martedì 5 dicembre 2017

4 dicembre - La Contro/Informazione di M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 04/12/17



INDICE

NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
ILVA: IMPEDIRE CON LA LOTTA DURA I LICENZIAMENTI PER I PROFITTI
PENSIONI: LA PIAGA DI UN SISTEMA DA SEPPELLIRE
PER UN FRONTE UNICO SINDACALE DI CLASSE
EX EURECO: TECNOLOGIE & AMBIENTE E CITTA’ METROPOLITANA FANNO APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO
 Posta Resistenze posta@resistenze.org
PENSIONI, E’ ORA DI TORNARE NELLE PIAZZE
CITTA’ METROPOLITANA RITIRA IL RICORSO AL CONSIGLIO DI STATO
 La Città Futura noreply@lacittafutura.it
SVOLTA ALMAVIVA. VITTORIA CONTRO IL LICENZIAMENTO RITORSIVO


---------------------

From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Monday, October 23, 2017 12:43 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA

NON C’E’ FINE AI VEL-ENI IN VAL D’AGRI
Riportiamo una corrispondenza di Maurizio Bolognetti, di Medicina Democratica Basilicata sui veleni della Val d’Agri.
Si veda anche il link:
con la conferenza stampa dell’autore su radio radicale.
Leggi tutto al link:
* * * * *
EURECO BIS, RICORSI E CONTRORICORSI, LA MAGRA FIGURA DI CITTÀ METROPOLITANA DI MILANO
Riportiamo i comunicati stampa congiunti di Medicina Democratica e del Comitato a sostegno dei familiari delle vittime e dei lavoratori Eureco.
La vicenda riguarda il tentativo di riattivare gli impianti ex Eureco di Paderno Dugnano (MI) dove trovarono la morte 4 lavoratori il 04/11/10.
La società Tecnologie & Ambiente aveva infatti presentato una richiesta autorizzativa per riprendere l’attività di trattamento rifiuti con limitate modifiche rispetto a quella precedente.
Nonostante l’opposizione della amministrazione comunale la Città Metropolitana di Milano ha rilasciato una autorizzazione sulla quale è stato presentato prontamente un ricorso al TAR da parte del Comune con l’aiuto tecnico di Medicina Democratica.
Il TAR ha annullato l’autorizzazione il 08/08/17 dando ragione al Comune proprio sulle motivazioni tecniche presentate.
Leggi tutto al link:
* * * * *
VIDEO E DOCUMENTI DAL FORUM INTERNAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE E L’ACCESSO ALLE CURE
Pubblichiamo il documento finale del Forum internazionale per il diritto alla salute e l’accesso alle cure tenutosi quest’oggi a Milano.
In calce sono pubblicati i video di tutti gli interventi.
* * * * *
FIRENZE E UNESCO, TRA INCENERITORE E AMPLIAMENTO DELL’AEROPORTO
Continua la lotta contro l’assurdo e pericoloso ampliamento dell’aeroporto di Firenze.
Dopo la vittoria al TAR regionale il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso contro la sentenza della società (riportiamo più sotto il comunicato e il testo della sentenza) l’Unesco (che si era già coscienziosamente esposta per mettere sull’avviso la Città di Firenze circa il mantenimento dello status di sito Unesco considerati, tra l’altro, il progetto di inceneritore e di ampliamento dell’aeroporto) sembra aver ripensato il suo atteggiamento critico evitando anche il confronto con le realtà locali.
* * * * *
APPELLO DELLA RETE SOSTENIBILITÀ E SALUTE SUI FONDI SANITARI “INTEGRATIVI” E SOSTITUTIVI
C’è accordo generale nell’auspicare un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) efficiente, che riesca a garantire cure efficaci per tutti in tempi rapidi e medici interessati e attenti alla nostra salute.
Tuttavia i tagli alla spesa pubblica avviati negli ultimi decenni e aumentati a seguito della crisi economica stanno incidendo fortemente sulle scelte di politica sanitaria e sul finanziamento del SSN sottraendo risorse importanti per lo stato di salute sia del SSN che dei cittadini di cui dovrebbe tutelare il diritto alla salute.
* * * * *
Forum di discussione per contattarci discutere e proporre argomenti:
Aiuta Medicina Democratica Onlus devolvendo il tuo 5 per mille firmando nella tua dichiarazione dei redditi nel settore volontariato e indicando il codice fiscale 97349700159
Sito web:
Facebook:

---------------------

To:
Sent: Tuesday, November 21, 2017 8:22 AM
Subject: ILVA: IMPEDIRE CON LA LOTTA DURA I LICENZIAMENTI PER I PROFITTI

Gli operai dell’ILVA di Cornigliano continuano la lotta ad oltranza (occupazione della fabbrica, scioperi, cortei e blocchi) decisa dall’assemblea operaia il 6 novembre scorso.
Giudicano del tutto insufficienti le garanzie del governo Gentiloni-Renzi riguardo il piano di 4.000 tagli, di cui 600 a Genova, presentato dalla cordata AM Investco.
Hanno perfettamente ragione ed esprimiamo piena solidarietà!
Oltre ai licenziamenti di massa, il piano cancella l’accordo di programma e prevede che tutti gli operai devono passare dal licenziamento per una riassunzione con salari più bassi e senza le tutele degli accordi precedenti, grazie all’applicazione del Jobs Act antioperaio.
I padroni dell’ILVA, con l’arroganza che li contraddistingue, e confidando sulla compiacenza di istituzioni e magistratura, hanno reagito presentando un esposto che denuncia presunti danni derivanti dall’occupazione.
Parlano proprio loro che per decenni hanno rovinato la vita e la salute di centinaia di migliaia di operai e di cittadini!
Il piano ILVA è un aspetto della guerra globale che il capitale muove contro il lavoro per aumentare lo sfruttamento e la precarietà.
Bene hanno fatto gli operai ILVA di Cornigliano a dare una risposta di lotta dura per dimostrare che non si deve accettare il moderno schiavismo e non si ci si può fidare di parole e promesse di ministri filopadronali.
Gli operai ILVA con la loro lotta rappresentano gli interessi di tutti i lavoratori per l’occupazione, il blocco dei licenziamenti, migliori condizioni di vita e di lavoro.
La decisione presa dagli operai di Cornigliano è un esempio da seguire in tutte le fabbriche ILVA e in tutte le altre vertenze contro i licenziamenti di massa.
Gli operai della Richard Ginori di Sesto Fiorentino lo hanno fatto subito, scioperando ed occupando la fabbrica.
Questa è la giusta risposta da dare ai capitalisti e al loro governo, che da mesi cerca di infinocchiare gli operai con la promessa che le trattative con il colosso dell’acciaio multinazionale stanno andando a buon fine. Un governo per bocca del ministro Calende (PD-Confindustria) ha condannato l’occupazione e chiesto la smobilitazione della lotta, assieme ai suoi tirapiedi sindacali.
Per ottenere risultati la lotta deve proseguire con forza, senza abboccare all’amo della “pace sociale”.
Rivendichiamo lo sciopero generale per dire NO ai licenziamenti per i profitti!
Nessun posto di lavoro deve essere perso, nessuna fabbrica deve essere chiusa! I patti vanno rispettati!
Lavoro regolare e stabile per tutti, no al Jobs Act e al precariato!
Risanamento ambientale!
Riduzione dell’orario di lavoro!
Contro qualsiasi tentativo di isolamento e di divisione, va ripresa e unificata la lotta di tutti i lavoratori ILVA, sulla base dei comuni interessi di classe, avanzando nella pratica del fronte unico proletario.
Con gli scioperi, le occupazioni e tutti i mezzi disponibili i lavoratori esprimeranno la loro volontà di non cedere ai ricatti e ai soprusi dei padroni.
Queste esperienze faranno maturare nella classe operaia la consapevolezza che essa deve recuperare interamente la propria autonomia politica ricostruendo il proprio partito di classe.
3 novembre 2017

