, mentre padroni
e ricchi evadono allegramente le tasse con i paradisi fiscali.
Le ragioni
dello smantellamento della previdenza pubblica non hanno nulla a che fare con
il deficit pubblico, ma sono funzionali all’obiettivo di usare queste risorse
in fondi per la speculazione di borsa, a favore del capitale finanziario.
Non ci
interessa negoziare qualche mese in meno, come cercano di fare il PD e i vertici
sindacali in vista delle elezioni.
Non
lasciamoci dividere per categorie e ricordiamoci che l’APE va a favore delle
banche!
Le
rivendicazioni che i proletari devono portare avanti con il fronte unico di
lotta in fabbrica e in piazza, sono chiare:
- abolizione della controriforma Fornero e del sistema contributivo;
- ripristino del retributivo e delle pensioni di anzianità;
- 35 anni di contributi e 60 anni di anzianità per andare in pensione con
assegno pari all’80% dell’ultimo salario;
- separazione dell’assistenza dalla previdenza;
- basta privilegi, vitalizi, rendite e pensioni d’oro di manager,
parlamentari, amministratori e preti;
- divieto di cumulo.
Mobilitiamoci
uniti! Affinché gli operai possano vivere il capitalismo deve morire!
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To:
Sent: Wednesday, November 22, 2017 5:56 PM
Subject: PER UN FRONTE UNICO SINDACALE DI CLASSE
Buonasera
compagni,
questa mail è
diretta ai firmatari dell’appello a sostegno di uno sciopero unitario del
sindacalismo conflittuale che abbiamo pubblicato il 18 agosto intitolato
“Appello per la formazione di un fronte unico sindacale di classe per un’azione
generale di lotta di tutta la classe lavoratrice in difesa della libertà di
sciopero”.
Vi scriviamo
per segnalarvi l’intervista che abbiamo rilasciato quali promotori dell’appello
al Collettivo redazionale di Roma de “Il Pane e le rose”, che potete trovare
sul loro sito (a questo indirizzo: http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3%3Ao50713) e anche sulla pagina Facebook “Per un fronte unico sindacale di classe”.
La riportiamo
anche a seguire.
Inoltre
riportiamo nuovamente il testo dell’appello
Ogni commento
e collaborazione è benvenuto.
Saluti
Mariopaolo
* * * * *
PERCHÉ, OGGI
PIU’ CHE MAI, E’ NECESSARIA L’UNITA’ D’AZIONE DEL SINDACALISMO DI BASE
Una
conversazione con i promotori dell’appello “Per un fronte unico sindacale di
classe”
Nelle scorse
settimane si sono svolti due scioperi generali, organizzati da differenti anime
del sindacalismo di base.
Rispetto
all’assenza di un momento di lotta unitario, stavolta però non vi è stato solo
il consueto mugugnare improduttivo. Non è mancato, infatti, chi ha cercato di
spingere concretamente sul terreno dell’unità d’azione. Parliamo in particolare
dei promotori dell’appello “‘Per un fronte unico sindacale di classe”:
lavoratrici e lavoratori appartenenti a diverse espressioni del sindacalismo di
base e conflittuale che hanno deciso di aprire una precisa battaglia per
costruire le condizioni affinché, in futuro, non si assista più a quegli
scioperi separati che, inevitabilmente, riducono la forza del conflitto.
Condividendo
lo spirito del loro appello e ritenendo interessante anche il loro modo di
agire concreto, gli abbiamo rivolto alcune domande, mossi dalla volontà di
capire cosa si può fare per spingere in una direzione che appare quanto mai
necessaria, vista l’entità dell’attacco padronale alla classe lavoratrice.
Anzitutto, ci
piacerebbe conoscere le vostre valutazioni in relazione ai due scioperi,
proclamati da settori diversi del sindacalismo di base, del 27 ottobre e del 10
novembre. A vostro avviso, quale impatto concreto hanno avuto?
Consideriamo
uno sciopero “riuscito” quando esso ha un effetto tangibile, consistente,
sull’attività produttiva di quel dato settore. Quello del 27 ottobre, proclamato
da CUB, SI COBAS, ADL COBAS (solo per il privato) SGB, SLAI COBAS e USI-AIT,
può considerarsi tale solo nella logistica, grazie alla mobilitazione
organizzata dal SI COBAS e dall’ADL COBAS.
Nel settore
trasporti lo sciopero è stato boicottato dalla precettazione del Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio che d’autorità, con
pretesti strumentali, negando di fatto la libertà di sciopero, lo ha ridotto da
24 a 4 ore, compromettendone la riuscita.
Non è andato
bene nemmeno fra gli aeroportuali (a Fiumicino non si è riusciti a cancellare
nessun volo oltre quelli che Alitalia, come di consuetudine, ha cancellato
preventivamente) e fra gli autoferrotanvieri.
Nel pubblico
impiego, secondo i dati di fonte padronale, cioè del Ministero per la
Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, hanno aderito 21.638 lavoratori,
pari al 1,30% della categoria.
Una
percentuale molto bassa, anche se superiore a quella dello sciopero del 4
novembre 2016 (0,80%), proclamato dal medesimo cartello sindacale, e a quella
dello sciopero generale del solo Pubblico Impiego del 30 marzo scorso
proclamato dalla sola USB PI (0,92%).
Nel settore
privato lo sciopero del 27 (come detto fatta eccezione per la logistica) è
passato senza che la maggioranza della classe lavoratrice nemmeno se ne
avvedesse. La sua parziale riuscita in quelle poche aziende dove sono presenti
i sindacati di base promotori della mobilitazione è certo da valorizzare, ma
non è sufficiente a ribaltare questo giudizio.
Lo sciopero
quindi si è attestato su un livello inferiore a quello del 16 giugno, che era
stato proclamato come sciopero nazionale del settore trasporti e della
logistica e tale effettivamente è stato.
Da ciò sorge
la riflessione che, allo stato attuale, da parte del sindacalismo di base
sarebbe forse più serio proclamare scioperi nazionali di settore e categoria,
non generali, evitando di sminuire il valore di questa suprema arma di
combattimento della classe salariata.
Nello
sciopero del 10 novembre, proclamato da USB, Confederazione COBAS, ADL COBAS
(per la parte di suoi organizzati nel pubblico impiego), UNICOBAS ed USI
(scissione romana dell’USI-AIT) è venuta a mancare la forza della mobilitazione
della logistica.
