lunedì 18 gennaio 2016

18 gennaio - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 240 DEL 18/01/16



NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

I PARERI DELLA COMMISSIONE DEGLI INTERPELLI - N.5
1
LAVORO AGILE, TANTO “AGILE” DA ESSERE VOLATILE E INSICURO PER LA SALUTE E SICUREZZA
6
JOBS ACT, LA LEGGE DELL’INSICUREZZA
7
RISCHIO FUMO DI TABACCO: LA POLITICA AZIENDALE
8
MACCHINE AGRICOLE: LE SCADENZE DELLA REVISIONE E DELLA FORMAZIONE
11
L’ESORBITANZA NEL COMPORTAMENTO DEL LAVORATORE INFORTUNATO
14


I PARERI DELLA COMMISSIONE DEGLI INTERPELLI - N.5

L’articolo 12 del D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla sicurezza) ha previsto la costituzione della Commissione degli Interpelli, composta da rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della salute, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome con lo scopo di rispondere a “quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro” posti da Organismi associativi, Enti pubblici, Organizzazioni sindacali dei datori di Lavoro e dei lavoratori, Consigli nazionali degli ordini.
La Commissione degli Interpelli è stata effettivamente costituita con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 28 settembre 2011.
Secondo il comma 3 dell’articolo 12 del D.Lgs.81/08 “Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1 [quelli posti alla Commissione] costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza”.
Riporto pertanto in una nuova rubrica della mia newsletter tali pareri con il link per scaricare il testo completo del quesito e del parere della Commissione.
Marco Spezia

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IDONEITA’ TECNICO PROFESSIONALE DEI LAVORATORI AUTONOMI NELL’AMBITO DEL TITOLO IV DEL D.LGS. 81/2008
Interpello in materia di sicurezza n.7 del 2 maggio 2013

RICHIEDENTE
ANCE – Associazione Nazionale Costruttori Edili

QUESITO
L’ANCE, Associazione Nazionale Costruttori Edili, ha avanzato istanza d’interpello per conoscere il parere della Commissione relativamente alla corretta interpretazione di quanto riportato nell’allegato XVII comma 2, lettera d) del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni, con particolare riferimento alla documentazione minima che i lavoratori autonomi devono esibire al committente o al responsabile dei lavori ai fini della dimostrazione della idoneità tecnico professionale prevista per operare in un cantiere temporaneo o mobile cosi come definito nell’articolo 89 del D.Lgs.81/08.

CHIARIMENTO
Al riguardo va premesso che gli obblighi in materia di salute e sicurezza di un lavoratore autonomo sono in via generale riportati nell’articolo 21 del D.Lgs.81/08 e, con specifico riferimento al “cantiere temporaneo o mobile”, nell’articolo 94 del medesimo provvedimento.
In particolare, il primo comma dell’articolo 21, citato, identifica gli obblighi del lavoratore autonomo nell’utilizzo di attrezzature di lavoro e Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) in modo conforme “alle disposizioni di cui al Titolo III” (lettere a e b), e del munirsi di “tessera di riconoscimento” (lettera c).
L’articolo 21, comma 2, citato, prevede inoltre che i lavoratori autonomi, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico hanno pure facoltà di:
a)    beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
b)    partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.
Il Legislatore, nel rispetto dei principi e criteri direttivi generali contenuti nell’articolo 1 della Legge 3 agosto 2007, n.123, che prevedevano “adeguate e specifiche misure di tutela per i lavoratori autonomi, in relazione ai rischi propri delle attività svolte e secondo i principi della raccomandazione 2003/134/CE del Consiglio, del 18 febbraio 2003” ha introdotto non uno specifico obbligo ma una facoltà di “beneficiare della sorveglianza sanitaria” e di “partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
Ai fini delta verifica dell’idoneità tecnico professionale di un lavoratore autonomo destinato a operare in un cantiere temporaneo o mobile, il Legislatore nell’allegato XVII, comma 2, lettera d) del D.Lgs.81/08 aveva previsto che il lavoratore autonomo dovesse esibire gli “attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria previsti dal presente Decreto Legislativo”.
Questa formulazione aveva creato notevoli difficoltà in quanto sembrava che quella “facoltà” di “beneficiare della sorveglianza sanitaria” e di “partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro diventasse invece, per un lavoratore autonomo, un obbligo necessario per dimostrare la propria idoneità tecnico professionale per operare in un cantiere temporaneo o mobile”.
Con la modifica introdotta con il D.Lgs.106/09, espressamente richiesta dalle parti sociali, il lavoratore autonomo deve esibire al committente o al responsabile dei lavori o, in caso di subappalto, al Datore di Lavoro dell’impresa affidataria gli “attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria ove espressamente previsti dal presente Decreto Legislativo”.
La modifica introdotta con il D.Lgs.106/09, all’allegato XVII, citata e volta a rilevare la non obbligatorietà della formazione e della sorveglianza sanitaria per i lavoratori autonomi tranne che le stesse non siano espressamente previste da disposizioni speciali anche di attuazione del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni.
Tale concetto, peraltro, è stato ribadito nel documento della Conferenza Stato-Regioni “Adeguamento e linee applicative degli accordi ex articolo 34, comma 2, e 37, comma 2 del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni”, in cui a stato specificato che le previsioni di cui all’accordo ex articolo 37 del “testo unico” di salute e sicurezza sulla formazione di lavoratori, dirigenti e preposti, non hanno efficacia obbligatoria, ma sono dirette a fornire ai lavoratori autonomi utile parametro di riferimento per la formazione. La medesima fonte rimarca che è altresì obbligatoria altra formazione rispetto a quella oggetto di regolamentazione da parte dell’accordo ex articolo 37 qualora quest’ultima sia disciplinata da disposizioni di legge speciali rispetto alla previsione generale riportata all’articolo 21, comma 2 (e ad esempio il caso della formazione necessaria per effettuare lavori in ambienti confinati obbligatoria anche per i lavoratori autonomi, ai sensi del D.P.R.177/11) del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni.
Pertanto un committente o un’impresa affidataria, in fase di verifica dell’idoneità tecnico professionale del lavoratore autonomo, è tenuto a verificare il possesso della documentazione, di cui all’allegato XVII da parte del lavoratore autonomo, ma non anche ad esigere, al medesimo, l’esibizione degli attestanti inerenti la propria formazione e l’idoneità sanitaria.
Di conseguenza, risulta legittimo sia l’affidamento di lavori al lavoratore autonomo in possesso di documentazione inerente la formazione e l’idoneità sanitaria sia l’affidamento di lavori al lavoratore autonomo privo dei predetti requisiti.
Resta fermo per il committente la facoltà di richiedere al lavoratore autonomo ulteriori requisiti rispetto a quelli minimi individuati dall’allegato XVII, anche qualora essi consistano nel possesso della documentazione appena citata.