---------------------

To:
Sent: Tuesday, November 21, 2017 8:22 AM
Subject: PENSIONI: LA PIAGA DI UN SISTEMA DA SEPPELLIRE

L’aumento delle pensioni a 67 anni dimostra l’irrazionalità di un sistema che costringe i lavoratori a lavorare sino allo sfinimento, mentre milioni di giovani sono lasciati a languire senza lavoro o con lavori precari sottopagati (quindi senza contributi), oppure costretti all’emigrazione.
Un sistema in cui più cresce la produttività del lavoro e più si deve lavorare per i profitti dei capitalisti è solo da abbattere con la rivoluzione socialista.
Ci vogliono schiavi salariati il più possibile, per pagarci meno pensioni e usare i nostri contributi per salvare le banche piene di titoli spazzatura, pagare il debito pubblico nelle mani dell’oligarchia finanziaria.
Il trucco inventato dalla borghesia è quello di legare le pensioni alle speranze di vita.
Ma le statistiche sono completamente falsate. Le speranze di vita sono in diminuzione per gli operai e le masse popolari. La sanità pubblica ha subito tagli pesanti e 10 milioni di cittadini non hanno più soldi per curarsi.
Non solo la durata, ma anche la qualità della vita è in costante peggioramento per i lavoratori.
Sono anni che i governi borghesi e la UE dei monopoli raccontano balle sul deficit INPS e lanciano l’allarme sui conti pubblici per far passare le controriforme con l’avallo dei riformisti e dei vertici sindacali.
La verità è che sono gli operai e gli altri i lavoratori dipendenti a finanziare lo Stato per le spese assistenziali, fra cui figurano le pensioni d’oro di “lor signori”.
Non è lo Stato borghese che trasferisce danaro agli operai attivi e pensionati. Sono i proletari che pagano con i loro contributi le pensioni e coprono anche molti costi assistenziali, a partire dai prepensionamenti e i contributi figurativi, l’indennità di disoccupazione e gli assegni familiari.
I pensionati con il prelievo fiscale pagano anche le pensioni assistenziali, mentre padroni e ricchi evadono allegramente le tasse con i paradisi fiscali.
Le ragioni dello smantellamento della previdenza pubblica non hanno nulla a che fare con il deficit pubblico, ma sono funzionali all’obiettivo di usare queste risorse in fondi per la speculazione di borsa, a favore del capitale finanziario.
Non ci interessa negoziare qualche mese in meno, come cercano di fare il PD e i vertici sindacali in vista delle elezioni.
Non lasciamoci dividere per categorie e ricordiamoci che l’APE va a favore delle banche!
Le rivendicazioni che i proletari devono portare avanti con il fronte unico di lotta in fabbrica e in piazza, sono chiare:
-         abolizione della controriforma Fornero e del sistema contributivo;
-         ripristino del retributivo e delle pensioni di anzianità;
-         35 anni di contributi e 60 anni di anzianità per andare in pensione con assegno pari all’80% dell’ultimo salario;
-         separazione dell’assistenza dalla previdenza;
-         basta privilegi, vitalizi, rendite e pensioni d’oro di manager, parlamentari, amministratori e preti;
-         divieto di cumulo.
Mobilitiamoci uniti! Affinché gli operai possano vivere il capitalismo deve morire!

---------------------

To:
Sent: Wednesday, November 22, 2017 5:56 PM
Subject: PER UN FRONTE UNICO SINDACALE DI CLASSE