Nei trasporti
è andato meglio del 27, sia perché non vi è stata precettazione (lo sciopero è
stato di 24 ore) sia per merito di alcune vertenze locali degli
autoferrotranviari (Roma, Napoli, Torino).
Fra i
ferrovieri (la CUB Trasporti di questo settore ha scioperato sia il 27 che il
10) è andato bene nel settore merci e nel trasporto regionale, discretamente
nel comparto lunga percorrenza, sebbene si sia rimasti lontani dai risultati
che aveva ottenuto la mobilitazione contrattuale unitaria di CUB Trasporti,
USB, CAT e SGB che aveva avuto adesioni fino all’80%, conducendo inoltre alla
redazione di una piattaforma contrattuale comune nel 2016.
Anche lo
sciopero del 10 non è andato bene fra gli aeroportuali. Qui hanno agito in
senso negativo pure le vicissitudini sindacali in Alitalia. Il segretario
nazionale della CUB Trasporti all’assemblea milanese del 23 settembre,
organizzata dai sindacati promotori dello sciopero del 27 ottobre, aveva
dichiarato che la sua organizzazione avrebbe sostenuto entrambi gli scioperi,
sia quello del 27 che quello del 10. In Alitalia, CUB e USB avevano condotto
una mobilitazione unitaria fin dal dicembre 2016, con vari scioperi che avevano
avuto un buon successo, portando alla bocciatura, nel referendum svoltosi il 24
aprile, di un accordo firmato dai sindacati confederali ed autonomi.
Il 30 ottobre
però USB ha firmato un accordo sulla cassa integrazione nel quale, nero su
bianco, si riconosce la presenza di esuberi e la necessità di definirne
ulteriori, quella di linee antieconomiche da eliminare, quella di agire
riducendo ogni voce di costo, quindi anche quella del lavoro. Questa firma ha
(noi ci auguriamo solo temporaneamente) rotto il fronte comune, inducendo la
CUB Trasporti del settore aereo a non aderire allo sciopero del 10. Non hanno
cambiato idea invece, come detto, i ferrovieri della CUB ed anche alcuni gruppi
locali di autoferrotanvieri (Genova, Lucca).
Nel pubblico
impiego l’adesione si è attestata all’1,72%, superiore a quella del 27 ottobre
(1,30%), ma inferiore a quella dello sciopero dell’8 marzo scorso, proclamato
per la giornata internazionale della donna da tutto il sindacalismo di base
(USB, CUB, Confederazione COBAS, ADL COBAS, SGB, SIAL COBAS, USI-AIT) e a cui
aderì nel comparto scuola anche la FLC CGIL, che raggiunse una percentuale
d’adesione pari al 2,05%.
Per il settore
privato valgono le stesse considerazioni fatte in merito a quello del 27
ottobre.
Questo quadro
conferma la correttezza dell’indirizzo proposto dal nostro appello “Per un
fronte unico sindacale di classe” di uno sciopero unitario del sindacalismo di
base. Ciò avrebbe permesso l’adesione anche delle correnti di opposizione di
sinistra in CGIL. Non si tratta, come affermato da alcuni per criticare la
nostra indicazione, di unire meramente le sigle, le “burocrazie sindacali”, ma
di far scendere in sciopero insieme, lo stesso giorno e in manifestazioni
comuni, i gruppi di lavoratori inquadrati nei vari posti di lavoro nelle
diverse categorie, del pubblico e del privato, dal completo arco del
sindacalismo conflittuale.
Solo in
questo modo si sarebbe (forse) raggiunta la capacità di imbastire uno sciopero
in grado di raggiungere quel livello minimo di energia necessario per essere
percepito dalla classe lavoratrice come una vera lotta, cominciando a costruire
in essa l’idea che esiste una forza sindacale alternativa ai sindacati
tricolore in grado di dar vita a mobilitazioni generali, e di seminare qualcosa
per le mobilitazioni future.
I due
scioperi generali separati invece, come per quelli passati del sindacalismo di
base, sono passati come l’acqua fresca, senza lasciare traccia.
Ecco, visto
che lo avete appena accennato: com’è nato l’appello “Per un fronte unico
sindacale di classe”?
L’idea di
scrivere un appello a sostegno di uno sciopero unitario è maturata ai primi di
agosto fra un piccolo gruppo di militanti sindacali appartenenti a diverse
organizzazioni: USB, CUB, Confederazione COBAS e sinistra CGIL (“Il sindacato è
un’altra cosa”). Con questi abbiamo redatto il testo e lo abbiamo proposto ad
altri militanti sindacali, chiedendo loro la disponibilità a risultare come
“primi firmatari”. Si sono così aggiunti altri militanti delle organizzazioni
già citate e di altre ancora, quali il SI COBAS e l’ORSA. Il 18 agosto lo
abbiamo reso pubblico.
Evidentemente
lo scopo dichiarato dell’appello (lo sciopero unitario) non è stato raggiunto.
D’altronde lo
ritenevamo difficilmente realizzabile, per quanto naturalmente qualche speranza
c’era. Il fine realisticamente raggiungibile era dar ossigeno, forza e voce a
quei gruppi di iscritti e militanti che nelle varie organizzazioni e correnti
sentono la necessità di seguire l’indirizzo dell’unità d’azione del
sindacalismo di base, facendola con le divisioni nell’azione di lotta fra le
varie sigle sindacali conflittuali.
Su questo
piano, più immediato, siete soddisfatti?
Sì, questo
obiettivo lo consideriamo raggiunto a un livello soddisfacente, per diversi
motivi. L’appello, in una dozzina di giorni, ha raccolto buone adesioni e, a
partire da quella di USB, ha avviato una catena di azioni e reazioni delle
dirigenze della maggioranza delle organizzazioni sindacali di base. Un piccolo
gruppo di militanti sindacali è riuscito a condizionare le azioni e il
dibattito di questi sindacati e delle loro dirigenze per oltre un mese.
Questo non
perché siamo particolarmente abili, ma in quanto abbiamo impugnato il giusto
indirizzo, che trova terreno fertile fra i lavoratori e la base degli iscritti
a questi sindacati, costringendo la maggior parte di queste dirigenze a
dispiegare azioni per correre ai ripari.
