NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
SOMMINISTRAZIONE DI
LAVORO E OBBLIGHI DI SICUREZZA DOPO IL JOBS ACT
Da:
PuntoSicuro
23
giugno 2016
di
Anna Guardavilla
Le
nuove norme del D.Lgs. 81/15 attuativo del Jobs Act sul contratto di
somministrazione di lavoro: ripartizione degli obblighi prevenzionistici,
potere disciplinare, collegamento con rischi lavorativi e DVR. Giurisprudenza.
Come
noto, le norme che regolamentavano la somministrazione di lavoro dal punto di
vista della ripartizione degli obblighi di salute e sicurezza sul lavoro, cioè
gli articoli 3, comma 5 del D.Lgs.81/08 e 23, comma 5 del D.Lgs.276/2003, da
circa un anno sono state espressamente abrogate dall’articolo 55, comma 1,
lettere d ed e) del D.Lgs.81/15 e sono state concettualmente sostituite
dall’articolo 35, comma 4 di quest’ultimo Decreto, che ora rappresenta il punto
di riferimento normativo in tale materia.
Ciò
è avvenuto nell’ambito di una più generale riforma (il Jobs Act, di cui il
D.Lgs.81/15 è attuativo) che ha abrogato gli articoli dal 20 al 28 del
D.Lgs.276/03 che disciplinavano in precedenza il contratto di somministrazione
di lavoro (non solo dal punto di vista della salute e sicurezza, ma a 360
gradi) sostituendo la precedente regolamentazione con una nuova disciplina
avente a oggetto il contratto di somministrazione di lavoro nel suo complesso
(e quindi anche gli aspetti connessi alla salute e sicurezza sul lavoro).
In
particolare, tale nuova regolamentazione del contratto di somministrazione è
contenuta nel Capo IV (articoli da 30 a 40) del D.Lgs. 81/15, recante
“Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in
tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della Legge 10 dicembre
2014, n.183” ed è entrata in vigore il 25 giugno dell’anno scorso.
Prima
di analizzare gli aspetti relativi alla salute e sicurezza, premettiamo che la
sezione del D.Lgs. 81/15 dedicata al contratto di somministrazione di lavoro si
apre con la nuova definizione di tale contratto (articolo 30 del D.Lgs. 81/15
“Definizione”), secondo la quale “il contratto di somministrazione di lavoro è
il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di
somministrazione autorizzata, ai sensi del D.Lgs. 276/03, mette a disposizione
di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la
durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la
direzione e il controllo dell’utilizzatore”.
LE
NORME DEL D.LGS.81/15 CHE ATTUALMENTE DISCIPLINANO LA SOMMINISTRAZIONE DI
LAVORO DAL PUNTO DI VISTA DEGLI OBBLIGHI DI SALUTE E SICUREZZA
RIPARTIZIONE
DEGLI OBBLIGHI PREVENZIONISTICI
Come
si è già avuto modo di accennare, la norma che attualmente regolamenta la
ripartizione degli obblighi prevenzionistici tra somministratore e utilizzatore
è oggi contenuta nell’articolo 35, comma 4 del D.Lgs. 81/15 (“Tutela del
lavoratore, esercizio del potere disciplinare e regime della solidarietà”), il
quale prevede che:
“Il
somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute
connessi alle attività produttive e li forma e addestra all’uso delle attrezzature
di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa per la quale
essi vengono assunti, in conformità al D.Lgs. 81/08.
Il
contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto
dall’utilizzatore.
L’utilizzatore
osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di prevenzione
e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei
propri dipendenti”.
Dal
punto di vista della ripartizione degli obblighi prevenzionistici tra somministratore
e utilizzatore, può essere utile (solo per una valutazione generale, essendo le
norme di seguito riportate non più in vigore) un raffronto con il regime
normativo previgente ormai abrogato (che era contenuto nell’articolo 3 comma 5
del D.Lgs. 81/08), il quale in precedenza disponeva quanto segue:
“Nell’ipotesi
di prestatori di lavoro nell’ambito di un contratto di somministrazione di
lavoro di cui agli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, e successive modificazioni, fermo restando quanto specificamente
previsto dal comma 5 dell’articolo 23 del citato decreto legislativo n. 276 del
2003, tutti gli obblighi di prevenzione e protezione di cui al presente decreto
sono a carico dell’utilizzatore”.
Il
rinvio operato dalla norma all’articolo 23, comma 5 del D.Lgs. 276/03 (“fermo
restando quanto specificamente previsto dal comma 5 dell’articolo 23 del citato
Decreto Legislativo n. 276 del 2003”) faceva riferimento alla previsione
secondo cui “il somministratore informa i lavoratori sui rischi per la
sicurezza e la salute connessi alle attività produttive in generale e li forma
e addestra all’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento
delle attività lavorativa per la quale essi vengono assunti in conformità alle
disposizioni recate dal Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modificazioni ed integrazioni. Il contratto di somministrazione può
prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall’utilizzatore; in tale caso ne va
fatta indicazione nel contratto con il lavoratore.
Nel
caso in cui le mansioni cui è adibito il prestatore di lavoro richiedano una
sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici, l’utilizzatore ne
informa il lavoratore conformemente a quanto previsto dal Decreto Legislativo
19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni.
L’utilizzatore osserva altresì, nei confronti del medesimo prestatore, tutti
gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed è
responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla
legge e dai contratti collettivi”.
DIVIETO
DI AVVALERSI DEL CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE PER RAGIONI COLLEGATE ALLA
SALUTE E SICUREZZA
Anche
con il nuovo Decreto, il contratto di somministrazione di lavoro continua ad
essere “vietato […] da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la
valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e
della sicurezza dei lavoratori” (articolo 32, comma ,1 lettera d) del D.Lgs.
81/15).