Buonasera compagni,
questa mail è diretta ai firmatari dell’appello a sostegno di uno sciopero unitario del sindacalismo conflittuale che abbiamo pubblicato il 18 agosto intitolato “Appello per la formazione di un fronte unico sindacale di classe per un’azione generale di lotta di tutta la classe lavoratrice in difesa della libertà di sciopero”.
Vi scriviamo per segnalarvi l’intervista che abbiamo rilasciato quali promotori dell’appello al Collettivo redazionale di Roma de “Il Pane e le rose”, che potete trovare sul loro sito (a questo indirizzo: http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3%3Ao50713) e anche sulla pagina Facebook “Per un fronte unico sindacale di classe”.
La riportiamo anche a seguire.
Inoltre riportiamo nuovamente il testo dell’appello
Ogni commento e collaborazione è benvenuto.
Saluti
Mariopaolo
* * * * *
PERCHÉ, OGGI PIU’ CHE MAI, E’ NECESSARIA L’UNITA’ D’AZIONE DEL SINDACALISMO DI BASE
Una conversazione con i promotori dell’appello “Per un fronte unico sindacale di classe”
Nelle scorse settimane si sono svolti due scioperi generali, organizzati da differenti anime del sindacalismo di base.
Rispetto all’assenza di un momento di lotta unitario, stavolta però non vi è stato solo il consueto mugugnare improduttivo. Non è mancato, infatti, chi ha cercato di spingere concretamente sul terreno dell’unità d’azione. Parliamo in particolare dei promotori dell’appello “‘Per un fronte unico sindacale di classe”: lavoratrici e lavoratori appartenenti a diverse espressioni del sindacalismo di base e conflittuale che hanno deciso di aprire una precisa battaglia per costruire le condizioni affinché, in futuro, non si assista più a quegli scioperi separati che, inevitabilmente, riducono la forza del conflitto.
Condividendo lo spirito del loro appello e ritenendo interessante anche il loro modo di agire concreto, gli abbiamo rivolto alcune domande, mossi dalla volontà di capire cosa si può fare per spingere in una direzione che appare quanto mai necessaria, vista l’entità dell’attacco padronale alla classe lavoratrice.
Anzitutto, ci piacerebbe conoscere le vostre valutazioni in relazione ai due scioperi, proclamati da settori diversi del sindacalismo di base, del 27 ottobre e del 10 novembre. A vostro avviso, quale impatto concreto hanno avuto?
Consideriamo uno sciopero “riuscito” quando esso ha un effetto tangibile, consistente, sull’attività produttiva di quel dato settore. Quello del 27 ottobre, proclamato da CUB, SI COBAS, ADL COBAS (solo per il privato) SGB, SLAI COBAS e USI-AIT, può considerarsi tale solo nella logistica, grazie alla mobilitazione organizzata dal SI COBAS e dall’ADL COBAS.
Nel settore trasporti lo sciopero è stato boicottato dalla precettazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio che d’autorità, con pretesti strumentali, negando di fatto la libertà di sciopero, lo ha ridotto da 24 a 4 ore, compromettendone la riuscita.
Non è andato bene nemmeno fra gli aeroportuali (a Fiumicino non si è riusciti a cancellare nessun volo oltre quelli che Alitalia, come di consuetudine, ha cancellato preventivamente) e fra gli autoferrotanvieri.
Nel pubblico impiego, secondo i dati di fonte padronale, cioè del Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, hanno aderito 21.638 lavoratori, pari al 1,30% della categoria.
Una percentuale molto bassa, anche se superiore a quella dello sciopero del 4 novembre 2016 (0,80%), proclamato dal medesimo cartello sindacale, e a quella dello sciopero generale del solo Pubblico Impiego del 30 marzo scorso proclamato dalla sola USB PI (0,92%).
Nel settore privato lo sciopero del 27 (come detto fatta eccezione per la logistica) è passato senza che la maggioranza della classe lavoratrice nemmeno se ne avvedesse. La sua parziale riuscita in quelle poche aziende dove sono presenti i sindacati di base promotori della mobilitazione è certo da valorizzare, ma non è sufficiente a ribaltare questo giudizio.
Lo sciopero quindi si è attestato su un livello inferiore a quello del 16 giugno, che era stato proclamato come sciopero nazionale del settore trasporti e della logistica e tale effettivamente è stato.
Da ciò sorge la riflessione che, allo stato attuale, da parte del sindacalismo di base sarebbe forse più serio proclamare scioperi nazionali di settore e categoria, non generali, evitando di sminuire il valore di questa suprema arma di combattimento della classe salariata.
Nello sciopero del 10 novembre, proclamato da USB, Confederazione COBAS, ADL COBAS (per la parte di suoi organizzati nel pubblico impiego), UNICOBAS ed USI (scissione romana dell’USI-AIT) è venuta a mancare la forza della mobilitazione della logistica.
Nei trasporti è andato meglio del 27, sia perché non vi è stata precettazione (lo sciopero è stato di 24 ore) sia per merito di alcune vertenze locali degli autoferrotranviari (Roma, Napoli, Torino).
Fra i ferrovieri (la CUB Trasporti di questo settore ha scioperato sia il 27 che il 10) è andato bene nel settore merci e nel trasporto regionale, discretamente nel comparto lunga percorrenza, sebbene si sia rimasti lontani dai risultati che aveva ottenuto la mobilitazione contrattuale unitaria di CUB Trasporti, USB, CAT e SGB che aveva avuto adesioni fino all’80%, conducendo inoltre alla redazione di una piattaforma contrattuale comune nel 2016.
Anche lo sciopero del 10 non è andato bene fra gli aeroportuali. Qui hanno agito in senso negativo pure le vicissitudini sindacali in Alitalia. Il segretario nazionale della CUB Trasporti all’assemblea milanese del 23 settembre, organizzata dai sindacati promotori dello sciopero del 27 ottobre, aveva dichiarato che la sua organizzazione avrebbe sostenuto entrambi gli scioperi, sia quello del 27 che quello del 10. In Alitalia, CUB e USB avevano condotto una mobilitazione unitaria fin dal dicembre 2016, con vari scioperi che avevano avuto un buon successo, portando alla bocciatura, nel referendum svoltosi il 24 aprile, di un accordo firmato dai sindacati confederali ed autonomi.
Il 30 ottobre però USB ha firmato un accordo sulla cassa integrazione nel quale, nero su bianco, si riconosce la presenza di esuberi e la necessità di definirne ulteriori, quella di linee antieconomiche da eliminare, quella di agire riducendo ogni voce di costo, quindi anche quella del lavoro. Questa firma ha (noi ci auguriamo solo temporaneamente) rotto il fronte comune, inducendo la CUB Trasporti del settore aereo a non aderire allo sciopero del 10. Non hanno cambiato idea invece, come detto, i ferrovieri della CUB ed anche alcuni gruppi locali di autoferrotanvieri (Genova, Lucca).
Nel pubblico impiego l’adesione si è attestata all’1,72%, superiore a quella del 27 ottobre (1,30%), ma inferiore a quella dello sciopero dell’8 marzo scorso, proclamato per la giornata internazionale della donna da tutto il sindacalismo di base (USB, CUB, Confederazione COBAS, ADL COBAS, SGB, SIAL COBAS, USI-AIT) e a cui aderì nel comparto scuola anche la FLC CGIL, che raggiunse una percentuale d’adesione pari al 2,05%.
Per il settore privato valgono le stesse considerazioni fatte in merito a quello del 27 ottobre.
