NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
RESPONSABILITA’ DELLA SICUREZZA DELLE ATTREZZATURE DI
LAVORO
LE
CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.77
Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR
RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne
fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di
lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di
richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire
con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti dei lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che
hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e
possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a
che fare con casi simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza
ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende
coinvolte.
Marco Spezia
QUESITO
Carissimo
Marco,
sono
RLS di azienda di igiene ambientale e ti sottopongo ancora una volta un quesito
sui Veicoli Raccolta Rifiuti (VRR).
Dopo
continue sollecitazioni all’azienda per una verifica e un controllo,
coinvolgendo anche gli Organi di Controllo ASL SPISAL, per quanto riguarda i
mezzi messi in servizio per la raccolta porta a porta, abbiamo riscontrato,
rispetto alle normative vigenti (la Direttiva Macchine 17/10, la norma UNI EN
1501-1:2015, gli articoli 70 e 71 del Testo Unico 81/08), alcune non conformità
(come il gradino di entrata nell’abitacolo a una altezza superiore a 53 cm, lo
scarico dei fumi da catalizzatore sul lato guida, in questo caso a destra, e il
sedile non ammortizzato dal quale si trasmettono tutte le sollecitazioni
muscolo-scheletriche e vibrazioni mano-braccio a danno dei colleghi).
L’azienda
ha predisposto un noleggio temporaneo con altri mezzi con le stesse
caratteristiche, salvo i sedili del guidatore, ai quali il fabbricante ha
applicato un ammortizzatore del quale ci riserviamo la sua efficacia dopo
l’uso, visto che è di nuova concezione.
Visto
tutto questo, la mia domanda sorge spontanea: ma qual è l’ente preposto alla
certificazione di tali mezzi e basta solo quello per autorizzare l’acquisto da
parte dell’azienda e al suo impiego?
Quanto
incide il Documento di Valutazione dei Rischi sulle scelte dei mezzi più idonei
a svolgere il nostro lavoro e quanto gli interessi economici per scegliere
mezzi certificati, ma non idonei per ciò che quotidianamente dobbiamo fare?
Vi
sono altri enti oltre alla ASL SPISAL con i quali confrontarci per avere
delucidazioni in merito alle scelte fatte dall’azienda?
Ti
ringrazio anticipatamente per il tempo utile che potrai dedicarmi per
poter svolgere nel migliore dei modi il mio mandato.
RISPOSTA
Ciao,
il quesito (anzi i quesiti) che mi poni è parecchio complesso perché va a coinvolgere le responsabilità di molte figure (costruttore, organismo notificato, datore di lavoro, utilizzatore, organismi di vigilanza) e interessa numerosa normativa in materia (D.Lgs.17/10, norma armonizzata, D.Lgs.81/08).
Una risposta esauriente e documentata da riferimenti normativi e giurisprudenziali prenderebbe lo spazio di un corposo articolo o forse di un libro (cosa che prima o poi farò, ma tu non puoi certo aspettare).
Mi limito pertanto, pur essendo rigoroso, a una risposta non eccessivamente approfondita e senza i riferimenti di dettaglio, che spero comunque possa esserti utile.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
IMMISSIONE SUL MERCATO DI UNA MACCHINA
L’immissione su una macchina sul mercato (cioè la sua commercializzazione o la sua messa a disposizione) è regolata dal D.Lgs.17/10 (recepimento italiano della Direttiva Macchine 2006/42/CE), che è legge dello stato e ha perciò carattere cogente, con apparato sanzionatorio di tipo penale.
L’immissione deve seguire ben determinati passi che si riassumono in:
- verifica del rispetto dei Requisiti Essenziali di Sicurezza (RES) di cui all’allegato I del D.Lgs.17/10;
- costituzione del fascicolo tecnico della macchina (il suo “progetto” secondo principi di salute e sicurezza, i cui contenuti sono stabiliti dal D.Lgs.17/10, da mantenere a disposizione degli organismi di vigilanza);
- redazione del manuale delle istruzioni (da consegnare all’utilizzatore);
- implementazione di procedure di valutazione della conformità di ciascuna macchina prodotta ai contenuti del D.Lgs.17/10 e del fascicolo tecnico;
- redazione per ogni singola macchina immessa sul mercato della dichiarazione di conformità CE che attesta la rispondenza della macchina al fascicolo tecnico e al D.Lgs.17/10;
- apposizione sulla macchina della marcatura CE.
Per le macchine in generale la valutazione della conformità della macchina al D.Lgs.17/10 e al fascicolo tecnico viene fatto internamente dal costruttore mediante:
- elaborazione del fascicolo tecnico;
- controllo interno della produzione per garantire il rispetto di ogni macchina costruita dei contenuti del fascicolo tecnico.
Per macchine “particolarmente pericolose” (mia semplificazione), quelle cioè elencate nell’allegato IV del D.Lgs.17/10 (tra cui i VRR) la procedura di valutazione della conformità avviene (nella maggior parte dei casi, ma ci sono altre possibilità) con l’intervento di un Organismo notificato (organismo privato autorizzato dal Ministero delle sviluppo economico secondo precisi criteri stabiliti dal D.Lgs.17/10) che provvede a:
- esame della correttezza del fascicolo tecnico e delle misure adottate nella progettazione della macchina con riferimento all’allegato I e a eventuali norme armonizzate;
- esame di un esemplare significativo della macchina e prove pratiche di verifica della rispondenza all’allegato I e a eventuali norme armonizzate;
- verifica della organizzazione del costruttore e della sua adeguatezza al rispetto per ogni singola macchina prodotta della conformità all’esemplare esaminato.
Il rispetto dei RES deve essere dimostrato all’interno del fascicolo tecnico (che deve a tale proposito contenere una analisi dei rischi e delle soluzioni adottate).
Il rispetto integrale di una norma armonizzata (norma tecnica emessa dalla EN e recepita in Italia dalla UNI, i cui riferimenti siano pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Unione Europea) relativa alla tipologia di macchina fornisce presunzione di conformità ai RES del D.Lgs.17/10.
Il rispetto della norma armonizzata può anche essere parziale (deroga a uno o più punti della norma), ma in questo caso nell’analisi dei rischi contenuta nel fascicolo tecnico deve essere dimostrato (per i punti derogati) il rispetto in ogni caso dei RES dell’allegato I del D.Lgs.17/10.
UTILIZZO DELLA MACCHINA
Secondo il D.Lgs.81/08 (legge dello stato e pertanto anch’essa cogente, con apparato sanzionatorio di natura penale), il datore di lavoro di ogni azienda deve mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature costruite secondo il recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto (in questo caso il D.Lgs.17/10, recepimento della Direttiva Macchine 2006/42/CE).
In alternativa egli deve mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature costruite antecedentemente al recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto (macchine “non marcate CE”) purché conformi ai requisiti dell’allegato V del D.Lgs.81/08.
La macchina deve essere utilizzata, a cura e responsabilità del datore di lavoro, in conformità alle istruzioni fornite dal costruttore della macchina che devono contenere anche chiara indicazione di tutte le misure di salute e sicurezza da adottare per eliminare o ridurre i “rischi residui” della macchina, che il rispetto dei RES non è stato in grado di eliminare completamente.