CONTENUTI
NECESSARI DEL CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE COLLEGATI ALLA SALUTE E SICUREZZA
Tale
contratto, inoltre, deve anche contenere, tra gli altri elementi necessari,
“l’indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore
e le misure di prevenzione adottate” (articolo 33, comma 1 lettera c) del
D.Lgs. 81/15).
Allorché
poi questi ultimi due requisiti (il divieto di cui sopra e i contenuti
necessari del contratto) riguardanti le tutele di salute e sicurezza sul lavoro,
vengano disattesi, è previsto quanto segue: “quando la somministrazione di
lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli
31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può
chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un
rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio
della somministrazione” (tranne che nella pubblica amministrazione). Tale
eventuale rimedio si aggiunge peraltro ad una sanzione amministrativa
pecuniaria (articolo 40).
Nell’eventualità
che il lavoratore avanzi la richiesta di cui sopra, “tutti gli atti compiuti o
ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto,
per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si
intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente
utilizzato la prestazione” (articolo 38, commi 2, 3 e 4 del D.Lgs. 81/15).
L’ESERCIZIO
DEL POTERE DISCIPLINARE E I DANNI VERSO I TERZI
Il
Decreto attuativo del Jobs Act specifica poi che “ai fini dell’esercizio del
potere disciplinare, che è riservato al somministratore, l’utilizzatore
comunica al somministratore gli elementi che formeranno oggetto della
contestazione ai sensi dell’articolo 7 della Legge n. 300 del 1970” e che
“l’utilizzatore risponde nei confronti dei terzi dei danni a essi arrecati dal
lavoratore nello svolgimento delle sue mansioni” (articolo 35, commi
rispettivamente 6 e 7 del D.Lgs. 81/15)
IL
COMPUTO DEI LAVORATORI
Ai
sensi del D.Lgs. 81/15, “il lavoratore somministrato non è computato
nell’organico dell’utilizzatore ai fini dell’applicazione di normative di legge
o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla tutela
della salute e della sicurezza sul lavoro” (articolo 34, comma 3 del D.Lgs.
81/15).
Questa
norma va a collegarsi all’articolo 4, comma 2 del D.Lgs. 81/08, il quale
(rimasto invariato) prevede che “i lavoratori utilizzati mediante
somministrazione di lavoro ai sensi degli articoli 20 e seguenti del Decreto
Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni [ora articoli
30 e seguenti del D.Lgs. 81/15] e i lavoratori assunti a tempo parziale ai sensi
del Decreto Legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, e successive modificazioni, si
computano sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato
nell’arco di un semestre”.
In
tema di computo dei lavoratori si ricorda peraltro che una nuova norma (avente
ad oggetto il “telelavoro”) è stata introdotta da un altro Decreto attuativo
del Jobs Act: il D.Lgs. 80/15, recante “Misure per la conciliazione delle
esigenze di cura, di vita e di lavoro”, all’articolo 23 “Disposizioni in
materia di telelavoro” ove si prevede che “i datori di lavoro privati che
facciano ricorso all’istituto del telelavoro per motivi legati a esigenze di
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in forza di accordi collettivi
stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul
piano nazionale, possono escludere i lavoratori ammessi al telelavoro dal
computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per
l’applicazione di particolari normative e istituti”.
GLI
OBBLIGHI DI ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI E LE MALATTIE PROFESSIONALI
(D.P.R. 1124/65)
Viene
infine precisato dal nuovo Decreto che “gli obblighi dell’assicurazione contro
gli infortuni e le malattie professionali previsti dal decreto del Presidente
della Repubblica 30 giugno 1965, n.1124, e successive modificazioni, sono
determinati in relazione al tipo e al rischio delle lavorazioni svolte. I premi
e i contributi sono determinati in relazione al tasso medio o medio ponderato,
stabilito per l’attività svolta dall’impresa utilizzatrice, nella quale sono
inquadrabili le lavorazioni svolte dai lavoratori somministrati, ovvero in base
al tasso medio o medio ponderato della voce di tariffa corrispondente alla
lavorazione effettivamente prestata dal lavoratore somministrato, ove presso
l’impresa utilizzatrice la stessa non sia già assicurata” (articolo 37, comma 3
del D.Lgs. 81/15 “Norme previdenziali”).
CENNI
ALLA GIURISPRUDENZA: DUE SENTENZE DELLA CASSAZIONE SULLA SOMMINISTRAZIONE DI
LAVORO
Chiudiamo
questo contributo riportando un paio di sentenze della Cassazione in materia di
somministrazione di lavoro.
SENTENZA
N. 21304 DEL 21 MAGGIO 2015 DELLA CASSAZIONE SEZIONE PENALE
All’amministratore
di una SpA, imputato per omicidio colposo in danno di una lavoratrice, erano
state contestate
“le
condotte consistite:
1)
nella mancata formazione e informazione della lavoratrice sui rischi inerenti
l’utilizzo degli strumenti di lavoro (in particolare dei transpallet utilizzati
per il trasporto merci) in uso presso la società utilizzatrice dell’opera della
lavoratrice;
2)
nell’adozione di inadeguate procedure di movimentazione delle merci (con la
conseguenza che, nel caso di specie, la lavoratrice era stata adibita al
trasporto di un liquido che, per peso e caratteristiche dei contenitori, non
permetteva un corretto bilanciamento e non garantiva la stabilità del carico);
3)
nell’utilizzo del transpallet su una pavimentazione irregolare con dislivelli e
pendenza media del 4%;
4)
nella mancata valutazione dei rischi connessi alle descritte operazioni
lavorative: condizione che non avrebbe neppure consentito la somministrazione
di manodopera, ai sensi dell’articolo 20, comma 5, lettera e) del D.Lgs.
276/03, nella specie stipulata dalla SpA senza verificare l’esistenza di alcun
documento di valutazione dei rischi per l’unità produttiva cui la lavoratrice era
stata addetta”.
In
termini di dinamica dell’evento, la lavoratrice, nel trasportare a mezzo di un
transpallet una cisterna contenente sapone liquido del peso di 750 kg, era
stata travolta e schiacciata dal contenitore trasportato caduto dal
transpallet, decedendo.