In quasi
tutti i sindacati di base si è aperto un dibattito interno e si sono create
divisioni: nella CUB, nell’USB, nel SI COBAS, nella Confederazione COBAS, nello
SLAI COBAS. Nel corso di questa battaglia, iniziata ad agosto e terminata con
lo sciopero del 10 novembre, si è formato un gruppo di militanti sindacali che
ha affrontato i vari problemi incontrati nel percorso, a nostro parere in modo
complessivamente positivo.
Vi sono stati
esempi circoscritti in cui strutture sindacali d’azienda, territoriali o
nazionali hanno agito superando le divisioni di sigla. In alcuni casi si è
trattato di azioni guidate da militanti sindacali legati al nostro appello:
l’USB della FCA di Melfi, della SEVEL di Atessa, dell’’Istituto Maugeri di
Tradate e i ferrovieri della CUB hanno aderito a entrambi gli scioperi. In altri
casi ci riferiamo ad azioni autonome rispetto alla nostra iniziativa, ma che,
almeno in piccola parte, crediamo di aver favorito con la nostra battaglia:
delegati della sinistra CGIL hanno aderito allo sciopero del 10 nella
Continental di Pisa e nei Musei Civici Veneziani e a quello del 27 alla
Electrolux di Susegana; a Genova ORSA, CUB e USB hanno scioperato
congiuntamente fra i tranvieri il 10 novembre; nella logistica hanno aderito
allo sciopero del 10 i gruppi del SI COBAS della TNT di Fiano e della GLS di
Riano, entrambi a Roma.
Quindi, i
segnali incoraggianti non sono stati pochi. Ma quali sono le cause reali che
impediscono a tutt’oggi di giungere a uno sciopero unitario?
Crediamo che
alla base vi sia una errata concezione del modo in cui possano crescere e
svilupparsi il movimento operaio e il sindacalismo di classe. Le dirigenze di
CUB e USB, ad esempio, dimostrano con la loro condotta di credere che i
lavoratori aderiscano alle loro organizzazioni e ai loro scioperi dopo aver
esaminato, a freddo, le differenti posizioni e piattaforme sindacali. Non
capiscono, o fingono di non farlo, che per la massa dei lavoratori aderire al
sindacalismo conflittuale e abbracciare le rivendicazioni più radicali è un
problema di forza.
E’ quando si
sentono forti che i lavoratori vedono aprirsi la possibilità di battersi con
metodi e per obiettivi più ambiziosi. Il problema è mettere in campo scioperi
che siano il più robusti possibile, con l’obiettivo di accendere il fuoco della
lotta. E’ in questo fuoco che i lavoratori riscoprono la voglia di approfondire
i problemi sindacali, che si formano e si selezionano nuovi militanti.
Dispiegare scioperi unitari non è condizione di per sé sufficiente, ma
certamente offre un contesto più favorevole affinché ciò avvenga.
Su questo
concordiamo. A questo punto non rimane che chiedervi quali iniziative avete in
programma.
Per ora
l’aspetto fondamentale è il sussistere di un gruppo che si tiene in costante
contatto e discute di questioni sindacali alquanto varie, in un clima di
reciproco rispetto e considerazione. L’intenzione è continuare a sostenere la
parola d’ordine dell’unità d’azione del sindacalismo conflittuale ogni qual
volta questo problema si presenti, quindi non solo nei futuri scioperi
generali, ma anche in quelli di categoria e aziendali. Ad esempio la questione
ora si porrà per il rinnovo del contratto nazionale degli statali e, a breve,
per quello dei ferrovieri.
Inoltre,
parteciperemo al convegno promosso dal giornale dei ferrovieri “ancora IN
MARCIA” sabato 25 novembre a Firenze, sulla “Difesa del diritto di sciopero e
la necessità dell’unità del sindacalismo di base”.
Ed è
ovviamente nostra intenzione organizzare una riunione dei promotori e
sostenitori dell’appello e dell’indirizzo del Fronte unico sindacale di classe
per discutere, definire e consolidare questo lavoro.
A cura de Il
Pane e le rose
Collettivo
redazionale di Roma
* * * * *
APPELLO PER
LA FORMAZIONE DI UN FRONTE UNICO SINDACALE DI CLASSE PER UN’AZIONE GENERALE DI
LOTTA DI TUTTA LA CLASSE LAVORATRICE IN DIFESA DELLA LIBERTÀ DI SCIOPERO
A seguito del
successo dello sciopero generale dei trasporti e della logistica del 16 giugno
scorso promosso da quasi tutto il sindacalismo di base in solidarietà con la
lotta dei lavoratori di Alitalia e a sostegno di rivendicazioni di categoria,
il fronte padronale (industriali, esponenti governativi e di opposizione, la
segreteria generale della Cisl) ha reagito con finta e ipocrita indignazione
invocando una nuova legge antisciopero che peggiori la legislazione vigente,
già fra le più restrittive d’Europa.
Il 19 luglio
in sede di commissione parlamentare è iniziato l’esame di due proposte di legge
il cui contenuto prevede (fra altri punti) la restrizione della facoltà
d’indire sciopero alle sole organizzazioni sindacali che godono della
cosiddetta rappresentanza (quella formale e ottenibile secondo regole da esse
stesse stabilite d’intesa col padronato) cioè a CGIL, CISL, UIL e UGL.
La legge per
ora riguarderebbe solo il settore dei trasporti, ma facilmente sarebbe
estendibile a tutto il settore dei cosiddetti servizi pubblici essenziali, già
molto vasto e che padronato e governi hanno continuato e continueranno a
estendere, coinvolgendo sempre più lavoratori.
Una legge di
questo tipo, poi, preparerebbe il terreno a ulteriori provvedimenti legislativi
o accordi sindacali di segno analogo per il resto della classe lavoratrice.
QUELLO CHE IL
FRONTE PADRONALE STA COMPIENDO E’ QUINDI UN GRAVISSIMO ATTACCO ALLA LIBERTA’ DI
SCIOPERO.
Questo accade
perché industriali, partiti antioperai e sindacati collaborazionisti sono
pienamente consapevoli del fatto che lo sciopero è l’arma fondamentale di
difesa dei lavoratori, nonostante fingano di credere e sostengano il contrario.