Secondo il D.Lgs.81/08, le istruzioni (in genere “manuale d’uso e manutenzione”) devono essere messe a disposizione dei lavoratori, che devono inoltre essere adeguatamente informati, formati e addestrati, sempre a cura e responsabilità del datore di lavoro, sull’uso della macchina.
RESPONSABILITA’
Responsabile primario di non conformità di una macchina ai RES del D.Lgs.17/10 (nonostante la formale marcatura CE) è il costruttore, che non ha seguito integralmente quanto richiesto dal D.Lgs.17/10 medesimo e che quindi ha immesso sul mercato una macchina non conforme.
L’immissione sul mercato di una macchina non conforme è reato penale sanzionato dal D.Lgs.17/10.
In caso di macchine in allegato IV vi può essere una parziale responsabilità dell’Organismo notificato intervenuto nella procedura di valutazione di conformità, nel caso non abbia segnalato (e chiestone la risoluzione) la mancata integrale osservanza di quanto stabilito dal D.Lgs.17/10.
Una eventuale responsabilità dell’Organismo notificato non prevede però sanzioni penali, ma può essere motivo di ritiro dell’autorizzazione da parte del Ministero delle sviluppo economico.
Secondo il D.Lgs.81/08, il datore di lavoro deve individuare le macchine da acquistare in funzione delle effettive attività lavorative da svolgere e dell’ambiente di lavoro in cui svolgerle.
Il datore di lavoro utilizzatore della macchina, secondo il D.Lgs.81/08, non ha responsabilità dirette sulla mancata conformità della macchina al D.Lgs.17/10 (che è di diretta responsabilità del costruttore, come detto).
Giurisprudenza consolidata dimostra però che esiste una condivisione di responsabilità anche da parte del datore di lavoro utilizzatore, dove le non conformità della macchina siano particolarmente evidenti (assenza di protezioni di organi in movimento pericolosi, impianti evidentemente non costruiti secondo norme di buona tecnica, ecc.).
Tale responsabilità non è sanzionata dal D.Lgs.81/08, ma lo può essere ai sensi dei Codici Penale e Civile se da essa deriva un danno (lesioni o morte) a un lavoratore.
In ogni caso il datore di lavoro della azienda utilizzatrice ha la piena responsabilità dell’utilizzo della macchina da parte dei lavoratori secondo quanto contenuto nelle istruzioni del costruttore (come sopra detto) e del mantenimento della macchina conformemente a come consegnata (integrità dei ripari e dei dispositivi di sicurezza), anche attraverso la regolare manutenzione della macchina come indicato dal costruttore.
Inoltre il datore di lavoro dell’azienda utilizzatrice della macchina deve valutarne il suo utilizzo in funzione dei luoghi specifici e delle attività lavorative in cui la macchina viene utilizzata (anche secondo quanto disposto dall’allegato VI del D.Lgs.81/08) e tale valutazione deve essere parte integrante del Documento di Valutazione dei Rischi di cui al D.Lgs.81/08.
RUOLO DEI SERVIZI DI VIGILANZA
Secondo il D.Lgs.17/10 l’autorità di vigilanza sulla corretta applicazione del D.Lgs.17/10 è il Ministero dello sviluppo economico, per tramite degli organi ispettivi dell’INAIL (ex ISPESL), che devono notificare al Ministero delle sviluppo economico qualunque non conformità al D.Lgs.17/10 rilevata nel corso della loro attività.
Inoltre i servizi di vigilanza su tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (ASL SPISAL in Italia) hanno anch’essi il dovere, in sede di attività ispettiva ordinaria o a seguito di segnalazione o infortunio, di notificare al Ministero delle sviluppo economico qualunque non conformità al D.Lgs.17/10 rilevata.
A sua volta il Ministero dello sviluppo economico, dopo specifica istruttoria con il costruttore, ha la facoltà di ordinare il ritiro della macchina dal mercato, di vietarne l’ulteriore immissione sul mercato e di limitarne la libera circolazione (“clausola di salvaguardia”), informandone la Commissione Europea per un’eventuale analoga azione su tutto il territorio della CE.
I servizi di vigilanza (ASL SPISAL) devono poi sanzionare il datore di lavoro utilizzatore per utilizzo della macchina non conforme a quanto contenuto nelle istruzioni della macchina o per utilizzo della macchina non conformemente a quanto fornito dal costruttore (ripari danneggiati o eliminati, sicurezze non funzionanti, carenza di manutenzione, ecc.).
PROBLEMATICHE SPECIFICHE SEGNALATE
In merito alle
problematiche specifiche da te segnalate, queste le mie considerazioni.
L’altezza del primo
gradino di accesso alla cabina e la disposizione della tubazione di scarico
sono stabilite dal costruttore dell’autotelaio sul quale il costruttore del VRR
va ad assemblare il cassone compattatore e non può essere modificata da
quest’ultimo.
Sarebbe buona norma
che il costruttore prima di ordinare l’autotelaio verificasse che tali contenuti
siano coerenti con la norma tecnica (UNI EN 1501-1:2015), ma questo non viene
quasi mai fatto per motivi in genere di ordine economico.
Sarebbe poi bene che
tali non conformità fossero segnalate come rischi residui nelle istruzioni per
permettere all’utilizzatore di adottare procedure di lavoro e compensative di
riduzione del rischio, anche in funzione della valutazione del rischio fatta dal
datore di lavoro (ad esempio in funzione della frequenza di salita e discesa
dal veicolo o della reale necessità di lavorare in prossimità della tubazione
di scarico).
Per quanto riguarda
il tipo di sedile, l’allegato I e le norme armonizzate non specificano che
questo debba essere ammortizzato. Esse impongono però al costruttore di
segnalare nelle istruzioni i valori di vibrazioni per il corpo intero a cui
sono soggetti i guidatori del veicolo.
Il datore di lavoro
dovrà integrare tali informazioni con quelle da lui individuate nello specifico
documento di valutazione del rischio da vibrazioni meccaniche per il corpo
intero (richiesto dal D.Lgs.81/08) per individuare l’effettivo livello di
vibrazioni a cui sono sottoposti i guidatori (che potrebbe essere diverso da
quanto dichiarato dal costruttore, ad esempio, in funzione del tipo di fondo
stradale e di tempo trascorso alla guida) e le eventuali misure di prevenzione
e protezione (rotazione del personale, sorveglianza sanitaria, ecc.).
RISPOSTE ALLE DOMANDE
SPECIFICHE
-
Qual
è l’ente preposto alla certificazione di tali mezzi e basta solo quello per
autorizzare l’acquisto da parte dell’azienda e al suo impiego?
Il costruttore è il
primo responsabile della certificazione dei VRR, in questo caso (macchina in
allegato IV) con la parziale responsabilità dell’Organismo notificato che ha
certificato la conformità del fascicolo tecnico e del prototipo esaminato.
-
Quanto
incide il DVR sulle scelte dei mezzi più idonei a svolgere il proprio lavoro e
quanto gli interessi economici per scegliere mezzi certificati, ma non idonei
per ciò che quotidianamente dobbiamo fare?
