NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE PER MICROCLIMA CALDO E ESPOSIZIONE A
RAGGI SOLARI
Con
l’avvicinarsi della stagione estiva, molte categorie di lavoratori che operano
all’aperto (in genere lavoratori edili, agricoli, della industria peschiera,
ecc.), si troveranno ad affrontare condizioni di alte temperatura e umidità ed
esposizione diretta ai raggi del sole.
Al di là
del semplice aspetto di disagio fisico (accompagnato dal fatto che spesso al
lavoro all’aperto si associa anche sforzo muscolare), occorre considerare che
tali condizioni di lavoro possono portare a patologie professionali anche gravi
e a infortuni derivanti dalle disagevoli condizioni psicofisiche.
Ricordo
infatti, ad esempio, che condizioni di lavoro termiche estreme calde possono
portare a collassi cardiocircolatori, mentre l’esposizione prolungata ai raggi
solari (radiazioni ottiche naturali) può portare a carcinomi della pelle.
Tutti i
rischi correlati al lavoro all’aperto nella stagione estiva devono essere
debitamente considerati nel documento di valutazione dei rischi.
Infatti
tale tipologia di fattori di rischio rientra tra gli agenti fisici pericolosi
per la salute di cui al Titolo VIII del D.Lgs.81/08, che riguarda appunto gli
agenti fisici, così come definiti dall’articolo 180, comma 1:
“Ai fini del presente decreto legislativo per
agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le
vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di
origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono
comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori”.
Per tutti
tali agenti il datore di lavoro ha l’obbligo di eseguire una specifica
valutazione del rischio, all’interno della quale definire le misure di
prevenzione e protezione per la protezione della salute dei lavoratori. Tale
obbligo è sancito dall’articolo 181 del Decreto:
“1. Nell’ambito della valutazione di cui
all’articolo 28, il datore di lavoro valuta tutti i rischi derivanti da
esposizione ad agenti fisici in modo da identificare e adottare le opportune
misure di prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di
buona tecnica ed alle buone prassi.
2. La valutazione dei rischi
derivanti da esposizioni ad agenti fisici é programmata ed effettuata, con
cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio
di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia. La
valutazione dei rischi é aggiornata ogni qual volta si verifichino mutamenti
che potrebbero renderla obsoleta, ovvero, quando i risultati della sorveglianza
sanitaria rendano necessaria la sua revisione. I dati ottenuti dalla valutazione,
misurazione e calcolo dei livelli di esposizione costituiscono parte integrante
del documento di valutazione del rischio.
3. Il datore di lavoro nella
valutazione dei rischi precisa quali misure di prevenzione e protezione devono
essere adottate. La valutazione dei rischi é riportata sul documento di
valutazione di cui all’articolo 28, essa può includere una giustificazione del
datore di lavoro secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono
necessaria una valutazione dei rischi più dettagliata”.
In
generale la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’articolo 181 del
Decreto, configurandosi come violazione dell’articolo 29, comma 1, relativo
all’obbligo della redazione della valutazione del rischio è punita,
dall’articolo 55, comma 1, lettera a), con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Nello
specifico poi la violazione, da parte del datore di lavoro,
dell’articolo 181, comma 2 del decreto è punita, dall’articolo 219, comma 1,
lettera a), con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 2.500
a 6.400 euro.
Oltre agli obblighi generali di prevenzione e
protezione dagli agenti fisici legati al microclima e alle radiazioni solari,
il datore di lavoro e i dirigenti sono obbligati a fornire ai lavoratori e ai
RLS adeguata e specifica informazione e formazione, come stabilito
dall’articolo 184 del Decreto:
“Nell’ambito degli obblighi di cui agli
articoli 36 e 37, il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori esposti a
rischi derivanti da agenti fisici sul luogo di lavoro e i loro rappresentanti
vengano informati e formati in relazione al risultato della valutazione dei
rischi con particolare riguardo:
a) alle misure adottate in
applicazione del presente titolo;
b) all’entità e al significato dei
valori limite di esposizione e dei valori di azione definiti nei Capi II, III,
IV e V, nonché ai potenziali rischi associati;
c) ai risultati della valutazione,
misurazione o calcolo dei livelli di esposizione ai singoli agenti fisici;
d) alle modalità per individuare e
segnalare gli effetti negativi dell’esposizione per la salute;
e) alle circostanze nelle quali i
lavoratori hanno diritto a una sorveglianza sanitaria e agli obiettivi della
stessa;
f) alle procedure di lavoro sicure
per ridurre al minimo i rischi derivanti dall’esposizione;
g) all’uso corretto di adeguati
dispositivi di protezione individuale e alle relative indicazioni e
controindicazioni sanitarie all’uso”.
La violazione,
da parte del datore di lavoro o dei dirigenti, dell’articolo 184 del Decreto è
punita dall’articolo 219, comma 2, lettera b) con l’arresto da due a quattro mesi o con
l’ammenda da 750 a 4.000 euro.
Infine i lavoratori esposti in maniera significativa a microclima caldo e
a radiazioni solari devono essere sottoposti a specifica sorveglianza
sanitaria, secondo quanto disposto dall’articolo 185 del Decreto:
“1. La sorveglianza sanitaria dei lavoratori
esposti agli agenti fisici viene svolta secondo i principi generali di cui
all’articolo 41, ed é effettuata dal medico competente nelle modalità e nei
casi previsti ai rispettivi capi del presente titolo sulla base dei risultati
della valutazione del rischio che gli sono trasmessi dal datore di lavoro per
il tramite del servizio di prevenzione e protezione.
2. Nel caso in cui la sorveglianza
sanitaria riveli in un lavoratore un’alterazione apprezzabile dello stato di
salute correlata ai rischi lavorativi il medico competente ne informa il
lavoratore e, nel rispetto del segreto professionale, il datore di lavoro, che
provvede a:
a) sottoporre a revisione la
valutazione dei rischi;
b) sottoporre a revisione le misure
predisposte per eliminare o ridurre i rischi;
c) tenere conto del parere del
medico competente nell’attuazione delle misure necessarie per eliminare o
ridurre il rischio”.
La violazione da parte del medico competente
dell’articolo 185 del decreto è punita, dall’articolo 220, con l’arresto fino tre mesi o con
l’ammenda da 400 a 1.600 euro.
Tenendo conto che su questi argomenti (come d’altro canto su molti altri
relativi alla tutela della salute e della sicurezza) le aziende fanno poco o
niente, nel seguito riporto due schede (estratte dal Piano Operativo di
Sicurezza di un’azienda edile) da me redatte relativamente ai possibili rischi
derivanti dal microclima caldo e/o dalle radiazioni ottiche solari, alle misure
di prevenzione e protezione, alle procedure da adottare per eliminare o ridurre
i rischi e infine alla sorveglianza sanitaria a cui sottoporre i lavoratori
esposti.
Ricordo che tutte le misure indicate nelle schede sono a totale onere e
responsabilità del datore di lavoro e/o dei dirigenti e del medico competente.
Marco Spezia
* * * * *
MICROCLIMA CALDO
POSSIBILI RISCHI
Tenendo conto del periodo temporale in cui verranno eseguiti i lavori e
che parte di essi verranno eseguiti all’aperto e in zone non ombreggiate,
potranno essere presenti nei luoghi di lavoro temperature superiore ai 30 °C, accompagnate da tassi
di umidità elevati (> 80%) tali da creare condizioni microclimatiche di
discomfort termico (ambienti moderati caldi) o addirittura di stress termico
(ambienti estremi caldi).