In
primo grado il GUP presso il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere in
quanto “in ragione delle dimensioni e dell’organizzazione della SpA, il
presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante non aveva
avuto alcun ruolo nella stipulazione del contratto di somministrazione delle
prestazioni della lavoratrice, la cui gestione era stata integralmente affidata
ai responsabili commerciali di filiale”.
“Sotto
altro profilo” - secondo il Tribunale - “nessun rimprovero per l’omessa
formazione della dipendente o per l’adozione di inadeguate procedure di lavoro
poteva essere sollevato nei confronti dell’imputato, tenuto conto che la
società somministratrice non aveva alcun obbligo formativo e informativo nei
confronti della lavoratrice somministrata avendone contrattualmente trasferito
i corrispondenti oneri (ai sensi dell’articolo 23 del D.Lgs. 276/03) alla
società destinataria delle prestazioni”.
Quanto
alla mancata verifica dell’esistenza del documento di valutazione dei rischi
per l’unità produttiva cui la lavoratrice era stata adibita, il giudice a quo
(dopo aver evidenziato l’avvenuta espressa dichiarazione contrattuale della
società destinataria delle prestazioni di avere effettuato, in data 31/01/08,
la valutazione dei rischi, ai sensi degli articoli 17, 18, 28 e 36 del D.Lgs.
81/08) ha rilevato come “l’eventuale mancanza del documento o la mancata
valutazione dello stesso non potessero in ogni caso costituire la causa del
decesso della lavoratrice, nella specie cagionata in via esclusiva da
un’inadeguata formazione e informazione della lavoratrice e dal conseguente
utilizzo di una scorretta procedura di lavoro”.
Il
Procuratore della Repubblica ricorre in Cassazione avverso l’assoluzione
lamentando il fatto che il Tribunale avrebbe errato nel considerare
irrilevante, dal punto di vista causale, la “eventuale mancanza del documento
di valutazione dei rischi, tenuto conto che [...] ai sensi dell’articolo 20,
comma 5 del D.Lgs. 276/03 [ora articolo 32 del D.Lgs. 81/15], il ricorso al
contratto di somministrazione di lavoro è precluso per le imprese che non
abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del
D.Lgs. 626/94 (oggi riferito all’articolo 28 del D.Lgs. 81/08): situazione di
fatto del tutto coincidente con quella di specie, attesa l’assoluta inidoneità,
tanto del documento depositato agli atti del giudizio (privo financo
dell’indicazione dell’unità produttiva alla quale farebbe riferimento), quanto
della dichiarazione meramente formale, emessa in sede contrattuale dalla
società destinataria dell’opera della lavoratrice, di aver effettuato la
valutazione dei rischi”.
La
Cassazione dichiara fondato il ricorso e annulla la impugnata sentenza con
rinvio al Tribunale per un nuovo esame.
SENTENZA
N. 23314 DEL 9 GIUGNO 2011 DELLA CASSAZIONE SEZIONE PENALE
Il
legale rappresentante della SpA, fornitrice di lavoro temporaneo, viene
ritenuto in primo grado responsabile di un infortunio sul lavoro occorso al
lavoratore, “il quale, dipendente, secondo la contestazione, della società
sopra indicata, mentre lavorava in virtù del contratto di fornitura di
prestazione di lavoro temporaneo con la mansione di carrellista presso lo
stabilimento dell’utilizzatrice, durante le operazioni di spostamento di alcuni
bancali, riportava fratture varie con prognosi iniziale di 30 giorni e
successivamente superiore a 40 giorni”.
All’imputato,
nella qualità di datore di lavoro della SpA era stato contestato di avere
omesso di fornire al dipendente una formazione adeguata alle specifiche
mansioni di carrellista, espressamente indicata nel contratto di fornitura di
prestazioni di lavoro temporaneo tra la SpA e la utilizzatrice.
La
sentenza argomentava la responsabilità dell’imputato proprio attraverso la
constatazione, fondata sulla valutazione tecnica degli ispettori della ASL, del
fatto che il lavoratore non aveva adottato le procedure di sicurezza da
considerarsi “scontate” per qualsiasi carrellista e comunque riportate in tutti
i manuali d’uso dei carrelli che impongono di muovere il mezzo sempre con le
forche abbassate fino ad un’altezza dal suolo di 2o cm.
L’imputato
ricorre in Cassazione ma poiché tale ricorso contiene delle censure in ordine
alla valutazione delle prove, esso viene qualificato dalla Corte come appello e
pertanto ne viene disposta la trasmissione degli atti alla Corte di merito
competente.
La
Sentenza della Corte di Cassazione Penale n. 21304 del 21 maggio 2015 “Lavoro
somministrato e infortunio mortale: a chi spettano gli obblighi di sicurezza.
Rinvio al Tribunale per nuovo esame” è consultabile all’indirizzo:
La
Sentenza n. 23314 del 09 giugno 2011 della Corte di Cassazione Penale
“Contratto di somministrazione e responsabilità per la violazione degli
obblighi di prevenzione” è consultabile all’indirizzo:
Il
Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81 “Disciplina organica dei contratti di
lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo
1, comma 7, della Legge 10 dicembre 2014, n. 183” è consultabile all’indirizzo:
REGOLAMENTO
EUROPEO 2016/425: LE NUOVE CATEGORIE DI RISCHIO DEI DPI
Da: PuntoSicuro
24 giugno 2016
Indicazioni sul nuovo Regolamento (UE)
2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui
Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). Focus sulle categorie di rischio,
sulla valutazione della conformità e sulla documentazione tecnica.
Il nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui DPI, che abroga la
Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989, è stato pubblicato il 31 marzo sulla
Gazzetta Ufficiale della UE, è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo
alla pubblicazione, ma si applica (con alcune eccezioni) a decorrere dal 21
aprile 2018. Sarà infatti da questa data che sarà abrogata la Direttiva
89/686/CEE.