Il datore di lavoro
deve scegliere mezzi adeguati alle attività lavorative da svolgere, ma
l’acquisto di macchine targate CE è requisito sufficiente ad adempiere ai suoi
obblighi. Solo nel caso che il mezzo acquistato non sia evidentemente conforme
alla Direttiva Macchine, la responsabilità del suo utilizzo ricade anche sul
datore di lavoro.
-
Vi
sono altri enti oltre allo SPISAL con il quale confrontarci per avere
delucidazioni in merito alle scelte fatte dall’azienda?
L’ente preposto alla
verifica del mercato riguarda alla Direttiva Macchine e quindi al D.Lgs.17/10 è
l’INAIL su mandato del Ministero dello sviluppo economico.
MANCATO GODIMENTO DEL
RIPOSO SETTIMANALE: SI’ AL RISARCIMENTO PER USURA PSICOFISICA
da
Associazione Infermieri Legali e Forensi
28
Giugno 2015
di
Eugenio Cortigiano
CONSIGLIO
DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA N.7 DEL 19 APRILE 2015
L’attribuzione
patrimoniale rivendicata da un dipendente pubblico per danno da usura psicofisica,
derivante dalla perdita del riposo settimanale, ha natura risarcitoria e non
retributiva, non consistendo in una voce ordinaria o straordinaria della
retribuzione da corrispondersi periodicamente e destinata a compensare l’eccedenza
della prestazione lavorativa, bensì essendo diretta a indennizzare ai sensi
dell’articolo 2059 del Codice Civile il lavoratore per il predetto danno
correlato all’inadempimento contrattuale del datore di lavoro.
Pertanto,
essa si prescrive nell’ordinario termine decennale di cui all’articolo del Codice
Civile, e non nel termine breve (quinquennale) di cui ai successivi articoli
2947, previsti per il risarcimento del danno aquiliano, e all’articolo 2948,
previsto per i crediti.
E’
questo il principio di diritto stabilito dal Consiglio di Stato in Adunanza
Plenaria con la sentenza n. 7 del 19 aprile 2013, in tema di
risarcimento del danno derivante dalla perdita di risposo settimanale.
Infatti,
secondo il Supremo Consesso nell’ipotesi in cui il dipendente pubblico chieda
in giudizio il risarcimento per danno da usura psicofisica, deducendo che tale
danno sia stato provocato dal frequente mancato godimento del riposo settimanale,
reiterato nell’arco di un notevole periodo complessivo di tempo, senza che egli
abbia fruito di riposo compensativo e ancorché abbia percepito le previste
maggiorazioni retributive per lo svolgimento di attività lavorativa in giorno
festivo, deve ritenersi soddisfatto dal ricorrente l’onere di allegazione
concernente sia l’oggetto della domanda che le circostanze costituenti il
fatto-base su cui essa si fonda, sicché il giudice possa far ricorso alle
presunzioni, basate sulle regole di esperienza, per ritenere provato il
fatto-conseguenza del pregiudizio subìto dall’istante.
Nel
caso di specie alcuni dipendenti di un’azienda di trasporto pubblico di
passeggeri avevano proposto ricorso contro la stessa chiedendo il risarcimento
del danno per aver prestato servizio in più occasioni e ai fini dell’assunzione
anche nel giorno destinato al riposo settimanale.
Ciò
senza fruire dei riposi compensativi. Il Tribunale Amministrativo Regionale
accoglieva il ricorso perché la prestazione di servizio in giorno festivo, pur
a fronte di una maggiorazione della retribuzione, ma non compensata con riposo
in altro giorno, dà luogo a risarcimento del danno derivante dall’usura
psicofisica, assistito da presunzione assoluta, e che per la pretesa di tale
risarcimento, concernente danno derivante da inadempimento contrattuale di un
obbligo non patrimoniale, opera la prescrizione decennale e non quella
quinquennale, non vertendosi in materia di pagamento di somme periodicamente
dovute.
L’azienda
di trasporti proponeva appello contro la Sentenza di primo grado, chiedendone la riforma
in quanto era stato riconosciuto il risarcimento di un danno senza che il fatto
fosse provato né con riferimento alla sussistenza né al nesso eziologico con la
presunta attività usurante.
Inoltre,
trattandosi di un credito di lavoro, concernente il pagamento periodico di
somme di denaro dovute a causa di un inadempimento, per l’appellante si doveva
applicare il termine prescrizionale di cinque anni in luogo dei dieci ordinari.
Il
Consiglio di Stato, Sezione Sesta, dopo aver rilevato l’esistenza di due
orientamenti contrastanti in materia rimetteva la questione all’Adunanza
plenari che risolveva la questione nel senso già indicato.
NORMA CEI 11-27: IL
RUOLO DI RESPONSABILE DELL’IMPIANTO ELETTRICO
Da
Progetto Albatros News
28
giugno 2016
di
Mario Ferraioli
NORMA
CEI 11-27: IL RUOLO DI RESPONSABILE DELL’IMPIANTO ELETTRICO
In
base alla norma tecnica CEI 11-27, prima di poter eseguire qualsiasi lavoro
elettrico è necessario nominare due figure di riferimento: il Responsabile
dell’Impianto e il Preposto ai Lavori.
Tutte
le considerazioni esposte mirano a fornire delle considerazioni sulle varie
responsabilità che sono in carico al Responsabile dell’Impianto, fermo restando
che la norma prevede la possibilità di ripartire tale ruolo su più persone, a
condizione che tale ripartizione non crei ambiguità o incomprensioni.
E’
comunque necessario, per applicazioni professionali, che si faccia riferimento
direttamente al testo originale della CEI 11-27.
DEFINIZIONI
Il
Responsabile dell’Impianto, secondo la visione della CEI 11-27 è, in linea
generale, la persona che ha la responsabilità di tutte le attività preliminari
e successive allo svolgimento del lavoro vero e proprio.
Il
Responsabile dell’Impianto è infatti responsabile della pianificazione, della
redazione dei documenti preliminari, dell’esecuzione dei sezionamenti (per i
lavori fuori tensione), della delimitazione della porzione di impianto su cui
intervenire, della sua messa in assetto e poi del riposizionamento finale in
vista dell’esercizio operativo.
In
generale, il Responsabile dell’Impianto è un ruolo prettamente correlato al
lavoro elettrico e quindi non deve necessariamente coincidere con la persona
che è responsabile dell’impianto durante la sua operatività.
Come
ben specifica la norma, è ammessa la delega dal responsabile “operativo”
dell’impianto al Responsabile dell’Impianto (nel senso della CEI 11-27) purché
tale delega sia “integrale”, ossia escluda il rischio di manovre autonome da
parte del responsabile in fase di operazione: è ovvio che se ciò non accadesse
si avrebbe un rischio inaccettabile dal punto di vista della salute e sicurezza
sul lavoro.
Più
in dettaglio, i compiti del Responsabile dell’Impianto sono descritti nei
paragrafi seguenti.
PIANIFICAZIONE
E PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI
In
questa responsabilità sono riassunte tutte le prerogative del Responsabile
dell’Impianto di pianificare in modo dettagliato e programmare le attività
lavorative (nel senso di lavoro elettrico) sull’impianto. E’ evidente che egli
dovrà tenere conto anche dell’urgenza dell’intervento, delle necessità di
funzionamento dell’impianto stesso e di altri aspetti, sicuramente non ultimo
la sicurezza dei lavoratori, componendo il tutto in un unico piano generale e
nel relativo programma.