In tali condizioni i rischi per la salute dei lavoratori sono, in ordine
di gravità:
-
disturbi dermatologici sotto forma di eruzioni
cutanee e vescicole;
-
sudorazione eccessiva con perdita di sali e
conseguente spossatezza, vertigini, nausea, cefalea;
-
sbalzi termici (soprattutto nel caso di utilizzo di
mezzi di sollevamento e trasporto condizionati o accesso alle baracche di
cantiere se condizionate) con conseguenti disturbi muscolari o del sistema
respiratorio;
-
congestioni da ingestione di bevande molto fredde;
-
modificazioni delle attività psicosensoriali e
psicomotorie, quali affaticamento e abbassamento del livello di attenzione;
-
crampi muscolari da calore;
-
instabilità del sistema cardiocircolatorio;
-
sincope da calore con possibile ipossia cerebrale e
perdita di coscienza;
-
colpo di calore con possibile perdita di coscienza,
coma.
Tali rischi per la salute, associati ai rischi specifici di cantiere,
possono poi essere fonte di infortuni anche gravi.
A tali rischi si sommano quelli derivanti da esposizione a radiazioni
ottiche naturali (vedi scheda specifica).
MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
Per limitare
l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli
effetti, il datore di lavoro e i dirigenti provvedono a:
-
definire
turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o serale (dalle 18
alle 24);
-
programmare
le lavorazioni più impegnative fisicamente nelle prime ore della mattina o
nelle ultime ore della sera;
-
prevedere adeguati periodi di riposo per le
lavorazioni più
impegnative fisicamente;
-
evitare lavorazioni in aree con scarso ricambio di
aria;
-
predisporre
ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
-
se
possibile prevedere l’umidificazione periodica delle pareti e dei pavimenti in
prossimità dei luoghi di lavoro;
-
mettere
a disposizione adeguati quantitativi di acqua minerale naturale da bere e di
acqua corrente per inumidirsi;
-
fornire ai lavoratori indumenti di lavoro in tessuto
naturale e non sintetico;
-
fornire ai lavoratori adeguati copricapi (berretti in cotone con visiera o cappelli a
larga falda in paglia);
-
eseguire manutenzione preventiva dei sistemi di
climatizzazione dei mezzi di sollevamento e trasporto e delle baracche di
cantiere, con verifica dell’efficienza e pulizia dei filtri.
PROCEDURE DI LAVORO
Per limitare
l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli
effetti, i lavoratori interessati sono tenuti a:
-
evitare
l’esposizione prolungata ai raggi solari, alternando lavori al sole con lavori
in zone d’ombra;
-
se molto sudati, evitare l’esposizione a zone
fortemente ventilate;
-
bere regolarmente acqua minerale naturale non
fredda;
-
asciugarsi regolarmente il sudore;
-
inumidirsi regolarmente il capo;
-
se non obbligatorio indossare il casco
antinfortunistico, indossare berretti in cotone con visiera o cappelli a larga
falda in paglia;
-
in caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e
trasporto condizionati, mantenere una temperatura non eccessivamente bassa e
prevedere un periodo di acclimatazione con riduzione graduale della temperatura
impostata;
-
mantenere all’interno delle baracche, se dotate di
condizionatore, temperature non inferiori di 5 °C rispetto alla temperatura
esterna;
-
durante il pasto evitare l’assunzione di alimenti
ricchi di grassi, mentre è consigliabile l’assunzione di frutta e verdura;
-
in caso di percezione di sintomi quali giramenti di
testa, spossatezza, difficoltà di concentrazione, interrompere le attività e
portarsi in zona all’ombra e moderatamente ventilata.
SORVEGLIANZA SANITARIA
Per i lavoratori esposti in maniera significativa a
condizioni microclimatiche estreme calde, il medico competente, sentito il
Servizio di Prevenzione e Protezione ha previsto la seguente sorveglianza
sanitaria:
-
visita medica obiettiva cardiologica con cadenza
annuale;
-
elettrocardiogramma con cadenza biennale.
Su giudizio del medico competente sono poi possibili
come esami di secondo livello:
-
elettrocardiogramma sotto sforzo;
-
ecocardiografia.
ESPOSIZIONE A RADIAZIONI OTTICHE NATURALI (RAGGI SOLARI)
POSSIBILI RISCHI
Tenendo conto del periodo temporale in cui verranno eseguiti i lavori e
che parte di essi verranno eseguiti all’aperto e in zone non ombreggiate, i
lavoratori che non operano all’interno di mezzi di sollevamento e trasporto
potranno essere sottoposti a rischio da esposizione a radiazioni naturali
(raggi solari).
In tali condizioni i rischi per la salute dei lavoratori per la pelle
sono, in ordine di gravità:
-
eritema (scottatura);
-
reazione di fotosensibilità;
-
processo accelerato di invecchiamento;
-
tumori cutanei;
In tali condizioni i rischi per la salute dei lavoratori per gli occhi
sono, in ordine di gravità:
-
fotocheratite;
-
fotongiuntivite.
MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
Per limitare
l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli
effetti, il datore di lavoro e i dirigenti provvedono a:
-
definire
turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o serale (dalle 18
alle 24);
-
predisporre
ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
-
fornire ai lavoratori indumenti da lavoro a trama fitta in tessuto naturale e non
sintetico;
-
fornire ai lavoratori adeguati copricapi (berretti in cotone con visiera o cappelli a
larga falda in paglia);
-
fornire ai lavoratori creme per la pelle con Fattore
di Protezione Solare (FPS) per i raggi UVB pari almeno a 30 e fattore
Persistent Pigment Darkening (PPD) per i raggi UVA pari almeno a 10;
-
in caso di lavorazioni con possibilità di riflesso
dalla pavimentazione fornire ai lavoratori occhiali con numero di gradazione
per la protezione dalla luce solare pari almeno a 6-2 secondo UNI EN 172:2003.
PROCEDURE DI LAVORO
Per limitare
l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli
effetti, i lavoratori interessati sono tenuti a:
-
evitare
l’esposizione prolungata ai raggi solari, alternando lavori al sole con lavori
in zone d’ombra;
-
indossare
sempre gli indumenti da lavoro;
-
se non obbligatorio indossare il casco
antinfortunistico, indossare berretti in cotone con visiera o cappelli a larga
falda in paglia;
-
applicare a inizio lavorazioni la crema di
protezione solare, ripetendo l’applicazione almeno ogni 3 ore;
-
in caso di lavorazioni con possibilità di riflesso
dalla pavimentazione indossare occhiali con protezione UV;
-
in caso di percezione di sintomi quali bruciori
della pelle o degli occhi, interrompere le attività e portarsi in zona
all’ombra.
SORVEGLIANZA SANITARIA
Per i lavoratori esposti in maniera significativa a
radiazioni ottiche naturali (raggi solari), il medico competente, sentito il
Servizio di Prevenzione e Protezione ha previsto la seguente sorveglianza
sanitaria:
-
visita medica obiettiva dermatologica con cadenza
annuale.
Su giudizio del medico competente sono poi possibili
come esami di secondo livello:
-
visita medica specialistica dermatologica.
