In dieci anni gli addetti sono scesi del 10 per cento mentre la produzione
di vetture dell’85 per cento. Monitorate 49 aziende della filiera: 2 su 3 non
producono più per i modelli premium del marchio Maserati
La cassa integrazione ha salvato il distretto automotive torinese durante la crisi. E dopo la fine delle vacche magre quel che resta dell'indotto è sempre meno dipendente dalle commesse del Lingotto. I dati dell'indagine promossa dalla Fiom raccontano in quale maniera il crollo delle vendite di auto iniziato nel 2008, durante la più grave recessione che ha colpito l'industria italiana, abbia inciso su quella che continua ad essere la principale attività manifatturiera di Torino e della regione che dipende dal capoluogo. In Piemonte il settore automotive conta 80 mila addetti: "In realtà la cifra è scesa ulteriormente dal 2011 a oggi per effetto di altre importanti crisi come quella di De Tomaso", spiega Federico Bellono, responsabile della Fiom piemontese.
Ma certamente i dati dell'indagine, condotta tra 49 aziende del settore
metalmeccanico che hanno al loro interno rappresentanti sindacali (questo
esclude gran parte delle micro società che costellano il mondo dell'indotto
automotive senza pesare molto né sull'organico complessivo né sui fatturati)
dimostrano che il calo degli occupati è stato assai inferiore a quello della
produzione: nel decennio 2001-2011 l'automotive piemontese ha perso 13 mila
addetti, il 10 per cento della forza lavoro. Anche immaginando ulteriori
significative perdite negli anni successivi, soprattutto in provincia di
Torino, forse la più colpita dalla lunga recessione, non si arriva comunque al
20 per cento degli occupati. Parallelamente il numero di auto prodotte nel
comprensorio torinese, l'unico della regione in cui esistono stabilimenti di
assemblaggio finale, è crollato dalle oltre duecentomila del 2006 a meno di
trentamila nel 2013. Un crollo vicino al 90 per cento. Non c'è proporzionalità
dunque tra un calo degli addetti pesante ma contenuto intorno al dieci per
cento e un crollo produttivo che è nove volte tanto. Come spiegare il fenomeno?
"In due modi - dicono alla Fiom - sia con l'effetto di un ammortizzatore
importante come la cassa integrazione, sia con la minore dipendenza dell'automotive
che si è salvato dalla crisi dalle commesse di Fiat Chrysler Automobiles".La cassa integrazione ha salvato il distretto automotive torinese durante la crisi. E dopo la fine delle vacche magre quel che resta dell'indotto è sempre meno dipendente dalle commesse del Lingotto. I dati dell'indagine promossa dalla Fiom raccontano in quale maniera il crollo delle vendite di auto iniziato nel 2008, durante la più grave recessione che ha colpito l'industria italiana, abbia inciso su quella che continua ad essere la principale attività manifatturiera di Torino e della regione che dipende dal capoluogo. In Piemonte il settore automotive conta 80 mila addetti: "In realtà la cifra è scesa ulteriormente dal 2011 a oggi per effetto di altre importanti crisi come quella di De Tomaso", spiega Federico Bellono, responsabile della Fiom piemontese.
I dati dell'indagine, curata dal responsabile Fiom di Mirafiori, Edy Lazzi, spiegano che nel tempo la dipendenza delle aziende dal settore dal Lingotto è calata. Tra il 2008 e il 2015 la quota del fatturato dell'indotto verso Fca è calata dal 42 per cento al 32 per cento. Nell'indagine sono state interrogate 49 aziende sul loro rapporto con Fca. Di queste solo 11, il 22,5 per cento del totale, hanno dichiarato di lavorare per il polo del lusso di Maserati, attualmente l'unica attività produttiva del gruppo Fca a Torino se si esclude la linea Mito nello stabilimento di Mirafiori. Questo significa che oltre il 77 per cento dell'indotto per case straniere o per quegli stabilimenti del gruppo Fca che non si trovano nel torinese.
"Si tratta certamente di un segnale importante per un settore che si è reso autonomo dall'unico committente di un tempo - commenta Bellono ma è altrettanto vero che il calo degli occupati dimostra come la strategia della produzione premium non sia riuscita fino ad oggi a compensare la perdita occupazionale determinata dalla crisi". Anche la Fiom riconosce che "il polo del lusso ha evitato il tracollo finale e la totale scomparsa della filiera automotive a Torino. Ovviamente - si legge ancora nel testo della ricerca - è un bene che ci sia ed è un bene che si producano i tre modelli. Ma quel polo, numeri alla mano, non risolve da solo i molti problemi che abbiamo nel nostro territorio ".
Anche perché, concludono in Fiom, sempre più spesso le aziende automotive torinesi appartengono all'indotto di seconda fascia mentre l'indotto di primo livello è tutto in mano alle multinazionali
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