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.7 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:

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ARTICOLO 41, COMMA 2 DEL D.LGS.81/08 E VISITA MEDICA PREVENTIVA
Interpello in materia di sicurezza n.8 del 24 ottobre 2013

RICHIEDENTE
Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro

QUESITO
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, su proposta del Consiglio provinciale di Palermo, ha inoltrato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 41, comma 2 del D.Lgs.81/08.
In particolare l’istante chiede di sapere “se la previsione di visita medica preventiva di cui all’ articolo 41, comma 2, lettera a) del Decreto debba ritenersi dovere operare ogni qualvolta il datore di lavoro provvede a effettuare l’assunzione del lavoratore o se nel caso in cui vi siano assunzioni dello stesso lavoratore successive a una interruzione del rapporto di lavoro, per mansioni uguali o sostanzialmente collegate alto stesso rischio, per il quale sia trascorso un termine breve e comunque entro la periodicità prevista dal medico competente per la visita successiva non necessita una nuova visita preventiva”.

CHIARIMENTO
Al riguardo si osserva che ]a sorveglianza sanitaria, disciplinata dall’articolo 41 del D.Lgs.81/08, è effettuata dal medico competente nei casi previsti dalla normativa vigente.
In particolare l’articolo 41, comma 2, lettera a) del D.Lgs.81/08 prevede una visita medica preventiva con l’obiettivo di “constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica”.
Il successivo comma prevede una “visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica la cui periodicità, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l ‘anno”.
Tutto ciò premesso la Commissione ritiene che, nel caso di assunzioni successive, qualora il lavoratore sia impiegato in mansioni che lo espongono allo stesso rischio nel corso del periodo di validità della visita preventiva o della visita periodica di cui all’articolo 41, comma 2, lettera b) del D.Lgs.81/08 e comunque per un periodo non superiore ad un anno, il datore di lavoro non è tenuto ad effettuare una nuova visita preventiva, in quanto la situazione sanitaria del lavoratore risulta conosciuta dal medico competente.

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.8 del 24 ottobre 2013 è scaricabile al link:

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IMPRESE FAMILIARI
Interpello in materia di sicurezza n.9 del 24 ottobre 2013

RICHIEDENTE
CNA – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e media impresa

QUESITO
La Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa ha inoltrato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione in merito alla applicazione del D.Lgs.81/08 alla “impresa familiare di fatto (ai sensi dell’articolo 230 bis del Codice Civile) che opera con collaboratori senza essersi costituita con atto espresso: atto notarile dichiarativo”.

CHIARIMENTO
Al riguardo va premesso che l’articolo 230 bis del Codice Civile prevede che “salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato [...]”.
Pertanto, il legislatore ha voluto introdurre una figura di impresa familiare fondata sulla “solidarietà familiare” e non su un rapporto contrattuale.
Tutto ciò premesso, la Commissione fornisce le seguenti indicazioni.
La Commissione ritiene sia possibile costituire, ai sensi dell’articolo 230 bis del Codice Civile, un’impresa familiare senza la necessità di uno specifico atto notarile.
E opportuno sottolineare che ai fini dell’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, alle imprese familiari si applica l’articolo 21 del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni.

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.9 del 24 ottobre 2013 è scaricabile al link:

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FORMAZIONE ADDETTI EMERGENZA
Interpello in materia di sicurezza n.10 del 24 ottobre 2013

RICHIEDENTE
Consiglio Nazionale degli Ingegneri

QUESITO
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione in merito ai corsi tenuti dagli ingegneri abilitati ai sensi della Legge n.818/84. In particolare chiedono di sapere se il suddetto professionista sia:
-         adeguatamente titolato, agli effetti del D.M.10/03/98, quale soggetto formatore per gli addetti alle aziende valutate a rischio media e basso;
-         sia abilitato al rilascio di attestati di frequenza per gli stessi corsi e se tali attestati siano validi agli effetti della documentazione e della formazione obbligatoria prevista nel D.Lgs.81/08.

CHIARIMENTO
Il D.M.10/03/98 non prevede né requisiti specifici né titoli ai fini dell’idoneità del soggetto formatore per gli addetti all’emergenza. I soggetti formatori devono possedere competenza nella materia antincendio.
Pertanto si ritiene che gli ingegneri, abilitati ai sensi della Legge n.818/84, possano svolgere i corsi per addetti all’emergenza e, quindi, rilasciare i relativi attestati di frequenza. Inoltre si sottolinea come, per le aziende individuate dall’allegato X del Decreto, “i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze”, debbano conseguire “l’attestato di idoneità tecnica di cui all’articolo 3 della Legge n.609/96”.
Infine la Commissione ritiene validi ai fini della formazione prevista dall’articolo 37, comma 9 del D.Lgs.81/08 i suddetti attestati.

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.10 del 24 ottobre 2013 è scaricabile al link:

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ACCORDO STATO-REGIONI DEL 21 DICEMBRE 2011
Interpello in materia di sicurezza n.11 del 24 ottobre 2013

RICHIEDENTE
Federambiente

QUESITO
La Federazione Italiana Servizi Pubblici Igiene Ambientale (Federambiente) ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione in merito all’Accordo Stato Regioni del 21/12/11 relativo alle modalità di svolgimento della formazione dei lavoratori, ai sensi dell’articolo 37, comma 2 del D.Lgs.81/08.
In particolare l’interpellante chiede di conoscere se la durata e i contenuti della formazione dei lavoratori possa prescindere dall’appartenenza a uno specifico settore Ateco e possa essere tarata sulla effettiva condizione di rischio che si rileva, per ciascuna attività lavorativa, a valle del processo di valutazione.