NOTA SUL RISCHIO
CALORE
Da
Ufficio Salute Ambiente Sicurezza FIOM CGIL
20
Maggio 2016
Nelle
prossime settimane si determineranno condizioni climatiche caratterizzate da
alte temperature che proseguiranno, salvo brevi interruzioni per tutto il mese
di giugno e luglio, a causa dei cambiamenti climatici causati dall’eccessivo
riscaldamento dell’atmosfera per le notevoli quantità di anidride carbonica
emessa.
Il
prevedibile eccessivo calore degli ambienti di lavoro, somma del calore
prodotto dalle macchine e del calore esterno non sarà circoscritto, come negli
anni passati, solo alle prime due settimane di luglio con le cosiddette “ondate
di calore” ma permarrà per molto tempo e deve essere affrontato per tempo e
adeguatamente.
E’
opportuno che le RSU e gli RLS chiedano alle direzioni aziendali l’immediata
apertura di un confronto per valutare correttamente il rischio del calore
eccessivo, individuando i più adeguati e urgenti interventi e nel contempo
dando adeguate informazioni ai lavoratori.
Nell’eventualità
che le aziende si rendessero indisponibili a tale confronto, si deve immediatamente
inviare denuncia, firmata dagli RLS e dal segretario territoriale della FIOM,
al Servizio di Prevenzione e Protezione sul lavoro delle Asl competenti.
In
assenza degli interventi necessari, in attesa dell’intervento della ASL,
determinandosi le condizioni di alta temperatura, scarsa o nulla ventilazione,
rischio di stress calorico per i lavoratori, gli RLS possono comunque chiedere
ai lavoratori di interrompere le attività lavorative, intendendo tale
astensione lavorativa non come sciopero, ma applicazione di ciò che è previsto
dal D.Lgs 81/08 in tema di tutela della salute dei lavoratori, in quanto sono
state disattese le norme presenti nell’allegato IV dello stesso Decreto al
capitolo 1.9 (microclima) e in particolare al comma 1.9.1 (aerazione dei luoghi
di lavoro chiusi), comma 1.9.2 (temperatura dei locali) e 1.9.3 (umidità).
La
retribuzione riferita al periodo di astensione lavorativa a causa dell’alta
temperatura deve essere, dalle aziende integralmente retribuita come
espressamente norma l’articolo 1206 del Codice Civile che afferma “Quando la
prestazione offerta dal lavoratore non è eseguibile per danno imputabile
all’azienda il rischio della obbligazione, cioè la retribuzione ricade
sull’azienda medesima”.
Il
calore eccessivo negli ambienti di lavoro può risultare ai lavoratori e
soprattutto alle lavoratrici insopportabile in quanto si accompagna a stati di
malessere che possono risultare anche di natura acuta tale da portare a uno
stato di stress calorico.
Lo
stress da calore può essere colto anticipatamente se si presta grande attenzione
a quei sintomi che correttamente si definiscono “eventi sentinella” che
sommariamente e per esemplificazione possono essere: cefalee, confusione
mentale e comportamenti insicuri.
A
seguire riportiamo gli effetti sulla salute dello stress da calore:
-
sfogo
da calore: si presenta con sfoghi rossi irregolari con prurito; occorre
cambiare i vestiti con vestiti asciutti, evitare ambienti caldi, rinfrescare la
pelle con acqua fresca;
-
svenimento:
è preannunciato da pelle pallida e fredda, polso debole; occorre ricevere cure
mediche, spostare la persona in area fresca, allentare i vestiti, farla
sdraiare, se la persona è cosciente offrire piccoli sorsi d’acqua;
-
crampi
di calore: i crampi di calore sono dolorosi spasmi involontari della
muscolatura, l’inadeguata assunzione di liquidi spesso contribuisce a questo
problema, i muscoli più colpiti sono polpacci, braccia, addome e schiena; in
presenza di un crampo occorre fermarsi e bere acqua, fare un leggero stiramento
e massaggio;
-
sfinimento
di calore: assomiglia molto allo shock, appare in maniera improvvisa, con i sintomi
dello svenimento, nausea, pallore, polso rapido, bassa pressione sanguigna,
pelle rossa, secca, febbre lieve; occorre portare la persona in un luogo
ombreggiato, stenderla, alzargli leggermente le gambe, allentare o rimuovere i
vestiti, fare bere acqua senza ghiaccio, rinfrescare la persona spruzzando
acqua fresca;
-
colpo
di calore: si manifesta con aumento della temperatura corporea sopra i 40
gradi, pelle secca, alterazione della coscienza, battito cardiaco accelerato,
respiro rapido, cessazione della sudorazione; occorre spostare la persona
lontana dalla fonte di calore, in un luogo ombreggiato o climatizzato, chiamare
il 118, spruzzare acqua fresca.
Per
impedire l’instaurarsi di tali situazioni bisogna individuare correttamente gli
obiettivi da conseguire nello svolgimento della riunione con l’azienda.
A
tale proposito vi proponiamo una sintesi delle linee guida che sono state
definite e prescritte da diversi Servizi di Prevenzione delle ASL, sia per una
corretta valutazione del rischio e sia per attivare le misure necessarie a
impedirli.
Occorre
dare immediatamente la più estesa informazione ai lavoratori sui rischi
inerenti i colpi di calore.
E’
essenziale che i lavoratori imparino a riconoscere i segnali precoci del
sintomo dello stress da calore e che sappiano come prevenirli:
-
aumentando
la quantità di acqua bevuta, almeno 240 ml ogni 20 minuti;
-
richiedendo
l’effettuazione di pause lavorative aggiuntive;
-
utilizzando
un vestiario adeguato (l’evaporazione del sudore è il primo modo con cui il corpo
elimina l’accumulo di calore, perciò il miglior abbigliamento è quello che
rende più facile l’evaporazione del sudore e cioè magliette di cotone leggere e
pantaloni e intimo sempre di cotone e leggeri; per i lavoratori che indossano
tute o coperture sopra l’abbigliamento estivo si devono conteggiare circa 3
gradi in più di temperatura).
Insieme
al RSPP aziendale deve essere effettuato il processo di valutazione del rischio
da calore, non solo generale per l’intero sito lavorativo, ma per ciascun
reparto o area, selezionando le aree di lavoro più calde e determinando il
livello di dispendio calorico di ciascun lavoratore coinvolto secondo la norma
UNI EN 28996 e poi mappando le aree selezionate in base alla misurazione dei
parametri quali l’umidità relativa, misurata con l’igrometro, di cui l’azienda
deve dotarsi insieme al termometro. Deve essere anche misurata la velocità
dell’aria per ogni ora durante il turno pomeridiano, che è prevalentemente il
più caldo.
Il
rischio da calore eccessivo può essere più o meno ampio a secondo delle
attività svolte in ciascun reparto anche per la presenza di sorgenti interne di
calore.
La
valutazione del rischio deve essere fatta per tutte le postazioni tenendo conto
del dispendio energetico di ciascun lavoratore e secondo l’attività che svolge,
dell’isolamento termico determinato dal vestiario indossato, soprattutto se c’è
l’obbligo di indossare indumenti protettivi che ostacolano l’evaporazione del
sudore dell’umidità relativa, del calore radiante, della velocità dell’aria
circolante nell’ambiente di lavoro.