Questo quadro conferma la correttezza dell’indirizzo proposto dal nostro appello “Per un fronte unico sindacale di classe” di uno sciopero unitario del sindacalismo di base. Ciò avrebbe permesso l’adesione anche delle correnti di opposizione di sinistra in CGIL. Non si tratta, come affermato da alcuni per criticare la nostra indicazione, di unire meramente le sigle, le “burocrazie sindacali”, ma di far scendere in sciopero insieme, lo stesso giorno e in manifestazioni comuni, i gruppi di lavoratori inquadrati nei vari posti di lavoro nelle diverse categorie, del pubblico e del privato, dal completo arco del sindacalismo conflittuale.
Solo in questo modo si sarebbe (forse) raggiunta la capacità di imbastire uno sciopero in grado di raggiungere quel livello minimo di energia necessario per essere percepito dalla classe lavoratrice come una vera lotta, cominciando a costruire in essa l’idea che esiste una forza sindacale alternativa ai sindacati tricolore in grado di dar vita a mobilitazioni generali, e di seminare qualcosa per le mobilitazioni future.
I due scioperi generali separati invece, come per quelli passati del sindacalismo di base, sono passati come l’acqua fresca, senza lasciare traccia.
Ecco, visto che lo avete appena accennato: com’è nato l’appello “Per un fronte unico sindacale di classe”?
L’idea di scrivere un appello a sostegno di uno sciopero unitario è maturata ai primi di agosto fra un piccolo gruppo di militanti sindacali appartenenti a diverse organizzazioni: USB, CUB, Confederazione COBAS e sinistra CGIL (“Il sindacato è un’altra cosa”). Con questi abbiamo redatto il testo e lo abbiamo proposto ad altri militanti sindacali, chiedendo loro la disponibilità a risultare come “primi firmatari”. Si sono così aggiunti altri militanti delle organizzazioni già citate e di altre ancora, quali il SI COBAS e l’ORSA. Il 18 agosto lo abbiamo reso pubblico.
Evidentemente lo scopo dichiarato dell’appello (lo sciopero unitario) non è stato raggiunto.
D’altronde lo ritenevamo difficilmente realizzabile, per quanto naturalmente qualche speranza c’era. Il fine realisticamente raggiungibile era dar ossigeno, forza e voce a quei gruppi di iscritti e militanti che nelle varie organizzazioni e correnti sentono la necessità di seguire l’indirizzo dell’unità d’azione del sindacalismo di base, facendola con le divisioni nell’azione di lotta fra le varie sigle sindacali conflittuali.
Su questo piano, più immediato, siete soddisfatti?
Sì, questo obiettivo lo consideriamo raggiunto a un livello soddisfacente, per diversi motivi. L’appello, in una dozzina di giorni, ha raccolto buone adesioni e, a partire da quella di USB, ha avviato una catena di azioni e reazioni delle dirigenze della maggioranza delle organizzazioni sindacali di base. Un piccolo gruppo di militanti sindacali è riuscito a condizionare le azioni e il dibattito di questi sindacati e delle loro dirigenze per oltre un mese.
Questo non perché siamo particolarmente abili, ma in quanto abbiamo impugnato il giusto indirizzo, che trova terreno fertile fra i lavoratori e la base degli iscritti a questi sindacati, costringendo la maggior parte di queste dirigenze a dispiegare azioni per correre ai ripari.
In quasi tutti i sindacati di base si è aperto un dibattito interno e si sono create divisioni: nella CUB, nell’USB, nel SI COBAS, nella Confederazione COBAS, nello SLAI COBAS. Nel corso di questa battaglia, iniziata ad agosto e terminata con lo sciopero del 10 novembre, si è formato un gruppo di militanti sindacali che ha affrontato i vari problemi incontrati nel percorso, a nostro parere in modo complessivamente positivo.
Vi sono stati esempi circoscritti in cui strutture sindacali d’azienda, territoriali o nazionali hanno agito superando le divisioni di sigla. In alcuni casi si è trattato di azioni guidate da militanti sindacali legati al nostro appello: l’USB della FCA di Melfi, della SEVEL di Atessa, dell’’Istituto Maugeri di Tradate e i ferrovieri della CUB hanno aderito a entrambi gli scioperi. In altri casi ci riferiamo ad azioni autonome rispetto alla nostra iniziativa, ma che, almeno in piccola parte, crediamo di aver favorito con la nostra battaglia: delegati della sinistra CGIL hanno aderito allo sciopero del 10 nella Continental di Pisa e nei Musei Civici Veneziani e a quello del 27 alla Electrolux di Susegana; a Genova ORSA, CUB e USB hanno scioperato congiuntamente fra i tranvieri il 10 novembre; nella logistica hanno aderito allo sciopero del 10 i gruppi del SI COBAS della TNT di Fiano e della GLS di Riano, entrambi a Roma.
Quindi, i segnali incoraggianti non sono stati pochi. Ma quali sono le cause reali che impediscono a tutt’oggi di giungere a uno sciopero unitario?
Crediamo che alla base vi sia una errata concezione del modo in cui possano crescere e svilupparsi il movimento operaio e il sindacalismo di classe. Le dirigenze di CUB e USB, ad esempio, dimostrano con la loro condotta di credere che i lavoratori aderiscano alle loro organizzazioni e ai loro scioperi dopo aver esaminato, a freddo, le differenti posizioni e piattaforme sindacali. Non capiscono, o fingono di non farlo, che per la massa dei lavoratori aderire al sindacalismo conflittuale e abbracciare le rivendicazioni più radicali è un problema di forza.
E’ quando si sentono forti che i lavoratori vedono aprirsi la possibilità di battersi con metodi e per obiettivi più ambiziosi. Il problema è mettere in campo scioperi che siano il più robusti possibile, con l’obiettivo di accendere il fuoco della lotta. E’ in questo fuoco che i lavoratori riscoprono la voglia di approfondire i problemi sindacali, che si formano e si selezionano nuovi militanti. Dispiegare scioperi unitari non è condizione di per sé sufficiente, ma certamente offre un contesto più favorevole affinché ciò avvenga.
Su questo concordiamo. A questo punto non rimane che chiedervi quali iniziative avete in programma.
Per ora l’aspetto fondamentale è il sussistere di un gruppo che si tiene in costante contatto e discute di questioni sindacali alquanto varie, in un clima di reciproco rispetto e considerazione. L’intenzione è continuare a sostenere la parola d’ordine dell’unità d’azione del sindacalismo conflittuale ogni qual volta questo problema si presenti, quindi non solo nei futuri scioperi generali, ma anche in quelli di categoria e aziendali. Ad esempio la questione ora si porrà per il rinnovo del contratto nazionale degli statali e, a breve, per quello dei ferrovieri.
Inoltre, parteciperemo al convegno promosso dal giornale dei ferrovieri “ancora IN MARCIA” sabato 25 novembre a Firenze, sulla “Difesa del diritto di sciopero e la necessità dell’unità del sindacalismo di base”.
Ed è ovviamente nostra intenzione organizzare una riunione dei promotori e sostenitori dell’appello e dell’indirizzo del Fronte unico sindacale di classe per discutere, definire e consolidare questo lavoro.
A cura de Il Pane e le rose
Collettivo redazionale di Roma
* * * * *
APPELLO PER LA FORMAZIONE DI UN FRONTE UNICO SINDACALE DI CLASSE PER UN’AZIONE GENERALE DI LOTTA DI TUTTA LA CLASSE LAVORATRICE IN DIFESA DELLA LIBERTÀ DI SCIOPERO