REDAZIONE
DEL PIANO DI LAVORO
A
fronte della pianificazione e della programmazione effettuate, il Responsabile
dell’Impianto ha la responsabilità di redigere il Piano di Lavoro.
Tale
responsabilità, come ovvio ed evidente, comporta la messa per iscritto (o in
formato elettronico adeguato) dei contenuti che la CEI 11-27 prevede per il Piano
di Lavoro e prevede che esso venga firmato (a vario titolo) dai ruoli
coinvolti.
PROGRAMMAZIONE
ED ESECUZIONE DELLE MODIFICHE GESTIONALI
La
programmazione e l’esecuzione delle modifiche all’impianto che si rendono
necessarie per eseguire il lavoro elettrico pianificato deve essere effettuata
dal Responsabile dell’Impianto.
Tali
modifiche consistono, ad esempio, nell’inibire controalimentazioni o
nell’alterare le tarature dei dispositivi di protezione.
Analogamente
sono da intendersi modifiche gestionali le manovre eseguite sull’impianto (elettrico)
che è oggetto dei lavori.
ESECUZIONE
DEL SEZIONAMENTO
Quando
si sta trattando di lavori fuori tensione, l’esecuzione dei sezionamenti è
compito del Responsabile dell’Impianto. Analogamente, tutti i provvedimenti
necessari per evitare richiusure non desiderate sono a carico del Responsabile
dell’Impianto.
Sua
è, inoltre, la responsabilità della realizzazione delle eventuali terre di
sezionamento, così come l’apposizione della segnaletica opportuna (cartelli di
pericolo, di divieto, di avvertimento ecc.).
DELIMITAZIONE
DELL’IMPIANTO
L’individuazione
dell’impianto elettrico (o della sua porzione) interessato dai lavori è un
preciso compito del Responsabile dell’Impianto.
Una
volta individuata la parte d’impianto oggetto dei lavori è compito del Responsabile
dell’Impianto delimitarla in maniera opportuna, in modo che sia chiaro a tutti
in quale zona sia consentito il lavoro (ovviamente secondo le modalità
definite).
TRASFERIMENTO
DELLE INFORMAZIONI
Una
responsabilità importantissima del Responsabile dell’Impianto è il
trasferimento al Preposto ai Lavori di tutte le informazioni sui rischi
ambientali ed elettrici presenti nell’area di intervento.
Naturalmente
dovrà trasferirgli anche tutte le altre informazioni necessarie per
l’esecuzione del lavoro.
CONSEGNA
DELL’IMPIANTO
Si
tratta di un passaggio formale e sostanziale in cui il Responsabile
dell’Impianto “consegna” l’impianto elettrico al Preposto ai Lavori. Da tale
istante il Responsabile dell’Impianto non è più, di fatto, “responsabile”
dell’impianto (ossia dell’area di intervento e di tutte le porzioni ad essa
correlate, ad esempio dal punto di vista della manovra) che, invece, passa
sotto la responsabilità del Preposto ai Lavori.
Ovviamente
esiste anche il passaggio inverso di “riconsegna” o “restituzione”
dell’impianto.
COSA
FARE QUANDO SI HANNO PIU’ RESPONSABILI D’IMPIANTO
Quando
il ruolo di Responsabile dell’Impianto è suddiviso su più persone, è essenziale
che tali persone comunichino senza soluzione di continuità, passandosi
reciprocamente tutte le informazioni necessarie per il corretto adempimento
delle responsabilità suddette.
Nel
caso in cui più persone rivestano il ruolo suddetto è necessario che sia
comunque definita un’unica figura con compiti di Responsabile dell’Impianto che
funga da interfaccia con il Preposto ai Lavori per l’intera durata dei lavori,
ossia dalla consegna dell’impianto fino alla sua restituzione.
CONCLUSIONI
Il
Responsabile dell’Impianto è una figura chiave che, assieme al Preposto ai
Lavori, permette la realizzazione di un’organizzazione molto semplice ma molto
efficace, facilmente scalabile anche per realtà molto complesse.
In
questa organizzazione si ritrovano tutti i principi di corretta assegnazione e
segregazione delle responsabilità e la possibilità di rappresentare, in maniera
distinta, le esigenze e le competenze dei due attori tipicamente coinvolti
nell’esecuzione di un lavoro elettrico: il soggetto proprietario dell’impianto
e il soggetto tecnico che eseguirà il lavoro.
INFORTUNI SUL LAVORO,
QUANDO A RISPONDERNE E’ ANCHE IL LAVORATORE?
Da
Il Fatto Quotidiano
22
giugno 2016
di
Francesca Garisto
Un
operaio ha subito un grave infortunio sul lavoro nel corso del quale ha perso due
dita della mano destra, avvenuto mentre operava su un macchinario destinato
alla lavorazione del materiale trattato dall’azienda.
Nei
giorni immediatamente successivi all’incidente, mentre si trovava ricoverato e
sotto l’effetto di morfina, somministratagli per meglio sopportare il dolore
che gli impediva di dormire e di ragionare lucidamente, riceveva la visita del
responsabile di reparto dell’azienda che, sin da quel momento già gli
contestava, seppure informalmente, di avere operato in modo improprio,
attribuendogli e convincendolo della responsabilità dell’accaduto.
Seguiva,
a distanza di qualche giorno, una contestazione disciplinare, in cui si
addebitava all’operaio di non aver seguito la procedura corretta di arresto
della macchina; per questa ragione sarebbe rimasto impigliato nella stessa con
la mano.
Il
lavoratore, senza opporre troppa resistenza, veniva successivamente indotto a
sottoscrivere un verbale di accordo in sede sindacale con il quale si assumeva
la responsabilità della “grave infrazione” mentre l’azienda, per pura
“benevolenza”, gli comminava la “sola” sanzione della multa per alcune ore con
conseguente trattenuta della corrispondente retribuzione (!).
I
fatti sono andati effettivamente così, ma nessuna valutazione di responsabilità
potrà essere obiettiva senza considerare l’intero contesto in cui sono avvenuti
i fatti.
Casi
come questi, purtroppo, sono all’ordine del giorno, e non occorre scomodare la
giurisprudenza per percepire l’ingiustizia di una definizione della vicenda
tanto spiccia quanto faziosa.
Ad
ogni modo, per meglio comprendere l’ingiustizia sul piano giuridico oltre che
morale, e soprattutto per delineare le reali e rispettive responsabilità del
datore di lavoro e del lavoratore ci soccorrono varie sentenze emanate negli
anni, fino a giungere a stabilire alcuni principi ineludibili per garantire ai
lavoratori una adeguata tutela.
In
particolare, da ultimo, la
Sentenza n. 4347 del 2 febbraio 2016 della IV Sezione della
Corte di Cassazione ha affermato che la responsabilità del datore di lavoro in
caso di infortunio del suo dipendente, può essere esclusa, in tutto o in parte,
solo qualora sia provato che il comportamento del lavoratore sia stato abnorme
e che, proprio questa abnormità, abbia causato l’incidente; abnormità che per
la sua imprevedibilità sta al di fuori della possibilità di controllo dei
soggetti che hanno il ruolo di garanti.