CHIARIMENTO
L’Accordo Stato Regioni del 21/12/11 disciplina la durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione, nonché l’aggiornamento dei lavoratori, ai sensi dell’articolo 37, comma 2 del D.Lgs.81/08. La suddetta formazione, come esplicitato nella premessa dell’Accordo in parola, da erogare al lavoratore e, per quanto facoltativa nell’articolazione, ai dirigenti e ai preposti, costituisce un percorso minimo da organizzare e integrare sulla base delle risultanze della valutazione dei rischi.
L’Accordo Stato Regioni del 25/07/12, concernente le linee guida applicative e integrative dell’Accordo Stato Regioni del 21/12/11, chiarisce che la classificazione dei lavoratori, “può essere fatta anche tenendo conto delle attività concretamente svolte dai soggetti medesimi, avendo a riferimento quanto nella valutazione dei rischi”.
Tutto ciò premesso la Commissione fornisce le seguenti indicazioni.
L’articolo 37, comma 1 del D.Lgs.81/2008, prevede che “il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento ai [...] rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda”.
Alla luce delle vigenti disposizioni normative e in particolare sulla base di quanto indicato negli Accordi Stato-Regioni citati in premessa, la formazione (che deve essere “sufficiente e adeguata”) va riferita all’effettiva mansione svolta dal lavoratore, considerata in sede di valutazione dei rischi; pertanto la durata del corso può prescindere dal codice Ateco di appartenenza dell’azienda.

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.11 del 24 ottobre 2013 è scaricabile al link:



LAVORO AGILE, TANTO “AGILE” DA ESSERE VOLATILE E INSICURO PER LA SALUTE E SICUREZZA

Da: Diario Prevenzione
sabato 16 gennaio 2016

Abbondano i disegni di legge per dare una parvenza di “legalità” alle forme di lavoro “precario” con la sostituzione delle parole che lo definiscono.
Da “precario” il lavoro diviene “agile”, e in alcune accezioni diviene addirittura “smart” dove di “smart” per il lavoratore vi è molto poco.
Tutto diviene indefinito, la cosiddetta cornice costruita per dare una parvenza di “legalità” per alcuni elementi diviene risibile rispetto, ad esempio, alle norme per la gestione della sicurezza sul lavoro.

Abbiamo tra le mani un ibrido che sta tra il regolamento aziendale tipo e un contratto commerciale ove il lavoratore è un fornitore in una relazione di potere sbilanciata. L’aspetto della prestazione è affidato al contratto individuale tra lavoratore e impresa, in una condizione di totale subalternità del lavoratore.

Orari, tempi di lavoro, aspetti gestionali sono consegnati alla trattativa individuale tra lavoratore e impresa. Abusi, truffe e compensi non pagati in ragione di contestazione della qualità della prestazione erogata dal lavoratore saranno possibili e numerosi in quanto le clausole contro gli abusi riguardano solo gli aspetti formali del contratto.
Il “dominus” è l’azienda committente “versus” il lavoratore che è monade isolata e debole.
Non esiste nessun accenno che richiami l’ergonomicità delle attrezzature fornite dal committente o proprie del lavoratore. Per fare un esempio i lavoratori “agili” del call center potranno operare con cuffie da tre soldi, apparecchiature di bassa qualità...
Non parliamo poi della prevenzione dello stress lavoro correlato totalmente ignorata in quanto il lavoro “agile” non sarebbe stressante per definizione...

I commi 2 e 3 dell’articolo 6 del Disegno di Legge sul “Lavoro agile” sono emblematici dell’assenza di tutela della salute di questi lavoratori.
Il Parlamento dovrà discutere seriamente prima di licenziare questo pericoloso pastrocchio ove di “agile” vi è solo l’amabile disinvoltura a evitare di affrontare la complessità dei problemi che questa tipologia di lavoro produrrà nel mercato del lavoro.
La pericolosità sta nella diffusione di un rapporto di lavoro di natura altamente subordinata spacciato come rapporto di lavoro autonomo “leggero” e senza rischi per la salute. La sua “pericolosità sociale” è pari solo a quella generata dai “Voucher”.

L’articolo 6 “Sicurezza sul lavoro” del Disegno di Legge sul “Lavoro agile” riporta quanto segue:
Il datore di lavoro deve garantire la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore che svolge la propria prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile.
Al fine di dare attuazione all’obbligazione di sicurezza, e tenuto conto dell’impossibilità di controllare i luoghi di svolgimento della prestazione lavorativa, il datore di lavoro deve consegnare una informativa periodica, con cadenza almeno annuale, nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alle modalità di svolgimento della prestazione.
Il lavoratore che svolge la propria prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile, per i periodi nei quali si trova al di fuori dei locali aziendali, deve cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro”.

La bozza del Disegno di Legge sul “Lavoro agile” è scaricabile all’indirizzo:



JOBS ACT, LA LEGGE DELL’INSICUREZZA

Da: Rassegna.it
15 gennaio 2016

Abolizione del Registro infortuni, riduzione dei componenti sindacali in Commissione consultiva, non applicazione delle tutele ai lavoratori con i voucher: questi i punti più controversi, che porteranno all’aumento di infortuni e malattie professionali

Non verrà certo meno nei prossimi mesi (e forse anni) l’esigenza da parte della CGIL di approfondire e soppesare gli effetti concreti che il Jobs Act (articolato finora in otto Decreti) dispiegherà nel prossimo futuro, soprattutto in materia di salute, sicurezza e prevenzione per i lavoratori e le lavoratrici.
Occorre dire subito, però, che non solo le misure specifiche dell’articolo 20 del D.Lgs.151/15 (cosiddetto “Decreto semplificazione”) e del Decreto riguardante le attività ispettive avranno un effetto sulle condizioni di vita e di lavoro nel nostro paese.

La norma sul demansionamento ad esempio, che abbiamo giudicato molto negativamente, oltre ad avere permesso alle aziende azioni finora non possibili, ha anche introdotto il concetto della “non obbligatorietà” della formazione specifica alla mansione prima del cambio della mansione stessa.
Può sembrare un dettaglio, ma non lo è. Cosa succede, in concreto, quando un lavoratore viene immediatamente adibito a un compito del quale non conosce i rischi specifici e le relative misure di prevenzione da adottare? Succede che l’incidenza di infortuni e malattie professionali aumenta, e aumenterà nei prossimi anni, per un’intrinseca falla che si crea nel sistema di prevenzione e protezione aziendale.

