Con una accelerazione dopo un periodo di lento tran tran che lo aveva fatto sparire dall'orizzonte effettivo degli operai, è stato chiuso il contratto dei metalmeccanici, il più importante dei contratti nazionali in via di rinnovo.
La chiusura del contratto sembra rispondere a due esigenze, non strettamente legate ai contenuti di esso, ma al più generale clima economico, politico, sociale caratterizzato da crisi, pandemia, a cui si è aggiunta la crisi di governo.
Come scrive Repubblica “molti industriali chiedevano a Bonomi di scongiurare l'inasprimento del clima sociale. “Adesso non ce lo possiamo permettere - era il mantra di tanti versanti imprenditoriali - In fondo buona parte della manifattura nazionale, anche grazie all'interlocuzione con sindacati e governo, ha arginato al meglio gli effetti del covid, tanto che i dati più recenti dimostrano che le fabbriche italiane sono in ripresa... anche negli altri settori si è andati a chiusura dei contratti, vedi la Federalimentare”. Questo ha in un certo senso condotto Bonomi ad attenuare i toni da ultra falco ostentati all'inizio, così il suo “non c'è spazio per gli aumenti salariali” si è trasformato via via in “sfianchiamoci ai Tavoli di confronto ma basta scioperi, che gli animi sono già esasperati dalla crisi”.
L'altro elemento è tutto politico. Bonomi ha attaccato il governo, ha guidato la messa in crisi di Conte, ed ha bisogno di un “patto sociale” che probabilmente il nuovo governo Draghi è in grado di garantire. E su questo il patto neocorporativo con i sindacati, in particolare nelle fabbriche, è fondamentale.
Questa condizione generale ha portato alla firma del CCNL con risultati obiettivamente leggermente “superiori” a ciò che si prospettava dei mesi scorsi.
Nel merito, questi risultati vanno inquadrati, contro il trionfalismo e l'apologia dei sindacati confederali, nelle dichiarazioni del presidente della Federmeccanica che parla di rinnovo che rispetta le due condizioni da esso poste: “la continuità con lo spirito riformatore e la sostenibilità dal punto di vista economico”. Su questo, la Federmeccanica va anche molto oltre quando parla di “chiarimento su un tema essenziale per il nostro comparto che vive un mercato costituito quasi esclusivamente da contratti di appalto pubblici e privati, e chiarezza sul concetto di contratto di categoria sottoscritto dalle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale. Vale a dire l'univoco riferimento al contratto che deve essere applicato nelle gare dai settori rappresentati da Assistal”.
Un linguaggio criptico, da decifrare che a prima vista insiste sulla richiesta di maggiori soldi negli appalti pubblici, volti a far coprire dalle stazioni appaltanti pubblici i costi del nuovo contratto.
Questo modo di ragionare deve spingere noi, gli operai e i lavoratori a guardare questa volta con maggiore attenzione ai contenuti effettivi del nuovo contratto metalmeccanico che tocca un insieme di problematiche in cui bisognerà chiedersi: dov'è il trucco.
Passando alla sostanza di quello che viene attualmente comunicato,
l'aumento è di 112 euro spalmato in un periodo più lungo del previsto, dato che il contratto diventa di quattro anni e mezzo, fino a giugno 2024, 25 euro, a giugno del 2021, 25 euro, a giugno del '22, 27 euro a giugno del '23 e 35 euro a giugno del '24.
Una spalmatura inaccettabile da qualunque punto di vista si veda, che nasconde un taglio dei salari di fatto. Se pensiamo che la maggiorparte dei lavoratori metalmeccanici ha avuto diversi periodi di cassintegrazione e che nell'anno scorso e nel primo semestre di quest'anno si tratta di cassa-covid che taglia oltre il 40% del salario, si può ben vedere come questo aumento sia irrisorio, e certamente non coperto dagli ulteriori 12 euro dell'Ipca (Indicatore dei prezzi al consumo armonizzati a livello europeo al quale si agganciano gli aumenti contrattuali) che arriveranno sui minimi da giugno 2020 per effetto del prolungamento del contratto precedente, insieme ai 200 euro di flexible benefit che beneficiano dell'esenzione fiscale.
