NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
LE “FREQUENTLY ASKED
QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.15
Nella
mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro,
spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a
svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di
ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella
mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di
Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi
pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche
risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso
diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked
Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia
newsletter.
Ovviamente,
per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i
lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto
il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
************
Ciao
Marco,
oggi
nella Azienda in cui lavoro mi hanno dato i risultati del metodo OCRA relativo
alla movimentazione dei carichi nelle linee di produzione.
Ho
notato che ci sono 4 postazioni in zona rossa con il risultato numerico di 3,9.
Il
RSPP mi ha detto che l’azienda intende procedere alla sola sorveglianza
sanitaria come da legge (cosi dicono loro), ma io non sono d’accordo.
Ho
chiesto di riorganizzare le postazioni coinvolte, onde evitare che i lavoratori
con il passare del tempo incorrano in malattie muscoloscheletriche.
Vorrei
sapere un tuo parere in merito gli obblighi a cui è sottoposta l’azienda in un
caso come questo.
Grazie
di cuore per l’aiuto che dai a tutti noi.
Ciao,
la
posizione assunta dalla vostra azienda è la classica “posizione di comodo” che
adottano molti datori di lavoro a fronte di rischi per la salute evidenziati
dal Documento di Valutazione del Rischio (DVR).
Lo
scopo del DVR, ai sensi della normativa vigente, non è solo quello di
analizzare e classificare i rischi per la salute (e la sicurezza), ma, anche e
soprattutto, quello di individuare e implementare le misure di prevenzione e
prevenzione adottate o da adottare per eliminare o ridurre il rischio e
definire un programma di miglioramento delle situazioni lavorative.
Ciò
non può ridursi, dove risultino dal DVR rischi per la salute, solo a fare
eseguire la sorveglianza sanitaria da parte del medico competente, ma deve
portare preventivamente a definire i miglioramenti organizzativi e tecnici
delle attrezzature, dei posti di lavoro, dei processi produttivi, definendo uno
specifico programma di miglioramento.
In
particolare per quanto riguarda la Movimentazione
Manuale dei Carichi (MMC), di cui la movimentazione continua
degli arti superiori (valutata con il metodo OCRA) è un aspetto, la normativa
vigente impone al datore di lavoro, di adottare preventivamente tutte le misure
tecniche e organizzative per eliminare la necessità di MMC e (solo ove ciò non
sia possibile) per ridurre il rischio da sovraccarico biomeccanico per i
lavoratori.
Solo
dopo avere adottato tali misure e aver quindi ridotto al minimo il rischio,
permanendo comunque una residua possibilità di danno alla salute, il datore di
lavoro deve programmare, per tramite del medico competente, anche la
sorveglianza sanitaria.
Vediamo
a proposito di quanto sopra, cosa stabilisce il D.Lgs. 81/08 (Testo Unico sulla
Sicurezza, “Decreto”).
Per
quanto riguarda il contenuto del DVR, la cui piena responsabilità penale è del
datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a) del Decreto,
il suo contenuto è definito dall’articolo 28, comma 2 del Decreto stesso, che
impone:
“Il documento di cui
all’articolo 17, comma 1, lettera a) [...] deve [...] contenere:
a) una relazione sulla
valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività
lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione
stessa [...];
b) l’indicazione delle
misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione
individuali adottati [...];
c) il programma delle misure
ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di
sicurezza;
[...]”.
In
particolare la lettera c) di tale comma impone che nel DVR sia definito il “programma delle misure
ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di
sicurezza”.
Tra
tali misure non vi è certo la sorveglianza sanitaria (in quanto essa non
comporta un miglioramento delle condizioni di lavoro per salute e sicurezza),
ma solo specifiche misure di prevenzione e protezione tecniche e organizzative.
Giova ricordare che
la redazione del DVR in assenza degli elementi di cui all’articolo 28, comma 2,
lettera c) è punita dall’articolo 55, comma 3 del Decreto con l’ammenda da 2.192,00 a 4.384,00 euro.
In merito poi alla MMC,
l’articolo 168, comma 1 del Decreto impone che:
“Il datore di lavoro adotta le
misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati, in particolare
attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale
dei carichi da parte dei lavoratori”.
Pertanto il datore di lavoro deve preventivamente adottare tutte le
misure tecniche per eliminare alla fonte la necessità di una MMC da parte dei
lavoratori.
Il mancato adempimento dell’obbligo di cui sopra è punito
dall’articolo 170, comma 1, lettera a) del Decreto con l’arresto da tre a sei
mesi o con l’ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro.
Solo se non esistono misure
tecniche in grado di eliminare alla fonte la necessità di esecuzione da parte
dei lavoratori di MMC, il datore di lavoro deve poi applicare quanto disposto
dall’articolo 168, comma 2:
“Qualora non sia possibile
evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il
datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi
appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di
ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi,
tenendo conto dell’allegato XXXIII, ed in particolare:
a) organizza i posti di
lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e
salute;
b) valuta, se possibile
anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse
al lavoro in questione tenendo conto dell’allegato XXXIII;
c) evita o riduce i rischi,
particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate,
tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle
caratteristiche dell’ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività
comporta, in base all’allegato XXXIII;
d) sottopone i lavoratori alla
sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, sulla base della valutazione del
rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all’allegato XXXIII”.
Il mancato adempimento dell’obbligo di cui sopra è punito
dall’articolo 170, comma 1, lettera a) del Decreto con l’arresto da tre a sei
mesi o con l’ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro.
E’ evidente che, a seguito
di tale obbligo, il datore di lavoro non si può limitare alla sola sorveglianza
sanitaria dei lavoratori esposti a rischio da MMC (che è sì citata tra le
misure da adottare, ma come una di esse, alla lettera d), e non come misura
esaustiva), ma deve anche organizzare i posti di lavoro (lettera a)), e
adottare misure adeguate (lettera c)) per ridurre il livello di rischio da MMC.
Nel far ciò il datore di
lavoro deve tenere in considerazione gli elementi di riferimento riportati
nell’Allegato XXXIII del Decreto, esplicitamente citato nell’articolo 168,
comma 2, e che quindi riveste carattere cogente e non puramente indicativo.
Tra gli elementi di riferimento
sui quali intervenire per ridurre il rischio da MMC (oltre alle “caratteristiche del carico” e allo “sforzo fisico richiesto”),
il
Punto 3 dell’Allegato XXXIII riporta:
“Le
caratteristiche dell’ambiente di lavoro possono aumentare le possibilità di
rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare
dorso-lombari, nei seguenti casi:
-
lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo
svolgimento dell’attività richiesta;
-
il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o è
scivoloso
-
il posto o l’ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la
movimentazione manuale di carichi a un’altezza di sicurezza o in buona
posizione;
-
il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la
manipolazione del carico a livelli diversi;
-
il pavimento o il punto di appoggio sono instabili;
-
la temperatura, l’umidità o la ventilazione sono inadeguate”.
Mentre il Punto 4 dell’Allegato XXXIII riporta:
“L’attività
può comportare un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in
particolare dorso-lombari, se comporta una o più delle seguenti esigenze:
-
sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale,
troppo frequenti o troppo prolungati;
-
pause e periodi di recupero fisiologico insufficienti;
-
distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto;
-
un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal
lavoratore”.