Abbiamo dunque il tempo e l’obbligo, come
giornale di informazione in materia di sicurezza, di approfondire alcuni dei
punti del nuovo Regolamento per favorire un’idonea conoscenza e un’adeguata
applicazione.
Uno dei primi punti su cui ci soffermiamo è
un aspetto già affrontato in passato, generalmente con riferimento a quanto
contenuto nel D.Lgs. 475/92 (Attuazione della Direttiva 89/686/CEE): la
divisione in categorie dei DPI.
Riprendiamo parzialmente uno dei
“considerando” contenuti nel nuovo Regolamento:
“al fine di tener conto dei progressi e delle
conoscenze in ambito tecnico o dei nuovi dati scientifici, dovrebbe essere
delegato alla Commissione il potere di adottare atti conformemente all’articolo
290 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea relativamente alla
modifica delle categorie di rischi dai quali il DPI è destinato a proteggere
gli utilizzatori”.
La nuova divisione in categorie (di cui si fa
riferimento all’articolo 18 del Capo IV del Regolamento 2016/425) è contenuta
nell’Allegato I.
Le definizioni delle singole categorie,
formulate in modo semplice, si basano in particolare sull’entità del rischio da
cui il DPI deve proteggere. E la categoria III è estesa a ulteriori rischi,
rispetto a quelli riportati nel D.Lgs. 475/92.
L’Allegato I contiene infatti le nuove
categorie di rischio dei DPI.
Le categorie di rischio da cui i dispositivi
di protezione individuale sono destinati a proteggere gli utilizzatori sono
tre.
La categoria I comprende esclusivamente i
seguenti rischi minimi:
a) lesioni meccaniche superficiali;
b) contatto con prodotti per la pulizia poco
aggressivi o contatto prolungato con l’acqua;
c) contatto con superfici calde che non
superino i 50 °C;
d) lesioni oculari dovute all’esposizione
alla luce del sole (diverse dalle lesioni dovute all’osservazione del sole);
e) condizioni atmosferiche di natura non
estrema.
La categoria III comprende esclusivamente i
rischi che possono causare conseguenze molto gravi quali morte o danni alla
salute irreversibili con riguardo a quanto segue:
a) sostanze e miscele pericolose per la
salute;
b) atmosfere con carenza di ossigeno;
c) agenti biologici nocivi;
d) radiazioni ionizzanti;
e) ambienti ad alta temperatura aventi
effetti comparabili a quelli di una temperatura dell’aria di almeno 100 °C;
f) ambienti a bassa temperatura aventi
effetti comparabili a quelli di una temperatura dell’aria di – 50 °C o
inferiore;
g) cadute dall’alto;
h) scosse elettriche e lavoro sotto tensione;
i) annegamento;
j) tagli da seghe a catena portatili;
k) getti ad alta pressione;
l) ferite da proiettile o da coltello;
m) rumore nocivo.
La categoria II comprende i rischi diversi da
quelli elencati nelle categorie I e III.
Ricordiamo che la categoria di rischio dei
DPI, come ricordato nel Capo IV (Valutazione della conformità) è importante per
le procedure di valutazione della conformità dei DPI (la dichiarazione di
conformità UE attesta il rispetto dei requisiti essenziali di salute e di
sicurezza).
In particolare le procedure di valutazione
della conformità da seguire, per ognuna delle categorie di rischio di cui
all’Allegato I, sono le seguenti:
a) categoria I: controllo interno della
produzione (modulo A) di cui all’Allegato IV;
b) categoria II: esame UE del tipo (modulo B)
di cui all’Allegato V seguito dalla conformità al tipo basata sul controllo
interno della produzione (modulo C) di cui all’Allegato VI;
c) categoria III: esame UE del tipo (modulo
B) di cui all’Allegato V e una delle seguenti:
i) conformità al tipo basata sul controllo
interno della produzione unito a prove del prodotto sotto controllo ufficiale
effettuate ad intervalli casuali (modulo C2) di cui all’Allegato VII;
ii) conformità al tipo basata sulla garanzia
di qualità del processo di produzione (modulo D) di cui all’Allegato VIII.
A titolo di deroga, per i DPI prodotti come
unità singole per adattarsi ad un singolo utilizzatore e classificati secondo
la categoria III, può essere seguita la procedura di cui alla lettera b).
Riportiamo infine qualche indicazione
(Allegato III) sulla documentazione tecnica per i DPI.
Infatti la documentazione tecnica deve
specificare i mezzi utilizzati dal fabbricante per garantire la conformità dei
dispositivi di protezione individuale ai requisiti essenziali di salute e di
sicurezza applicabili cui fa riferimento l’articolo 5 del Regolamento e
stabiliti nell’Allegato II dello stesso.