Da anni,
sotto la spinta della crisi mondiale, causata non dai lavoratori, ma dalle
leggi economiche del capitalismo, le condizioni di vita e di lavoro dei
salariati sono sottoposte a un attacco sempre più duro e che nelle intenzioni
del regime padronale deve andare ancora avanti e più a fondo. Non è un caso che
stiano divenendo sempre più frequenti i provvedimenti disciplinari e i
licenziamenti contro i militanti sindacali combattivi.
Industriali e
finanza, coi loro partiti di governo e opposizione, coi loro potentissimi mezzi
stampa e televisivi, coi loro sindacati complici, deridono la lotta di classe
facendola passare come un’anticaglia del passato e al contempo si adoperano per
limitare l’uso dello sciopero fino al punto da renderlo (se compiuto in termini
di legge) inutile, così da poter continuare a combatterla, questa guerra,
contro una classe lavoratrice disarmata.
La storia
anche recente della lotta di classe, in Italia e nel mondo, ha dimostrato che i
lavoratori hanno la forza per dispiegare scioperi che spezzino anche le catene
legislative, come accaduto ripetutamente negli ultimi anni fra i tranvieri,
violando con scioperi selvaggi le vigenti leggi antisciopero 146/90 e 83/00. La
lotta di classe non può essere fermata. Tuttavia è evidente che ogni nuovo
laccio posto per ostacolare lo sciopero avvantaggia temporaneamente il
padronato in questa lotta. Il problema va affrontato sul piano della forza.
L’unico modo
per impedire che l’arma dello sciopero ci venga strappata di mano è quello di
impiegarla.
Una parte del
sindacalismo di base ha proclamato per il 27 ottobre lo sciopero generale di
tutta la classe lavoratrice.
Una delle
ragioni del successo dello sciopero del 16 giugno è stato il sostegno a esso di
un ampio fronte sindacale. La lotta in difesa della libertà di sciopero è una
questione ancor più generale e importante di quelle che mossero quello sciopero
e necessita perciò della costruzione di un fronte unico sindacale ancora più
ampio, che coinvolga tutti i sindacati di base che ancora non vi hanno aderito
e anche le opposizioni di sinistra dentro la CGIL.
Ci rivolgiamo
quindi:
a tutte le
lavoratrici e a tutti i lavoratori affinché abbraccino questa giornata di
lotta, aderiscano allo sciopero e s’impegnino alla sua preparazione per la sua
migliore riuscita;
agli iscritti
e ai militanti sindacali di tutte le organizzazioni sindacali di base affinché
si battano per porre finalmente fine al settarismo della maggior parte delle
loro dirigenze che da anni impedisce azioni sindacali unitarie in grado di
dispiegare scioperi davvero potenti;
agli iscritti
e ai militanti sindacali delle organizzazioni sindacali che ancora non hanno
dato adesione allo sciopero (USB, Confederazione COBAS e altri minori) affinché
la pretendano dalle loro dirigenze, affinché partecipino all’Assemblea
nazionale del 23 settembre a Milano indetta per la sua costruzione e, in ogni
caso, affinché aderiscano e sostengano apertamente questo sciopero;
agli iscritti
e ai militanti dei sindacati che già hanno proclamato lo sciopero affinché si
facciano sostenitori dell’ulteriore allargamento del fronte sindacale alle
organizzazioni che ancora non vi hanno aderito, subordinando al principio
pratico dell’unità d’azione dei lavoratori le questioni che da queste
organizzazioni li dividono;
agli iscritti
e ai militanti delle opposizioni di sinistra dentro la CGIL affinché aderiscano
e sostengano apertamente questo sciopero, battendosi contro questo attacco alla
libertà di scioperare volto a indebolire tutto il sindacalismo di classe e a
rafforzare la gabbia del sindacalismo collaborazionista e la sua unità entro
cui rinchiuderli.
FIRMATE,
PROPAGANDATE E FATE FIRMARE QUESTO APPELLO!
Venerdì 18
agosto 2017
PER ADESIONI
SCRIVERE A: appello27@gmail.com
PAGINA
FACEBOOK: Per un fronte unico sindacale di classe
PRIMI
FIRMATARI
Emanuela
Pulcini: RSA USB Coopculture Roma
Domenico
Travaglini: USB ICS Maugeri Tradate (VA)
Domenico
Destradis: RSA USB FCA Melfi Potenza
Mariopaolo
Sami: USB Vigili del Fuoco Genova
Mimmo
Mignano: SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Antonio
Montella: SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Marco Cusano:
SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Massimo
Napolitano: SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Roberto
Fabbricatore: SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Andrea
Furlan: RSA FILCAMS CGIL (Il sindacato è un’altra cosa) Ho Group Roma
Lorenzo
Mortara: RSU FIOM (Il sindacato è un’altra cosa) YKK Vercelli
Edoardo
Todaro: RSU Confederazione COBAS Poste Italiane Firenze
Francesca
Romano: RSU Confederazione COBAS Sanità Università e Ricerca Firenze
Fabio
Bertelli: USB Pensionati Firenze
Ivan
Maddaluni: CUB Trasporti Trenitalia Firenze
Stefano
Fidenzio: licenziato Sistemi Informativi IBM Roma
Domenico
Stratoti: RSA Hotel Majestic (Il sindacato è un’altra cosa) Roma
Marco
Marsano: Segretario Provinciale ORSA TPL Genova
Serafino Biondo:
RSU FIOM (Il sindacato è un’altra cosa) Fincantieri Palermo
Gianfranco
Camboni: SI COBAS, insegnante Olbia (SS)
Patrizio
Agostini: lavoratore ATAC Roma
Francesco
Cappuccio: RSU SI COBAS Sanità San Martino Genova
Giancarlo
Dadda: USB Lavoro Privato Milano
Gianfranco
Besenzoni: USB Lavoro Privato Milano
Roberto
Donis: USB ICS Maugeri Veruno (NO)
Ariel
Acevedo: RSU USB Sanità Gaslini Genova
FIRMATARI
Seguono 184
firme
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To:
Sent: Wednesday, November 22, 2017 4:27 PM
Subject: EX EURECO: TECNOLOGIE & AMBIENTE E CITTA’ METROPOLITANA FANNO
APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO
Gli affari
sono sempre affari, e l’azienda Tecnologie & Ambiente che tenta un ricorso
per “difendere” i propri profitti era quasi nella logica delle cose, segnale di
come funziona questa nostra società.