A seguito del successo dello sciopero generale dei trasporti e della logistica del 16 giugno scorso promosso da quasi tutto il sindacalismo di base in solidarietà con la lotta dei lavoratori di Alitalia e a sostegno di rivendicazioni di categoria, il fronte padronale (industriali, esponenti governativi e di opposizione, la segreteria generale della Cisl) ha reagito con finta e ipocrita indignazione invocando una nuova legge antisciopero che peggiori la legislazione vigente, già fra le più restrittive d’Europa.
Il 19 luglio in sede di commissione parlamentare è iniziato l’esame di due proposte di legge il cui contenuto prevede (fra altri punti) la restrizione della facoltà d’indire sciopero alle sole organizzazioni sindacali che godono della cosiddetta rappresentanza (quella formale e ottenibile secondo regole da esse stesse stabilite d’intesa col padronato) cioè a CGIL, CISL, UIL e UGL.
La legge per ora riguarderebbe solo il settore dei trasporti, ma facilmente sarebbe estendibile a tutto il settore dei cosiddetti servizi pubblici essenziali, già molto vasto e che padronato e governi hanno continuato e continueranno a estendere, coinvolgendo sempre più lavoratori.
Una legge di questo tipo, poi, preparerebbe il terreno a ulteriori provvedimenti legislativi o accordi sindacali di segno analogo per il resto della classe lavoratrice.
QUELLO CHE IL FRONTE PADRONALE STA COMPIENDO E’ QUINDI UN GRAVISSIMO ATTACCO ALLA LIBERTA’ DI SCIOPERO.
Questo accade perché industriali, partiti antioperai e sindacati collaborazionisti sono pienamente consapevoli del fatto che lo sciopero è l’arma fondamentale di difesa dei lavoratori, nonostante fingano di credere e sostengano il contrario.
Da anni, sotto la spinta della crisi mondiale, causata non dai lavoratori, ma dalle leggi economiche del capitalismo, le condizioni di vita e di lavoro dei salariati sono sottoposte a un attacco sempre più duro e che nelle intenzioni del regime padronale deve andare ancora avanti e più a fondo. Non è un caso che stiano divenendo sempre più frequenti i provvedimenti disciplinari e i licenziamenti contro i militanti sindacali combattivi.
Industriali e finanza, coi loro partiti di governo e opposizione, coi loro potentissimi mezzi stampa e televisivi, coi loro sindacati complici, deridono la lotta di classe facendola passare come un’anticaglia del passato e al contempo si adoperano per limitare l’uso dello sciopero fino al punto da renderlo (se compiuto in termini di legge) inutile, così da poter continuare a combatterla, questa guerra, contro una classe lavoratrice disarmata.
La storia anche recente della lotta di classe, in Italia e nel mondo, ha dimostrato che i lavoratori hanno la forza per dispiegare scioperi che spezzino anche le catene legislative, come accaduto ripetutamente negli ultimi anni fra i tranvieri, violando con scioperi selvaggi le vigenti leggi antisciopero 146/90 e 83/00. La lotta di classe non può essere fermata. Tuttavia è evidente che ogni nuovo laccio posto per ostacolare lo sciopero avvantaggia temporaneamente il padronato in questa lotta. Il problema va affrontato sul piano della forza.
L’unico modo per impedire che l’arma dello sciopero ci venga strappata di mano è quello di impiegarla.
Una parte del sindacalismo di base ha proclamato per il 27 ottobre lo sciopero generale di tutta la classe lavoratrice.
Una delle ragioni del successo dello sciopero del 16 giugno è stato il sostegno a esso di un ampio fronte sindacale. La lotta in difesa della libertà di sciopero è una questione ancor più generale e importante di quelle che mossero quello sciopero e necessita perciò della costruzione di un fronte unico sindacale ancora più ampio, che coinvolga tutti i sindacati di base che ancora non vi hanno aderito e anche le opposizioni di sinistra dentro la CGIL.
Ci rivolgiamo quindi:
a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori affinché abbraccino questa giornata di lotta, aderiscano allo sciopero e s’impegnino alla sua preparazione per la sua migliore riuscita;
agli iscritti e ai militanti sindacali di tutte le organizzazioni sindacali di base affinché si battano per porre finalmente fine al settarismo della maggior parte delle loro dirigenze che da anni impedisce azioni sindacali unitarie in grado di dispiegare scioperi davvero potenti;
agli iscritti e ai militanti sindacali delle organizzazioni sindacali che ancora non hanno dato adesione allo sciopero (USB, Confederazione COBAS e altri minori) affinché la pretendano dalle loro dirigenze, affinché partecipino all’Assemblea nazionale del 23 settembre a Milano indetta per la sua costruzione e, in ogni caso, affinché aderiscano e sostengano apertamente questo sciopero;
agli iscritti e ai militanti dei sindacati che già hanno proclamato lo sciopero affinché si facciano sostenitori dell’ulteriore allargamento del fronte sindacale alle organizzazioni che ancora non vi hanno aderito, subordinando al principio pratico dell’unità d’azione dei lavoratori le questioni che da queste organizzazioni li dividono;
agli iscritti e ai militanti delle opposizioni di sinistra dentro la CGIL affinché aderiscano e sostengano apertamente questo sciopero, battendosi contro questo attacco alla libertà di scioperare volto a indebolire tutto il sindacalismo di classe e a rafforzare la gabbia del sindacalismo collaborazionista e la sua unità entro cui rinchiuderli.
FIRMATE, PROPAGANDATE E FATE FIRMARE QUESTO APPELLO!
Venerdì 18 agosto 2017
PER ADESIONI SCRIVERE A: appello27@gmail.com
PAGINA FACEBOOK: Per un fronte unico sindacale di classe
PRIMI FIRMATARI
Emanuela Pulcini: RSA USB Coopculture Roma
Domenico Travaglini: USB ICS Maugeri Tradate (VA)
Domenico Destradis: RSA USB FCA Melfi Potenza
Mariopaolo Sami: USB Vigili del Fuoco Genova
Mimmo Mignano: SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Antonio Montella: SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Marco Cusano: SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Massimo Napolitano: SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Roberto Fabbricatore: SI COBAS FCA Pomigliano Napoli
Andrea Furlan: RSA FILCAMS CGIL (Il sindacato è un’altra cosa) Ho Group Roma
Lorenzo Mortara: RSU FIOM (Il sindacato è un’altra cosa) YKK Vercelli
Edoardo Todaro: RSU Confederazione COBAS Poste Italiane Firenze
Francesca Romano: RSU Confederazione COBAS Sanità Università e Ricerca Firenze
Fabio Bertelli: USB Pensionati Firenze
Ivan Maddaluni: CUB Trasporti Trenitalia Firenze
Stefano Fidenzio: licenziato Sistemi Informativi IBM Roma
Domenico Stratoti: RSA Hotel Majestic (Il sindacato è un’altra cosa) Roma
Marco Marsano: Segretario Provinciale ORSA TPL Genova
Serafino Biondo: RSU FIOM (Il sindacato è un’altra cosa) Fincantieri Palermo
Gianfranco Camboni: SI COBAS, insegnante Olbia (SS)
Patrizio Agostini: lavoratore ATAC Roma
Francesco Cappuccio: RSU SI COBAS Sanità San Martino Genova
Giancarlo Dadda: USB Lavoro Privato Milano
Gianfranco Besenzoni: USB Lavoro Privato Milano
Roberto Donis: USB ICS Maugeri Veruno (NO)
Ariel Acevedo: RSU USB Sanità Gaslini Genova
FIRMATARI
Seguono 184 firme