Pertanto, al fine dell’adempimento dell’obbligo di
cui all’articolo 168, comma 2, per ridurre il rischio da MMC, il datore di
lavoro deve intervenire con misure tecniche ed organizzative su tutti gli
elementi di riferimento relativi (anche) alle caratteristiche dell’ambiente di
lavoro (Punto 3 dell’Allegato XXXIII del Decreto) e alle esigenze connesse
all’attività (Punto 4 dell’ Allegato XXXIII del Decreto).
Come chiaramente definito dagli obblighi
richiamati del Decreto, la mera esecuzione della sola sorveglianza sanitaria
non esime certo il datore dei lavoro dall’adempimento dei medesimi obblighi.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Un caro saluto.
Marco
************
Ciao
Marco,
sono un
RLS e ho ha richiesto a dicembre del 2015 copia del verbale della riunione periodica tenutasi a novembre, citando
nella richiesta l’articolo 35, comma 5, del D.Lgs. 81/08, che afferma:
“Della riunione periodica deve essere redatto
un verbale che è a disposizione dei partecipanti per la sua consultazione”.
Il RSPP
dopo oltre 3 mesi finalmente risponde con una lettera in cui afferma che la
copia del documento richiesto, cioè del verbale della riunione periodica
tenutasi a novembre 2015, non può essere fotocopiato e asportato dal sito
produttivo e che è disponibile a consultazione in allegato al DVR presente
nell’unità in cui lavora il RLS.
Le
domande che ti pongo sono le seguenti.
-
la copia
del verbale della riunione periodica non deve essere consegnata al termine
della riunione o al più presto agli RLS?
-
è
possibile poter esporre in bacheca il verbale per un atto di trasparenza verso
i lavoratori evidenziando le richieste del RLS (a fronte delle segnalazioni dei
lavoratori) e le risposte che il datore di lavoro ha dato in merito?
-
l’articolo
50 del D.Lgs. 81/08 “Attribuzioni del rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza”, comma 1, lettera e) afferma che il RLS riceve le informazioni e la
documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure di
prevenzione: perché non può ricevere copia del verbale della riunione
periodica?
Ti
ringrazio per l’attenzione, ciao.
Ciao,
effettivamente
il D.Lgs.81/08 (Decreto) in merito al verbale della riunione ex articolo 35 è
molto generico e non fissa dei precisi obblighi di consegna del verbale stesso
e di possibilità di diffusione.
Infatti
il comma 5 di tale articolo, da te citato, si limita ad affermare che:
“Della riunione deve essere
redatto un verbale che è a disposizione dei partecipanti per la sua
consultazione”.
Da
tale enunciato deriva che il verbale non deve essere consegnato fisicamente al
RLS (altrimenti sarebbe stata usata la frase “un verbale da consegnare ai partecipanti”), ma soltanto fatto
visionare e consultare.
In
effetti però il verbale della riunione periodica fa parte a tutti gli effetti
della “documentazione aziendale inerente alla
valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative” citata nell’articolo 50, comma 1, lettera e) del Decreto, tanto che
lo stesso RSPP ha dichiarato che esso è parte integrante del DVR.
Pertanto, ai sensi dell’articolo 18, comma 1,
lettera p) il datore di lavoro o il dirigente è tenuto a:
“consegnare
tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta
di questi e per l’espletamento della sua funzione, copia del documento di cui
all’articolo 17, comma 1, lettera a) [DVR], anche su supporto informatico
come previsto dall’articolo 53, comma 5 [...]”.
L’ultimo periodo di tale comma (introdotto dal
“Decreto correttivo” del Governo Berlusconi, il D.Lgs. 106/09) specifica però
che:
“il
documento è consultato esclusivamente in azienda”.
A seguito di quanto sopra, pertanto il datore di
lavoro o il dirigente devono consegnare fisicamente il verbale della riunione
periodica al RLS, il quale però lo potrà solo consultare all’interno
dell’azienda e non portarlo al di fuori della stessa, né tantomeno fotocopiarlo
e diffonderlo.
Ciò non impedisce però al RLS di redigere un suo
documento in cui riporta, anche a seguito della consultazione di quanto
riportato ufficialmente nel verbale ex articolo 35, quanto discusso all’interno
della riunione, quanto da lui richiesto e quanto risposto dall’azienda e di
diffonderlo ai lavoratori come meglio crede.
Tale documento sarà però redatto a firma del solo
RLS e sotto la sua responsabilità, anche in merito ad eventuali informazioni
sensibili relativi a singoli lavoratori o a segreti industriali.
Ricordo infatti che l’articolo 50, comma 6 del
Decreto stabilisce che:
“Il
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è tenuto al rispetto delle
disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 [normativa
sulla privacy] e del segreto industriale
relativamente alle informazioni contenute nel documento di valutazione dei
rischi [...] nonché al segreto in
ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle
funzioni”.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco Spezia
************
Ingegner Spezia buongiorno.
Ho visto il suo sito ed avrei necessità di avere ulteriori
approfondimenti.
Sono un avvocato e per conto di un mio cliente dipendente di
un’azienda di trasporti che ha subito un infortunio a seguito di scivolata e
caduta a terra, sto ricercando notizie in merito all’adozione da parte
dell’azienda dei DPI per i suoi dipendenti: il mio cliente, solo successivamente
all’infortunio, ha ritirato dal datore di lavoro le scarpe antiscivolo.
Mi interesserebbe ora avere dei riferimenti precisi (e se
possibili documentali) circa la decisione dell’azienda di adottare tali DPI e
in merito a come ha dato disposizione di diffonderli tra il proprio personale
(il mio cliente ha ricevuto un semplice SMS).
Saprebbe darmi un suggerimento?
In attesa di un suo cortese riscontro, ringraziando
anticipatamente per la preziosa collaborazione, invio i miei migliori saluti.
Non posso dare “riferimenti precisi circa la
decisione dell’azienda di adottare tale DPI” poiché tali riferimenti devono
essere contenuti all’interno del DVR dell’azienda che può essere consultato
solo dal Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), ex
articolo 18, comma 1, lettera o) del D.Lgs.81/08 e s.m.i. (Decreto).
Consiglio quindi il suo cliente di provare a rivolgersi
al proprio RLS per sapere cosa ha deciso l’azienda in merito alla tipologia di
DPI da adottare.
Ritengo comunque, al di là di tali considerazioni,
che il personale di un’azienda di trasporti debba essere dotato di calzature
antiscivolo, a causa della possibilità di camminare su superfici rese scivolose
dalla pioggia o dal ghiaccio.
Di tale necessità si deve fare carico il datore di
lavoro, ai sensi dell’articolo 77, commi 1, 2, 3 del Decreto.
In merito alla decisione dell’azienda di ricorrere
a un semplice SMS per informare i propri dipendenti della necessità di uso dei
DPI, essa è contraria alle norme relative alla informazione e formazione dei
lavoratori sull’uso dei DPI di cui agli articoli 36, 37, 77, commi 4,
lettere c), e) f), h) e 5 del Decreto.
Secondo tali norme i lavoratori devono essere
adeguatamente informati (tramite documenti scritti) e formati (tramite corsi di
formazione coerenti con quanto disposto dall’Accordo Stato Regioni del
21/12/11) sui rischi della propria attività lavorativa, sui DPI individuati per
proteggerli da tali rischi e sulle corrette modalità di utilizzo di tali DPI.
