Da: Rassegna.it
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15 gennaio 2016
Abolizione del Registro
infortuni, riduzione dei componenti sindacali in Commissione consultiva, non
applicazione delle tutele ai lavoratori con i voucher: questi i punti più
controversi, che porteranno all’aumento di infortuni e malattie professionali.
La norma sul demansionamento ad
esempio, che abbiamo giudicato molto negativamente, oltre ad avere permesso
alle aziende azioni finora non possibili, ha anche introdotto il concetto della
“non obbligatorietà” della formazione specifica alla mansione prima del cambio
della mansione stessa.
Può sembrare un dettaglio, ma
non lo è. Cosa succede, in concreto, quando un lavoratore viene immediatamente
adibito a un compito del quale non conosce i rischi specifici e le relative
misure di prevenzione da adottare? Succede che l’incidenza di infortuni e
malattie professionali aumenta, e aumenterà nei prossimi anni, per
un’intrinseca falla che si crea nel sistema di prevenzione e protezione
aziendale.
Come non pensare anche alla
questione della sorveglianza elettronica (o classicamente “videosorveglianza”),
che assegna al datore di lavoro la possibilità del controllo attraverso
apparecchiature specificamente fornite per l’espletamento della prestazione lavorativa
(come smartphone, tablet, personal computer), senza alcuna negoziazione con le
rappresentanze sindacali o altro?
Oltre ai noti e sollevati
problemi di privacy, è evidente come l’eventuale uso disciplinare o
discriminatorio dei dati provenienti da questo tipo di controllo solleverà
molti contenziosi, non aiutando certo il clima di benessere organizzativo
necessario al nostro tessuto produttivo e aziendale.
Le misure contenute, infine,
nel Decreto che istituisce l’Ispettorato nazionale per l’attività ispettiva,
lasciano aperti molti problemi: il coordinamento sarà limitato ai soli
Ministero del Lavoro, INPS e INAIL, o si realizzerà il famoso e auspicato
coordinamento con il sistema di Regioni e ASL?
E le funzioni del cosiddetto
“Ispettore unico”, la sua dote formativa e strumentale, quando vedranno la
luce? Sono ancora molti, quindi, gli aspetti non chiariti da questo intervento
di riforma che ha bisogno di decretazione attuativa per essere pienamente
giudicato. Bisognerà dunque lavorarci sopra come Confederazione e come
categorie, per far sì che, nelle possibilità concrete, esso possa rappresentare
un reale elemento di avanzamento.
Ma torniamo all’articolo 20 del
Decreto “semplificazioni”, che riguarda direttamente le materie di salute e
sicurezza. Il primo problema evidente a chi legge (e a chi ha seguito la nostra
campagna contraria, sfociata anche in un avviso comune, unitario con
Confindustria, avverso al provvedimento) è la riduzione dei componenti della
Commissione consultiva permanente (ex articolo 6 del D.Lgs.81/08) di
espressione delle parti sociali, con l’introduzione al loro posto di componenti
espressione del mondo associazionistico e tecnico professionale.
E’ evidente a chiunque abbia un
po’ di discernimento e buona fede che in questo modo la “governance” della
Commissione viene mutata con la modifica dei numeri necessari per l’espressione
del parere, violando il principio del “tripartitismo” cui è informata la
legislazione italiana ed europea in materia di salute e sicurezza. Il giusto ruolo
delle parti sociali, a questo punto soccombente con la nuova disciplina
rispetto alla parte di Stato e Regioni, è invece importantissimo e centrale per
la trattazione di problemi che le suddette organizzazioni risolvono o tentano
di risolvere ogni giorno nei posti di lavoro (reali e fisici) di questo paese.
Ma la vulgata imperante rispetto alla “pletoricità” della Commissione stessa e
al ruolo non più “utile” o “necessario” dei corpi intermedi all’interno della
dinamica sociale e politica, ha deciso altro.
Gli altri due aspetti
assolutamente negativi contenuti nel Decreto (rispetto ai quali come CGIL
stiamo pensando a ricorsi di tipo giuridico in sede sia europea sia italiana),
sono quelli relativi ai lavoratori retribuiti attraverso i voucher e all’abolizione
del Registro infortuni.
Per i primi si prevede la non
applicazione delle tutele relative alla prevenzione previste dal D.Lgs.81/08,
se questi non prestano la propria opera nei confronti di un’impresa o di un
professionista.
Ci si dimentica però che questa
forma di lavoro, nata per regolamentare in qualche modo il lavoro accessorio e
occasionale, riconducendolo nell’ambito della regolarità, è subito diventata
una dilagante forma di precarietà: è evidente, dunque, la discriminatorietà
della norma in questione nei confronti di centinaia di migliaia di lavoratori e
lavoratrici.
Altro punto negativo è quello
dell’abolizione dell’obbligatorietà della tenuta del Registro infortuni, che
doveva essere una misura collaterale al famoso Sistema Informativo Nazionale
per la Prevenzione (SINP), sistema peraltro mai partito né deliberato dai
governi dal 2008 a oggi.
La misura è del tutto
favorevole a quelle aziende scorrette che non gradiscono che si tenga traccia
di quanto succede all’interno dei loro luoghi di lavoro, che non gradiscono
“intrusioni” da parte degli organi di vigilanza. E pensare, invece, che proprio
la legislazione europea e la Direttiva relativa a queste materie prevedono che
le aziende sono tenute ad adottare una simile forma di registro, che tracci gli
accadimenti e sia a disposizione delle autorità e delle rappresentanza
sindacali aziendali e territoriali.
Solo un accenno, in
conclusione, a un’ulteriore questione la cui interpretazione è ancora
controversa, ovvero l’abolizione dell’obbligo di comunicazione degli infortuni
con una prognosi sotto i 30 giorni da parte del datore di lavoro, sostituita da
una comunicazione da parte dell’INAIL. Oltre alle evidenti conseguenze di
opacità e problematicità che la norma comporterebbe (fra cui la mancata
comunicazione automatica all’autorità giudiziaria), la farraginosità della
misura assegna all’INAIL un ruolo molto rilevante e anche rischioso.
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