Diversa è la
vicenda di Città Metropolitana che è un’istituzione pubblica e che ha come
missione il controllo e la difesa della salute delle comunità di cittadini e
lavoratori, che non hanno protezione se la “libera impresa” per aumentare i
profitti non rispetta le regole.
Invece non ha
rivisto le scelte, per noi sbagliate, dell’autorizzazione AIA n. 6567/2016
rilasciata dagli Uffici preposti della Città Metropolitana di Milano il
12/07/16 alla società Tecnologia & Ambiente.
Ci lascia
sbigottiti la decisione di ignorare il giudizio del Tribunale Amministrativo
Regionale, che con sentenza n. 01747/2017 del 08/08/2017 ha di fatto annullato
l’autorizzazione a riprendere la produzione nel campo del trattamento di
rifiuti con tipologie e modalità quasi identiche a quelle in precedenza
autorizzate (e non rispettate) dalla ditta Eureco.
Nel corso
degli incontri svolti come comitato con i tecnici di Città Metropolitana, ci
venne più volte ribadito che erano “costretti dalle leggi vigenti” a rilasciare
l’autorizzazione, quasi dispiaciuti. Anche il sindaco Sala di Città Metropolitana
si era dimostrato dispiaciuto della vicenda Eureco promettendo approfondimenti
che non abbiamo mai visto.
Ora i
burocrati di Città Metropolitana con l’avvallo di Sala ricorrono solo per
difendere la validità delle loro scelte, certo avendo già dimenticato quattro
lavoratori morti bruciati ed altri feriti.
La vicenda Ex
Eureco è lontana dalla conclusione, ma solo con la partecipazione dei
cittadini, sarà possibile sollecitare maggiori controlli da parte del Comune
tramite la Vigilanza Locale e da parte di ATS tramite l’ARPA, questo al fine di
prevenire che:
e
disposizioni vigenti, emesse con sentenza del TAR, vengano correttamente
rispettate;
evitare
possibili nuove tragedie sul nostro territorio.
COMITATO A
SOSTEGNO DEI
FAMILIARI
DELLE VITTIME E DEI LAVORATORI EURECO
Comitato a
sostegno dei familiari delle vittime e dei lavoratori Eureco
Paderno
Dugnano 23/11/17Paderno Dugnano 22/11/17
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To:
Sent: Thursday, November 23, 2017 12:02 AM
Subject: PENSIONI, E’ ORA DI TORNARE NELLE PIAZZE
Non ci si
riesce ad abituare al livello del dibattito politico/sindacale del nostro
paese. Se uno non leggesse qualche giornale ogni giorno, non vedesse qualche TG
o non navigasse per internet non potrebbe mai credere che si sta davvero
discutendo, ai massimi livelli, di qualche mese, cinque per la precisione, per
l’uscita dal lavoro.
La cosa è
ormai risaputa, la Legge Fornero ha introdotto, nella individuazione dell’età
“giusta” per andare in pensione, anche il calcolo della speranza di vita
costruendo un meccanismo che, collegandosi all’aumento della vita media,
aumenta di pari passo l’età del pensionamento.
La cosa viene
rappresentata come una scelta equa e irrinunciabile. Equa perché secondo lor
signori bisogna spaccarsi la schiena fino alla soglia della morte,
irrinunciabile perché i conti dell’INPS e la sostenibilità del sistema
dipendono direttamente anche dall’introduzione di questo mefistofelico
meccanismo di continuo aumento dell’età pensionabile.
Ora che
l’intero impianto della legge Fornero, e di quelle che l’hanno preceduta a
partire dalla Riforma Dini del ‘95 (la madre di tutte riforme pensionistiche)
siano inique e sbagliate è dato ormai consolidato per tutti gli oltre 60
milioni di italiani, ad eccezione di 3 (Camusso, Furlan e Barbagallo).
Che i conti
dell’ INPS e la sostenibilità del sistema siano a rischio è invece cosa di cui
andrebbe discusso approfonditamente, ad esempio valutando quanto incidano su di
essi i continui sgravi contributivi alle imprese che comunque non hanno creato
e non creano occupazione stabile e duratura per i nostri giovani; quanto abbia
inciso l’aver l’INPS assorbito Enti previdenziali che erogavano ricchissime
pensioni ai professionisti e ai dirigenti d’azienda e che, a un passo dal
crack, sono stati inglobati dal maggiore ente previdenziale italiano che così
si è dovuto far carico di pagare pensioni onerosissime senza però averne
incamerato i contributi. Oppure quanto abbia pesato e pesi la fusione con
l’INPDAP, l’ente previdenziale dei lavoratori pubblici, ora che si è scoperto
che le Amministrazioni pubbliche (i Ministeri, gli enti locali ecc.) si
guardavano bene dal versare nelle sue casse i contributi regolarmente prelevati
dalle buste paga dei propri dipendenti, provocando così una voragine di enorme
valore e mettendo a rischio le pensioni dei lavoratori.
Bisognerebbe
cancellare venti anni di riforme delle pensioni, costruite al fine di
smantellare pezzo a pezzo la previdenza pubblica per ingrassare i fondi
previdenziali privati gestiti dai sindacati confederali, per poter mettere le
mani davvero al rilancio dell’ente pubblico oggi in mano a una ditta di
demolitori professionisti capeggiata da Boeri. Questo è quello che TUTTI gli
italiani chiedono e si aspettano che accada.
Invece no. Ad
un tavolo a cui nessuno li ha delegati, i tre segretari generali di CGIL, CISL,
UIL, i maggiori sindacati gialli d’Europa, stanno a discutere (e qualcuno
minaccia scioperi e sfracelli!!) di cinque mesi di distanza tra 66 anni e 7
mesi e 67 anni per andare in pensione, e soprattutto se sia sufficiente
individuare 15 categorie definite gravose a cui fare la grazia di lasciarle
andare in pensione a 66 anni e 7 mesi invece che a 67.
In altri
tempi si sarebbe chiamata la Croce Rossa. Oggi invece c’è da tornare nelle
piazze per impedire che qualcuno si rifaccia una verginità persa da tempo
difendendo i cinque mesi di anticipo per qualcuno.