Rimango disponibile per ulteriori chiarimenti.
Cordiali saluti.
Marco Spezia
************
NOTA
Nel
testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i
seguenti acronimi e termini:
ASL
= Azienda Sanitaria Locale
CCNL
= Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI
= Dispositivi di Protezione Individuali
DVR
= Documento di Valutazione dei Rischi
DUVRI
= Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori
in appalto
RSPP
= Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS
= Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
D.Lgs.81/08
o Decreto: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e
integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza”)
VALUTAZIONE E
GESTIONE DEL RISCHIO STRESS IN AMBIENTE DI LAVORO
Da
Ufficio Salute Ambiente Sicurezza FIOM CGIL
6
Luglio 2016
Presentiamo
“La Linea di
indirizzo relativa alla consultazione dei RLS nella valutazione e gestione del
rischio stress in ambiente di lavoro” emanata con Delibera del 4 luglio 2016,
dalla Regione Lombardia e definita dall’apposito gruppo di consultazione, ove
era presente anche la
CGIL Lombarda (che ha lavorato per circa un anno), che
valutiamo di estrema importanza e positività.
Questa
linea di indirizzo può far superare, se correttamente applicata, molte delle
difficoltà emerse in questi anni nella fase di valutazione del rischio e che
hanno prodotto di fatto in quasi tutte le aziende metalmeccaniche la
conclusione dell’inesistenza del rischio stress correlato al lavoro.
Il
fondamento del documento è di valorizzare la logica della consultazione e
partecipazione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS)
superando di fatto i limiti presenti nel D.Lgs. 81/08, e perseguendo
l’obiettivo della partecipazione attiva e della successiva gestione del monitoraggio
da parte dello stesso RLS.
E’
necessario che questo documento sia diffuso capillarmente tra tutti gli RLS,
sia discusso e se si cogliesse la necessità di fare approfondimenti in
relazione all’organizzazione del lavoro è necessario che si attivino da
settembre dei percorsi formativi a livello regionale e/o territoriali.
Riportiamo
a seguire la Premessa
e l’Introduzione del documento
PREMESSA
La presente Linea di Indirizzo su “La consultazione del RLS
nella Valutazione e Gestione del rischio stress in ambiente di lavoro: come e
perché - Informazioni e consigli per una buona partecipazione alla valutazione
e gestione del rischio stress lavoro-correlato” è stata promossa, redatta e
condivisa dal Laboratorio Regionale “Stress lavoro-correlato”.
Questo documento orientato al miglioramento e alla libera
adozione di pratiche virtuose all’interno delle Aziende, va ad integrarsi in
una logica di miglioramento progressivo con le indicazioni normative (D.Lgs
81/08 articolo 28 bis, Accordo Europeo/Accordo Interconfederale, Indicazioni
della Commissione Consultiva), che restano il riferimento ultimo in ordine al
“livello minimo di attuazione dell’obbligo”.
Questo documento infine risulta ribadire alcune indicazioni
di miglioramento date dal Documento pubblicato dalla Regione Lombardia con
Decreto n. 10611 del 15/11/11 “Valutazione del rischio Stress lavoro-correlato
- Indicazioni generali esplicative sulla base degli atti normativi integrati”.
In particolare, sempre in una logica volontaria di
miglioramento, come criteri per effettuare un “buon percorso” (good-practice) il documento richiama due criteri qualificanti che
coinvolgono il Ruolo degli RLS/RLST:
-
che il percorso sia imperniato sulla
partecipazione effettiva dei lavoratori attraverso
un processo di coinvolgimento dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, che devono essere consultati fin dalle fasi iniziali
dell’intervento; per le
piccole imprese (< 20 dipendenti), ove è ricorrente la figura
del RLST tale coinvolgimento potrà realizzarsi,
oltre che in sede di riunione periodica secondo le modalità previste dal D.Lgs.
81/08, anche a conclusione della Valutazione Preliminare, condividendone i
risultati, le azioni di miglioramento da intraprendere lungo tutto l’arco dei
successivi step di monitoraggio;
-
la necessità di garantire sempre e comunque la centralità degli attori interni della
prevenzione (Datore di Lavoro, Responsabile del Servizio di Prevenzione e
Protezione, Medico Competente, RLS) anche nel caso che il “metodo” venga importato
dall’esterno.
INTRODUZIONE
Il 31 dicembre 2010 ha segnato l’inizio dell’obbligo di
valutare tra i rischi psico-sociali quello dello stress lavoro-correlato così
come previsto dall’articolo 28, comma 1 del D.Lgs. 81/08 sulla base delle
indicazioni della Comunità Europea. Pur riconoscendo tale obbligo, così come identificato,
frutto di un impegnativo lavoro tecnico svolto dal Comitato della Commissione
consultiva permanente, esso ha pure rappresentato in maniera evidente una
sequenza di azioni vincolanti mirate a favorire il rispetto dell’obbligo di
valutazione, piuttosto che la chiara formulazione di indicazioni metodologiche.
Certo l’obbligo di “valutare” coglieva impreparati sia
tecnicamente che culturalmente le aziende circa un rischio lavorativo tra i più
complessi e multifattoriali (peraltro indicati dall’OSHA come fattori di
contenuto e contesto lavorativo) e relativamente al quale i numerosi strumenti
o metodi di indagine esistenti nell’ampia produzione scientifica a disposizione
non esauriscono o non sono idonei a dare risposta univoca ed esaustiva alle
molteplicità di aspetti che in esso convivono.
Ed in effetti la Commissione stessa ha ritenuto opportuno (come
espressamente indicato in premessa alle Indicazioni) individuare il solo
“livello minimo di attuazione dell’obbligo”, elaborando le linee stesse
“redatte secondo criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, nei limiti e
per le finalità puntualmente individuati dalla Legge”.
Non a caso, già alla pubblicazione del documento, venne
preventivato un successivo momento di verifica della metodologia dopo
ventiquattro mesi.
Ecco quindi il Progetto del Centro Controllo delle Malattie
avviato ad aprile 2015 che mira, tra l’altro, a monitorare per un campione di
aziende, quanto a oggi posto in essere in tema di valutazione e gestione dello
stress lavoro-correlato, con riferimento ad un’eterogeneità di tipologie
aziendali: per dimensione, rischio e settore di appartenenza.
L’invecchiamento della popolazione, l’aumento
dell’occupazione femminile, lo sviluppo di nuove malattie professionali sono le
sfide che ci aspettano e che richiamano a un miglioramento del cosiddetto “welfare aziendale” attraverso interventi organizzativi che valorizzino le specificità
interne all’azienda e l’adozione di piccoli e costanti accorgimenti, in grado di aumentare la qualità di vita dei dipendenti, la loro produttività e soddisfazione rispetto
alla propria organizzazione.
Il valore
aggiunto con il quale azienda e dipendente
rafforzano la loro relazione di collaborazione in un rapporto che si auspica
vincente è rappresentato:
-
per
l’azienda dai relativi costi/investimenti anche in
termini organizzativi che possono trovare compensazione nell’evitare perdite di
produttività legate alla scarsa fidelizzazione con il lavoratore (aumento
assenze per malattia, di infortuni lavorativi, di richieste di cambio mansione,
di contenziosi giudiziari ed extra giudiziari, ecc.);
-
per i
lavoratori dal decollo di pratiche virtuose con
immediate ricadute sui livelli qualitativi delle proprie attività lavorative.