Fatta
la valutazione del rischio si deve verificare il risultato: se questo è alto,
già dalla fascia gialla e/o rossa devono essere messi immediatamente in atto
gli interventi correttivi e deve essere coinvolto anche il medico competente
per la necessaria sorveglianza sanitaria:
-
bisogna
ridurre il dispendio energetico di ciascun lavoratore, diminuendo il carico di
lavoro fisico aumentando il numero e la durata delle pause e riducendo la
frequenza e la velocità delle linee di produzione;
-
si
deve aumentare la velocità di circolazione dell’aria, aumentando la velocità di
condizionamento in presenza di eventuali impianti di condizionamento
centralizzati, aprendo porte e finestre, predisponendo opportuni e adeguati
ventilatori o condizionatori in prossimità di ogni postazione;
-
deve
rendersi disponibile per ogni lavoratore, vicino alla postazione di lavoro,
un’adeguata quantità di acqua fresca che significa, perlomeno la possibilità di
bere un bicchiere d’acqua ogni 20 minuti;
-
le
zone di riposo e la mensa devono essere condizionate per consentire una
adeguata dispersione di calore accumulato da ciascun lavoratore.
Riteniamo
utile che già dai prossimi giorni si proceda nella richiesta di incontri con le
aziende per far sì che ci sia il tempo corretto per fare la valutazione e per
predisporre le azioni opportune.
Speriamo
che queste indicazioni vi siano utili, chiarendo che sono ormai consolidate
norme e comportamenti definite dalle ASL e a cui le aziende non possono
opporsi.
NECESSITA’
DELL’INSERIMENTO NEL CODICE PENALE DEL REATO DI VESSAZIONI SUL LAVORO
Da:
Lavoro e Salute
06
luglio 2016
Sintesi
redazionale di un intervento dell’avvocato Alessandro Rombolà al convegno
tenutosi a Milano il 7 giugno 2016 “Stress, molestie lavorative e organizzative
del lavoro: aspetti preventivi clinici e normativi-giuridici. Le soluzioni
possibili”.
Il
problema è quello dell’opportunità che tutte le condotte illecite che, forse
con eccessiva semplificazione, sono comunemente conosciute come mobbing,
debbano o meno essere oggetto dell’attenzione del legislatore penale.
Parto
da una mia profonda convinzione: ritengo necessario un intervento legislativo
che dia disciplina unitaria e rigorosa completa a tale problema.
Infatti
sino ad oggi l’impressione degli addetti ai lavori è che il mobbing sia un
concetto elaborato dalla giurisprudenza ma, colpevolmente, poco considerato dal
legislatore.
La
Suprema Corte di Cassazione ha ormai elaborato da tempo il concetto di mobbing:
figura complessa che designa un eterogeneo fenomeno consistente in una serie di
atti e comportamenti vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei
confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo in cui è inserito
o dal suo capo, caratterizzati di un intento di persecuzione ed emarginazione
finalizzato all’obbiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo.
Questa
è la definizione che si ricava da una recentissima sentenza della Sezione
Lavoro della Corte di Cassazione (Sentenza n. 20230 del 25/09/14) che
sostanzialmente conferma i precedenti sul punto del giudice di legittimità.
Le
caratteristiche del mobbing sono state poi ribadite anche nella sentenza n.
10037 del 15/05/15 in cui la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito,
confermando la precedente giurisprudenza, che l’onere della prova grava
integralmente sul lavoratore che denunci di essere stato vittima di condotte
vessatorie da parte del datore di lavoro.
Onere
probatorio duplice in quanto il lavoratore parte offesa dovrà dare prova piena
e rigorosa sia del fatto che i comportamenti subiti abbiano natura illecita,
sia della quantificazione del danno subito.
Il
problema, dicevo, nasce dalla mancanza di una precisa definizione da parte del
legislatore il quale prende in considerazione (a mio parere in modo non sempre
convinto e convincente) e stigmatizza tali condotte.
Illuminante
è a tale proposito il D.Lgs. 81/08 il quale prende in considerazione anche le
patologie collegate allo stress lavoro-correlato, senza però (questa è almeno
l’impressione degli addetti ai lavori) dare indicazioni valide per la soluzione
concreta di tali problematiche.
Ed
allora la domanda che sorge spontanea è la seguente: nell’attuale ordinamento
giuridico italiano la normativa atta a contrastare il mobbing è da ritenersi
sufficiente e, soprattutto, efficace?
A
mio parere, sulla base della mia esperienza professionale quasi decennale sul
tema, la risposta non può essere che negativa.
Cercherò
di motivare tale mia convinzione.
Attualmente
due sono le strade sostanziali e processuali per tutelare i lavoratori che
siano stati vittima di mobbing: quella giuslavoristica-previdenziale e quella
penale.
Occorre
subito rilevare come l’opinione prevalente della giurisprudenza (confermata
dagli interventi di quasi tutti i magistrati che intervengono sul tema) è
quella di vedere con sospetto e talvolta con malcelato fastidio la tutela
penale.
Per
la giurisprudenza prevalente, il problema sul piano giuridico esiste, ma
l’unica strada da percorrere è quella della vertenza previdenziale
(riconoscimento della natura professionale della malattia da parte dell’INAIL)
e lavoristica.
Tale
assunto non mi trova d’accordo.
Come
ho detto poc’anzi, a oggi nel nostro ordinamento non esiste il reato di
mobbing.
Tale
assunto trova peraltro conferma in una sentenza della Sezione VI della
Cassazione penale la cui massima vale la pena di riportare: nel nostro Codice
Penale, nonostante una delibera del consiglio d’Europa del 2000 che vincolava
tutti gli stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non v’è
traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare la pratica persecutoria
definita mobbing. Pertanto, sulla base del diritto positivo, la via penale non
appare praticabile mentre è certamente percorribile la strada del procedimento
civile.
In
realtà occorre capire il motivo per cui l’azione penale (obbligatoria
nell’attuale ordinamento italiano) spesso si areni in richieste di
archiviazione troppo spesso proposte dai Pubblici Ministeri e puntualmente
accolte dai Giudici delle Indagini Preliminari.
A
mio parare tutto il problema nasce dal fatto che l’attuale legislazione penale
non prevede il mobbing quale autonomo reato penale.
Sino
ad oggi i Pubblici Ministeri delegati all’esercizio dell’azione penale si
trovano di fronte ad una oggettiva difficoltà di dare una precisa
qualificazione giuridica a condotte illecite inquadrabili nel mobbing.
Mancando
il reato di mobbing infatti, la fantasia si è sbizzarrita: talvolta
l’imputazione è quella di violenza privata; altre quella di lesioni personali
(dolose o colpose); altre ancora quella di violenza sessuale o, addirittura,
maltrattamenti in famiglia. Insomma, in mancanza di una precisa norma
incriminatrice, ogni Giudice o Pubblico Ministero è libero di rifarsi all’uno o
l’altro dei reati con effetti a dir poco deleteri.
Si
consideri poi che ogni reato ha sue peculiarità che rendono difficile
l’inserimento nel suo contesto del mobbing e quindi spesso il giudice è
costretto ad assolvere il mobber perché nella di lui condotta non sono stati
riscontrati tutti gli elementi di fatto e di diritto che il legislatore chiede
per quel tipo di reato.
Si
aggiunga poi la frequente inadeguatezza (spesso ignoranza, intesa ovviamente
come non conoscenza) dei medici legali chiamati come ausiliari dal Giudice e
dalle cui conclusioni dipendono troppo spesso le sorti dei processi penali.
In
base alle considerazioni sinora svolte, ritengo che sia non solo opportuno, ma
anche necessario che il legislatore affronti, nel quadro di una più complessa
disciplina unitaria del fenomeno, l’opportunità (ma arriverei a dire la
necessità) di introdurre nel nostro ordinamento il reato specifico di mobbing.