Concludiamo segnalando (Allegato III) che la
documentazione tecnica deve comprendere almeno gli elementi seguenti:
a) una descrizione completa del DPI e
dell’uso cui è destinato;
b) una valutazione dei rischi da cui il DPI è
destinato a proteggere;
c) un elenco dei requisiti essenziali di
salute e di sicurezza applicabili al DPI;
d) disegni e schemi di progettazione e
fabbricazione del DPI e dei suoi componenti, sottoinsiemi e circuiti;
e) le descrizioni e le spiegazioni necessarie
alla comprensione dei disegni e degli schemi di cui alla lettera d) e del
funzionamento del DPI;
f) i riferimenti delle norme armonizzate di
cui all’articolo 14 che sono state applicate per la progettazione e la
fabbricazione del DPI (in caso di applicazione parziale delle norme armonizzate,
la documentazione deve specificare le parti che sono state applicate);
g) se le norme armonizzate non sono state
applicate o lo sono state solo parzialmente, la descrizione delle altre
specifiche tecniche che sono state applicate al fine di soddisfare i requisiti
essenziali di salute e di sicurezza applicabili;
h) i risultati dei calcoli di progettazione,
delle ispezioni e degli esami effettuati per verificare la conformità del DPI
ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili;
i) relazioni sulle prove effettuate per
verificare la conformità del DPI ai requisiti essenziali di salute e di
sicurezza applicabili e, se del caso, per stabilire la relativa classe di
protezione;
j) una descrizione dei mezzi usati dal
fabbricante durante la produzione del DPI per garantire la conformità del DPI
fabbricato alle specifiche di progettazione;
k) una copia delle istruzioni e delle
informazioni del fabbricante che figurano nell’Allegato II, punto 1.4;
l) per i DPI prodotti come unità singole per
adattarsi a un singolo utilizzatore, tutte le istruzioni necessarie per la
fabbricazione di tali DPI sulla base del modello di base approvato;
m) per i DPI prodotti in serie in cui ciascun
articolo è fabbricato per adattarsi a un singolo utilizzatore, una descrizione
delle misure che devono essere prese dal fabbricante durante il montaggio e il
processo di produzione per garantire che ciascun esemplare di DPI sia conforme
al tipo omologato e ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza
applicabili.
Il Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui Dispositivi di Protezione
Individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio è scaricabile
all’indirizzo:
La Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989
del Consiglio delle Comunità Europee, concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati Membri relative ai Dispositivi di Protezione
Individuale è scaricabile all’indirizzo:
CHECK
LIST DI AUTOVALUTAZIONE DELL’AZIENDA ULSS 9 TREVISO
Da Portale Consulenti
27 giugno 2016
DOCUMENTI A CURA
DELL’AZIENDA ULSS 9 TREVISO
CHECK LIST DI
AUTOVALUTAZIONE
Questa sezione, è
dedicata a chi desidera:
-
conoscere
le modalità con cui lo SPISAL effettua i controlli durante la vigilanza negli ambienti
di lavoro;
-
conoscere
le norme che devono essere rispettate da parte dei datori di lavoro;
-
autovalutare
il grado di conformità alla normativa.
Le check list sono
finalizzate a favorire la trasparenza dell’attività di controllo e
l’ottemperanza alle misure di prevenzione da parte delle aziende; poiché alcuni
argomenti sono molto complessi, si è cercato di mantenere contemporaneamente la
completezza e la semplicità delle informazioni, ma non sempre ciò è stato
possibile.
SCHEDA 1
Elenco della
documentazione sulla sicurezza di cui l’azienda deve disporre (versione 14 del
19/04/16).
Questa Check List è
stata condivisa dai tre SPISAL della provincia di Treviso e dagli Enti che
costituiscono il Comitato di Coordinamento Provinciale al fine di rendere
uniforme l’azione di vigilanza.
SCHEDA 2
Criteri di
valutazione dei piani di bonifica amianto (versione 1 del 29/05/14).
Questa check list
viene utilizzata dal personale SPISAL che valuta i piani di bonifica amianto
presentati dalle ditte bonificatrici 30 giorni prima dell’effettuazione dei
lavori.
In caso di carenza o
incompletezza di informazione, può essere effettuata una richiesta di integrazione
o un’ispezione in cantiere.
La lista consente al
datore di lavoro di autovalutare la completezza e coerenza dei propri piani di
lavoro, prima dell’invio allo SPISAL, sulla base dei criteri seguiti dall’organo
di vigilanza per gli aspetti di maggior rilevanza.
Ciò non esclude
l’obbligo di rispettare comunque tutte le indicazioni previste dalla normativa.
SCHEDA 3
Autovalutazione dei
DPI (versione 1.3 del 07/01/16).
Questa check list è
prevista per l’autovalutazione da parte delle aziende.
E’ stata costruita
con riferimento alle problematiche più frequenti e alle modalità con cui viene
usualmente effettuato il controllo in azienda da parte dello SPISAL.
Ciò non esclude
l’obbligo di rispettare comunque tutte le indicazioni previste dalla normativa.
SCHEDA 4
Autovalutazione della
sicurezza delle macchine (versioen 1.5 del 22/04/16).
Questa check list è
prevista per l’autovalutazione da parte delle aziende.
E’ stata costruita
con riferimento alle problematiche più frequenti e alle modalità con cui viene
usualmente effettuato il controllo in azienda da parte dello SPISAL.
Ciò non esclude
l’obbligo di rispettare comunque tutte le indicazioni previste dalla normativa.
SPAZI CONFINATI: I
RISCHI DELLE STRUTTURE ISOLATE DEL SOTTOSUOLO
Da:
PuntoSicuro
28
giugno 2016
Un
intervento si sofferma sulle strutture isolate del sottosuolo con riferimenti
ai rischi per i lavoratori e alle possibili misure di prevenzione. I sistemi
aperti, le strutture isolate, la ventilazione e me misure da adottare.
In
alcuni luoghi di lavoro gli infortuni, anche mortali, avvengono con eccessiva
frequenza e soprattutto a causa di incidenti dovuti alla qualità dell’aria
presente all’interno dell’ambiente.
Stiamo
parlando degli spazi confinati e dei molti incidenti che in Italia continuano
ad avvenire malgrado l’entrata in vigore del Decreto del Presidente della
Repubblica 14 settembre 2011, n. 177 che prevede un sistema di qualificazione
delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano nell’ambito degli ambienti
confinati e sospetti di inquinamento.
Affrontiamo
il tema degli spazi confinati, con particolare riferimento alle strutture
isolate del sottosuolo, presentando alcuni documenti correlati alla lezione,
dal titolo “Atmospheric Hazards and Isolated Subsurface Structures in the
Subsurface Infrastructure - A Deadly Combination”, di uno dei massimi esperti
in materia di spazi confinati, Neil McManus (del North West Occupational Health
& Safety North Vancouver, British Columbia Canada), lezione in
webconference che McManus ha tenuto al quinto convegno nazionale sulle attività
negli spazi confinati, dal titolo “Confined Spaces: new perspective in Confined
Spaces Safety”, un evento organizzato nell’ambito del progetto “A Modena la
sicurezza sul lavoro in pratica” dal Centro di Ricerca Interdipartimentale
sulla Sicurezza e Prevenzione dei Rischi CRIS in collaborazione con
l’Associazione organismo di ricerca European Interdisciplinary Applied Research
Center for Safety di Parma.
