Nel 2010 morirono 4 operai. L’ok della Città
metropolitana
di Ferdinando Baron
La protesta
dei familiari delle vittime davanti alla sede dell’ex Eureco
In un paese, l’Italia, dalle mille trappole
burocratiche e dalle lungaggini infinite proprio questa volta non ci sono stati
intoppi: la ditta di trattamento rifiuti può lavorare nella sede che si è
scelta. Peccato che il freddo e neutrale parere tecnico della Città
metropolitana di Milano si scontri col dolore delle famiglie di uno dei più
gravi incidenti sul lavoro della storia recente, 4 uomini bruciati vivi in uno
spaventoso rogo proprio mentre «trattavano» rifiuti. La burocrazia ha ignorato
anche il «no» arrivato dal Comune di Paderno Dugnano e dal Consiglio della
Città metropolitana stessa. «Chiedete ad Harun, Sergio, Salvatore e Leonard se
sono d’accordo che si riprenda lo stesso tipo di attività proprio nel luogo in
cui sono morti!», afferma Antonella, la compagna di una delle vittime dell’ex
Eureco di via Mazzini a Paderno Dugnano. Il 4 novembre 2010 l’incendio uccise
Harun Zeqiri, 44 anni, Sergio Scapolan, 63 anni, Salvatore Catalano, 55 e
Leonard Shehu, 37, ferì gravemente altri tre operai, bloccò per ore la
superstrada Milano-Meda con migliaia di automobilisti in coda. Solo per un caso
lo scoppio non coinvolse proprio i pendolari. Niente di tutto ciò ha bloccato
il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale all’impresa Tecnologia
& Ambiente per la realizzazione di un nuovo impianto per il trattamento di
rifiuti speciali nello stesso insediamento, cinque anni e mezzo dopo.
Nel
frattempo, uno dei titolari di allora, l’imprenditore Giovanni Merlino, oggi 65
anni, sta scontando una pena di 5 anni di reclusione per omicidio plurimo
colposo inflitta in primo grado con rito abbreviato e confermata in appello. La
Cassazione, non più tardi del maggio di quest’anno, ha respinto il ricorso dei
difensori dell’uomo. L’esplosione che provocò l’incendio, fu scritto dal
giudice Antonella Bertoja nelle motivazioni della prima condanna, venne
provocata dalle miscelazioni non autorizzate cui il titolare di Eureco
sottoponeva i rifiuti pericolosi manipolati dagli operai, in violazione delle
norme di sicurezza. Solo due famiglie hanno ottenuto un risarcimento, agli
altri, che formalmente lavoravano per una cooperativa, è stato negato qualsiasi
contributo. «Da allora io non ho più trovato lavoro — conferma Firet Meshi — ci
sono altri 2 feriti che hanno tirato avanti solo grazie alla solidarietà delle
persone». Oltre il danno la beffa di veder riaprire la ditta che ha tolto loro
tutto. Certo, diversa è la società e diversi sono i titolari. Ma il posto è
identico: sempre a ridosso di una superstrada trafficata e del canale
Villoresi. Di qui la decisione delle famiglie delle vittime, da anni riunite in
comitato, di dare battaglia con manifestazioni di protesta: ieri davanti alla
ditta, il 25 luglio presso la sede della Città metropolitana. Al loro fianco è
rimasto solo il Comune di Paderno e altri comitati come quello degli esposti
all’amianto.
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