Attualmente
la legislazione è carente sul punto e questo comporta due conseguenze negative:
-
l’assoluta
inadeguatezza nella doverosa repressione dei fenomeni di mobbing;
-
l’assoluta
incertezza sull’esito delle denunce penali che troppo spesso dipende dalla
sensibilità (ed anche conoscenza del fenomeno) da parte dell’inquirente cui
viene assegnata l’istruttoria penale.
Ed
allora si deve, una volta per tutte, uscire dall’ipocrisia: o si ritiene che il
mobbing sia un fatto gravissimo (come in effetti è) e allora si mette mano a
provvedimenti efficaci per combatterlo; oppure si continua nell’incertezza
attuale con palliativi come quello di volere forzatamente includere il mobbing
in già esistenti figure di reato.
La
soluzione da me prospettata ovviamente non è esente da critiche: quella più
comune è che la mala pianta del mobbing va sradicata, ma senza arrivare alla
forzatura dell’intervento penale.
Gli
assertori di tale tesi fanno riferimento alle soluzioni che sono state adottate
(non sempre con successo, mi permetto di osservare) in altri paesi dove gli
ordinamenti spesso prevedono l’istituzione di collegi arbitrali o di
conciliazione nei quali dirimere (anche preventivamente) le controversie in
materia di mobbing; oppure l’adozione da parte delle aziende di codici etici o
comportamentali che dovrebbero risolvere, preventivamente, i casi di mobbing.
Sarò
sincero: non credo molto che l’adozione di tali strumenti in Italia possa
risolvere granché e questo per vari motivi.
In
primo luogo perché nel nostro paese manca una seria sensibilità culturale sul
problema, presupposto necessario e indispensabile per il buon esito di tali
soluzioni.
In
secondo luogo perché spesso il mobbing non è casuale, ma rientra in precise
strategie aziendali e quindi sarebbe ingenuo credere nella buona fede del
mobber (se l’avesse non sarebbe tale).
Infine
l’attuale gravissima crisi economica in cui versa il nostro paese impedisce una
seria valutazione delle problematiche conseguenti al mobbing.
Troppo
spesso la risposta (ahimè, anche da parte di taluni giudici) che viene data al
lavoratore vittima di condotte gravemente vessatorie è la seguente: ringrazia
che almeno il posto di lavoro lo hai.
Su
questi presupposti è pensabile la validità di soluzioni come quelle adottate
nei paesi nord europei?
Il
pessimismo è d’obbligo.
Concludo
queste mie osservazioni, esaminando brevemente un altro aspetto che rende auspicabile
(a mio parere) l’introduzione del reato di mobbing e la conseguente tutela in
ambito penale.
In
un processo penale vige il principio basilare della presunzione d’innocenza
dell’indagato-imputato e quindi è sull’accusa che ricade interamente l’onere di
provare la penale responsabilità del medesimo.
E’
del tutto evidente che il Pubblico Ministero abbia la possibilità di avvalersi
di strumenti inquisitori che sono preclusi al lavoratore vittima del sopruso.
Ma
allora ritenere, come fanno molti qualificati operatori, che la tutela in sede
civile sia assolutamente sufficiente è pura ipocrisia.
Ricordiamo
infatti quelli che, sul piano processuale civile, sono i principali ostacoli
alla tutela del lavoratore persona offesa:
-
la
difficoltà di fornire prove esaustive della condotta illecita di cui è rimasto
vittima sul luogo di lavoro;
-
la
mancata previsione delle malattie conseguenti ad azioni mobbizzanti nelle
tabelle INAIL: non essendo malattie tabellate, la prova talvolta (anzi spesso)
è pressoché impossibile;
-
la
difficoltà di trovare magistrati e Consulenti Tecnici di Ufficio medico-legali
con una competenza specifica su tali illeciti e patologie.
In
sede penale, la questione cambia in quanto, il Pubblico Ministero
nell’esercizio dell’azione penale, ha poteri ispettivi e inquisitori preclusi
al lavoratore, parte offesa.
Ecco
perché la repressione penale di queste condotte illecite sarebbe infinitamente
più efficace e quindi è auspicabile.
Questo
è l’attuale stato dell’arte.
Ormai
da tempo l’Associazione Italiana Benessere e Lavoro (AIBeL) sta conducendo una
lotta per l’introduzione del reato di condotte vessatorie sul luogo di lavoro.
Si tratta di un’iniziativa che ha portato alla stesura di un disegno di legge
che l’Associazione sta illustrando e facendo conoscere nel corso di seminari e
convegni in tutta Italia.
Anche
in questo caso, come d’altronde in tutte le battaglie dure e difficili,
soltanto l’azione congiunta di tutte le realtà che, a vario titolo si occupano
del tema del disagio lavorativo, potrà portare a qualche risultato utile.
REGOLAMENTO
EUROPEO DPI: PROGETTAZIONE E REQUISITI DEI DISPOSITIVI
Da: PuntoSicuro
01 luglio 2016
Indicazioni sui requisiti essenziali di
salute e di sicurezza dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) come
riportati nel nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del 9 marzo 2016. Focus sui
principi di progettazione e sull’innocuità dei DPI.
L’articolo 5 è chiaro: i DPI devono
soddisfare i requisiti essenziali di salute e di sicurezza, di cui all'Allegato
II, ad essi applicabili. E il quarto “Considerando” sottolinea che tali
requisiti essenziali di salute e di sicurezza, come le procedure di valutazione
della conformità dei DPI, devono essere identici in tutti gli Stati membri
dell’Unione Europea.
Stiamo parlando di quanto contenuto nel nuovo
Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo
2016 sui DPI, che abroga la Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989.
Regolamento che è già entrato in vigore, ma che si applicherà (con alcune eccezioni)
dal 21 aprile 2018 (è in questa data che sarà abrogata la Direttiva
89/686/CEE).
Con questo articolo, PuntoSicuro comincia ad
affrontare il delicato argomento dei requisiti essenziali di salute e di
sicurezza dei DPI, come riportati nell’Allegato II del nuovo Regolamento.
Vediamo alcune osservazioni preliminari contenute
nell’Allegato II:
-
i
requisiti essenziali di salute e di sicurezza elencati nel presente Regolamento
sono inderogabili;
-
gli
obblighi relativi ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza si applicano
soltanto se per il DPI in questione sussiste il rischio corrispondente;
-
i
requisiti essenziali di salute e di sicurezza sono interpretati e applicati in
modo da tenere conto dello stato della tecnica e della prassi al momento della
progettazione e della fabbricazione, nonché dei fattori tecnici ed economici,
che sono conciliati con un elevato livello di protezione della salute e della
sicurezza;
-
il
fabbricante effettua una valutazione dei rischi al fine di individuare i rischi
che concernono il suo DPI; deve quindi progettarlo e fabbricarlo tenendo conto
di tale valutazione;
-
in
sede di progettazione e di fabbricazione del DPI, nonché all'atto della
redazione delle istruzioni, il fabbricante considera non solo l'uso previsto
del DPI, ma anche gli usi ragionevolmente prevedibili; se del caso, occorre
assicurare la salute e la sicurezza delle persone diverse dall'utilizzatore.
Vediamo anche alcuni requisiti di carattere
generale applicabili a tutti i DPI, ricordando che essi devono offrire una
protezione adeguata nei confronti dei rischi da cui sono destinati a proteggere.