Come non pensare anche alla questione della sorveglianza elettronica (o classicamente “videosorveglianza”), che assegna al datore di lavoro la possibilità del controllo attraverso apparecchiature specificamente fornite per l’espletamento della prestazione lavorativa (come smartphone, tablet, personal computer), senza alcuna negoziazione con le rappresentanze sindacali o altro?
Oltre ai noti e sollevati problemi di privacy, è evidente come l’eventuale uso disciplinare o discriminatorio dei dati provenienti da questo tipo di controllo solleverà molti contenziosi, non aiutando certo il clima di benessere organizzativo necessario al nostro tessuto produttivo e aziendale.

Le misure contenute, infine, nel Decreto che istituisce l’Ispettorato nazionale per l’attività ispettiva, lasciano aperti molti problemi: il coordinamento sarà limitato ai soli Ministero del Lavoro, INPS e INAIL, o si realizzerà il famoso e auspicato coordinamento con il sistema di Regioni e ASL?
E le funzioni del cosiddetto “Ispettore unico”, la sua dote formativa e strumentale, quando vedranno la luce? Sono ancora molti, quindi, gli aspetti non chiariti da questo intervento di riforma che ha bisogno di decretazione attuativa per essere pienamente giudicato. Bisognerà dunque lavorarci sopra come Confederazione e come categorie, per far sì che, nelle possibilità concrete, esso possa rappresentare un reale elemento di avanzamento.

Ma torniamo all’articolo 20 del Decreto “semplificazioni”, che riguarda direttamente le materie di salute e sicurezza. Il primo problema evidente a chi legge (e a chi ha seguito la nostra campagna contraria, sfociata anche in un avviso comune, unitario con Confindustria, avverso al provvedimento) è la riduzione dei componenti della Commissione consultiva permanente (ex articolo 6 del D.Lgs.81/08) di espressione delle parti sociali, con l’introduzione al loro posto di componenti espressione del mondo associazionistico e tecnico professionale.
E’ evidente a chiunque abbia un po’ di discernimento e buona fede che in questo modo la “governance” della Commissione viene mutata con la modifica dei numeri necessari per l’espressione del parere, violando il principio del “tripartitismo” cui è informata la legislazione italiana ed europea in materia di salute e sicurezza. Il giusto ruolo delle parti sociali, a questo punto soccombente con la nuova disciplina rispetto alla parte di Stato e Regioni, è invece importantissimo e centrale per la trattazione di problemi che le suddette organizzazioni risolvono o tentano di risolvere ogni giorno nei posti di lavoro (reali e fisici) di questo paese. Ma la vulgata imperante rispetto alla “pletoricità” della Commissione stessa e al ruolo non più “utile” o “necessario” dei corpi intermedi all’interno della dinamica sociale e politica, ha deciso altro.

Gli altri due aspetti assolutamente negativi contenuti nel Decreto (rispetto ai quali come CGIL stiamo pensando a ricorsi di tipo giuridico in sede sia europea sia italiana), sono quelli relativi ai lavoratori retribuiti attraverso i voucher e all’abolizione del Registro infortuni.
Per i primi si prevede la non applicazione delle tutele relative alla prevenzione previste dal D.Lgs.81/08, se questi non prestano la propria opera nei confronti di un’impresa o di un professionista.
Ci si dimentica però che questa forma di lavoro, nata per regolamentare in qualche modo il lavoro accessorio e occasionale, riconducendolo nell’ambito della regolarità, è subito diventata una dilagante forma di precarietà: è evidente, dunque, la discriminatorietà della norma in questione nei confronti di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici.

Altro punto negativo è quello dell’abolizione dell’obbligatorietà della tenuta del Registro infortuni, che doveva essere una misura collaterale al famoso Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (SINP), sistema peraltro mai partito né deliberato dai governi dal 2008 a oggi.
La misura è del tutto favorevole a quelle aziende scorrette che non gradiscono che si tenga traccia di quanto succede all’interno dei loro luoghi di lavoro, che non gradiscono “intrusioni” da parte degli organi di vigilanza. E pensare, invece, che proprio la legislazione europea e la Direttiva relativa a queste materie prevedono che le aziende sono tenute ad adottare una simile forma di registro, che tracci gli accadimenti e sia a disposizione delle autorità e delle rappresentanza sindacali aziendali e territoriali.

Solo un accenno, in conclusione, a un’ulteriore questione la cui interpretazione è ancora controversa, ovvero l’abolizione dell’obbligo di comunicazione degli infortuni con una prognosi sotto i 30 giorni da parte del datore di lavoro, sostituita da una comunicazione da parte dell’INAIL. Oltre alle evidenti conseguenze di opacità e problematicità che la norma comporterebbe (fra cui la mancata comunicazione automatica all’autorità giudiziaria), la farraginosità della misura assegna all’INAIL un ruolo molto rilevante e anche rischioso.

Sebastiano Calleri
Responsabile nazionale Salute e Sicurezza CGIL



RISCHIO FUMO DI TABACCO: LA POLITICA AZIENDALE

Da: PuntoSicuro
4 gennaio 2016

L’approccio gestionale del fumo di tabacco è il modo concreto di trattare questo rischio per i lavoratori: conseguenze, vantaggi e svantaggi, le attività di promozione della salute.

In azienda è opportuno che il fumo di tabacco venga considerato attentamente sia per l’applicazione del divieto che per la valutazione del rischio globale. L’approccio gestionale del fumo di tabacco è il modo concreto di trattare un rischio per la salute in maniera efficace anche in azienda, offrendo ai lavoratori informazione e consulenza sull’argomento al fine di proteggerli dal fumo passivo, proponendo la disassuefazione ai fumatori attivi e cercando di evitare l’iniziazione al fumo dei non fumatori.

La presenza di lavoratori fumatori può comportare per l’azienda:
-         maggiori assenze per malattia;
-         aumento di incidenti e infortuni;
-         contrasti con i colleghi non fumatori;
-         possibile interazione fra i prodotti del fumo di tabacco e i fattori di rischio occupazionale, con maggiore probabilità di insorgenza di patologie.