Nel
documento “Strutture isolate del sottosuolo: un infortunio che sta aspettando
di verificarsi?”, McManus, ricorda che i problemi degli spazi confinati nascono
anche perché certi tipi di spazio di lavoro:
-
non
sono luoghi dove le persone normalmente lavorano, ovvero non sono progettati o
destinati all’occupazione permanente di un lavoratore;
-
presentano
vie di accesso e uscita limitate;
-
hanno
conformazione geometrica in grado di intrappolare le persone e/o inquinanti
aerodispersi e/o un’energia pericolosa.
E
non sono disponibili molte informazioni pubblicate circa il tipo e l’entità
delle condizioni di pericolo e di come queste si sviluppano.
I
pericoli che, sulla base dei dati storici, rappresentano la principale causa
d’incidente sono:
-
carenza
di ossigeno;
-
atmosfere
contaminate;
-
incendi
ed esplosioni;
-
arricchimento
di ossigeno.
Inoltre,
prosegue la presentazione, l’atmosfera pericolosa può svilupparsi prima di
entrare in uno spazio confinato e/o nel corso dello svolgimento di un’attività
lavorativa.
Riguardo
alle infrastrutture presenti nel sottosuolo queste sono spesso situate sotto:
zone pedonali, carreggiate, parchi e si indica che sono solitamente costituite
da strutture in calcestruzzo gettato in opera o prefabbricate, alcune di nuova
costruzione quale aggiunta/modifica a reti già esistenti, o già in servizio.
Queste possono costituire sistemi aperti, ovvero un sistema di ambienti
interconnessi tra loro per mezzo di tubature o condotti, in grado di consentire
la diffusione all’interno dell’intero sistema di eventuali inquinanti oppure
strutture isolate.
Prescindendo
dalla modalità con cui sono interconnesse, bisogna ricordare che queste
strutture sono soggette agli effetti dello stress meccanico, chimico e del
tempo che, progressivamente, ne riducono le caratteristiche prestazionali,
specie rispetto alla tenuta.
Da
notare che, in particolare, le reti fognarie e di trasporto del gas metano,
sono le condotte sotterranee che più patiscono l’usura da parte del tempo e
dall’ambiente di posa tenuto anche conto che, nel caso delle fognature, queste
sono state spesso costruite in materiali poveri (cemento, cemento-amianto,
muratura, ecc.) con modalità di posa per lo più finalizzate al massimo
risparmio dei costi.
Questo
insieme di fattori, quindi, determina potenziali situazioni di mancanza di
tenuta di tratti delle reti interrate che potrebbero essere origine (reti
fognarie, distribuzione di gas metano) o recettori (reti fognarie, di
distribuzione di energia elettrica, telefonia/dati) di agenti chimici pericolosi
(inclusi in specifici ambiti geologici i gas endogeni) che potrebbero penetrare
al loro interno.
La
lezione propone alcuni esempi di sistemi aperti:
-
fognature
sanitarie/acque piovane e strutture a loro connesse;
-
pozzetti
interrati della rete distribuzione elettricità;
-
pozzetti
delle reti di comunicazione (telefono, cavo TV, cavo fibra ottica);
-
tunnel
servizi (vapore, acqua calda e fredda, gas di processo).
Nel
caso delle strutture isolate del sottosuolo, queste possono essere strutture
deliberatamente isolate in sistemi aperti e strutture intrinsecamente isolate.
Tra
le strutture intrinsecamente isolate possiamo avere:
-
distribuzione
acqua potabile (pozzetto delle valvole, pozzetto apparecchi di misura);
-
pozzi
di emungimento acqua;
-
camerette
sulle reti di distribuzione;
-
alcune
camerette delle reti di comunicazione;
-
ambienti
caratterizzati dall’assenza di canalizzazioni di collegamento con altre
strutture interrate che possono consentire l’aerodispersione di inquinanti
gassosi (ad esempio le tubazioni di trasporto dell’acqua in uscita da un
pozzetto idrico con valvole sono direttamente interrate nel terreno).
A
causa della loro conformazione strutturale e del contesto di installazione, le
strutture isolate del sottosuolo possono contenere:
-
acque
reflue raccolte in fogna, acqua di falda, acqua di marea;
-
sabbia,
piccole pietre;
-
foglie,
altri detriti organici;
-
residui
di sale sparso sulle strade;
-
insetti,
ragni;
-
piccoli
animali;
-
siringhe
ipodermiche, aghi, altri oggetti appuntiti;
-
rifiuti
di origine umana e animale;
-
reflui
liquidi per lo smaltimento e vapori;
-
gas
e vapori endogeni;
-
vapori
di liquidi infiammabili causati da perdite di serbatoi (benzina, GPL, ecc.);
-
gas
di scarico di veicoli, di apparecchiature fisse e portatili (es. generatore di
corrente mobile).
E
non bisogna dimenticare che questi ambiti possono anche essere allagati
dall’acqua che, tra l’altro, favorisce la formazione di ruggine e consente la
crescita di microrganismi sui detriti organici.
Il
documento, ricco d’immagini esplicative, riporta alcune strategie per impedire
l’ingresso delle acque superficiali:
-
impedire
l’entrata di acqua usando un portello di accesso a tenuta stagna deviando le perdite
su un canale di scolo;
-
prevedere
una pompa immersa, predisporre un drenaggio in fogna prevedendo un sifone per
evitare che i gas di fogna possano permeare l’atmosfera interna.