L'altro “punto forte” del contratto è il nuovo inquadramento unico, che era rimasto almeno contrattualmente intatto dal 1973. Esso consiste nella sostanza nell'abolizione del 1°livello, quindi con passaggio a 9 livelli invece che 10. Qui c'è da dire, prima di essere “contenti” che il 1° livello era diventato assolutamente minoritario nelle fabbriche e non siamo certo d'avanti allo slittamento generale verso l'alto dei livelli – come noi in alcune vertenze aziendali abbiamo richiesto - ma a nuove declaratorie tutte da analizzare, con le quali i 9 livelli sono ricompresi in 4 campi di responsabilità di ruolo. “Si passa - come scrive il Sole 24 Ore – dalla mansione al ruolo; dal cosa si fa a come si può fare meglio”. Vengono individuati 6 criteri di professionalità: autonomia, responsabilità gerarchico-funzionale, competenza tecnico specifica, competenze trasversali, polivalenza, polifunzionalità, miglioramento continuo ed innovazione, collegati ai nuovo sistemi integrati di gestione.
Messa così prevediamo che si tratti di una richiesta di intensificazione dello sfruttamento, cumulo di mansioni, rapporto livello/prodotto/produttività, che non si tradurrà in un miglioramento salariale effettivo o che condizionerà ancora peggio di prima salario e passaggio di livello.
Il contratto poi si lancia su una serie di questioni che solo il testo effettivo e la verifica pratica può dimostrare di che si tratta. Scrive Repubblica “rafforzati infine relazioni industriali, diritti, confronto e partecipazione, diritto soggettivo alla formazione, clausola sociale negli appalti pubblici, violenza di genere e smart working".
Circa la clausola sociale, essa è riferita solo agli appalti pubblici: più soldi per l'impresa dal pubblico, per garantirla ai lavoratori; ma nulla cambia invece negli appalti normali nelle grandi fabbriche, dove, invece, si assiste ad un passaggio da CCNL metalmeccanico a CCNL multiservizi, e non alla clausola sociale nel contratto metalmeccanico, come richiediamo nelle lotte.
Chiaramente noi non pensiamo che esistano le condizioni per mettere in discussione, in referendum pilotati e per lo stato attuale degli operai in fabbrica, per opporsi a questo contratto. Esso radiografa gli attuali rapporti di forza in fabbrica che sono molto negativi per la debolezza del sindacalismo di classe e il livello di coscienza e combattività degli operai.
La chiusura del contratto è una scelta di fermare ogni fattore di tensione in fabbrica che possa incanalare e dare riferimento alla potenziale ribellione operaia che va ben oltre il contratto e che è legata alla condizione generale di sfruttamento, precarietà, dittatura e comando di fabbrica, in una situazione taglieggiata da cassintegrazione, chiusura di posti di lavoro e mannaia della fine del blocco dei licenziamenti.
Questo non vuol dire che non dobbiamo esprimere un giudizio articolato e preciso su questo contratto e moltiplicare per cento gli sforzi per rompere la pace sociale e la passività operaia in fabbrica.
Questo tocca al sindacalismo di classe già in azione – vedi sciopero del 29 gennaio, promosso dal Si,cobas, Slai cobas sc... che è stato un segnale ancora flebile a cui anche gli operai delle fabbriche pur non scioperando hanno guardato – a partire da battaglie chiare sulla cassintegrazione al 100% del salario, la riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga, la rigida opposizione a chiusura e licenziamenti, la lotta per la salute e la sicurezza.
Infine, occorre rendere coscienti gli operai che padroni e nuovo governo hanno proprio la classe nel mirino e temono la ribellione e la protesta operaia, ma questo va visto come fattore di forza e non di debolezza.
Inutile sprecare parole per l'oscena glorificazione del contratto e di sé stessi che viene dalla casta miserabile delle segreterie e burocrazie sindacali, che usano toni trionfalistici da ingannapopolo e da 'venditori di fumo'. Ogni spazio di contestazione che potrà avvenire su questo è benvenuto e aiuta la chiarezza.
SLAI COBAS per il sindacato di classe
coordinamento nazionale
Nessun commento:
Posta un commento