Queste le indicazioni sui principi di
progettazione:
-
ergonomia:
i DPI devono essere progettati e fabbricati in modo tale che, nelle condizioni
prevedibili di impiego cui sono destinati, l'utilizzatore possa svolgere
normalmente l'attività che lo espone a rischi, disponendo al tempo stesso di
una protezione appropriata del miglior livello possibile;
-
livelli
e classi di protezione: il livello di protezione ottimale da prendere in
considerazione all'atto della progettazione è quello al di là del quale le
limitazioni risultanti dal fatto di portare il DPI ostacolerebbero il suo
utilizzo effettivo durante l'esposizione al rischio o il normale svolgimento
dell'attività; qualora le diverse condizioni prevedibili di impiego portino a
distinguere vari livelli di uno stesso rischio, all'atto della progettazione
del DPI devono essere prese in considerazione classi di protezione adeguate.
Altre indicazioni sono poi date
sull’innocuità dei DPI:
-
assenza
di rischi intrinseci e di altri fattori di disturbo: i DPI devono essere
progettati e fabbricati in modo da non creare rischi o altri fattori di
disturbo nelle condizioni prevedibili di impiego;
-
materiali
costitutivi appropriati: i materiali di cui sono fatti i DPI, compresi i loro
eventuali prodotti di decomposizione, non devono avere effetti negativi sulla
salute o sulla sicurezza degli utilizzatori;
-
stato
della superficie soddisfacente di ogni parte di un DPI a contatto con
l'utilizzatore: ogni parte di un DPI a contatto, o suscettibile di entrare in contatto
con l'utilizzatore durante l'impiego non deve avere asperità, spigoli vivi,
punte acuminate e simili suscettibili di provocare una irritazione eccessiva o
delle ferite;
-
impedimento
massimo ammissibile per l'utilizzatore: gli impedimenti causati dai DPI alle azioni
da svolgere, alle posizioni da assumere e alle percezioni sensoriali devono
essere ridotti al minimo; inoltre, l'utilizzo dei DPI non deve comportare
azioni che potrebbero mettere in pericolo l'utilizzatore.
Segnaliamo che l’Allegato II si sofferma poi
su altri aspetti quali il comfort e l’efficacia dei DPI e le istruzioni fornite
obbligatoriamente dal fabbricante.
Queste le indicazioni della normativa europea
sui requisiti di comfort ed efficacia:
-
adeguamento
dei DPI alla morfologia dell'utilizzatore: i DPI devono essere progettati e fabbricati
in modo tale da poter essere correttamente posizionati il più comodamente
possibile sull'utilizzatore e da rimanervi durante il periodo di impiego
prevedibile, tenendo conto dei fattori ambientali, dei gesti da compiere e
delle posizioni da assumere; a tal fine deve essere possibile adattare i DPI
alla morfologia dell'utilizzatore mediante ogni mezzo opportuno, come adeguati
sistemi di regolazione e fissaggio o una gamma sufficiente di misure e numeri;
-
leggerezza
e solidità: i DPI devono essere il più possibile leggeri senza pregiudicarne la
solidità e l'efficacia; i DPI devono soddisfare i requisiti supplementari
specifici per assicurare una protezione efficace dai rischi che sono destinati
a prevenire e devono essere in grado di resistere ai fattori ambientali nelle
condizioni prevedibili di impiego;
-
compatibilità
tra tipi diversi di DPI destinati a essere utilizzati simultaneamente: se uno
stesso fabbricante immette sul mercato diversi modelli di DPI di tipi diversi
per assicurare simultaneamente la protezione di parti contigue del corpo, tali
modelli devono essere compatibili;
-
indumenti
protettivi contenenti dispositivi di protezione amovibili: gli indumenti
protettivi contenenti dispositivi di protezione amovibili costituiscono un DPI
e devono essere valutati in quanto combinazione durante le procedure di
valutazione della conformità.
Gli ultimi requisiti di carattere generale
applicabili a tutti i DPI, come riportati nell’Allegato II, riguardano le
istruzioni e le informazioni del fabbricante.
Si indica che le istruzioni fornite
obbligatoriamente dal fabbricante con i DPI devono recare, oltre al nome e
all'indirizzo del fabbricante, ogni informazione utile concernente:
a)
le
istruzioni di magazzinaggio, di impiego, di pulizia, di manutenzione, di
revisione e di disinfezione; i prodotti per la pulizia, la manutenzione o la
disinfezione consigliati dai fabbricanti non devono avere nell'ambito delle
loro modalità di impiego alcun effetto nocivo per i DPI o per l'utilizzatore;
b)
le
prestazioni registrate durante le pertinenti prove tecniche effettuate per
verificare i livelli o le classi di protezione dei DPI;
c)
se
del caso, gli accessori che possono essere utilizzati con i DPI e le
caratteristiche dei pezzi di ricambio appropriati;
d)
se
del caso, le classi di protezione adeguate a diversi livelli di rischio e i
corrispondenti limiti di utilizzo;
e)
laddove
applicabile, il mese e l'anno o il termine di scadenza dei DPI o di alcuni dei
loro componenti;
f)
se
del caso, il tipo di imballaggio appropriato per il trasporto;
g)
il
significato delle eventuali marcature (sul punto interviene, più nel dettaglio,
anche un successivo paragrafo dedicato ai DPI con una o più marcature o
indicazioni di identificazione riguardanti direttamente o indirettamente la
salute e la sicurezza);
h)
il
rischio da cui il DPI è destinato a proteggere;
i)
il
riferimento al Regolamento e, se del caso, i riferimenti ad altre normative di
armonizzazione dell'Unione;
j)
il
nome, l'indirizzo e il numero di identificazione dell'organismo notificato o
degli organismi notificati coinvolti nella valutazione della conformità dei
DPI;
k)
i
riferimenti alla o alle pertinenti norme armonizzate utilizzate, compresa la
data della o delle norme, o i riferimenti ad altre specifiche tecniche
utilizzate;
l)
l'indirizzo
internet dove è possibile accedere alla dichiarazione di conformità UE.
Si ricorda infine che le informazioni di cui
alle lettere i), j), k) e l) non devono essere contenute nelle istruzioni
fornite dal fabbricante, se la dichiarazione di conformità UE accompagna il
DPI.
Il Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui Dispositivi di Protezione
Individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio è scaricabile
all’indirizzo:
La Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989
del Consiglio delle Comunità Europee, concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati Membri relative ai Dispositivi di Protezione
Individuale è scaricabile all’indirizzo:
QUANDO NOMINARE IL
MEDICO COMPETENTE IN AZIENDA?
Da:
PuntoSicuro
05
luglio 2016
Un
volume dedicato alla Piccola e Media Impresa e al mondo dell’artigianato
riepiloga la normativa in materia di salute e sicurezza.
Focus
sulla nomina, sul ruolo, sulla funzione e gli obblighi del medico competente.
La sorveglianza sanitaria e i giudizi di idoneità.
Per
comprendere la figura del medico competente nel mondo del lavoro è importante
avere chiara la distinzione tra una malattia professionale e un infortunio
lavorativo. Se sono entrambi eventi dannosi per la salute del lavoratore, sono
distinguibili dal “fattore tempo”.