Riguardo
alla ventilazione:
-
alcune
strutture contengono sistemi di ventilazione fissi (solo ventilazione: alcune
stazioni di sollevamento/pompaggio; solo aspirazione: alcune camerette
elettriche sotterranee, alcune stazioni di sollevamento/pompaggio);
-
la
maggior parte delle strutture isolate del sottosuolo dipendono dalla
ventilazione naturale (aperture di ventilazione nella superficie di accesso;
aperture di ventilazione nella superficie di accesso e aperture supplementari);
alcune strutture contengono un condotto che ha un’apertura sulla superficie.
Ci
sono peraltro diverse strutture interrate che non sono ventilate.
Il
documento si sofferma poi su altri aspetti (autoventilazione, bilanciamento
della pressione, ecc.) e altri ambienti che fanno parte delle reti interrate
(pozzi di respirazione, falde freatiche, strutture di respirazione, stazioni di
pompaggio nei cimiteri, ecc.). E sono riportate alcune prospettive di
regolamentazione e varie indicazioni tratte da ricerche e studi.
Infatti
noi non sappiamo quasi niente di:
-
condizioni
ambientali nelle strutture isolate del sottosuolo;
-
sviluppo
della contaminazione atmosferica e come ripristinare le condizioni ambientali.
Ed
è dunque necessario compiere uno sforzo considerevole per indagare su questi
temi.
In
conclusione McManus riporta alcuni suggerimenti di misure da adottare nel luogo
di lavoro:
-
esaminare
tutte le strutture del sottosuolo indipendentemente dall’età e dall’uso prima
dell’accesso al loro interno e durante lo svolgimento della prestazione
lavorativa;
-
prima
dell’accesso al loro interno e durante lo svolgimento della prestazione
lavorativa ventilare tutte le strutture del sottosuolo;
-
esaminare
l’autoventilazione delle strutture del sottosuolo per determinarne le
caratteristiche del comportamento.
Il
documento “Strutture isolate del sottosuolo: un infortunio che sta aspettando
di verificarsi?”, (prima parte e seconda parte) è scaricabile ai link:
LA SICUREZZA CON I
CENTRI DI LAVORO E LE ISOLE ROBOTIZZATE
Da:
PuntoSicuro
29
giugno 2016
Un
progetto si sofferma sulla sicurezza delle macchine nell’industria metalmeccanica.
Focus sulla sicurezza nell’utilizzo di centri di lavoro e isole robotizzate. I
principali elementi di pericolo, i ripari, le misure di protezione e le buone
prassi.
Nel
comparto metalmeccanico l’evoluzione della tecnologia e del sistema produttivo
portano a un utilizzo sempre maggiore di macchine complesse, di centri di
lavorazione, di vere e proprie isole robotizzate. Tuttavia questa evoluzione,
come abbiamo visto in precedenti articoli e in “Imparare dagli errori” (la
rubrica di PuntoSicuro per l’analisi degli infortuni di lavoro), non rende
esenti i lavoratori da rischi e infortuni.
Per
conoscere i rischi e dare qualche spunto di prevenzione per l’uso di queste
macchine, torniamo a sfogliare il documento “ImpresaSicura_Metalmeccanica”
correlato a Impresa Sicura, un progetto multimediale (elaborato da EBER, EBAM,
Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e INAIL, che è stato validato dalla
Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27
novembre 2013.
Nello
spazio dedicato alla sicurezza delle macchine nella metalmeccanica, un capitolo
è dedicato ai centri di lavoro, dove una macchina utensile può essere in grado
di eseguire due o più processi di lavorazione con un unico piazzamento del
pezzo da lavorare.
Riprendiamo
brevemente alcuni “elementi di pericolo” di queste lavorazioni con riferimento
al contatto, schiacciamento, trascinamento con organi pericolosi presenti nella
zona di lavoro, cambio utensili, cambio pallet, sistema di rimozione trucioli.
Il
documento indica che la zona di lavoro del centro di lavorazione deve essere
completamente protetta mediante ripari fissi o ripari mobili interbloccati con
bloccaggio del riparo se i movimenti pericolosi possono proseguire anche dopo
l’apertura del riparo. A tale scopo può essere realizzata una recinzione
perimetrale della macchina costituita con una combinazione di queste tipologie
di riparo e di dispositivi di rilevamento della presenza di persone (barriere
immateriali, pedane sensibili, ecc.). Particolare attenzione deve essere posta
in caso di accesso dell’operatore nelle zone ove avvengono operazioni
automatizzate di:
-
cambio
utensile;
-
cambio
pallet;
-
rimozione
trucioli.
E
si ricorda che l’accesso deve sempre avvenire in condizioni di sicurezza per
l’operatore. Se è necessario accedere a queste zone pericolose, mentre i
movimenti sono attivi, devono essere immediatamente ed automaticamente
introdotte misure alternative di sicurezza, come ad esempio riduzione della
velocità o comandi ad azione mantenuta.
E
comunque un’attenta valutazione deve essere fatta nel caso siano presenti sulla
macchina o in prossimità di questa pozzi o pozzetti di ispezione o piattaforme
elevate per l’operatore.
Rimandiamo
alla lettura del documento che riporta vari schemi (protezione realizzata con
ripari fissi e ripari mobili interbloccati/Protezione realizzata con recinzione
perimetrale) e indicazioni relative a vari aspetti:
-
recinzione
perimetrale;
-
esclusione
dell’interblocco dei ripari nel dispositivo per il cambio utensile;
-
esclusione
dell’interblocco dei ripari o dei dispositivi di sicurezza nella zona del
cambio pallet o cambio pezzi;
-
esclusione
dell’interblocco dei ripari nella zona del sistema di raccolta trucioli;
-
pozzetti;
-
piattaforme
di lavoro.
Dopo
aver riportato indicazioni su altri elementi di pericolo, sugli organi di
comando e sulla sicurezza nelle varie modalità di funzionamento, sono
presentate le azioni per la sicurezza e l’igiene del lavoro.