Una gestione aziendale mirata al fumo di tabacco può determinare per tutti i lavoratori i seguenti vantaggi:
-         miglioramento delle condizioni di salute;
-         miglioramento delle relazioni con i colleghi (benessere personale e di gruppo);
-         miglioramento dell’ambiente di lavoro;
-         promozione della salute.

L’azienda può limitarsi all’applicazione di un piano che preveda il solo rispetto del divieto oppure può creare uno strumento di promozione della salute.
Nel primo caso il progetto sarà improntato per diffondere informazioni ai dipendenti sul rispetto della normativa, i divieti, le sanzioni, l’informazione sui danni da fumo attivo e passivo e avrà come obiettivo la difesa dei lavoratori dal fumo passivo.
Nel secondo caso potrà essere attivato un vero e proprio percorso di promozione della salute dedicato ai fumatori.

Il progetto di promozione della salute, oltre al rispetto della normativa sul posto di lavoro per la tutela dei non fumatori, si prefigge anche l’intento di aiutare i fumatori presenti in azienda a smettere, coinvolgendo il Medico Competente (ove previsto dalla normativa vigente), le ASL, i centri territoriali antifumo, il personale, sanitario e non, che possa essere di aiuto e supporto al fumatore che decida di smettere.
La politica aziendale deve essere strutturata in modo da fornire adeguata informazione ai lavoratori, sostegno costante e indicazioni sui soggetti e le strutture cui rivolgersi.

A questo fine appare essenziale:
-         costituire un Gruppo di lavoro aziendale con la partecipazione dei lavoratori;
-         valutare la situazione esistente nella propria azienda (sopralluoghi, questionari, ecc.);
-         scegliere fra divieto assoluto o parziale (zone per fumatori);
-         definire obiettivi (divieto o promozione della salute) e piano d’azione;
-         redigere il regolamento (regole, divieti, luoghi dove poter fumare, referenti, sanzioni, ecc.);
-         comunicare a tutti la politica aziendale (cartelli, incontri, ecc.);
-         offrire programmi per smettere di fumare (interni o esterni all’azienda);
-         monitorare l’attuazione del progetto (punti critici);
-         valutare i risultati a breve e lungo termine (6 - 12 mesi)
-         riproporre periodicamente il progetto.

Il Gruppo di lavoro, istituito dalla direzione aziendale, dovrebbe essere costituito da rappresentanti dei diversi settori (reparti, manutenzione, personale, ufficio tecnico, economato, ecc.), dal Medico Competente (ove previsto), dal Responsabile o da un Addetto del Servizio di Prevenzione e Protezione, dal Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, da lavoratori volontari ed eventualmente da rappresentanti dei servizi territoriali (ASL).
All’interno del gruppo dovrebbe essere nominato un referente con il compito di curare i rapporti con la direzione aziendale nelle varie fasi del progetto.
Sarebbe importante definire dei ruoli che possano persistere anche nel caso di cessazione degli incarichi.

Prima di stendere il progetto dovrebbe essere valutata la situazione presente in azienda riguardo l’abitudine al fumo di tabacco (presenza di fumatori, contrasti con i non fumatori, aree esterne per fumare, ecc.) e il rispetto del divieto.
L’opinione dei lavoratori potrebbe essere raccolta tramite la formulazione di un questionario da distribuire via mail o con il cedolino dello stipendio. Lo stesso potrebbe essere fatto periodicamente durante la realizzazione del progetto per verificare gli effetti della politica antifumo. Un’azione di propaganda sul progetto dovrebbe essere effettuata tramite gli stessi mezzi e con poster e dépliant illustrativi appositamente predisposti e collocati nelle varie strutture aziendali.

Il documento dell’INAIL “La gestione del fumo di tabacco in azienda” è scaricabile all’indirizzo:



MACCHINE AGRICOLE: LE SCADENZE DELLA REVISIONE E DELLA FORMAZIONE

Da: PuntoSicuro
4 gennaio 2016

Un intervento si sofferma sulle novità normative nel comparto agricolo. La rete per il lavoro di qualità, la revisione delle macchine agricole e la formazione degli operatori. La scadenza del 31 dicembre 2015 per la revisione e l’abilitazione.

Nel nostro paese agricoltura e selvicoltura sono settori ad alto numero di infortuni. E se il nostro paese è caratterizzato dal grande impegno nell’ambito della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, i risultati in questi settori continuano ad essere altalenanti malgrado la buona qualità della legislazione e dalla grande competenza e passione degli operatori.

Ad affermarlo, intervenendo al Convegno “Salute e sicurezza in agricoltura e selvicoltura. Le prospettive. Il piano 2014-2018” che si è tenuto l’8 settembre 2015 a Lodi, è la senatrice Maria Grazia Gatti, componente della Commissione Agricoltura del Senato della Repubblica.
La senatrice è intervenuta nel Convegno, organizzato dall’ASL di Lodi, su due aspetti: la costituzione della rete per il lavoro agricolo di qualità e la Risoluzione in Commissione Agricoltura del Senato relativa alla revisione delle macchine agricole e alla formazione degli operatori votata prima della successiva emanazione del Decreto Ministeriale del 20 maggio 2015.

L’intervento ricorda che la rete per il lavoro agricolo di qualità (la cui cabina di regia nazionale è già operante) procederà a monitoraggi costanti, su base trimestrale, anche accedendo ai dati INPS su instaurazione, trasformazione e cessazione dei rapporti di lavoro, dell’andamento del mercato del lavoro agricolo, valutando in particolare il rapporto tra il numero dei lavoratori stranieri che risultano impiegati e il numero di lavoratori stranieri ai quali è stato richiesto il nulla-osta per il lavoro agricolo dagli sportelli unici per l’immigrazione. Promuoverà iniziative anche d’intesa con le autorità competenti e le parti sociali, in materia di politiche attive del lavoro, contrasto al lavoro sommerso e all’evasione contributiva, organizzazione e gestione dei flussi di manodopera stagionale, assistenza ai lavoratori stranieri immigrati.

Per quanto riguarda invece la revisione delle macchine agricole e la formazione professionale per il conseguimento dell’abilitazione all’uso, la relatrice racconta innanzitutto come si è arrivati al Decreto.