L’infortunio
sul lavoro è infatti l’evento dannoso (per causa violenta) per la salute del
lavoratore che si manifesta in un lasso di tempo molto breve, istantaneo; ad
esempio la lesione che si verifica a causa del contatto con una lama, dell’inciampo
su un gradino, della caduta di un carico su un piede, di un incidente d’auto,
ecc. Ovviamente l’evento deve avvenire in occasione di lavoro.
Mentre
la malattia professionale è l’evento dannoso per la salute del lavoratore che
si manifesta in un lasso di tempo lungo, a causa della ripetitività
dell’esposizione ad un agente (chimico, fisico o biologico) o a una postura, a
uno sforzo, a un movimento.
A
fare questa distinzione e a dare alcune indicazioni sul ruolo del medico
competente in azienda è il volume “Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e
nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”, realizzato dall’Organismo
Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia (OPRA Lombardia) e dai vari
Organismi Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA), che offre un utile
strumento di consultazione per favorire una corretta applicazione delle
disposizioni di legge.
Riguardo
alle malattie professionali il volume ricorda poi che queste sono elencate in
apposita lista definita “Tabella INAIL delle malattie professionali”. E ogni
forma morbosa che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa deve
essere denunciata all’INAIL, anche se non è compresa fra le malattie
“tabellate”; in questo caso il lavoratore avrà l’onere di dimostrare, attraverso
documentazione, il nesso causale tra l’attività lavorativa e la malattia.
Una
volta fatta la distinzione tra infortuni e malattie professionali, il volume
cerca di fornire una regola generale per stabilire quando è necessario
ricorrere alla figura del medico competente.
Ricordiamo
innanzitutto che il D.Lgs. 81/08, Testo Unico in materia di tutela della salute
e della sicurezza nei luoghi di lavoro, disciplina l’obbligo di nominare il
medico competente, i requisiti e i compiti di quest’ultimo: la Sezione V del
Capo III del Titolo I è dedicata alla sorveglianza sanitaria. In particolare il
datore di lavoro, se svolge attività per la quale è prevista la sorveglianza
sanitaria, ha l’obbligo di nominare il medico competente (articolo 18 del
D.Lgs. 81/08).
Il
medico competente è figura necessaria in quelle aziende nelle quali si svolgono
mansioni che espongono a un rischio di malattia professionale ad esempio
rischio di ipoacusie per lavoratori esposti al rumore, rischio di ernia discale
lombare per i lavoratori addetti a movimentazione manuale dei carichi eseguita
con continuità durante il turno lavorativo, il rischio di bronchiti croniche
per i lavoratori esposti a fumi e gas di saldatura, il rischio di asma
bronchiale per lavoratori esposti all’inalazione di polveri di legno, ecc.
E
dunque il ricorso alla figura del medico competente passerà necessariamente
attraverso il processo di valutazione dei rischi.
Il
documento OPRA, dopo aver elencato i requisiti che devono avere i medici
competenti, riporta anche obblighi e funzioni.
Sintetizzando
quanto riportato nell’articolo 25 del Testo Unico, il medico competente:
-
collabora
con il Datore di Lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla
valutazione dei rischi;
-
programma
ed effettua la sorveglianza sanitaria;
-
istituisce,
(...) aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella
sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria:
tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale presso il
luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente;
-
consegna
al Datore di Lavoro, alla cessazione dell’incarico, la documentazione sanitaria
in suo possesso, con salvaguardia del segreto professionale;
-
consegna
al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, la documentazione
sanitaria in suo possesso e gli fornisce le informazioni necessarie relative
alla conservazione della medesima;
-
fornisce
informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui
sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo
termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la
cessazione della attività che comporta l’esposizione a tali agenti;
-
informa
ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui
all’articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della
documentazione sanitaria;
-
comunica
per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all’articolo 35, i risultati
anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce
indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle
misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei
lavoratori;
-
visita
gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno o a cadenza diversa che
stabilisce in base alla valutazione dei rischi.
Inoltre
si ricorda che la sorveglianza sanitaria, effettuata dal medico competente,
comprende:
-
visita
medica preventiva;
-
visita
medica periodica (periodicità in linea di principio annuale);
-
visita
medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente
correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute;
-
visita
medica in occasione del cambio della mansione;
-
visita
medica alla cessazione del rapporto di lavoro (in alcuni casi previsti in
maniera specifica);
-
visita
medica preventiva in fase preassuntiva;
-
visita
medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di
salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi.
Si
ricorda poi che il medico competente svolge la propria opera o in qualità di
dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata,
convenzionata con l’imprenditore, o quale libero professionista o come
dipendente del Datore di Lavoro (articolo 39). E può avvalersi, per motivate
ragioni, della collaborazione di medici specialisti scelti dal Datore di Lavoro
che, in questo caso, ne sopporta gli oneri.
Ricordiamo,
a questo proposito, l’Interpello n. 27/2014 del 31 dicembre 2014 sul conflitto
di interessi delle ASL nell’attività di “sorveglianza sanitaria” assegnate al
medico competente.
Concludiamo
ricordando che il medico competente esprime inoltre i giudizi di idoneità
specifica alla mansione.
Giudizio
che potrà essere di:
-
idoneità;
-
idoneità
parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
-
inidoneità
temporanea;
-
inidoneità
permanente.
Si
ricorda che avverso tale giudizio è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla
data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza
territorialmente competente che dispone dopo eventuali ulteriori accertamenti,
la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.
Il
documento dell’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia
“Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e
cosa si deve fare”:
IMPARARE
DAGLI ERRORI: GLI INFORTUNI CON GLI AGENTI USTIONANTI
Da: PuntoSicuro
07 luglio 2016
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni correlati al contatto con
agenti ustionanti. Lo spostamento con carroponte di un recipiente con metallo
fuso, l’alimentazione di un forno di fonderia e l’uso di fiamme libere in
presenza di materiale infiammabile.
Quando si analizzano gli infortuni gravi nel
mondo del lavoro spesso si analizzano le cadute dall’alto, che (come ricordato
da una scheda informativa di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei
casi di infortunio) descrivono oltre la metà degli eventi mortali. O sulle
cadute di gravi sui lavoratori o sui problemi correlati alla perdita di controllo
di macchine e veicoli. Esistono tuttavia molte altre tipologie di infortuni di
cui possono essere vittime i lavoratori, magari meno diffuse e, in alcuni casi,
con conseguenze meno gravi, per le quali è necessario attuare precise strategie
di prevenzione.
Uno degli infortuni diffuso nei luoghi di
lavoro, e in relazione al quale sono presenti molte schede in INFOR.MO., è
correlato alla presenza e al contatto con agenti ustionanti, ad esempio in
relazione alla proiezione di schizzi di materiale incandescente.
Le dinamiche infortunistiche che presentiamo
sono chiaramente tratte dall’archivio di INFOR.MO. correlato al sistema di
sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il primo caso riguarda un infortunio dovuto a
un’ustione termica all’orecchio destro di un lavoratore.
Un lavoratore sta seguendo lo spostamento di
una siviera (un recipiente per metallo fuso) per mezzo di un carroponte dalla
zona forno alla zona fuori forno per poi proseguire con altre operazioni.
Nel percorrere la via l’uomo ha avvertito un
sibilo e si è accorto che un corpo estraneo incandescente è entrato nel suo
orecchio destro.
Il fattore causale dell’infortunio,
individuato nella scheda, è chiaramente la proiezione di un solido
incandescente nello spostamento di una siviera per mezzo di un carroponte.