Con questo documento si intende approfondire la tematica del
ruolo degli RLS nell’ambito della valutazione aziendale del rischio stress
lavoro-correlato; in particolare il documento vuole diffondere l’adozione di
azioni orientate al miglioramento.
In questo quadro generale, infatti, per quanto compresa tra
le misure generali di tutela, la consultazione degli RLS è spesso un elemento
non pienamente valorizzato nei percorsi di valutazione del rischio ed è per
questo che si è ritenuto utile tornare a riflettere sulle ragioni e le modalità
di attuazione di tale consultazione, ed approfondire i possibili spazi di
miglioramento.
Si precisa che tali indicazioni vogliono consapevolmente
porsi nell’ottica promozionale che è propria dell’Accordo Interconfederale del
9 giugno 2008, di recepimento dell’Accordo Quadro europeo del 8 ottobre 2004,
fermo restando l’obbligo normativo minimo.
Si ricorda infatti che la finalità è quella di “accrescere la
consapevolezza e la comprensione dello stress lavoro-correlato da parte dei datori
di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti” con l’obiettivo di
“offrire ai datori di lavoro ed ai lavoratori un quadro di riferimento per
individuare e prevenire o gestire problemi di stress lavoro-correlato”.
“La Linea di indirizzo relativa
alla consultazione dei RLS nella valutazione e gestione del rischio stress in
ambiente di lavoro” è scaricabile all’indirizzo:
A
FIRENZE, DOVE NON SI MUORE PIU’ DI CALDO
Da: Rassegna.it
15 luglio 2016
di Carlo Ruggiero
Reportage dai cantieri in cui si applicano le
nuove linee guida della ASL contro i colpi di calore.
Una vittoria del sindacato e degli
Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriali
(RLST). “Un passo importante per rendere di nuovo i lavoratori protagonisti, ma
la strada per la sicurezza è ancora lunga”
A Firenze il traffico scorre lento tra i
cantieri. Dalla stazione di Santa Maria Novella a Novoli è tutto un susseguirsi
di transenne, grate, gru e reti di plastica arancione. I lavori per la Tramvia procedono lenti, e
la città ne soffre. Qualche automobilista sbraita nel chiuso del suo abitacolo,
suona il clacson, cerca di svicolare. Gli altri, invece, paiono rassegnati e si
godono in pace l’aria condizionata. Sono solo le nove del mattino, ma fuori l’afa
già avvolge ogni cosa come uno straccio bagnato. In giro c’è poca gente. Per lo
più turisti in ciabatte, canotta, occhiali da sole e cappellino d’ordinanza. Le
previsioni per oggi sono spietate. Temperatura massima prevista: 38 gradi;
umidità: oltre il 50%. E’ allarme caldo, insomma. Tanto che in centro hanno
pure chiuso il Corridoio Vasariano, il celebre camminamento sospeso sull’Arno
tra gli Uffizi e i giardini di Palazzo Pitti. Fa troppo caldo, le opere d’arte
sono a rischio e verranno rimosse.
Filippo Rocco guida smaliziato. E’ uno dei
Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale
e si trova perfettamente a suo agio nel fritto intrico di deviazioni alla
circolazione e scorciatoie forzate. In pochi minuti arriviamo al cantiere
“Regione” della seconda linea della Tramvia.
Si chiama così perché sta proprio sotto il
palazzone della Giunta toscana. Ed è un groviglio di tubolari, gabbie
metalliche e pilastri di cemento. Al centro del cantiere, c’è una pala
meccanica gialla, ferma nel bel mezzo di uno spiazzo di ghiaia. La luce del
sole cade a picco sul pietrisco bianco e si riverbera tutt’intorno.
Sulle impalcature non c’è anima viva. Gli
operai se ne stanno tutti sotto una baracca di legno, all’ombra di un grande
platano. Si asciugano il sudore, si dissetano, chiacchierano tra loro. Intanto,
tra le fronde, le cicale friniscono senza sosta.
“Siamo in una delle pause previste dalle
nuove norme dalla ASL nelle giornate a rischio caldo. I lavoratori devono
necessariamente fermarsi 15-20 minuti ogni ora” - spiega con indubbio accento
siciliano Fabrizio Conti, giovane ingegnere, assistente del coordinatore per la
sicurezza in fase di esecuzione del lavori delle Linee 2 e 3. In parole più semplici, è
uno dei tecnici dello studio incaricato dal committente dei lavori per
verificare la sicurezza nei diversi cantieri della Tramvia. Conti indica un
piccolo marchingegno affisso alla baracca di legno, sopra alcuni fogli che
penzolano da una puntina. “Quello è un semplice termoigrometro, che segnala
temperatura e umidità in ogni momento della giornata. Tutti i cantieri, ora,
devono averne uno. Ma che questa sarebbe stata una giornata difficile lo
sapevamo già. Ce l’ha comunicato la
ASL qualche giorno fa, ed è stato segnalato anche su un sito
internet al quale accediamo noi, l’impresa subappaltatrice e l’impresa
principale”.
Sui fogli appesi alla baracca c’è invece una
tabella colorata grazie alla quale, incrociando i dati su temperatura e
umidità, è possibile stabilire tre diversi livelli di pericolo. Si va dal
livello uno, di “pre-allerta”, che non richiede azioni immediate, fino al
livello tre, che scatta in “condizioni di emergenza (ondata di calore)” con
possibili effetti negativi sulla salute di persone sane e attive. Per ogni
singolo livello di rischio viene specificato cosa bisogna fare in cantiere per
evitare malori.
E’ la procedura dettata dalle linee guida
emanate dagli uffici della ASL Toscana Centro. Si tratta di poche pagine dal
titolo “Il rischio da temperature elevate nei cantieri edili”, eppure rappresentano
l’esperienza più avanzata in Italia su un fronte troppo spesso sottovalutato. E
potrebbero salvare molte vite. Quando viene individuata una giornata a rischio,
oltre alle pause in zona ombreggiata (“codificate” e “non decise dal
lavoratore”), le linee guida prevedono anche il cambiamento dell’orario di
lavoro, l’idratazione degli operai con acqua e integratori minerali, nonché
l’utilizzo di cappelli a tesa larga, occhiali da sole, vestiti traspiranti,
creme e occhiali protettivi. Senza dimenticare l’obbligo di formazione degli
operai sui rischi per la salute, i sintomi da riconoscere prima che sia troppo
tardi, e le nozioni specifiche di primo soccorso.
“Sono regole ovvie, semplicissime. E questo
fa salire ancor di più la nostra rabbia. Perché le cose normali, spesso nei
posti di lavoro non sono normali affatto”. A dirlo è Marco Benati, segretario
provinciale della FILLEA CGIL di Firenze. Ora siamo in un altro cantiere, a
qualche centinaio di metri dalla Regione. Qui non c’è una baracca di legno, né
un albero. A fare ombra c’è solo un gazebo bianco che brilla sotto un sole
sempre più feroce. Anche qui, su un tavolino, ci sono il termoigrometro e la
tabella colorata. Due operai hanno appena finito la loro pausa e ora armeggiano
con una saldatrice tra i binari. Sudano forte in mezzo a un vialone
transennato, l’aria tremola scaldata dalle fiamme blu. La temperatura è salita
ancora.