---------------------

To:
Sent: Wednesday, November 22, 2017 4:27 PM
Subject: EX EURECO: TECNOLOGIE & AMBIENTE E CITTA’ METROPOLITANA FANNO APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO

Gli affari sono sempre affari, e l’azienda Tecnologie & Ambiente che tenta un ricorso per “difendere” i propri profitti era quasi nella logica delle cose, segnale di come funziona questa nostra società.
Diversa è la vicenda di Città Metropolitana che è un’istituzione pubblica e che ha come missione il controllo e la difesa della salute delle comunità di cittadini e lavoratori, che non hanno protezione se la “libera impresa” per aumentare i profitti non rispetta le regole.
Invece non ha rivisto le scelte, per noi sbagliate, dell’autorizzazione AIA n. 6567/2016 rilasciata dagli Uffici preposti della Città Metropolitana di Milano il 12/07/16 alla società Tecnologia & Ambiente.
Ci lascia sbigottiti la decisione di ignorare il giudizio del Tribunale Amministrativo Regionale, che con sentenza n. 01747/2017 del 08/08/2017 ha di fatto annullato l’autorizzazione a riprendere la produzione nel campo del trattamento di rifiuti con tipologie e modalità quasi identiche a quelle in precedenza autorizzate (e non rispettate) dalla ditta Eureco.
Nel corso degli incontri svolti come comitato con i tecnici di Città Metropolitana, ci venne più volte ribadito che erano “costretti dalle leggi vigenti” a rilasciare l’autorizzazione, quasi dispiaciuti. Anche il sindaco Sala di Città Metropolitana si era dimostrato dispiaciuto della vicenda Eureco promettendo approfondimenti che non abbiamo mai visto.
Ora i burocrati di Città Metropolitana con l’avvallo di Sala ricorrono solo per difendere la validità delle loro scelte, certo avendo già dimenticato quattro lavoratori morti bruciati ed altri feriti.
La vicenda Ex Eureco è lontana dalla conclusione, ma solo con la partecipazione dei cittadini, sarà possibile sollecitare maggiori controlli da parte del Comune tramite la Vigilanza Locale e da parte di ATS tramite l’ARPA, questo al fine di prevenire che:
e disposizioni vigenti, emesse con sentenza del TAR, vengano correttamente rispettate;
evitare possibili nuove tragedie sul nostro territorio.
COMITATO A SOSTEGNO DEI
FAMILIARI DELLE VITTIME E DEI LAVORATORI EURECO
Comitato a sostegno dei familiari delle vittime e dei lavoratori Eureco
Paderno Dugnano 23/11/17Paderno Dugnano 22/11/17