Si
tratta di una Sentenza coerente con le decisioni della Suprema Corte che
l’hanno preceduta e che avevano precisato che il comportamento “abnorme” è
quello che esorbita rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive
ricevute e dunque come tale completamente imprevedibile, proprio nel senso che
il datore di lavoro non possa prevedere quel pericolo e certamente non possa
evitarlo.
Un’altra
importante pronuncia della Cassazione del 2015, seguita da altre conformi, ha
stabilito che non sussiste la responsabilità o la corresponsabilità del
lavoratore per l’infortunio occorsogli, quando il sistema di sicurezza
predisposto dal datore di lavoro presenti evidenti criticità, atteso che le
disposizioni antinfortunistiche sono finalizzate a tutelare il lavoratore anche
dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed
evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di
sicurezza di prassi di lavoro non corrette.
Il
lavoratore di cui si è detto, peraltro, non aveva ricevuto alcuna formazione
specifica prima di essere applicato a lavorare su quella macchina; al
contrario, come capita di frequente, lo stesso datore di lavoro gli aveva
fornito “istruzioni verbali” destinate perlopiù ad evitare rallentamenti della
produzione che non a prevenire infortuni ai suoi danni, raccomandandogli semplicemente
di usare “prudenza”.
E
così che un lavoratore potrebbe essere indotto, ingiustamente, ad attribuirsi
responsabilità che non gli sono proprie pur di compiacere il datore di lavoro e
pur avendo subito conseguenze nefaste.
Ma
il datore di lavoro cui spetta l’onere di provare l’abnormità e l’imprevedibilità
del comportamento del lavoratore non potrà certo ritenersi forte della
sottoscrizione del verbale di accordo da parte del proprio dipendente per
affrontare un giudizio che lo possa davvero esimere dalle responsabilità,
penali e civili.
Analoghe
responsabilità ricadono sull’azienda anche nel caso di collaborazioni non
subordinate, per l’obbligo del datore di lavoro di predisporre un ambiente
salubre ed esente da rischi.
L’articolo
2 del D.Lgs 81/15 (Decreto Attuativo del Jobs Act) prevede infatti che per i
rapporti stipulati a far data dal primo gennaio 2016, si applica la disciplina
del rapporto di lavoro subordinato anche con riferimento alla normativa di
prevenzione degli infortuni per i rapporti di collaborazione che si concretano
in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui
modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento
ai tempi e al luogo di lavoro.
Quello
che occorre per tutelare al meglio gli interessi del lavoratore è assicurarsi
che le indagini, (comprensive di sopralluoghi, verifiche sul macchinario e sua
rispondenza alle norme di sicurezza, verifica di avvenuta e adeguata formazione
del lavoratore) portino alla luce oltre che il mero fatto, anche il contesto in
cui lo stesso si è verificato.
La Sentenza n. 4347 del 2
febbraio 2016 della IV Sezione penale della Corte di Cassazione è consultabile
all’indirizzo:
L’articolo “Infortuni: comportamento abnorme del lavoratore esclude la responsabilità del datore” è consultabile all’indirizzo:
NOTA
Francesca
Garisto è avvocata penalista, consulente della CGIL di Milano, vice-presidente
del Centro antiviolenza Casa delle donne maltrattate di Milano, da sempre
impegnata nella difesa delle donne vittime di violenza, psicologica, fisica ed
economica, che si consuma in ambito “domestico” e nella difesa di uomini e
donne che subiscono violenza, in tutte le sue espressioni, nei luoghi di
lavoro.
LAVORATORI
STRESSATI, SANZIONI PESANTI PER LE AZIENDE
Da La Legge per Tutti
01 luglio 2016
LA MANCATA VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS
DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO ESPONE A SANZIONI SINO A 6.400 EURO E ALL’ARRESTO
SINO AI 6 MESI.
Lo stress nel lavoro
deve essere valutato alla pari degli altri rischi e deve essere evitato utilizzando
le opportune misure di prevenzione: chi non lo fa, è esposto a sanzioni, anche
penali, che possono arrivare sino al pagamento di 6.400 euro ed all’arresto
sino a 6 mesi.
Il rischio stress,
difatti, può causare delle conseguenze molto serie nel lavoratore, che possono
degenerare e, da “semplici” cefalee, dolori alla pancia e tensioni muscolari,
possono trasformarsi in gravi patologie croniche; peraltro, nei lavoratori più
stressati possono verificarsi anche notevoli disturbi comportamentali e
psicologici.
CHE COSA E’ LO
STRESS?
Lo stress non è, di
per sé, negativo: anche se nel linguaggio quotidiano, con tale termine si fa
riferimento a una pressione esterna che crea disagio e difficoltà, si tratta,
in realtà, di una risposta fisiologica agli eventi esterni.
In particolare, lo
stress può essere:
-
“positivo”,
o eustress: si manifesta sotto forma di stimolazioni ambientali costruttive e
interessanti, come una promozione lavorativa, che attribuisce maggiori
responsabilità, ma anche maggiori soddisfazioni; l’eustress ha effetti positivi
sul livello di attenzione e sulle capacità cognitive in generale;
-
negativo,
o distress: questo si verifica quando l’individuo non riesce a reagire alle
richieste dell’ambiente esterno, perché queste superano le sue capacità di
risposta.
STRESS NEL LAVORO
Se è vero che ogni
individuo risponde allo stress in modo differente, è anche vero che eccessivi
carichi di lavoro, un ambiente particolarmente ostile o inadeguato, precarietà,
episodi di mobbing o, in generale, eventi particolarmente negativi, possono far
giungere all’esaurimento anche il lavoratore più reattivo.
La risposta allo
stress, difatti, avviene in tre fasi:
-
nella
prima fase, definita fase di allarme, lo stress suscita nell’organismo un senso
di allerta e attiva dei processi psicofisiologici, come l’aumento del battito
cardiaco, l’iperventilazione, etc;
-
nella
seconda fase, detta di resistenza, l’organismo tenta di adattarsi alla
situazione e gli indici fisiologici tendono ad abbassarsi;
-
nel
caso in cui l’adattamento non sia sufficiente, si arriva alla terza fase, la
fase dell’esaurimento, in cui l’organismo non riesce più a difendersi e la
naturale capacità di adattamento viene a mancare.
Con il passare del
tempo, uno stress non controllato o controllato male può portare a conseguenze
gravi:
-
di
tipo fisico: frequenti e intense emicranie, tensioni muscolari, problemi
digestivi e formazione di ulcere, diarrea, colite, malfunzionamento della
tiroide, facilità ad ammalarsi, ipertensione e disturbi cardiaci;
-
di
tipo psicologico: cattivo umore, noia, depressione, affaticamento, attacchi di
ansia, scarsa stima di sé, mancanza o difficoltà di concentrazione, distrazioni
frequenti, continui pensieri negativi su sé stessi;
-
di
tipo comportamentale: ad esempio, possono verificarsi disturbi del sonno,
tendenza a bere e fumare più del solito, alimentazione disordinata, difficoltà
a rilassarsi e a stare fermi, iperattività.