L’estate scorsa un giovane operaio edile è
morto, stroncato dal caldo in un cantiere non molto lontano da qui. Era uno dei
troppi lavoratori uccisi in tutta Italia da un’eccezionale ondata di calore.
Nei primi venti giorni del luglio 2015 si contarono ben 11 vittime. A Firenze,
all’inizio, nessuno aveva pensato a una malattia professionale o a un incidente
sul lavoro. Nessuno, tranne il sindacato. Da quel giorno, infatti, la FILLEA, gli RLST e le altre
sigle sindacali hanno iniziato un’intensa mobilitazione, che ha poi coinvolto
anche gli ordini professionali, le istituzioni e i comitati paritetici
provinciali per la sicurezza. “Non abbiamo mollato” - continua Benati – “ci
siamo impuntati. Solo così siamo riusciti ad aprire un dialogo, che dopo un
anno ha finalmente portato a queste linee guida. Ora abbiamo delle indicazioni
concrete, e obbligatorie per tutti”.
Il 22 giugno le procedure sull’esposizione
dei lavoratori alle alte temperature sono state illustrate in una riunione, l’8
luglio sono state inviate alle parti sociali, e attraverso gli enti bilaterali
sono arrivate a tutte le aziende di Firenze. Adesso devono essere applicate in
ogni cantiere edile della città. Chi non le mette in atto nei giorni a rischio,
pagherà.
“Il sindacato ha effettivamente avuto un
ruolo molto importante” - conferma Giuseppe Petrioli, responsabile dell’area
Igiene e sicurezza della ASL Toscana Centro - “Si sono impegnati a fondo, hanno
stimolato la discussione su un tema a lungo trascurato. Ma bisogna anche dire
che nessuno si è arroccato contro le nostre posizioni, né i datori di lavoro,
né gli ordini professionali”. Si guarda intorno, sorride, poi continua: “Non
che potessero fare altrimenti. In realtà sono norme di legge, anche se non
erano state ancora codificate. In edilizia è stato storicamente preso in esame
soprattutto il rischio di esposizione al freddo, al gelo e alla pioggia. Il pericolo
del caldo è stato sempre sottovalutato. E dire che già oggi esiste la
possibilità della cassa integrazione, che viene riconosciuta dall’INPS a
partire da temperature superiori a 34 gradi”.
Torniamo al cantiere “Regione”. Gli operai
hanno ripreso a lavorare. Dopo un po’ si fermano di nuovo, sono passati 45
minuti. “Il termometro in cantiere non lo avevo mai visto” - confessa Santo,
asciugandosi il sudore dalla fronte con una mano. Anche lui è siciliano. Ha gli
occhi chiari, rughe profonde e capelli bianchi sotto il caschetto. “Eppure così
funziona. Dovrebbe esserci ovunque, non solo a Firenze” - continua – “Così
almeno certe ditte la smetterebbero di sfruttare gli operai. Io ho 58 anni, e
sotto il sole è dura. Il caldo t’ammazza”.
Benati lo guarda per un po’. Poi si volta.
“E’ un passo importante, ma è solo un passo” - dice adesso – “La strada da fare
è ancora molto lunga. Bisogna estendere queste norme a tutti i settori in cui
si lavora all’aperto e in cui è richiesto un impegno fisico notevole. Perché in
questo modo l’organizzazione dei luoghi del lavoro torna finalmente in mano ai
lavoratori, e li rende di nuovo protagonisti. Quando i lavoratori sono
protagonisti, gli infortuni calano e la qualità del lavoro e del prodotto
migliora”.
Ci allontaniamo. Santo ha ripreso a picchiare
con la mazzetta da cinque chili su una barra d’acciaio. I colpi risuonano forti
nell’aria immobile. Ai lati del vialone battuto dal sole c’è sempre meno gente.
Una signora piuttosto anziana s’affaccia da una finestra del primo piano. Osserva
la scena per qualche secondo, poi scompare all’ombra di una serranda abbassata
in fretta e furia.
Il video del reportage “A Firenze non si
muore più di caldo” è visionabile all’indirizzo:
Il testo integrale del documento “Il rischio
da temperature elevate nei cantieri edili” della ASL Toscana Centro è
scaricabile all’indirizzo:
Una sintesi del documento “Il rischio da
temperature elevate nei cantieri edili” della ASL Toscana Centro è scaricabile
all’indirizzo:
CALDO NEI LUOGHI DI
LAVORO: CONDIZIONI DI BENESSERE E PRESTAZIONI TECNICHE
Da:
PuntoSicuro
01
luglio 2016
Alcune
informazioni sulle situazioni di comfort e discomfort nei luoghi di lavoro. La
definizione di microclima, il benessere termo igrometrico, il discomfort
locale, le condizioni di benessere termico con riferimento alla stagione
estiva.
Quando
arriva la stagione estiva e salgono le temperature, esterne e interne, nei vari
luoghi di lavoro, aumentano anche le sensazioni di disagio e discomfort
ambientale. Disagio che può avere nel tempo anche varie conseguenze sullo stato
psicofisico di un lavoratore.
Per
questo motivo PuntoSicuro ritorna ad affrontare il tema del caldo nei luoghi di
lavoro, con riferimento a linee guida, studi, normativa e materiali prodotti in
questi anni che ci possono fornire informazioni e rispondere alle domande sul
microclima, sugli aspetti tecnologici, sulla valutazione del rischio e sulle
conseguenze del caldo eccessivo sulla nostra salute.
E
per farlo non possiamo che partire da un documento che, per quanto datato (è
del 2006, precedente all’emanazione del D.Lgs. 81/08), è ancora un ottimo punto
di riferimento per chi si occupa di microclima nei luoghi di lavoro. Stiamo
parlando del documento del Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di
lavoro delle Regioni e delle Province autonome, realizzato in collaborazione
con l’ex ISPESL (ora INAIL), dal titolo “Microclima, aerazione e illuminazione
nei luoghi di lavoro. Requisiti e standard. Indicazioni operative e
progettuali. Linee Guida”.
Un
documento che già nelle premesse sottolinea che per ottenere situazioni di
benessere in un ambiente di lavoro, occorre garantire condizioni accettabili
dal punto di vista sia del microclima (ovvero relativamente alle grandezze
termo-igro-anemometriche), sia della qualità dell’aria, sia del livello di
illuminazione. Benessere che può essere ottenuto attraverso scambi naturali con
l’ambiente esterno o, quando si renda necessario, mediante l’utilizzo di
appositi dispositivi meccanici.
Partendo
da questo documento cerchiamo oggi di approfondire i termini di benessere termoigrometrico.
Le
linee guida definiscono il “microclima” come il complesso dei parametri fisici
ambientali che caratterizzano l’ambiente locale (ma non necessariamente
confinato) e che, assieme a parametri individuali quali l’attività metabolica e
l’abbigliamento, determinano gli scambi termici fra l’ambiente stesso e gli
individui che vi operano.