---------------------

To:
Sent: Thursday, November 23, 2017 12:02 AM
Subject: PENSIONI, E’ ORA DI TORNARE NELLE PIAZZE

Non ci si riesce ad abituare al livello del dibattito politico/sindacale del nostro paese. Se uno non leggesse qualche giornale ogni giorno, non vedesse qualche TG o non navigasse per internet non potrebbe mai credere che si sta davvero discutendo, ai massimi livelli, di qualche mese, cinque per la precisione, per l’uscita dal lavoro.
La cosa è ormai risaputa, la Legge Fornero ha introdotto, nella individuazione dell’età “giusta” per andare in pensione, anche il calcolo della speranza di vita costruendo un meccanismo che, collegandosi all’aumento della vita media, aumenta di pari passo l’età del pensionamento.
La cosa viene rappresentata come una scelta equa e irrinunciabile. Equa perché secondo lor signori bisogna spaccarsi la schiena fino alla soglia della morte, irrinunciabile perché i conti dell’INPS e la sostenibilità del sistema dipendono direttamente anche dall’introduzione di questo mefistofelico meccanismo di continuo aumento dell’età pensionabile.
Ora che l’intero impianto della legge Fornero, e di quelle che l’hanno preceduta a partire dalla Riforma Dini del ‘95 (la madre di tutte riforme pensionistiche) siano inique e sbagliate è dato ormai consolidato per tutti gli oltre 60 milioni di italiani, ad eccezione di 3 (Camusso, Furlan e Barbagallo).
Che i conti dell’ INPS e la sostenibilità del sistema siano a rischio è invece cosa di cui andrebbe discusso approfonditamente, ad esempio valutando quanto incidano su di essi i continui sgravi contributivi alle imprese che comunque non hanno creato e non creano occupazione stabile e duratura per i nostri giovani; quanto abbia inciso l’aver l’INPS assorbito Enti previdenziali che erogavano ricchissime pensioni ai professionisti e ai dirigenti d’azienda e che, a un passo dal crack, sono stati inglobati dal maggiore ente previdenziale italiano che così si è dovuto far carico di pagare pensioni onerosissime senza però averne incamerato i contributi. Oppure quanto abbia pesato e pesi la fusione con l’INPDAP, l’ente previdenziale dei lavoratori pubblici, ora che si è scoperto che le Amministrazioni pubbliche (i Ministeri, gli enti locali ecc.) si guardavano bene dal versare nelle sue casse i contributi regolarmente prelevati dalle buste paga dei propri dipendenti, provocando così una voragine di enorme valore e mettendo a rischio le pensioni dei lavoratori.
Bisognerebbe cancellare venti anni di riforme delle pensioni, costruite al fine di smantellare pezzo a pezzo la previdenza pubblica per ingrassare i fondi previdenziali privati gestiti dai sindacati confederali, per poter mettere le mani davvero al rilancio dell’ente pubblico oggi in mano a una ditta di demolitori professionisti capeggiata da Boeri. Questo è quello che TUTTI gli italiani chiedono e si aspettano che accada.
Invece no. Ad un tavolo a cui nessuno li ha delegati, i tre segretari generali di CGIL, CISL, UIL, i maggiori sindacati gialli d’Europa, stanno a discutere (e qualcuno minaccia scioperi e sfracelli!!) di cinque mesi di distanza tra 66 anni e 7 mesi e 67 anni per andare in pensione, e soprattutto se sia sufficiente individuare 15 categorie definite gravose a cui fare la grazia di lasciarle andare in pensione a 66 anni e 7 mesi invece che a 67.
In altri tempi si sarebbe chiamata la Croce Rossa. Oggi invece c’è da tornare nelle piazze per impedire che qualcuno si rifaccia una verginità persa da tempo difendendo i cinque mesi di anticipo per qualcuno.
Noi vogliamo andare in pensione a 60 anni, con 40 anni di contributi. Vogliamo una pensione dignitosa che ci consenta di vivere dignitosamente, vogliamo che i giovani abbiano la possibilità di costruirsi anch’essi un futuro con il lavoro buono e di qualità e quindi di avere anche loro la possibilità, di andare in pensione.
Di altro non vogliamo nemmeno discutere.
20/11/17
Unione Sindacale di Base (USB)

---------------------

To:
Sent: Thursday, November 23, 2017 10:31 PM
Subject: CITTA’ METROPOLITANA RITIRA IL RICORSO AL CONSIGLIO DI STATO

Buonasera
ieri sera al Consiglio Comunale il Sindaco di Paderno Dugnano, Marco Alparone ha riportato la comunicazione di Città Metropolitana la quale dichiara che non ricorrerà al Consiglio di Stato contro la decisione del TAR di sospendere le attività nella nuova azienda Tecnologia e Ambiente (ex Eureco).
Ovviamente siamo contenti di questa saggia decisione di Città Metropolitana, anche se non capiamo come mai il sindaco metropolitano Giuseppe Sala abbia impiegato un mese di tempo per cambiare idea.
A seguire comunicato stampa del Comitato e di Medicina Democratica
* * * * *
EX EURECO: SUGLI APPELLI AL CONSIGLIO DI STATO. (ATTO SECONDO)
Protestare qualche volta serve. Indignarsi qualche volta serve. Lo dimostra la vicenda successiva ai comunicati stampa emessi ieri, sia dal Comune di Paderno Dugnano, che dal nostro comitato in cui si rimarcava l’assurdità dell’appello al Consiglio di Stato da parte di Città Metropolitana.
Infatti gli Uffici si appellavano contemporaneamente alla società Tecnologia & Ambiente, contro la sentenza del TAR lombardo che bloccava la riapertura dell’area ex- Eureco, per difendere la bontà del lavoro dei loro tecnici, che avevano rilasciato l’autorizzazione alla riapertura.
I tecnici del “Settore Rifiuti, Bonifiche e AIA” avevano dato il mandato al loro Ufficio Legale, di effettuare l’appello al Consiglio di Stato, nei tempi previsti dalla legge. Appello che ha firmato, per la delega agli avvocati, anche il sindaco metropolitano Sala. Ma le proteste sollevate hanno innescato prima un ripensamento e poi una ragionevole inversione di marcia.
In questo caso la “politica” ha corretto la burocrazia dei tecnici impedendo il deposito definitivo dell’appello.
Sia noi come Comitato, ma pensiamo anche i cittadini di Paderno Dugnano, non possiamo che esserne contenti.
Siamo contenti perché pensiamo che questo fatto possa rendere più difficoltoso un esito positivo per l’azienda nel suo appello contro la sentenza del TAR.
I Cittadini di Paderno Dugnano ed anche le varie Giunte succedutesi nell’amministrazione del comune nel tempo, si erano sempre opposti all’ insediamento di questo centro di trattamento dei rifiuti pericolosi posto a Palazzolo tra la superstrada Milano Meda ed il canale Villoresi.
La vicenda dei lavoratori Eureco vittime innocenti di una gestione aziendale criminale sta ad evidenziare come purtroppo avessero ragione.
Come altre vicende hanno dimostrato, la soluzione del “problema Eureco” non sta solo nelle battaglie legali ai vari livelli di giudizio. Ma anche nella partecipazione e nell’attenzione dei cittadini e nella loro capacità di protesta, di indignazione e soprattutto di mobilitazione.
COMITATO A SOSTEGNO DEI FAMILIARI DELLE VITTIME E DEI LAVORATORI EURECO
Comitato a sostegno dei familiari delle vittime e dei lavoratori Eureco
Paderno Dugnano 23/11/17