Valutare il rischio
stress e fare il possibile per prevenirlo, dunque, è indispensabile non solo
perché si tratta di un obbligo previsto dal Testo Unico della sicurezza sul
lavoro (D.Lgs. 81/08), ma anche per il benessere dei lavoratori e la
produttività dell’azienda stessa.
VALUTAZIONE STRESS
LAVORO CORRELATO
La valutazione del
rischio stress lavoro correlato deve essere inserita, in un apposito fascicolo,
all’interno del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR): la valutazione dei
rischi è un compito del datore del lavoro che non può essere delegato; questi,
però, può avvalersi dell’aiuto di un professionista esperto in materia, come
uno psicologo del lavoro.
La valutazione non
può limitarsi a un’indicazione generica, ma devono essere riportati:
-
i
criteri di valutazione utilizzati nell’analisi del rischio stress lavoro
correlato;
-
le
opportune misure di prevenzione necessarie o i programmi delle varie procedure
da mettere in atto;
-
le
mansioni che possono esporre i lavoratori al rischio di stress;
-
i
riferimenti dei ruoli all’interno dell’organizzazione che hanno il dovere di
provvedere alla redazione del DVR.
VALUTAZIONE STRESS
LAVORO CORRELATO: LE SANZIONI
Se la valutazione
dello stress nella compilazione del DVR non è effettuata, il datore di lavoro è
soggetto (ai sensi del D.Lgs. 81/08) al pagamento di una sanzione che va da un
minimo di 2.500 euro fino ad un massimo di 6.400, con l’arresto da 3 a 6 mesi nei casi più gravi.
La stessa sanzione è applicata anche se il fascicolo sul rischio stress è
redatto senza l’effettiva presenza del Responsabile del Servizio di Prevenzione
e Protezione e del Medico competente.
Se nel fascicolo
mancano le misure di prevenzione necessarie, o non sono riportati i riferimenti
di chi ha il dovere di provvedere alla redazione del DVR, è prevista una
sanzione tra i 2.000 ed i 4.000 euro.
Se nel fascicolo
mancano i criteri di valutazione utilizzati nell’analisi della valutazione del
rischio stress lavoro correlato, o le mansioni più a rischio, la pena prevista
è un’ammenda tra i 1.000 e i 2.000 euro.
In ultimo, è punita
anche la mancata consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza nella
redazione del fascicolo stress, con una sanzione economica da euro 2.000 a 4.000 euro.
LA NON
CORRETTA ELABORAZIONE DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI
Da: PuntoSicuro
20 giugno 2016
di Gerardo Porreca
Non si può in un Documento di Valutazione dei
Rischi imporre un divieto in relazione alla presenza di un pericolo senza
fornire indicazioni sulle misure da adottare onde eliminare o ridurre al minimo
il rischio che porti a un infortunio.
E’ stata messa sostanzialmente in evidenza
dalla Corte di Cassazione in questa sentenza una carenza nella elaborazione di
un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) riguardante un pericolo per la
sicurezza dei lavoratori presente in
azienda per la cui eliminazione o riduzione al minimo il datore di lavoro non
ha provveduto a fornire nel documento delle indicazioni, pericolo che nella
circostanza presa in esame dalla Suprema Corte ha portato all’infortunio di un
dipendente mentre era impegnato nel sistemare in un tornio un grosso cilindro
sospeso a un apparecchio di sollevamento.
Non si può, viene precisato infatti nella
Sentenza, imporre in un DVR un divieto in relazione alla presenza di un
pericolo tra l’altro in termini del tutto generali come l'indicazione di
"non guidare con le mani il carico sospeso" e di "non sostare
sotto i carichi", senza fornire indicazioni e istruzioni alternative circa
le misure da adottare onde eliminare o ridurre al minimo il rischio che conduca
ad un infortunio.
Così facendo, infatti, viene sostanzialmente
devoluto ai lavoratori di scegliere la maniera con cui ovviare alle
problematiche connesse al lavoro da svolgere anche perché, non essendo stati
messi a disposizione degli stessi strumenti alternativi, questi decidono
semplicemente di contravvenire al divieto medesimo.
La
Corte
di Appello ha confermata la
Sentenza emessa dal Tribunale disponendo la correzione di un
errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado. Il
Tribunale aveva dichiarato il datore di lavoro di una società in quanto
direttore tecnico di uno stabilimento esercente la produzione e
commercializzazione di cilindri per uso siderurgico, con delega specifica in
materia di igiene e sicurezza sul lavoro nonché il responsabile dei settore
sicurezza ed ecologia presso il medesimo stabilimento per avere cagionato per
colpa a un lavoratore dipendente con mansioni di tornitore, lesioni personali
gravi consistite nello schiacciamento del primo dito della mano sinistra con
frattura e ferita lacero contusa con incapacità di attendere alle ordinarie
occupazioni pari a giorni 154 e con grado di invalidità riconosciuta dall'INAIL
pari al 4%.
In particolare il lavoratore, assunto con la
mansione di tornitore addetto al carico e scarico dei cilindri in lavorazione
sulle macchine senza aver mai partecipato a corsi di formazione specifici,
durante l'operazione di caricamento di un rullo di notevoli dimensioni su di un
tornio, cercando di orientare il carico con una mano all'interno del mandrino
del tornio stesso (come da prassi in uso tra gli operatori), si schiacciava il
pollice fra il cilindro e una ganascia del mandrino, in contrasto con le
prescrizioni di sicurezza del reparto torneria, con colpa consistita in
negligenza imprudenza imperizia e inosservanza delle norme per la prevenzione
sugli infortuni del lavoro.
La colpa specifica a carico del direttore
tecnico dello stabilimento è consistita, in particolare, nella violazione
dell’articolo 28, comma 2, lettere b) e d) del D.Lgs 81/08, in quanto il DVR
non conteneva l'indicazione delle misure e procedure di prevenzione e di
protezione concrete ed efficaci per le attività di carico e scarico dei
cilindri di grosse dimensioni dalle macchine utensili (se non, in termini dei tutto generali con
l'indicazione di "non guidare con le mani il carico sospeso" e di
"non sostare sotto i carichi") e non conteneva altresì l'indicazione
delle misure idonee a ridurre al minimo i possibili rischi di investimento dei
pesanti carichi sospesi, trattandosi di attività pericolosa comportante gravi
rischi di investimento per gli operatori, fatto aggravato per aver cagionato al
lavoratore le lesioni personali gravi sopra indicate.
Il datore di lavoro è stato condannato, alla
pena di mesi 3 di reclusione, anche se, per un errore materiale nel dispositivo
della sentenza impugnata, è stata indicata quella di mesi 6.
Avverso il provvedimento della Corte di
Appello l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio
difensore di fiducia, adducendo varie motivazioni e chiedendo l’annullamento
della sentenza.
L’imputato ha fatto osservare in particolare
che la sentenza impugnata avrebbe posto a fondamento della condanna il dato
della conoscenza da parte sua della carenza determinante la condotta del
lavoratore e l'evento lesivo.