Noi vogliamo
andare in pensione a 60 anni, con 40 anni di contributi. Vogliamo una pensione
dignitosa che ci consenta di vivere dignitosamente, vogliamo che i giovani
abbiano la possibilità di costruirsi anch’essi un futuro con il lavoro buono e
di qualità e quindi di avere anche loro la possibilità, di andare in pensione.
Di altro non
vogliamo nemmeno discutere.
20/11/17
Unione
Sindacale di Base (USB)
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To:
Sent: Thursday, November 23, 2017 10:31 PM
Subject: CITTA’ METROPOLITANA RITIRA IL RICORSO AL CONSIGLIO DI STATO
Buonasera
ieri sera al
Consiglio Comunale il Sindaco di Paderno Dugnano, Marco Alparone ha riportato
la comunicazione di Città Metropolitana la quale dichiara che non ricorrerà al
Consiglio di Stato contro la decisione del TAR di sospendere le attività nella
nuova azienda Tecnologia e Ambiente (ex Eureco).
Ovviamente
siamo contenti di questa saggia decisione di Città Metropolitana, anche se non
capiamo come mai il sindaco metropolitano Giuseppe Sala abbia impiegato un mese
di tempo per cambiare idea.
A seguire
comunicato stampa del Comitato e di Medicina Democratica
* * * * *
EX EURECO:
SUGLI APPELLI AL CONSIGLIO DI STATO. (ATTO SECONDO)
Protestare
qualche volta serve. Indignarsi qualche volta serve. Lo dimostra la vicenda successiva
ai comunicati stampa emessi ieri, sia dal Comune di Paderno Dugnano, che dal
nostro comitato in cui si rimarcava l’assurdità dell’appello al Consiglio di
Stato da parte di Città Metropolitana.
Infatti gli
Uffici si appellavano contemporaneamente alla società Tecnologia &
Ambiente, contro la sentenza del TAR lombardo che bloccava la riapertura
dell’area ex- Eureco, per difendere la bontà del lavoro dei loro tecnici, che
avevano rilasciato l’autorizzazione alla riapertura.
I tecnici del
“Settore Rifiuti, Bonifiche e AIA” avevano dato il mandato al loro Ufficio
Legale, di effettuare l’appello al Consiglio di Stato, nei tempi previsti dalla
legge. Appello che ha firmato, per la delega agli avvocati, anche il sindaco
metropolitano Sala. Ma le proteste sollevate hanno innescato prima un
ripensamento e poi una ragionevole inversione di marcia.
In questo
caso la “politica” ha corretto la burocrazia dei tecnici impedendo il deposito
definitivo dell’appello.
Sia noi come
Comitato, ma pensiamo anche i cittadini di Paderno Dugnano, non possiamo che
esserne contenti.
Siamo
contenti perché pensiamo che questo fatto possa rendere più difficoltoso un
esito positivo per l’azienda nel suo appello contro la sentenza del TAR.
I Cittadini
di Paderno Dugnano ed anche le varie Giunte succedutesi nell’amministrazione
del comune nel tempo, si erano sempre opposti all’ insediamento di questo
centro di trattamento dei rifiuti pericolosi posto a Palazzolo tra la
superstrada Milano Meda ed il canale Villoresi.
La vicenda
dei lavoratori Eureco vittime innocenti di una gestione aziendale criminale sta
ad evidenziare come purtroppo avessero ragione.
Come altre
vicende hanno dimostrato, la soluzione del “problema Eureco” non sta solo nelle
battaglie legali ai vari livelli di giudizio. Ma anche nella partecipazione e
nell’attenzione dei cittadini e nella loro capacità di protesta, di
indignazione e soprattutto di mobilitazione.
COMITATO A
SOSTEGNO DEI FAMILIARI DELLE VITTIME E DEI LAVORATORI EURECO
Comitato a
sostegno dei familiari delle vittime e dei lavoratori Eureco
Paderno
Dugnano 23/11/17
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To:
Sent: Monday, November 27, 2017 5:56 AM
Subject: SVOLTA ALMAVIVA. VITTORIA CONTRO IL LICENZIAMENTO
RITORSIVO
Le voci di
Stefania, Walter e Sabrina, licenziati Almaviva Contact di Roma, rappresentano
le voci di tutti i lavoratori posti sotto ricatto.
Di Almaviva e
dell’arroganza dei suoi amministratori, dell’indifferenza del governo,
dell’assenza della sindaca Raggi e del tradimento della CGIL ne abbiamo parlato
a lungo in queste pagine.
Ora tocca a
loro parlare (e su questo giornale abbiamo dato loro parola).
Ai licenziati
Almaviva, rappresentati da Stefania, ex RSU, Walter Ambrosecchio e Sabrina
Scalco.
A loro
dedichiamo questo spazio, ne hanno diritto e i diritti di opinione senza bavaglio
noi li riconosciamo.
“Mi sento
emozionata come lavoratrice. Faccio parte di quei 1.600 lavoratori licenziati a
causa di corpi intermedi che non sono stati in grado di fare una buona
trattativa. Con buste paga di 600 euro al mese ci hanno chiesti tagli del 17%.
I lavoratori di Almaviva Roma, insieme alle loro RSU (io stessa sono una RSU)
hanno deciso di non accettare i tagli, di non rinunciare al loro diritto,
perché il lavoro è lavoro se viene pagato. Abbiamo avuto la forza di dire no.
Oggi sono felice, perché l’altro ieri ho vinto la sentenza di reintegro”.
Queste frasi
sono parte di un discorso significativo e importante che è stato pronunciato
sabato 28 novembre, al Teatro Italia, da Stefania, licenziata Almaviva. La sua
voce commossa, ma determinata, le sue parole sentite, frutto di un’esperienza
drammaticamente vissuta hanno riempito il teatro che i compagni “pazzi” di
Napoli hanno dovuto affittare per dar voce a quel popolo oscurato dai media,
come dai rappresentanti di quelle fittizie sinistre che non li hanno voluti
ascoltare il 18 giugno al Brancaccio.
Stefania è
una ex RSU di quell’azienda, con sede a Roma, che ha messo sotto ricatto i suoi
dipendenti: firmare l’accordo, con riduzione dello stipendio, accettando il
controllo a distanza o si è out dal lavoro.