Se agricoltura e selvicoltura continuano a essere fra i settori con più infortuni mortali, anche nell’ultimo periodo una grande percentuale sono avvenuti su trattori e la principale causa è stata il ribaltamento/rovesciamento del mezzo. Nella maggior parte dei casi il capovolgimento trasversale e/o longitudinale del mezzo è avvenuto per sovraccarico del trattore, per sforzo eccessivo di traino, per manovre brusche e per eccessiva pendenza del terreno.
Si ricorda che i principali dispositivi di protezione sono rappresentati dall’installazione direttamente sul trattore di una struttura di protezione ROPS (Roll Over Protection Structure – Struttura di Protezione contro il Ribaltamento) tale da evitare o limitare i rischi in caso di capovolgimento e di schiacciamento e dalla cintura di sicurezza. Ai fini di sicurezza è indispensabile la contemporanea presenza dei due dispositivi.
Tuttavia dalle indagini sugli infortuni emerge anche che gli infortuni legati all’uso dei trattori agricoli o forestali sono, nella maggior parte dei casi, determinati oltre che dalle carenze delle attrezzature sotto il profilo della sicurezza e dall’eccessiva obsolescenza del parco macchine circolante, anche da carenze di formazione specifica degli operatori addetti all’uso. Quindi la revisione delle macchine con la eventuale rottamazione e la formazione degli operatori sono i due strumenti attraverso cui rendere il lavoro in agricoltura un lavoro più sicuro.

Una risoluzione della Commissione Agricoltura in Senato (di cui la senatrice è stata relatrice) ha fissato gli impegni per il governo nella attuazione del Decreto.

La risoluzione impegnava il Governo a:
-         far sì che non si prevedessero ulteriori proroghe rispetto all’entrata in vigore dell’obbligo della revisione delle macchine agricole e della formazione degli operatori, considerato che erano già tre le proroghe intervenute circa la revisione e due quelle sull’abilitazione obbligatoria;
-         prevedere, nella scrittura del Decreto Ministeriale con cui disporre le modalità di esecuzione della revisione, disposizioni volte a garantire non solo i profili di sicurezza di circolazione stradale delle macchine agricole ma anche quelli attinenti alla sicurezza sui luoghi di lavoro; questo è il punto fondamentale e richiederà un impegno particolare del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
-         prevedere che la revisione si effettui non solo con controlli visivi ma anche con controlli adeguati (sull’usura e su altri profili);
-         a prevedere una scalettatura delle revisioni che permetta una copertura progressiva in tempi adeguati di tutto il parco macchine e, a regime, una revisione periodica;
-         a prevedere la possibilità di utilizzare officine mobili presso le aziende o punti di raccolta che facilitino il conferimento delle macchine agricole oggetto di revisione;
-         a prevedere meccanismi che consentano la rottamazione delle macchine agricole più obsolete con tariffe e procedure semplificate che incentivino l’eliminazione delle macchine più pericolose;
-         a prevedere tariffe di revisione che favoriscano l’avvio della campagna tenendo anche conto della difficile situazione economica delle imprese;
-         per quanto riguarda i finanziamenti, a incrementare, da parte del Governo e degli enti strumentali (INAIL), i fondi per i bandi specifici per la revisione delle macchine agricole, oltre a stabilire una relazione con le Regioni affinché i Piani di sviluppo rurale inseriscano nella specifica della misura 17 le revisioni delle macchine agricole come misura di ammodernamento delle imprese ed incremento della sicurezza sul lavoro.
Inoltre per quanto concerne la formazione degli operatori la risoluzione impegnava il Governo a:
-         a rafforzare le sperimentazioni realizzate anche in collaborazione con l’INAIL e il Ministero del lavoro, dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca negli istituti tecnici-agrari con l’obiettivo di rendere istituzionalizzato il conseguimento del patentino;
-         a verificare tutte le possibilità per favorire la formazione all’uso dei trattori come strumenti di lavoro con tariffe adeguate, prendendo parte eventualmente a stabilire relazioni fra soggetti formatori e produttori di macchine agricole per un utilizzo migliore della disponibilità data dai produttori a fornire le macchine per la formazione;
Infine per quanto riguarda la revisione delle macchine agricole e la formazione degli operatori la risoluzione impegnava il Governo a:
-         prevedere dei punti di controllo per verificare l’andamento dei processi e la necessita di aggiustamenti o di nuove norme (in particolare, per quanto riguarda la formazione sarà importante verificare la necessita di adeguare i programmi, anche per una più completa integrazione e formazione della manodopera straniera molto presente nel settore).

Ricordiamo che il decreto del 20 maggio 2015 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.149 del 30 giugno 2015) ha stabilito i tempi per procedere alla revisione obbligatoria delle macchine agricole e delle macchine operatrici.
Tuttavia le modalità di esecuzione della revisione (articolo 5, comma 1) dovranno essere definite con un Decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, ed è con questo Decreto che si dovrà corrispondere alle altre richieste del Parlamento.

E poi si tratterà di monitorare attentamente il processo per intervenire in caso di intoppi e rallentamenti ed inoltre bisognerà favorire in tutti i modi sia il processo di revisione che quello della formazione.

Segnaliamo in conclusione che il Decreto prevede che i trattori agricoli siano sottoposti a revisione generale “a far data dal 31 dicembre 2015 e, successivamente, ogni 5 anni, entro il mese corrispondente alla prima immatricolazione secondo l’anno stabilito nella tabella” di cui all’allegato 1 del Decreto Ministeriale.
Mentre le altre macchine agricole semoventi a due o più assi e i rimorchi agricoli (aventi massa complessiva a pieno carico superiore a 1,5 tonnellate e con massa complessiva inferiore a 1,5 tonnellate, se le dimensioni d’ingombro superano i 4 metri di lunghezza e 2 metri di larghezza) sono sottoposte a revisione generale obbligatoria a far data dal 31 dicembre 2017.

E’ diversa invece la data per alcune particolari macchine operatrici:
-         macchine impiegate per la costruzione e la manutenzione di opere civili o delle infrastrutture stradali o per il ripristino del traffico;
-         macchine sgombraneve, spartineve o ausiliarie, quali spanditrici di sabbia e simili;
-         carrelli, quali veicoli destinati alla movimentazione di cose.
Queste macchine sono sottoposte alla revisione generale a far data dal 31 dicembre 2018.