Tale presunta conoscenza è stata individuata
nonostante il soggetto titolare di apposita delega, inizialmente coimputato
nello stesso giudizio, non avesse mai effettuato la necessaria segnalazione. La
sentenza di condanna avrebbe individuata la sussistenza della sua
responsabilità sulla base di due elementi di fatto e cioè quello di non imposto
il divieto agli operai di guidare il carico con le mani, senza dare istruzioni
alternative e quindi di aver devoluto sostanzialmente agli stessi di scegliere
la maniera come ovviare alle problematiche connesse allo svolgimento del lavoro
e quello inoltre di essere a conoscenza in ogni caso del problema per cui la
presenza di un delegato responsabile, sempre presente e referente dei
lavoratori, non avrebbe inciso sul percorso logico che ha portato all'affermazione
della sua responsabilità.
Il ricorrente ha fatto presente altresì che
l’infortunato aveva detto di aver inserito le mani nell'intercapedine tra il
corpo del cilindro imbracato e le ganasce del tornio, non limitandosi a toccare
il pezzo imbragato, che non era a conoscenza della problematica e che con la
sua saltuaria presenza nello stabilimento non avrebbe mai potuto sperimentare
personalmente l'esistenza di impercettibili oscillazioni del carico sospeso.
Ha sostenuto, altresì, che nel momento in cui
vi è nello stabilimento un delegato effettivamente presente e referente diretto
dei lavoratori, l'osservazione diretta delle eventuali criticità operative non
spetta al datore di lavoro, originario garante, ma al delegato che deve
pertanto essere chiamato a rispondere dell'omessa sorveglianza sulla procedura
specifica di sicurezza.
La
Corte
suprema, con riferimento alle violazioni contestate all’imputato ha fatto
notare che i giudici del gravame di merito avevano dato conto con motivazione
specifica, coerente e logica della insufficienza e della
"singolarità" del divieto imposto dal datore di lavoro ai dipendenti
nel DVR di guidare con le mani i carichi sospesi non accompagnato da alcuna
indicazione in positivo sul come agire in quella situazione. Ciò era equivalso
in sostanza a segnalare il pericolo senza però spiegare come ci si dovesse
comportare per evitarlo nell'eseguire la lavorazione in argomento.
L’imputato, ha quindi sostenuto la Sezione IV della Corte
di Cassazione, non poteva non avvedersi “ab inizio”, nell'imporre quel divieto
senza fornire istruzioni alternative, del fatto che veniva in sostanza devoluto
agli stessi lavoratori (come infatti era avvenuto, secondo le deposizioni rese
da quelli sentiti come testi) scegliere la maniera con cui ovviare alle
problematiche connesse al lavoro da svolgere (e i lavoratori, anche perché non
erano stati messi loro a disposizione strumenti alternativi, avevano
semplicemente deciso di contravvenire a quel divieto).
Il cambiamento nelle modalità di esecuzione
di quella lavorazione del resto avvenuto anni prima che si verificasse
l'infortunio (precedentemente la movimentazione avveniva a opera di un gruista
che adoperava la pulsantiera, mentre un altro operaio si occupava di guidare il
cilindro nella giusta direzione), per quanto da mettersi in relazione
all'introduzione del telecomando radio, non aveva certo reso più sicura la
lavorazione, posto che spesso (come nel caso di specie) la stessa veniva posta
in essere da un unico operaio, il quale doveva con una mano azionare il
telecomando e con l'altra indirizzare il cilindro verso il mandrino (e nel
contempo occorreva guardare anche in altre direzioni).
Con riferimento poi alla responsabilità del
Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), entrambi i
giudici di merito, secondo la suprema Corte, avevano fatto buon governo dei
principi affermati in materia dalla giurisprudenza della Corte medesima secondo
cui il RSPP è un mero ausiliario del datore di lavoro privo di autonomi poteri decisionali
e non è dunque destinatario degli obblighi dettati dalla legge in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle sanzioni, penali e
amministrative, previste per la loro violazione.
Ciò non esclude peraltro la sua
responsabilità penale per l'infortunio conseguito alla mancata adozione di una
misura prevenzionale, qualora si accerti che lo stesso abbia indotto il datore
di lavoro all'emissione, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa
professionale (per il caso in esame lo stesso ha riportato condanna per quanto
accaduto).
Corretta in tal senso è stata ritenuta,
altresì, dalla Sezione IV della Corte di Cassazione l'affermazione fatta dai
giudici dei primi gradi di giudizio secondo la quale il datore di lavoro è il
primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e
sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica e che
non si vede per quale ragione chi ricopre una tale posizione, nell’effettuare
la valutazione dei rischi, non debba prendere conoscenza di tutte le fasi
operative inerenti all'attività dell'azienda.
L’imputato nel suo ricorso, ha fatto
osservare la suprema Corte, ha chiesta in pratica una rilettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione della Corte di Appello e l'adozione
di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione, ma un siffatto
modo di procedere non è ritenuto ammissibile perché trasformerebbe la Corte di legittimità
nell'ennesimo giudice del fatto.
Essendo quindi il ricorso inammissibile e, a
norma dell'articolo 616 del Codice di Procedura Penale, non ravvisandosi
assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la Corte di Cassazione ha in
definitiva condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di 1000 euro in favore della cassa delle ammende.
La Sentenza n. 1036 del 13
gennaio 2016 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è consultabile
all’indirizzo:
IMPARARE
DAGLI ERRORI: ANCORA INCIDENTI CON LE PIATTAFORME DI LAVORO ELEVABILI
Da: PuntoSicuro
23 giugno 2016
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni correlati all’utilizzo di
Piattaforme di Lavoro Elevabili (PLE). Infortuni correlati alla manutenzione di
coperture e alla decorazione delle pareti di un condominio. La dinamica degli
infortuni e la prevenzione.
In questi mesi la rubrica “Imparare dagli
errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, ha
iniziato un percorso, arrivato oggi alla sua conclusione, attraverso gli
incidenti e i rischi correlati all’uso delle PLE.
In questi mesi abbiamo parlato, ad esempio,
di linee elettriche, di stabilizzatori, di piattaforme su autocarro, di
imbragature di sicurezza, di malfunzionamenti delle PLE e, chiaramente, dei
rischi di caduta dall’alto. Ma in tutti i percorsi dedicati ad un argomento
specifico, che non possono comunque esaurire tutte le casistiche di infortunio
e la prevenzione possibile, rimangono sempre dinamiche di incidenti che non
trovano posto nelle varie puntate dedicate ai singoli fattori di rischio.
Ne riprendiamo oggi alcuni ricordando, come
sempre, che le dinamiche infortunistiche che presentiamo sono tratte dall’archivio
di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio
collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il primo caso riguarda un incidente avvenuto
durante un intervento di manutenzione sulla copertura e sulla gronda di un
tetto.
Un lavoratore, socio della ditta, sta
lavorando da solo e per accedere al tetto e utilizza una PLE, un “cestello”
montato su di un camion.
Per la rottura del braccio estensibile in
prossimità dello snodo centrale, rottura dovuta ad una saldatura inadeguata, il
cestello cade giù da una altezza compresa tra 6 e 9 metri provocando la
caduta dell’operatore che viene rinvenuto esanime fuori dal cestello con il
radiocomando sotto al corpo.
L’infortunato, deceduto per aver sbattuto la
testa sul terreno, non indossava le cinture di sicurezza presenti nel camion,
inoltre l’alloggiamento del radiocomando sul cestello era stato manomesso per
consentire l’utilizzo del radiocomando stesso fuori dalla sede prevista.