E
premesso che nei luoghi di lavoro l’attività metabolica è spesso così
strettamente associata al compito lavorativo da non potersi considerare una
variabile, sono definiti moderati tutti i luoghi di lavoro nei quali non
esistono specifiche esigenze produttive che, vincolando uno o più degli altri
principali parametri microclimatici (principalmente temperatura dell’aria, ma
anche umidità relativa, velocità dell’aria, temperatura radiante e resistenza
termica del vestiario), impediscano il raggiungimento del comfort.
In
particolare un microclima comfortevole è quello che suscita nella maggioranza
degli individui presenti una sensazione di soddisfazione per l’ambiente, da un
punto di vista termo- igrometrico. Sensazione che può essere riassunta con i
termini “benessere termoigrometrico”, “benessere termico” o semplicemente
“benessere” o “comfort”.
E
si può avere un “comfort di tipo globale”, ovvero relativo al corpo umano nel
suo complesso e un “comfort di tipo locale”, relativo a specifiche aree
corporee.
Si
segnala inoltre che:
-
il
comfort globale è intimamente legato al mantenimento della neutralità termica
del corpo umano attraverso una fisiologica risposta del sistema di
termoregolazione; quest’ultimo ha il compito di mantenere la temperatura del
nucleo corporeo costante o comunque di contenerne le oscillazioni entro un
intervallo molto ristretto compatibile con l’espletamento ottimale delle
funzioni vitali;
-
il
discomfort locale è invece legato alla limitazione degli scambi termici
localizzati in specifiche aree, ovviamente superficiali, del corpo umano.
Ed
è evidente che la situazione ottimale si raggiunge annullando ogni possibile
causa che possa indurre nel soggetto sensazioni di discomfort, ricordando che
il corpo umano è un sistema che opera in modo ottimale quando la temperatura
del suo nucleo viene mantenuta entro un ristretto intervallo di variabilità.
Per
avere infine alcune indicazioni sulle condizioni di benessere termico possiamo
fare un breve riferimento anche al documento “Condizioni di benessere e
prestazioni tecniche” presentato dal professor Gianfranco Cellai (Laboratorio
di Fisica Ambientale per la
Qualità Edilizia dell’Università di Firenze) in un Corso di
Tecniche del controllo ambientale.
Nel
documento sono riportati alcuni fattori che possono provocare discomfort
locale:
-
presenza
di ampie superfici particolarmente fredde/calde (ad esempio pareti vetrate o pareti
non isolate) che possono causare scambi termici radiativi anomali tra alcune
parti del corpo umano e le superfici suddette (si raccomanda di mantenere
l’asimmetria della temperatura radiante minore di 10 °C per le superfici
verticali, e minore di 5 °C
per i soffitti);
-
contatto
con superfici eccessivamente fredde o calde; ad esempio pavimenti non isolati
su porticati ecc. (si raccomandano temperature superficiali comprese tra 19 °C e 26 °C);
-
presenza
di correnti d’aria fredda (spifferi) che su alcune zone del corpo, ad esempio
la nuca, possono risultare particolarmente fastidiose (si raccomanda una
velocità relativa dell’aria minore di 0,25 m/s);
-
gradienti
di temperatura all’interno dello stesso locale (si raccomanda una differenza
verticale di temperatura minore di 3
°C).
Sono
poi riportate anche informazioni sulle condizioni di benessere estive con
riferimento ad attività leggere, fondamentalmente sedentarie:
-
la
temperatura operativa deve essere compresa tra 23 °C e 26 °C;
-
la
differenza verticale di temperatura dell’aria tra 1,1 m e 0,1 m dal pavimento (livello
testa e caviglia) deve essere minore di 3 °C;
-
l’umidità
relativa deve essere compresa tra il 30 % e il 70 %.
In
tutti i casi è necessario anche tener conto della velocità media dell’aria
(secondo quanto riportato nelle tabelle nel documento).
Ricordiamo,
in conclusione, che lo stesso D.Lgs. 81/08 classifica il microclima (articolo
180) tra gli agenti fisici che devono essere compresi nella valutazione dei
rischi. Valutazione su cui ci soffermeremo nei prossimi articoli.
Il
documento del Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle
Regioni e delle Province autonome “Microclima, aerazione e illuminazione nei
luoghi di lavoro. Requisiti e standard. Indicazioni operative e progettuali.
Linee Guida”, versione giugno 2006 è scaricabile all’indirizzo:
Il
documento “Condizioni di benessere e prestazioni tecniche”, a cura del
professor Gianfranco Cellai (Laboratorio di Fisica Ambientale per la Qualità Edilizia
dell’Università di Firenze) è scaricabile all’indirizzo:
IMPARARE DAGLI
ERRORI: SE NON SI INDOSSANO I GUANTI
Da:
PuntoSicuro
14
luglio 2016
di
Tiziano Menduto
Esempi
di infortuni correlati all’uso errato o mancato uso di DPI per la protezione
delle mani e delle braccia.
La
riparazione di una macchina e la presenza di elementi pericolosi nelle
attrezzature. Le varie tipologie di DPI.
Continua
il percorso di “Imparare dagli errori”, la rubrica che PuntoSicuro dedica al
racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, attraverso gli infortuni
correlati all’uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). E in
particolare alle conseguenze, anche solo come aggravamento dell’infortunio,
dell’uso errato o mancato uso di DPI nei luoghi di lavoro.
Nelle
prime puntate abbiamo iniziato parlando dei dispositivi per la protezione del
viso e di protezione degli occhi e ci soffermiamo invece oggi sui dispositivi
di protezione individuale delle mani e delle braccia.
Le
dinamiche degli infortuni presentati sono tratte dalle schede di INFOR.MO.,
strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema
di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il
primo caso riguarda un infortunio durante attività di riparazione/manutenzione
di una macchina.
Un
lavoratore, capoturno in servizio, sta operando congiuntamente a due colleghi
sulla linea “pasta lunga” a seguito di un blocco-macchina causato dal mal
posizionamento di alcune canne portapasta. Il lavoratore si trova in prossimità
del portellino di ispezione sito al piano di campagna, al fine di rimuovere
tali canne, e uno dei due colleghi si trova presso il quadro di azionamento
della linea.
Il
primo lavoratore comanda tale collega per l’azionamento e la fermata della
macchina, al fine di far scorrere le canne e rimuoverle. Durante tali
operazioni, a macchina ferma, cerca di rimuovere una di tali canne, la quale,
inizialmente incastrata, si libera improvvisamente, facendo sbattere la mano
destra del lavoratore contro una delle lamiere di separazione tra le parti
meccaniche del macchinario e la pasta in lavorazione.
Il
capoturno riporta lo schiacciamento della mano destra. L’infortunato ha
dichiarato di non indossare i guanti da lavoro nonostante l’azienda glieli
avesse forniti.
Questi
i fattori causali identificati nella scheda:
-
tentativo
di rimuovere a forza un elemento incastrato;
-
mancato
uso dei DPI (guanti).
Il
secondo caso riguarda un infortunio di un operatore addetto alla macchina
deputata alla produzione di materiali autoadesivi.
L’operatore,
dopo che è stata effettuata l’operazione di spurgo della testa, si appresta al
riassemblaggio dei pezzi, serrando una vite nella propria sede.
Improvvisamente
da un foro presente fuoriesce adesivo ad alta temperatura che lo colpisce
sull’avambraccio destro provocandogli un’ustione.
L’infortunato
non usava guanti anticalore.