---------------------

To:
Sent: Monday, November 27, 2017 5:56 AM
Subject: SVOLTA ALMAVIVA. VITTORIA CONTRO IL LICENZIAMENTO RITORSIVO

Le voci di Stefania, Walter e Sabrina, licenziati Almaviva Contact di Roma, rappresentano le voci di tutti i lavoratori posti sotto ricatto.
Di Almaviva e dell’arroganza dei suoi amministratori, dell’indifferenza del governo, dell’assenza della sindaca Raggi e del tradimento della CGIL ne abbiamo parlato a lungo in queste pagine.
Ora tocca a loro parlare (e su questo giornale abbiamo dato loro parola).
Ai licenziati Almaviva, rappresentati da Stefania, ex RSU, Walter Ambrosecchio e Sabrina Scalco.
A loro dedichiamo questo spazio, ne hanno diritto e i diritti di opinione senza bavaglio noi li riconosciamo.
“Mi sento emozionata come lavoratrice. Faccio parte di quei 1.600 lavoratori licenziati a causa di corpi intermedi che non sono stati in grado di fare una buona trattativa. Con buste paga di 600 euro al mese ci hanno chiesti tagli del 17%. I lavoratori di Almaviva Roma, insieme alle loro RSU (io stessa sono una RSU) hanno deciso di non accettare i tagli, di non rinunciare al loro diritto, perché il lavoro è lavoro se viene pagato. Abbiamo avuto la forza di dire no. Oggi sono felice, perché l’altro ieri ho vinto la sentenza di reintegro”.
Queste frasi sono parte di un discorso significativo e importante che è stato pronunciato sabato 28 novembre, al Teatro Italia, da Stefania, licenziata Almaviva. La sua voce commossa, ma determinata, le sue parole sentite, frutto di un’esperienza drammaticamente vissuta hanno riempito il teatro che i compagni “pazzi” di Napoli hanno dovuto affittare per dar voce a quel popolo oscurato dai media, come dai rappresentanti di quelle fittizie sinistre che non li hanno voluti ascoltare il 18 giugno al Brancaccio.
Stefania è una ex RSU di quell’azienda, con sede a Roma, che ha messo sotto ricatto i suoi dipendenti: firmare l’accordo, con riduzione dello stipendio, accettando il controllo a distanza o si è out dal lavoro.
I 1.666 dipendenti non hanno firmato, con coraggio, con determinazione, a testa alta, perché il lavoro non può essere così umiliato. L’azienda, intanto, per loro aveva già chiuso i battenti.
Fuori tutti. Avanti un’altra forma di sfruttamento mascherata dai contratti co.co.pro. Avanti le delocalizzazioni, già in atto da tempo. Avanti le nuove sedi in Brasile, grazie ai fondi di 6 milioni di euro ottenuti dalla Simest (Gruppo Cassa Depositi e Prestiti).
LA PISTOLA PUNTATA
E’ sempre Stefania a raccontare come e quando è iniziato il balletto dei ricatti sui lavoratori Almaviva contact, da parte dei dirigenti e dei sindacati confederali, partendo dal 2007, quando il settore telecomunicazioni a Roma entrava in crisi.
“Appena finiti gli sgravi fiscali delle stabilizzazioni del 2007, siamo sempre stati coscienti che Roma era un territorio a rischio per anzianità di servizio e costi (che altri non avevano). Negli anni abbiamo denunciato alle istituzioni la fragilità del settore, e negli ultimi 4 il pericolo che incombeva su Roma”.
E torna all’attualità, da quando “sin da maggio scorso era chiaro quanto sarebbe poi accaduto. Già da allora le segreterie firmarono l’accordo, mettendoci di fatto una pistola puntata alla tempia che si espresse in tutta la sua violenza con la procedura di dicembre”.
Fino alla notte dell’accordo/ricatto. “Dopo la notte del 22 dicembre del 2016 sono completamente sfiduciata nei confronti di quei corpi intermedi (governo e sindacati) che ci avrebbero dovuto tutelare e sostenere, assumendosi la responsabilità di non essere stati in grado di raggiungere un accordo soddisfacente per i lavoratori con un’azienda che è cresciuta anche grazie a sgravi e incentivi e che ha gestito e continua a gestire commesse statali facendo business anche con soldi pubblici (Simest)”.
I licenziati di Almaviva si uniscono in un comitato. Bussano a Calenda e a Terranova, bussano alla CGIL. Bussano alla Regione. Bussano al Campidoglio. Porte chiuse. Le risposte non sono confortanti. Non hanno che la NASPI per un minimo sostegno alla sussistenza e la voglia di lottare, fieri e a testa alta contro chi ha massacrato la loro vita e la loro dignità di lavoratori. Perché è il lavoro, quando è regolato da leggi, ormai sepolte (ex Statuto dei lavoratori), a contribuire alla dignità della persona.
LE VERTENZE SI ATTIVANO
Nell’esito c’è la speranza di una rivalsa, affinché giustizia sia fatta. Generalmente, fa intendere Walter, licenziato Almaviva, in un precedente articolo, i giudici del lavoro non sono così propensi verso il lavoratore.
S’intuisce ciò che intende dire. Smuoverebbero delle acque stagnanti che taglierebbero le gambe ai titolari di quelle aziende i cui lavoratori sono messi sotto scacco, autorizzati da una legge abietta qual è il Jobs Act. Creando presupposti incontestabili a favore dei lavoratori, andrebbero a favorire tutte le future vertenze pro lavoratori e contro il “sior paron”.
Quindi nel tempio dell’apparente giustizia, dove a caratteri dorati e incastonati in legno pregiato si legge chiaramente che “La legge è uguale per tutti”, succede talvolta di non sentirsi garantiti nei diritti costituzionali, perché applicare la legge non è automatico, specie quando si cerca di debellare un sistema corrotto e quando questo coincide con i poteri dominanti. Ma non è questa la funzione di un giudice: applicare la legge?
PRIMA SVOLTA A SINISTRA
Ma accade un piccolo miracolo a Roma. Cambio strabiliante di rotta. Una vertenza, attivata da 153 ex-Almaviva, seguita dall’avvocato Pier Luigi Panici, approda al porto della vittoria.
Il giudice Umberto Buonassisi dice sì al reintegro.
E’ la prima svolta a sinistra, quella autentica, quella che riconosce i diritti dei lavoratori e anche quelli umani, quella delle lotte di classe, quella che riporta alla luce la verità dei fatti e condanna chi, forte della sua holding, del capitale e del potere (parliamo del presidente Marco Tripi) ha messo sul lastrico 1.666 lavoratori romani con un “licenziamento ritorsivo che è una vera e propria rappresaglia” così il giudice Buonassisi condanna l’azienda al reintegro.
“Sono felice per il reintegro” - prosegue Stefania nel suo intervento al Teatro Italia - “La nostra esperienza non è solo nostra, ma deve essere condivisa con i lavoratori delle altre vertenze in atto, le vertenze devono essere protagoniste. Noi abbiamo subito l’arroganza delle istituzioni che hanno provato a farci sentire deboli.
Con i Clash City Workers non è stato così, dobbiamo tornare a essere noi i protagonisti, non possiamo delegare a nessuno le nostre vite. Ringrazio tutte le persone che ho incontrato in questi mesi, a partire dai Clash, che lavorano tantissimo anche con altri lavoratori (SKY, GSE, ecc.). Spero sia un inizio per tutti!”.
Un entusiasmo per un risultato che non è solo il suo. E’ la prima svolta a sinistra su un percorso accidentato, che tende a demotivare la forza e la voglia di resistere dei lavoratori in lotta.
E’ il percorso tracciato dalle politiche neoliberiste che vanno in direzione opposta al ripristino dei diritti dei lavoratori, dei docenti e degli studenti, contro la sanità pubblica e contro i diritti del cittadino ad essere sostenuto da un welfare adeguato a migliorarne le condizioni sociali.
Il reintegro dei 153 è una porta chiusa a chiavistello che improvvisamente si schiude, uno spiraglio che fa filtrare la luce della giustizia in fondo al tunnel.
Altre vertenze sono in procinto di essere discusse dai legali di riferimento, sostenute anche dai sindacati di base USB e COBAS. Quella porta non si deve più chiudere e i lavoratori che hanno subito ricatti, come è accaduto ai licenziati Almaviva di Roma, devono anche loro avere il reintegro.
A breve si discuteranno altre vertenze. Seguiamo, con La Città Futura, da quella notte del 22 Dicembre 2016, le loro peripezie nel districarsi da quell’infame ricatto e il coraggio che hanno mostrato nell’alzare la testa e lottare.
ESTRATTO DELLA SENTENZA
La sentenza, emessa dal giudice Buonassisi, sezione Lavoro del Tribunale di Roma, è netta: nelle 35 pagine il magistrato definisce il licenziamento “ritorsivo” e parla di “vera e propria rappresaglia” da parte di Almaviva nei confronti di coloro che avevano rifiutato l’intesa.
Secondo il giudice, i motivi che l’azienda porta a supporto della propria decisione di licenziare “non sono assolutamente idonei a fornire la prova richiesta dalla legge”, ma “servono a nascondere i veri motivi della scelta: liberarsi del più costoso personale romano che non aveva accettato la riduzione delle sue spettanze per sostituirlo, almeno in parte, con personale meno costoso e più conveniente”.
Anche a non volerla ritenere “ritorsiva”, insistono i giudici, si tratta comunque “di una scelta obiettivamente illegittima”, attuata “solo per ragioni inerenti il costo del personale romano che in nessun modo potevano giustificarla”.
Pertanto, il tribunale dichiara “l’illegittimità del licenziamento intimato ai ricorrenti e, per l’effetto, lo annulla e condanna la società resistente a reintegrare gli stessi lavoratori nel posto di lavoro e a corrispondere loro, a titolo di risarcimento danni, una indennità pari a tutte le retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento, sino all’effettiva reintegra, detratto l’eventuale “aliunde perceptum”, con il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; oltre rivalutazione ed interessi sull’importo via via rivalutato fino al pagamento come per legge”.
QUALI SCENARI PER I LAVORATORI LICENZIATI ALMAVIVA
L’azienda continua il ricatto del trasferimento coatto: “attuo quello che decide il giudice, ma sempre a mio vantaggio”. Un comportamento ripetuto e tentato per i lavoratori della sede di Milano, ripetuto e tentato per le lavoratrici madri della sede di Roma.
Ci chiediamo però, nel caso di altre sentenze a sfavore, se Almaviva percorrerà la strada della schizofrenia gestionale o quella di decidere il reintegro dei lavoratori nella sede ancora operativa di Roma.
“In ballo ci sono milioni di euro di spesa in indennità e risarcimento di mensilità pregresse, per un licenziamento discriminatorio, nato da un ricatto e illegale per quello che disciplina la legge in materia di licenziamento collettivo” dichiara Walter Ambrosecchio, che dopo aver partecipato alle lotte comuni nel Comitato 1.666, si è inserito in un contesto più allargato di lotte, quelle del CLU (Coordinamento Lotte Unite), a cui aderiscono tante realtà del mondo del lavoro e che sono sostenuti dai Clash City Workers.
Un aspetto che Walter evidenzia, è quello della coazione a ripetere del ricatto dell’azienda sul lavoratore, anche in caso di reintegro. Gli Amministratori Delegati, come già accaduto per la sede di Milano, tenteranno la via del trasferimento coatto, come hanno già prospettato per i 153 reintegrati da Buonassisi, indicando il trasferimento nella sede di Catania.
La beffa ulteriore avviene proprio nella sede romana, dichiarata chiusa a dicembre scorso. In realtà l’azienda non ha affatto chiuso i cancelli, poiché il servizio di call center viene attualmente coperto da lavoratori a co.co.pro..
Sabrina Scalco, anche lei nel calderone dei licenziati Almaviva, è in attesa di sentenza. L’8 Gennaio si discuterà la causa. Lei ci spera, con lei Walter e molti altri. Tutto il mondo dei lavoratori sotto il ricatto del Jobs act è con loro, perché anche questa volta, se vittoria sarà, sarà di tutti.
La sento al telefono, dopo averla incontrata innumerevoli volte, nelle piazze, nei cortei, nelle assemblee a protestare contro la protervia delle istituzioni che hanno voltato le spalle al problema che ha coinvolto migliaia di lavoratori romani: “Oggi ho appuntamento con i miei avvocati e spero che questa sentenza sia di buon auspicio anche alla mia causa, che sarà a gennaio. Intanto a metà dicembre un altro consistente gruppo di colleghi avrà la sentenza, speriamo bene. Le cause finora sono state credo 9 a favore di Almaviva e una contro, ma il numero totale dei ricorrenti era inferiore ai 153 dell’unica causa vinta, dove un giudice ha esaminato profondamente il caso e prodotto 35 pagine di sentenza durissima. Sembrerebbe che l’azienda abbia inviato lettere di trasferimento a Catania, ma non ho la certezza e comunque per il 25 novembre non sarebbero rispettati i termini di legge”.
Le chiedo se è a conoscenza delle reazioni, alla sentenza di Buonassisi, della sindaca Raggi, dei politici governativi e dei sindacalisti CGIL. Se per caso si sono fatti vivi con messaggi di congratulazioni. “Riguardo le istituzioni” - racconta Sabrina - “confermo che c’è stato un tweet da parte di Virginia Raggi che si congratulava, ma non è mai stata presente agli incontri pre-licenziamento. La viceministra allo Sviluppo Economico, Bellanova ha twittato che le sentenze si accettano e non si commentano e a specifiche domande non risponde. Il ministro Calenda, non pervenuto, nonostante lo abbia subissato di tweet. Idem il presidente della Regione Lazio, Zingaretti e la segretaria della CGIL, Camusso. Come vedi cercano comunque di continuare a coprire le malefatte causate quel 22 dicembre maledetto. Ad oggi spero che la giustizia sia dalla nostra parte”.
Grazie, Stefania, Walter e Sabrina per le testimonianze e perché la vostra lotta è la lotta di tutti.
di Alba Vastano
25/11/17

Nessun commento:

Posta un commento