Chiaramente il fattore causale rilevato è lo “snodo
centrale del braccio del cestello con saldatura inadeguata”.
Il secondo caso riguarda invece un infortunio
al titolare di una ditta specializzata nella realizzazione di coperture e
lattoneria.
Il lavoratore conduce una PLE presso un
deposito agricolo, posto in campagna, per visionare una copertura da riparare.
Sul luogo opera solo. La copertura è realizzata con lastre in fibrocemento
posate su coppelle in cemento che la rendono portante.
Il lavoratore sale in quota con la PLE e scende da questa sulla
copertura in prossimità delle lastre danneggiate. Ad un certo punto la lastra
su cui si trova cede determinandone la caduta, da un’altezza di circa 8 metri, sulla
pavimentazione sottostante interna al fabbricato.
Dalle indagini si è rilevato che in
corrispondenza delle lastre danneggiate la coppella sottostante che doveva dare
portanza alla copertura, era stata spostata dalla sua sede a causa dei lavori
sottostanti di movimentazione di rotoballe, e ciò aveva creato un’area non
portante sotto le lastre. L’infortunato non aveva indosso nessun sistema di
trattenuta (DPI) contro le cadute dall’alto. Dall’interno e dall’esterno del
fabbricato era possibile vedere che una porzione della copertura, seppur di
dimensioni ridotte, non era più portante non avendo il sostegno della coppella
in cemento.
Questi i fattori causali rilevati, non solo
legati al lavoro su PLE:
-
il
lavoratore è sceso dalla PLE su di una copertura;
-
la
copertura nella porzione calpestata non era portante a causa dei lavori
sottostanti di movimentazione di rotoballe;
-
l’infortunato
non indossava DPI anticaduta.
Il terzo caso riguarda un infortunio ad un
lavoratore autonomo decoratore in sub-appalto.
Il lavoratore ha ricevuto l’incarico di
decorare le pareti esterne di un condominio di sette piani. Per svolgere il proprio
lavoro utilizza una PLE con i comandi a bordo e sale in quota, in prossimità di
un balcone al sesto piano del condominio.
Nell’eseguire questa operazione, a causa di
un errore di manovra, la piattaforma urta una mensola metallica posta sopra il
balcone, incastrandosi. Il lavoratore tenta più volte di sbloccare il cestello
incastrato effettuando delle manovre a bordo tramite il radiocomando, ma la macchina,
bloccata, non si muove.
A questo punto il lavoratore tenta di
sbloccare manualmente la piattaforma accedendo sul balcone vicino: nell’eseguire
questa operazione, a 20
metri di altezza da terra e sporgendosi nel vuoto,
rimane disteso, afferrando il corrente del parapetto della piattaforma con
entrambe le mani, mantenendo i piedi sulla ringhiera del balconcino.
Improvvisamente la piattaforma si libera dal punto che la vincola e ha un’oscillazione
verso l’esterno ovvero torna nella sua posizione iniziale.
In quel momento il lavoratore viene sbalzato
verso l’esterno e precipita per circa 20 metri, impattando il pavimento in battuto di
cemento del cortile sottostante, riportando un trauma mortale. Il lavoratore
non faceva uso di imbracatura di sicurezza.
Questi i fattori causali rilevati:
-
il
lavoratore tentava di spostare il cestello in modo pericoloso;
-
mancanza
di dispositivi di protezione dalla caduta dall’alto.
In questi mesi abbiamo riportato diverse
indicazioni, suggerimenti, buone prassi sulla prevenzione di specifici rischi e
sul corretto utilizzo delle piattaforme mobili elevabili.
Ci soffermiamo oggi su un breve riepilogo
della prevenzione riportato nel documento (realizzato da INAIL Direzione
regionale per le Marche, con la collaborazione dell’International Powered
Access Federation) “PLE nei cantieri. L’uso delle piattaforme di lavoro mobili
in elevato nei cantieri temporanei o mobili”
Il documento segnala che se per la
valutazione dei rischi è indispensabile consultare il manuale del costruttore
fornito con la macchina, in linea generale i maggiori rischi da valutare e le
relative misure di prevenzione (senza pretesa di esaustività) sono:
-
rovesciamento
e ribaltamento => misure di prevenzione: verificare le condizioni e portata
del terreno, non superare la portata della piattaforma, non superare l’inclinazione
massima ammessa del carro, utilizzare correttamente gli stabilizzatori,
rispettare il diagramma di lavoro, impedire il contatto con mezzi in movimento,
verificare le condizioni del terreno prima di effettuare la traslazione, non
utilizzare la macchina in presenza di vento oltre la velocità massima ammessa
dal costruttore ecc.;
-
investimento
e schiacciamento di persone => misure di prevenzione: delimitare l’area di
lavoro, utilizzare segnaletica di sicurezza, prima di effettuare manovre
verificare che non vi sia presenza di persone nell’area di manovra, effettuare
la traslazione a velocità ridotta;
-
elettrocuzione
per contatto con linee elettriche aeree => misure di prevenzione: rimanere a
distanza di sicurezza da linee aeree in tensione che possono interferire con i
movimenti del braccio, se necessario far disattivare la linea;
-
caduta
del carico e di materiale dall’alto e proiezione di materiale => misure di
prevenzione: posizionare correttamente attrezzature e materiali all’interno del
cestello;
-
caduta
dall’alto dell’operatore => misure di prevenzione: utilizzare dispositivi di
protezione anticaduta e ancorarli al punto predisposto in piattaforma, non
arrampicarsi sui parapetti del cestello; non utilizzare scale o altri
dispositivi per aumentare l’altezza di lavoro;
-
uso
improprio del mezzo => misure di prevenzione: utilizzare la macchina come
prescritto dal costruttore, impedire l’utilizzo a personale non autorizzato:
solo lavoratori autorizzati e formati possono utilizzare la macchina;
-
urti,
colpi, impatti, compressioni, cesoiamento e schiacciamento => misure di
prevenzione: rimanere a distanza di sicurezza dagli organi in movimento, non
sporgersi dal cestello in fase di movimentazione;
-
interferenze
con altre macchine e attrezzature in cantiere => misure di prevenzione: impedire
che mezzi in movimento interferiscano con la macchina, impedire che bracci
meccanici, gru e carroponte in movimento interferiscano con l’area di lavoro
della macchina;
-
rischi
indotti da malfunzionamenti => misure di prevenzione: effettuare i controlli
previsti prima di ogni utilizzo, effettuare la manutenzione come previsto dal
costruttore;
-
ribaltamento
durante le operazioni di salita e discesa del mezzo dal veicolo di trasporto =>
misure di prevenzione: seguire le modalità di carico indicate sul manuale del
costruttore.
Nell’articolo abbiamo presentato le schede
numero 2501, 3996 e 3251 tratte dal sito INFOR.MO:
Il documento (realizzato da INAIL e IPAF) “PLE
nei cantieri. L’uso delle piattaforme di lavoro mobili in elevato nei cantieri
temporanei o mobili” è scaricabile all’indirizzo:
http://www.ipaf.org/fileadmin/user_upload/documents/it/PLECantieri.pdf
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