Questi
i fattori causali dell’incidente rilevati dalla scheda:
-
l’infortunato
non indossava guanti anticalore;
-
presenza
di elementi pericolosi (adesivo ad alta temperatura all’interno della
macchina).
Per
avere qualche indicazione utile per la conoscenza, la scelta e l’uso di
adeguati DPI delle mani e delle braccia, possiamo fare riferimento al progetto
multimediale Impresa Sicura (elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione
Emilia-Romagna e INAIL) che è stato validato dalla Commissione Consultiva
Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27
novembre 2013. Progetto che ha prodotto negli anni diversi materiali relativi
alla prevenzione in vari comparti lavorativi (metalmeccanica, cantieristica
navale, lavorazione del legno, calzature, ecc.) e una raccolta dettagliata di
informazioni sui Dispositivi di Protezione Individuale nel documento
“ImpresaSicura DPI”.
Quest’ultimo
documento dopo aver descritto i rischi a cui sono soggette le mani (meccanici,
biologici, chimici, fisici, termici, elettrici, ecc.), ricorda che la protezione
da tali rischi si può ottenere tramite DPI di diversa conformazione anche in
funzione della parte della mano e/o del braccio che si vuol proteggere.
Ad
esempio si possono utilizzare:
-
guanti
a manopola: sono adatti per i lavori pesanti (“presa grossa”); possono essere
facilmente sfilati in caso di necessità; sono normalmente in pelle resistente e
sono adatti soprattutto come protezione contro lesioni provocate
meccanicamente, ad esempio trasporto, lavori di imbracatura, lavori di
smistamento e riparazioni, presa o sostegno di oggetti di grande dimensione con
superficie ruvida o spigoli vivi;
-
guanti
a tre dita: sono adatti per lavori che richiedono l’uso di singole dita (“pinza
chiave”), ad esempio saldatura, molatura e riparazioni;
-
guanti
a cinque dita: vanno usati quando è richiesta particolare destrezza delle mani
(“pinza pulpare” e “pinza fine”); alla luce di queste esigenze essi dovranno
essere prodotti in materiali sottili; in caso di emergenza i guanti a cinque
dita vengono sfilati con difficoltà;
-
guanti
a mezze dita: vanno usati quando è richiesta particolare destrezza e
sensibilità tattile delle dita;
-
ditali:
sono costruiti in materiali come gomma naturale, propilene o metallo e si
utilizzano per la protezione delle estremità delle dita, lasciando libero il
resto della mano;
-
manicotti:
sorta di manica grossa e corta, realizzata con vari materiali (maglia
metallica, pelle, propilene, ecc.) aperta alle due estremità, in cui si
infilano le braccia per proteggerle da vari rischi;
-
fasce
di protezione dei polsi: spesso in neoprene misto tessuto, con o senza
imbottiture interne; ideale sostegno per il polso che consente una minor
sollecitazione dei tendini; utilizzate in ambito sportivo, non sono da
considerarsi come DPI propriamente detti.
E
in particolare i guanti di protezione devono essere impiegati nei casi in cui i
rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti con misure
tecniche di prevenzione, con mezzi di protezione collettiva, con misure, metodi
o procedimenti di riorganizzazione del lavoro.
E
la scelta dei guanti dipende dalla mansione del lavoratore, dalle
caratteristiche del guanto e dalla biocompatibilità, ricordando che la “presa”
deve essere sempre garantita.
Nell’articolo
abbiamo presentato le schede numero 3414 e 3300 (archivio incidenti 2002/2010)
tratte dal sito web di INFOR.MO., consultabile all’indirizzo
ATTREZZATURE A
PRESSIONE: LE NOVITA’ DELLA NUOVA DIRETTIVA 2014/68/UE
Da:
PuntoSicuro
15
luglio 2016
di
Tiziano Menduto
Un
intervento sulla nuova Direttiva PED 2014/68/UE si sofferma sull’evoluzione
normativa, sul recepimento con il D.Lgs. 26/16, sul Regolamento CLP e sulle
novità correlate alla classificazione dei fluidi/sostanze.
Il
mese di luglio sarà caratterizzato da alcune novità riguardo alla
progettazione, fabbricazione e valutazione di conformità delle attrezzature a
pressione, novità correlate alla Direttiva 2014/68/UE del Parlamento Europeo e
del Consiglio del 15 maggio 2014 concernente l’armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato
di attrezzature a pressione.
Presentiamo,
con alcuni articoli, gli atti del seminario tecnico informativo “La Nuova Direttiva
PED 2014/68/UE” che è stato promosso da Assoservizi e Unindustria Rimini, in
collaborazione con l’ Istituto Giordano, proprio con l’intento di far conoscere
la nuova Direttiva.
Per
cominciare a parlare della direttiva PED (Pressure Equipment Directive)
2014/68/UE ci soffermiamo in particolare su una presentazione/intervento
dell’Istituto Giordano.
Dopo
aver ricordato la Direttiva
97/23/CE del 29 maggio 1997, recepita in Italia con D.Lgs. 93/00, l’intervento
si sofferma sulla Direttiva 2014/68/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 15 maggio 2014, concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati
membri relative alla messa a disposizione sul mercato di attrezzature a
pressione.
Nuova
Direttiva che rientra nel processo di adeguamento delle principali Direttive
europee di prodotto al Nuovo Quadro Legislativo (New Legislative Framework:
NLF), nuovo quadro che ha richiesto un processo di rifusione per adeguare le
Direttive ai requisiti dei provvedimenti del New Legal Framework.
E
il processo di rifusione è stato realizzato considerando i seguenti macro
obiettivi:
-
la Direttiva mira a garantire un
elevato livello di protezione di interessi pubblici, quali la salute e la
sicurezza delle persone, la protezione degli animali domestici e dei beni,
nonché una concorrenza leale sul mercato dell’Unione;
-
la Direttiva garantisce la libera
circolazione sul mercato, stabilisce norme riguardanti l’accreditamento degli
organismi di valutazione della conformità, fornisce un quadro per la vigilanza
del mercato dei prodotti e per i controlli sui prodotti provenienti dai paesi
terzi e stabilisce i principi generali della marcatura CE (grazie al
regolamento CE n. 765/08).
Riguardo
alle novità si sottolinea, innanzitutto, che la nuova direttiva PED non ha
modificato il campo di applicazione e la definizione dei requisiti essenziali
di sicurezza; la Direttiva
(articolo 1) si applica alla progettazione, fabbricazione e valutazione di
conformità delle attrezzature a pressione e degli insiemi sottoposti ad una
pressione massima ammissibile PS superiore a 0,5 bar.
Alcuni
dati sulla Direttiva 2014/68/UE (PED) e su altre novità normative correlate:
-
la Direttiva è stata firmata il
15 Maggio 2014.
-
la Direttiva è stata pubblicata
in Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea il 27 Giugno 2014;
-
la Direttiva è entrata in vigore
il 17 Luglio 2014;
-
il
01 giugno 2015 è stata abrogata la
Direttiva 67/548/CE (sostanze pericolose) ed è stata
sostituita dal Regolamento CE 1272/2008 (CLP);
-
l’articolo
13 della Direttiva 2014/68/UE è entrato in vigore a partire dal 01 Giugno 2015;
-
la Direttiva diventa interamente
obbligatoria a partire dal 19 Luglio 2016.