I 1.666
dipendenti non hanno firmato, con coraggio, con determinazione, a testa alta,
perché il lavoro non può essere così umiliato. L’azienda, intanto, per loro
aveva già chiuso i battenti.
Fuori tutti.
Avanti un’altra forma di sfruttamento mascherata dai contratti co.co.pro.
Avanti le delocalizzazioni, già in atto da tempo. Avanti le nuove sedi in
Brasile, grazie ai fondi di 6 milioni di euro ottenuti dalla Simest (Gruppo
Cassa Depositi e Prestiti).
LA PISTOLA
PUNTATA
E’ sempre
Stefania a raccontare come e quando è iniziato il balletto dei ricatti sui
lavoratori Almaviva contact, da parte dei dirigenti e dei sindacati
confederali, partendo dal 2007, quando il settore telecomunicazioni a Roma
entrava in crisi.
“Appena
finiti gli sgravi fiscali delle stabilizzazioni del 2007, siamo sempre stati
coscienti che Roma era un territorio a rischio per anzianità di servizio e
costi (che altri non avevano). Negli anni abbiamo denunciato alle istituzioni
la fragilità del settore, e negli ultimi 4 il pericolo che incombeva su Roma”.
E torna
all’attualità, da quando “sin da maggio scorso era chiaro quanto sarebbe poi
accaduto. Già da allora le segreterie firmarono l’accordo, mettendoci di fatto
una pistola puntata alla tempia che si espresse in tutta la sua violenza con la
procedura di dicembre”.
Fino alla
notte dell’accordo/ricatto. “Dopo la notte del 22 dicembre del 2016 sono
completamente sfiduciata nei confronti di quei corpi intermedi (governo e
sindacati) che ci avrebbero dovuto tutelare e sostenere, assumendosi la
responsabilità di non essere stati in grado di raggiungere un accordo
soddisfacente per i lavoratori con un’azienda che è cresciuta anche grazie a
sgravi e incentivi e che ha gestito e continua a gestire commesse statali
facendo business anche con soldi pubblici (Simest)”.
I licenziati
di Almaviva si uniscono in un comitato. Bussano a Calenda e a Terranova,
bussano alla CGIL. Bussano alla Regione. Bussano al Campidoglio. Porte chiuse.
Le risposte non sono confortanti. Non hanno che la NASPI per un minimo sostegno
alla sussistenza e la voglia di lottare, fieri e a testa alta contro chi ha
massacrato la loro vita e la loro dignità di lavoratori. Perché è il lavoro,
quando è regolato da leggi, ormai sepolte (ex Statuto dei lavoratori), a contribuire
alla dignità della persona.
LE VERTENZE
SI ATTIVANO
Nell’esito
c’è la speranza di una rivalsa, affinché giustizia sia fatta. Generalmente, fa
intendere Walter, licenziato Almaviva, in un precedente articolo, i giudici del
lavoro non sono così propensi verso il lavoratore.
S’intuisce
ciò che intende dire. Smuoverebbero delle acque stagnanti che taglierebbero le
gambe ai titolari di quelle aziende i cui lavoratori sono messi sotto scacco,
autorizzati da una legge abietta qual è il Jobs Act. Creando presupposti
incontestabili a favore dei lavoratori, andrebbero a favorire tutte le future
vertenze pro lavoratori e contro il “sior paron”.
Quindi nel
tempio dell’apparente giustizia, dove a caratteri dorati e incastonati in legno
pregiato si legge chiaramente che “La legge è uguale per tutti”, succede
talvolta di non sentirsi garantiti nei diritti costituzionali, perché applicare
la legge non è automatico, specie quando si cerca di debellare un sistema
corrotto e quando questo coincide con i poteri dominanti. Ma non è questa la
funzione di un giudice: applicare la legge?
PRIMA SVOLTA
A SINISTRA
Ma accade un
piccolo miracolo a Roma. Cambio strabiliante di rotta. Una vertenza, attivata
da 153 ex-Almaviva, seguita dall’avvocato Pier Luigi Panici, approda al porto
della vittoria.
Il giudice
Umberto Buonassisi dice sì al reintegro.
E’ la prima
svolta a sinistra, quella autentica, quella che riconosce i diritti dei
lavoratori e anche quelli umani, quella delle lotte di classe, quella che
riporta alla luce la verità dei fatti e condanna chi, forte della sua holding,
del capitale e del potere (parliamo del presidente Marco Tripi) ha messo sul
lastrico 1.666 lavoratori romani con un “licenziamento ritorsivo che è una vera
e propria rappresaglia” così il giudice Buonassisi condanna l’azienda al
reintegro.
“Sono felice
per il reintegro” - prosegue Stefania nel suo intervento al Teatro Italia - “La
nostra esperienza non è solo nostra, ma deve essere condivisa con i lavoratori
delle altre vertenze in atto, le vertenze devono essere protagoniste. Noi
abbiamo subito l’arroganza delle istituzioni che hanno provato a farci sentire
deboli.
Con i Clash
City Workers non è stato così, dobbiamo tornare a essere noi i protagonisti,
non possiamo delegare a nessuno le nostre vite. Ringrazio tutte le persone che
ho incontrato in questi mesi, a partire dai Clash, che lavorano tantissimo
anche con altri lavoratori (SKY, GSE, ecc.). Spero sia un inizio per tutti!”.
Un entusiasmo
per un risultato che non è solo il suo. E’ la prima svolta a sinistra su un
percorso accidentato, che tende a demotivare la forza e la voglia di resistere
dei lavoratori in lotta.
E’ il
percorso tracciato dalle politiche neoliberiste che vanno in direzione opposta
al ripristino dei diritti dei lavoratori, dei docenti e degli studenti, contro
la sanità pubblica e contro i diritti del cittadino ad essere sostenuto da un
welfare adeguato a migliorarne le condizioni sociali.
Il reintegro
dei 153 è una porta chiusa a chiavistello che improvvisamente si schiude, uno
spiraglio che fa filtrare la luce della giustizia in fondo al tunnel.
Altre
vertenze sono in procinto di essere discusse dai legali di riferimento,
sostenute anche dai sindacati di base USB e COBAS. Quella porta non si deve più
chiudere e i lavoratori che hanno subito ricatti, come è accaduto ai licenziati
Almaviva di Roma, devono anche loro avere il reintegro.