Il secondo caso riguarda un infortunio
durante attività con il forno di fonderia.
Un lavoratore alimenta manualmente la bocca
del forno di fonderia, con i pezzi metallici di scarto. Durante tale operazione
un lapillo di materiale fuso, uscendo dalla bocca del forno, lo investe
colpendolo al ginocchio sinistro, e dopo aver forato la tuta ignifuga,
precipitando lungo la gamba, si deposita sul collo del piede sinistro.
Il lavoratore riporta una profonda ustione al
piede sinistro.
La bocca del forno fusorio non risultava
essere protetta da un idoneo schermo o riparo.
In questo caso sono due i fattori causali
rilevati:
-
la
bocca del forno era priva di schermi di protezione;
-
la
tuta ignifuga si buca con un lapillo di materiale fuso.
Il terzo caso riguarda un infortunio avvenuto
in un cantiere edile.
In un cantiere edile si stanno posizionando
dei pilastri prefabbricati. Durante la manovra di posizionamento il pilastro si
è incastrato e dopo vari tentativi si decide di allargare i fori della base del
pilastro utilizzando un cannello da taglio.
Si precisa che la parte esterna del muro
limitrofo, ove operano gli operai, è ricoperta da una guaina isolante
infiammabile.
Un lavoratore inizia ad operare con fiamma
libera, in presenza di materiale infiammabile e senza la dotazione del
paraschizzi.
Durante tale operazione del materiale fuso è
caduto sulla guaina incendiandola.
Due lavoratori sono stati investiti dal fuoco
procurandosi così ustioni su sedi multiple.
I fattori causali rilevati:
-
mancanza
di protezione da schizzi di materiale incandescente;
-
il
lavoratore utilizzava fiamma libera, in presenza di materiale infiammabile.
Benché il rischio di ustioni sia diffuso in
molti comparti lavorativi, uno degli ambiti lavorativi dove questo rischio è
più presente è il settore metalmeccanico.
In questo settore industriale il pericolo di
ustioni è presente sia nelle lavorazioni di carattere meccanico vero e proprio
(saldature, lavorazioni a caldo e a freddo dei metalli, lavorazioni su fonti
elettriche o in prossimità di superfici calde, quali tubazioni per fluidi di
processo), sia in quelle che prevedono l’uso di sostanze caustiche (decapaggio,
galvanica, sverniciatura).
E per trovare del materiale sulla prevenzione
dai rischi degli agenti ustionanti possiamo fare riferimento al documento
“Labor Tutor Un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio
tipici del settore metalmeccanico”, un opuscolo realizzato dall’INAIL in
collaborazione con ENFEA (Ente Nazionale per la Formazione e l’Ambiente) per
migliorare la tutela della sicurezza e salute dei lavoratori nel comparto
metalmeccanico.
Il documento ricorda che le ustioni si
possono distinguere in ustioni da agenti fisici (radiazioni solari, infrarosse
e ultraviolette; calore sotto forma di fiamma, di corpo solido ad alta temperatura,
di liquido bollente o vapore; corrente elettrica) e ustioni da agenti chimici
(ad esempio sostanze fortemente acide o fortemente basiche).
A seconda dell’aggressività dell’agente
ustionante, si possono avere lesioni più o meno gravi, ma la gravità dipende
anche dalla zona che viene colpita: l’ustione sulla superficie dell’occhio è
ben più grave dell’ustione sulla superficie del braccio. Ma ancora più
importante è l’estensione della superficie ustionata: ustioni che interessano
gran parte della superficie del corpo sono gravissime e spesso portano a morte.
E generalmente le situazioni che possono
determinare ustioni sono quasi sempre imputabili a carenze tecniche e/o
organizzative, che non permettono il contenimento del rischio. Infatti, le
proiezioni di corpi incandescenti o gli schizzi di sostanze caustiche, sono
spesso dovuti alla mancanza di adeguati schermi o alla carenza di dispositivi
individuali di protezione. Le ustioni causate dagli incendi sono determinate da
una sottostima del rischio in fase di analisi e quindi dalla carenza di
provvedimenti tecnici e organizzativi.
Senza dimenticare che gli infortuni possono
essere determinati anche dalla insufficiente informazione/formazione dei
lavoratori e dalla loro mancata percezione del rischio.
Le indicazioni sulle modalità di contenimento
dei rischi di ustione nell’industria metalmeccanica sono, a seconda dei casi:
-
proiezioni
di materiali incandescenti: schermi e barriere fisse o portatili durante le
operazioni di saldatura; schermi per intercettare schegge o trucioli
surriscaldati, provenienti dalla molatura o da lavorazioni per asportazione di
metalli, o schizzi di liquidi surriscaldati (oli, acqua);
-
irraggiamento:
sistemi di raffreddamento dell’aria in prossimità di fonti di calore intenso
(forni di cottura); barriere anti-irraggiamento adatte a radiazioni
ultraviolette o infrarosse (saldatura, trattamenti particolari quali le
lavorazioni al laser);
-
contatto
diretto con superfici calde: uso di sistemi di presa (pinze, ganci, ecc.) o di
guanti contro le alte temperature per la manipolazione di pezzi surriscaldati
dalle lavorazioni; uso di DPI (guanti, grembiuli, ecc.) resistenti alle alte
temperature per le lavorazioni di piegatura o deformazione a caldo; coibentazione
delle superfici di impianti caldi;
-
contatto
con sostanze chimiche: barriere fisse (ad esempio su vasche di decapaggio); DPI
(guanti, occhiali o schermi facciali, abiti resistenti a sostanze caustiche);
procedure per la decontaminazione da sostanze chimiche; procedure per la
manipolazione di sostanze reattive;
-
inalazione
di agenti ustionanti: adozione di impianti di captazione per impedire lo
sviluppo di concentrazioni pericolose di vapori chimici e se necessario
adozione di DPI (respiratori, maschere, ecc.); raffreddamento o captazione di
vapori o aria caldi;
-
contatto
con fiamme libere: adozione concreta delle misure di prevenzione degli incendi;
manutenzione periodica degli impianti e degli apparecchi che possono produrre
fiammate e incendi (revisione tubi gas, cannelli, valvole di non ritorno,
ecc.); utilizzo di abiti impermeabili e ignifughi, laddove è possibile che essi
si contaminino con sostanze infiammabili;
-
elettrocuzione:
procedure di manutenzione affidate solo a personale autorizzato ed esperto, per
le attività di manutenzione su quadri elettrici, cabine elettriche, cavi;
manutenzione periodica di impianti, apparecchi, quadri elettrici, ecc.
Il documento ricorda infine che, per ogni
tipo di rischio, deve essere innanzitutto verificata la possibilità di
eliminarlo alla fonte e/o cercare di contenerlo, con provvedimenti collettivi.
L’offerta tecnologica del mercato è in grado di soddisfare ampiamente la
necessità di protezione contro il rischio da ustione. Sono disponibili,
infatti, materiali ad alta resistenza termica e chimica per approntare barriere
o proteggere parti di macchine e impianti.
Nell’articolo abbiamo presentato le schede
numero 3598, 1518 e 2754 (archivio incidenti 2002/2010) tratto dal sito web di
INFOR.MO., consultabile all’indirizzo
Il documento “Labor Tutor Un percorso
formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore
metalmeccanico”, opuscolo realizzato dall’INAIL in collaborazione con ENFEA è
scaricabile all’indirizzo:
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