Senza dimenticare, infine, che riguardo alla formazione professionale per il conseguimento dell’abilitazione all’uso delle macchine agricole, il Decreto rinvia a quanto già stabilito dall’ Accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2012, concernente l’individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell’articolo 73, comma 5, del Decreto Legislativo del 9 aprile 2008, n.81.
E anche in questo caso è da segnalare la scadenza del 31 dicembre 2015.
E’ infatti in questa data che (dopo le proroghe del “Decreto del Fare”: Legge n.98/13 e della Legge 11/15) è entrato in vigore l’obbligo dell’abilitazione all’uso delle macchine agricole considerate nell’Accordo del 22 febbraio 2012.

L’Intervento della senatrice Maria Grazia Gatti al convegno “Salute e sicurezza in agricoltura e selvicoltura. Le prospettive. Il piano 2014-2018” è scaricabile all’indirizzo:
Il Decreto 20 maggio 2015 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti “Revisione generale periodica delle macchine agricole ed operatrici, ai sensi degli articoli 111 e 114 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285” è consultabile all’indirizzo:



L’ESORBITANZA NEL COMPORTAMENTO DEL LAVORATORE INFORTUNATO

Da: PuntoSicuro
11 gennaio 2016
di Gerardo Porreca

Nel concetto di esorbitanza del comportamento del lavoratore infortunato vanno incluse l’inosservanza di norme antinfortunistiche e una condotta contraria a precise direttive organizzative ricevute.

In questa Sentenza la Corte di Cassazione ha focalizzata la propria attenzione sui limiti di responsabilità del datore di lavoro e su quando il comportamento del lavoratore che ha subito un infortunio costituisce una evidente causa interruttiva del nesso causale fra una omissione del datore di lavoro stesso e l’evento lesivo, argomento sul quale per la verità la suprema Corte non sembra aver trovato una linea comune, univoca e condivisa.
Pur se il criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo del lavoratore da quello che non lo è, ha sostenuto nella Sentenza stessa la Corte suprema, è basato sullo svolgimento delle proprie mansioni nel concetto di esorbitanza vanno incluse anche l’inosservanza a precise norme antinfortunistiche o la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute sempre a condizione che tale comportamento non risulti determinato da carenze o inidoneità delle norme di sicurezza adottate dal datore di lavoro.

La Corte di Appello ha riformato, con esclusivo riferimento alla concessione delle circostanze attenuanti generiche e rideterminazione della pena in quindici giorni di reclusione, la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale nei confronti di un datore di lavoro, imputato del reato previsto dall’articolo 590 del Codice Penale in relazione all’articolo 583 del Codice Penale perché, nella sua qualità, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e inosservanza delle norme dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in particolare per violazione dell’articolo 68 del D.P.R.547/55, omettendo di proteggere o comunque di dotare di idoneo dispositivo di sicurezza gli organi lavoratori delle macchine e le relative zone di operazione, ha cagionato ad una dipendente, con la qualifica di operaia addetta al reparto frigo, lesioni personali guaribili in 92 giorni.
L’infortunio era accaduto mentre la lavoratrice svolgeva mansioni di addetta a una foratrice allorquando questa si è inceppata a causa di una basetta facente parte del macchinario che si era incastrata nei meccanismi di trazione. In particolare la lavoratrice, nonostante fosse a conoscenza della procedura idonea a sbloccare la foratrice in sicurezza, ha preso un cacciavite e ha infilato la mano, protetta dal guanto, in un piccolo varco presente nel recinto di protezione in plexiglas posto a copertura degli ingranaggi del macchinario. Una volta sbloccato il meccanismo, la foratrice si è riattivata agganciando il guanto di protezione e trascinando la mano della lavoratrice stessa tra gli ingranaggi, con conseguente frattura esposta del terzo dito della mano destra.

Il datore di lavoro ha ricorso per Cassazione censurando la decisione impugnata sostenendo che la Corte di Appello avesse desunto la sua colpa dalla violazione di una generica norma cautelare, ossia dall’aver omesso di adottare la cautela di impedire l’avvicinamento della lavoratrice alla zona di operazione della macchina, mentre l’imputazione si riferiva alla specifica norma cautelare dettata dall’articolo 68 del D.P.R.547/55 che prevede che “gli organi lavoratori delle macchine e le relative zone di operazione, quando possono costituire un pericolo per i lavoratori, devono, per quanto possibile, essere protetti o segregati oppure provvisti di dispositivo di sicurezza”.
Secondo il ricorrente, quindi, il Giudice avrebbe dovuto accertare in concreto l’avvenuta violazione della più generica regola cautelare così identificata e avrebbe dovuto altresì motivare l’insufficienza della barriera protettiva di plexiglas posta attorno alla macchina, tanto sotto il profilo dell’inidoneità della decisione aziendale di posizionare tale barriera alla distanza di almeno 85 centimetri dagli ingranaggi quanto sotto il profilo del posizionamento del varco di 10 centimetri a un’altezza tale da rendere necessaria una condotta positiva del lavoratore finalizzata al superamento dell’ostacolo costituito dalla posizione in quota della predetta fessura.

Nel ricorso l’imputato ha riscontrato, altresì, una violazione della legge penale sostanziale con riferimento ai principi che regolano l’individuazione della violazione di una regola cautelare. Premesso che l’infortunio era stato causato da una deliberata decisione della lavoratrice, munitasi di un cacciavite e arrampicatasi sui caricatori della macchina per accedere per il tramite di un varco di dieci centimetri alla zona meccanica della macchina, il ricorrente ha sostenuto l’erroneità della decisione di ritenere penalmente rilevante la condotta del datore di lavoro per aver tratto dall’articolo 2087 del Codice Civile il suo dovere di garantire la sicurezza assoluta dei lavoratori, per aver trascurato che la presenza dei varco di dieci centimetri costituiva una condizione essenziale per il funzionale esercizio della macchina e che la segregazione richiesta dall’articolo 68 del D.P.R.547/55 è imposta “per quanto possibile”, per avere altresì omesso di considerare il legittimo affidamento dell’imputato nel comportamento della dipendente conforme alle direttive ricevute, desumibile dall’obbligo diffuso che grava su tutti i soggetti dell’organizzazione aziendale, ivi inclusi i lavoratori a norma dell’articolo 20 del D.Lgs.81/08, a carico dei quali sono previste sanzioni penali in caso di inosservanza delle direttive comportamentali derivanti da soggetti apicali, per avere ritenuto che la condotta della lavoratrice rientrasse nel segmento lavorativo attribuitole nonostante si trattasse di condotta difforme dalle direttive di organizzazione ricevute ed esorbitante dalle mansioni attribuitele e per avere infine omesso di applicare il principio secondo il quale il vigente sistema penale non assicura la sua protezione a chi, nella piena consapevolezza del pericolo, si espone per propria decisione ad esso.

Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. E’ risultata pacifica e condivisa, ha messo in evidenza la Corte suprema, la circostanza che la lavoratrice fosse stata adeguatamente informata sulle procedure che, in assoluta sicurezza e senza rischio alcuno per la sua incolumità, le avrebbero consentito di fronteggiare la situazione da cui si è originato l’infortunio. La stessa, infatti, per accedere alla macchina avrebbe dovuto aprire la porta di sicurezza, dotata di dispositivo di blocco del funzionamento all’apertura, ovvero chiamare l’addetto alla manutenzione. Nella Sentenza inoltre, ha fatto osservare la Sezione IV, è stato riportato quanto dalla stessa dichiarato e cioè che aveva già operato in precedenti analoghe occasioni nel rispetto delle prescrizioni di sicurezza.

E’ risultata pacifica, inoltre, la circostanza che il varco nel quale la lavoratrice ha infilato il braccio fosse funzionale al processo produttivo e che gli organi lavoratori della macchina fossero integralmente protetti e segregati, fatta eccezione per il suindicato varco, da un recinto di protezione. Sulla base di tali premesse la Corte territoriale, a differenza del Tribunale, non aveva ravvisata la violazione della specifica regola cautelare contestata, ossia quella di cui all’articolo 68 del D.P.R.547/55, ma ha confermata la pronuncia di condanna sussumendo la violazione nella generale norma prevenzionale dettata dall’articolo 2087 del Codice Civile secondo la quale l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

In merito al nesso di causalità, ha fatto notare altresì la Sezione IV, la Corte territoriale aveva escluso che il comportamento della lavoratrice avesse avuto effetto interruttivo sul presupposto che l’infortunio era riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta, essendo la dipendente addetta al controllo della macchina foratrice ed essendosi l’infortunio verificato all’interno del ciclo produttivo, e che la lavoratrice aveva compiuto un’operazione rientrante nel segmento di lavoro attribuitole. Secondo la stessa Corte territoriale quindi il comportamento della lavoratrice non è consistita in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e pertanto prevedibili scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, ma è stato solo un gesto imprudente compiuto nell’esercizio delle proprie mansioni lavorative.

La Corte di Cassazione al fine di valutare la legittimità delle argomentazioni svolte in proposito dai giudici di merito ha ritenuto opportuno richiamare in sintesi alcuni principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di condotta cosiddetta abnorme del lavoratore, da valutare in applicazione dell’articolo 41, comma 2 del Codice Penale, a norma del quale il nesso eziologico può essere interrotto da una causa sopravvenuta che si presenti come atipica, estranea alle normali e prevedibili linee di sviluppo della serie causale attribuibile all’agente e costituisca, quindi, un fattore eccezionale.
La Corte di Cassazione ha quindi messo in evidenza che nelle decisioni assunte precedentemente in merito dalla stessa Corte “se da un lato, è stato posto l’accento sulle mansioni del lavoratore, quale criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo da quello che non lo è, nel concetto di esorbitanza si è ritenuto di includere anche l’inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a condizione che l’infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro”.

“In sintesi” - ha così proseguito la Sezione IV - “si può cogliere nella giurisprudenza di legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso, ma anche quando, pur collocandosi nell’area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute e, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; quest’ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio e adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro”.

Dai principi così richiamati, ha così concluso la suprema Corte, si può, dunque, sviluppare il seguente corollario: “si deve ritenere abnorme o, comunque, eccezionale e, in quanto tale, idoneo a interrompere il nesso di causa tra la condotta datoriale e l’evento il comportamento del lavoratore esorbitante dalle precise direttive impartitegli, così qualificabile qualora, per la serie di operazioni messe in atto al fine di superare le barriere poste a presidio della sua sicurezza, riveli la piena consapevolezza di violare le prescrizioni datoriali ponendo inoltre in essere, come nel caso in esame, una condotta, ex se, fonte di pericolo (nella concreta fattispecie, la lavoratrice si era addirittura arrampicata sui bidoni di alimentazione del macchinario allungandosi per raggiungere in quota una piccola feritoia di 10 centimetri in cui infilare una mano con la quale impugnava un cacciavite, e ciò in assenza di qualsiasi esigenza tecnica che rendesse necessaria una così azzardata ed anomala e dunque imprevedibile manovra)”.

Alla luce in definitiva dei principi sopra indicati la Corte di Cassazione ha ritenuta quindi la pronuncia impugnata viziata dalla violazione dell’articolo 41, comma 2 del Codice Penale, laddove si è ritenuto che il comportamento della lavoratrice non fosse qualificabile come causa sopravvenuta sufficiente a determinare l’evento, nonostante fosse stato accertato che il datore di lavoro avesse adottato le misure prevenzionistiche funzionali a segregare gli organi lavoratori della macchina e avesse adeguatamente informato e formato la lavoratrice in merito ai comportamenti da adottare qualora si fosse verificato l’inceppamento del macchinario al quale era addetta e nonostante fosse stato accertato che la lavoratrice avesse violato le direttive ricevute mettendo in atto una serie di operazioni (prendere un cacciavite, raggiungere allungandosi il varco di dieci centimetri presente nel recinto segregatore e infilarvi il braccio) rivelatrici della piena consapevolezza di violare tali direttive.
Pertanto la Corte di Cassazione ha annullata la Sentenza impugnata senza rinvio “perché le pacifiche acquisizioni istruttorie enunciate nel provvedimento non consentivano di pervenire alla condanna, in presenza di una evidente causa interruttiva del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento infortunistico ascrittogli”.

La Sentenza n.4890 del 2 febbraio 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è consultabile all’indirizzo:

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