A breve si
discuteranno altre vertenze. Seguiamo, con La Città Futura, da quella notte del
22 Dicembre 2016, le loro peripezie nel districarsi da quell’infame ricatto e
il coraggio che hanno mostrato nell’alzare la testa e lottare.
ESTRATTO
DELLA SENTENZA
La sentenza,
emessa dal giudice Buonassisi, sezione Lavoro del Tribunale di Roma, è netta:
nelle 35 pagine il magistrato definisce il licenziamento “ritorsivo” e parla di
“vera e propria rappresaglia” da parte di Almaviva nei confronti di coloro che
avevano rifiutato l’intesa.
Secondo il
giudice, i motivi che l’azienda porta a supporto della propria decisione di
licenziare “non sono assolutamente idonei a fornire la prova richiesta dalla
legge”, ma “servono a nascondere i veri motivi della scelta: liberarsi del più
costoso personale romano che non aveva accettato la riduzione delle sue
spettanze per sostituirlo, almeno in parte, con personale meno costoso e più
conveniente”.
Anche a non
volerla ritenere “ritorsiva”, insistono i giudici, si tratta comunque “di una
scelta obiettivamente illegittima”, attuata “solo per ragioni inerenti il costo
del personale romano che in nessun modo potevano giustificarla”.
Pertanto, il
tribunale dichiara “l’illegittimità del licenziamento intimato ai ricorrenti e,
per l’effetto, lo annulla e condanna la società resistente a reintegrare gli
stessi lavoratori nel posto di lavoro e a corrispondere loro, a titolo di
risarcimento danni, una indennità pari a tutte le retribuzioni globali di fatto
maturate dal giorno del licenziamento, sino all’effettiva reintegra, detratto
l’eventuale “aliunde perceptum”, con il versamento dei contributi previdenziali
e assistenziali; oltre rivalutazione ed interessi sull’importo via via
rivalutato fino al pagamento come per legge”.
QUALI SCENARI
PER I LAVORATORI LICENZIATI ALMAVIVA
L’azienda
continua il ricatto del trasferimento coatto: “attuo quello che decide il
giudice, ma sempre a mio vantaggio”. Un comportamento ripetuto e tentato per i
lavoratori della sede di Milano, ripetuto e tentato per le lavoratrici madri
della sede di Roma.
Ci chiediamo
però, nel caso di altre sentenze a sfavore, se Almaviva percorrerà la strada
della schizofrenia gestionale o quella di decidere il reintegro dei lavoratori
nella sede ancora operativa di Roma.
“In ballo ci
sono milioni di euro di spesa in indennità e risarcimento di mensilità
pregresse, per un licenziamento discriminatorio, nato da un ricatto e illegale
per quello che disciplina la legge in materia di licenziamento collettivo”
dichiara Walter Ambrosecchio, che dopo aver partecipato alle lotte comuni nel
Comitato 1.666, si è inserito in un contesto più allargato di lotte, quelle del
CLU (Coordinamento Lotte Unite), a cui aderiscono tante realtà del mondo del lavoro
e che sono sostenuti dai Clash City Workers.
Un aspetto
che Walter evidenzia, è quello della coazione a ripetere del ricatto
dell’azienda sul lavoratore, anche in caso di reintegro. Gli Amministratori
Delegati, come già accaduto per la sede di Milano, tenteranno la via del
trasferimento coatto, come hanno già prospettato per i 153 reintegrati da
Buonassisi, indicando il trasferimento nella sede di Catania.
La beffa
ulteriore avviene proprio nella sede romana, dichiarata chiusa a dicembre
scorso. In realtà l’azienda non ha affatto chiuso i cancelli, poiché il
servizio di call center viene attualmente coperto da lavoratori a co.co.pro..
Sabrina
Scalco, anche lei nel calderone dei licenziati Almaviva, è in attesa di
sentenza. L’8 Gennaio si discuterà la causa. Lei ci spera, con lei Walter e
molti altri. Tutto il mondo dei lavoratori sotto il ricatto del Jobs act è con
loro, perché anche questa volta, se vittoria sarà, sarà di tutti.
La sento al
telefono, dopo averla incontrata innumerevoli volte, nelle piazze, nei cortei,
nelle assemblee a protestare contro la protervia delle istituzioni che hanno
voltato le spalle al problema che ha coinvolto migliaia di lavoratori romani:
“Oggi ho appuntamento con i miei avvocati e spero che questa sentenza sia di
buon auspicio anche alla mia causa, che sarà a gennaio. Intanto a metà dicembre
un altro consistente gruppo di colleghi avrà la sentenza, speriamo bene. Le cause
finora sono state credo 9 a favore di Almaviva e una contro, ma il numero
totale dei ricorrenti era inferiore ai 153 dell’unica causa vinta, dove un
giudice ha esaminato profondamente il caso e prodotto 35 pagine di sentenza
durissima. Sembrerebbe che l’azienda abbia inviato lettere di trasferimento a
Catania, ma non ho la certezza e comunque per il 25 novembre non sarebbero
rispettati i termini di legge”.
Le chiedo se
è a conoscenza delle reazioni, alla sentenza di Buonassisi, della sindaca
Raggi, dei politici governativi e dei sindacalisti CGIL. Se per caso si sono
fatti vivi con messaggi di congratulazioni. “Riguardo le istituzioni” -
racconta Sabrina - “confermo che c’è stato un tweet da parte di Virginia Raggi
che si congratulava, ma non è mai stata presente agli incontri
pre-licenziamento. La viceministra allo Sviluppo Economico, Bellanova ha
twittato che le sentenze si accettano e non si commentano e a specifiche
domande non risponde. Il ministro Calenda, non pervenuto, nonostante lo abbia
subissato di tweet. Idem il presidente della Regione Lazio, Zingaretti e la
segretaria della CGIL, Camusso. Come vedi cercano comunque di continuare a
coprire le malefatte causate quel 22 dicembre maledetto. Ad oggi spero che la
giustizia sia dalla nostra parte”.
Grazie,
Stefania, Walter e Sabrina per le testimonianze e perché la vostra lotta è la
lotta di tutti.
di Alba
Vastano
25/11/17
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