La Direttiva 2014/68/UE (PED) è
stata recepita in Italia con il Decreto Legislativo 15 febbraio 2016, n. 26
“Attuazione della Direttiva 2014/68/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 15 maggio 2014, concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati
membri relativa alla messa a disposizione sul mercato di attrezzature a
pressione (rifusione)”, pubblicato il 4 Marzo 2016.
Ricordiamo
che tale D.Lgs. 26/16 indica all’articolo 3 che con l’eccezione delle
disposizioni di cui all’articolo 1, comma 1, lettera t), ferma restando la
decorrenza disposta dall’articolo 49 della Direttiva 2014/68/UE relativamente
all’articolo 13 della medesima, le disposizioni del Decreto si applicano a
decorrere dal 19 luglio 2016.
Cosa
è già cambiato con l’introduzione della direttiva?
L’intervento
si sofferma in particolare sulle novità riguardo alla classificazione dei fluidi/sostanze.
Si
indica che la precedente Direttiva PED 97/23/CE segue la classificazione dei
fluidi contenuti nelle apparecchiature a pressione secondo la Direttiva 67/548/CEE del
Consiglio del 27 giugno 1967 concernente il ravvicinamento delle disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative alla classificazione,
all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose. Ma a partire
dall’ 1 Giugno 2015 il Regolamento (CE) 1272/2008 relativo alla
classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio (CLP) è la sola normativa
vigente per la classificazione e l’etichettatura delle sostanze chimiche e
delle miscele. Termina così la fase transitoria che dal 20 Gennaio 2009 ha consentito alle
imprese di avvalersi ancora delle disposizioni della precedente legislazione,
in particolare della Direttiva 67/548/CEE sulle sostanze pericolose e della
Direttiva 99/45/CE sui preparati pericolosi. E ora il Regolamento CLP diventa
il nuovo riferimento per la classificazione delle attrezzature a pressione
nella Direttiva 2014/68/UE.
Riprendiamo,
a questo proposito, due articoli della nuova direttiva PED:
-
articolo
49 della Direttiva 2014/68/UE: dal 01/06/2015 entra in vigore l’articolo 13
della Direttiva 2014/68/UE “Classificazione delle attrezzature a pressione”;
-
articolo
50 della Direttiva 2014/68/UE: Dal 01/06/2015 è abrogato l’articolo 9 della
Direttiva 97/23/CE “Classificazione delle attrezzature a pressione”.
Sono
anche riportate le indicazioni della Circolare n. 69096 del 15 maggio 2015 del
Ministero dello Sviluppo Economico:
“In
considerazione [...] dei principi consolidati relativi agli effetti diretti
nell’ordinamento interno delle prescrizioni delle Direttive europee
sufficientemente chiare, precise ed incondizionate, a termine scaduto, quali
appaiono le prescrizioni di cui all’articolo 13 citato della Direttiva in
oggetto, e per altro verso in relazione alla diretta applicabilità dell’aggiornamento
delle connesse prescrizioni del Regolamento 1272/2008 CLP, prevista per il
primo giugno prossimo, [...], l’applicazione dell’articolo 13 della Direttiva
in oggetto sarà assicurata in via urgente [...]. Con la presente Circolare,
pertanto, questo Ministero [...], provvede alla necessaria informativa al
mercato circa le prescrizioni cui è comunque obbligatorio adeguarsi a decorrere
dal prossimo 1 giugno 2015, nelle more del recepimento integrale della
Direttiva da effettuarsi non appena approvata la delega legislativa al riguardo
prevista nel disegno di legge di delegazione europea 2014”.
A
questo proposito l’intervento riporta la classificazione dei Fluidi pericolosi
(Gruppo 1) secondo l’articolo 13 della Direttiva 2014/68/UE e in base al
Regolamento 1272/2008 CLP:
-
esplosivi
instabili, o esplosivi (Divisioni 1.1, 1.2, 1.3, 1.4, 1.5);
-
gas,
liquidi e solidi infiammabili (Categorie 1 e 2);
-
gas
comburenti (Categoria 1);
-
liquidi
infiammabili (Categoria 3), quando TS > al punto di infiammabilità;
-
sostanze
o miscele auto-reattive dei tipi da A a F;
-
liquidi
e solidi piroforici (Categoria 1) Sostanze e miscele che, a contatto con
l’acqua, liberano gas infiammabili (Categorie 1,2, 3);
-
liquidi
e solidi comburenti (Categorie 1,2, 3);
-
perossidi
organici dei tipi da A a F;
-
tossicità
acuta orale (Categorie 1, 2);
-
tossicità
acuta per via cutanea (Categorie 1, 2);
-
tossicità
acuta per inalazione (Categorie 1, 2, 3);
-
tossicità
specifica per organi bersaglio - esposizione singola (Categoria 1).
E
riguardo al Regolamento CLP si ricorda che:
-
una
delle finalità del regolamento CLP è determinare se una sostanza o miscela
possa essere classificata come pericolosa;
-
nel
regolamento CLP sono definite le classi di pericolo, suddivise a loro volta in
categorie di pericolo;
-
il
numero totale di classi di pericolo è aumentato rispetto alla precedente
Direttiva DSD (Dangerous Substances Directive);
-
il
regolamento CLP introduce nuove classi e categorie di pericolo che
corrispondono solo parzialmente a quelle utilizzate nel contesto del precedente
regime (DSD);
-
oltre
all’autoclassificazione, in base alla quale i fabbricanti, gli importatori e
gli utilizzatori devono identificare i pericoli e classificare le sostanze e le
miscele, il regolamento CLP contiene anche disposizioni per la classificazione
armonizzata delle sostanze;
-
l’allegato
VII del regolamento CLP fornisce una tabella di conversione per convertire le
classificazioni esistenti a norma della DSD in classificazioni a norma del
regolamento CLP.
In
definitiva con l’entrata in vigore del Regolamento CLP può verificarsi una
diversa categorizzazione delle attrezzature a pressione con, in certi casi, la
necessità di una procedura di valutazione della conformità del prodotto più
severa in fase di immissione su mercato.
Bisogna,
infine, tener conto che:
-
una
modifica della classificazione del fluido può causare una modifica della
classificazione dell’attrezzatura a pressione (categoria dell’attrezzatura);
-
la
modifica della categoria di appartenenza può causare l’adozione di una differente
procedura di valutazione della conformità;
-
l’adozione
di una differente procedura di valutazione della conformità porta necessariamente
a maggiori costi per il Fabbricante.
Concludiamo
segnalando che l’intervento si sofferma anche sulle novità relative agli
operatori economici e ai moduli di valutazione della conformità, su cui ci
soffermeremo in un prossimo articolo.
Il
documento “Presentazione novità normative”, curata dall’Istituto Giordano,
intervento al seminario “La
Nuova Direttiva PED 2014/68/UE” è scaricabile all’indirizzo:
La Direttiva 2014/68/UE del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 concernente
l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a
disposizione sul mercato di attrezzature a pressione è scaricabile
all’indirizzo:
Il
Decreto Legislativo 15 febbraio 2016, n. 26 “Attuazione della Direttiva 2014/68/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente
l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relativa alla messa a
disposizione sul mercato di attrezzature a pressione” è consultabile
all’indirizzo:
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