Prima
dell’utilizzo:
-
prendere
visione delle Istruzioni per l’uso ed essere formati all’utilizzo in sicurezza
della macchina;
-
verificare
la presenza ed il corretto posizionamento dei ripari e dei dispositivi di
sicurezza;
-
verificare
il funzionamento dei dispositivi di interblocco dei ripari;
-
verificare
il funzionamento del pulsante di arresto di emergenza;
-
assicurarsi
che l’immissione e la pressione di fluidi lubrorefrigeranti siano quelle
effettivamente necessarie alla lavorazione (per evitare il surriscaldamento e
la formazione di fumi);
-
attivare
l’impianto di aspirazione se le condizioni di lavoro ne hanno richiesto
l’installazione;
-
ancorare
in modo adeguato il pezzo da lavorare alla tavola;
-
accertarsi
che non siano presenti chiavi, utensili e altri oggetti sulla tavola o in
prossimità del pezzo in lavorazione;
-
indossare
indumenti che non possano impigliarsi alle parti pericolose in movimento sulla
macchina;
-
non
indossare sciarpe, collane, braccialetti, orologi, anelli, raccogliere e legare
i capelli lunghi;
-
indossare
i dispositivi di protezione individuale (DPI) indicati nella scheda.
Durante
l’utilizzo:
-
mantenere
correttamente posizionati i ripari sulla macchina;
-
non
manomettere o eludere i dispositivi di sicurezza: se la loro disattivazione
dovesse essere indispensabile ai fini di una specifica lavorazione, dovranno
essere adottate immediatamente altre misure di sicurezza quali velocità di
lavorazione molto lente, comandi ad azione mantenuta, ecc.;
-
non
lasciare mai la macchina funzionante senza controllo (allontanarsi dalla
macchina solo a lavorazione ultimata o a macchina ferma);
-
effettuare
i cambi pezzo solo dopo aver fermato o posto in condizioni di sicurezza la macchina;
-
effettuare
operazioni di pulizia solo a macchina ferma;
-
segnalare
tempestivamente eventuali malfunzionamenti o guasti al preposto;
-
evitare
di imbrattarsi mani e vestiario con fluidi lubrorefrigeranti (non indossare
tute sporche o scarpe di tela, non pulirsi le mani sulla tuta, non conservare
in tasca gli stracci sporchi); lavarsi spesso le mani (a fine lavoro, prima di
mangiare, di andare in bagno e di mettersi i guanti);
-
contenere
eventuali spandimenti di fluidi lubrorefrigeranti con appositi materiali o
sostanze forniti dal datore di lavoro.
Dopo
l’utilizzo:
-
spegnere
la macchina;
-
riporre
le attrezzature e gli strumenti di misura negli appositi contenitori;
-
lasciare
pulita (da residui di lavorazione e fluidi lubrorefrigeranti) e in ordine la
macchina e la zona circostante (in particolare il posto di lavoro);
-
ripristinare
il funzionamento di ripari eventualmente disattivati.
Il
documento si sofferma poi sull’isola robotizzata, intesa come macchina o
insieme di macchine asservite nella manipolazione del materiale o
nell’esecuzione delle lavorazioni da robot o altri sistemi di automazione.
Una
volta allestita, l’isola robotizzata, diventa un’unica entità anche se composta
di più macchine diverse tra loro. Nell’isola robotizzata il compito
dell’operatore può essere quello di caricare e scaricare il magazzino dei
materiali a meno che questa funzione non sia anch’essa automatizzata o di
intervenire per operazioni di programmazione, messa a punto, manutenzione e
riparazione.
Chiaramente
gli elementi di pericolo di un’isola robotizzata sono costituiti dai movimenti
del robot e delle altre macchine facenti parte dell’isola. Per la particolarità
dei robot, di compiere movimenti molto ampi, ad alta energia e velocità con
avvio e andamento del moto difficili da prevedere, tutta l’area attorno alla
isola robotizzata deve essere delimitata in modo tale che dall’esterno non sia
possibile venire a contatto con i suoi elementi pericolosi tenendo conto della
loro massima estensione.
Tale
area è definita “spazio protetto”; l’accesso a tale area deve poter avvenire
solo quando tutte le macchine comprese nell’isola sono in condizioni di
sicurezza. Le protezioni attorno allo spazio protetto possono essere costituite
da una combinazione dei seguenti dispositivi:
-
ripari
fissi che evitano l’accesso allo spazio protetto se non attraverso aperture
protette con ripari mobili interbloccati o con dispositivi di rilevazione della
presenza di persone;
-
ripari
mobili interbloccati: quando è possibile entrare con l’intero corpo all’interno
della zona protetta, il riparo mobile deve essere dotato di un dispositivo che
ne impedisca la chiusura involontaria;
-
dispositivi
rilevatori di presenza, questi devono essere collocati in modo che sia
impossibile entrare nella zona protetta senza esserne rilevati; il riavviamento
del robot può avvenire solo quando la persona non è più rilevata.
Sottolineiamo
che nell’utilizzo in sicurezza delle isole robotizzate devono essere sempre
rispettati alcuni principi fondamentali:
-
assenza
di persone nello sazio protetto durante il funzionamento automatico;
-
eliminazione
dei pericoli o, in alternativa la loro massima riduzione possibile durante gli
interventi che è necessario effettuare all’interno dello spazio protetto (ad
esempio programmazione, manutenzione, ecc.);
-
l’accesso
allo spazio protetto è consentito solo al personale autorizzato che segue
procedure definite.
Concludiamo
riportando brevemente le buone prassi, le idonee azioni per la sicurezza e
l’igiene del lavoro, per la programmazione:
-
la
programmazione deve essere affidata solo a personale qualificato e
specificatamente addestrato;
-
durante
la programmazione si deve verificare visivamente l’isola robotizzata e lo
spazio protetto per garantire che non sussistano condizioni di pericolo;
-
prima
di utilizzare l’unità portatile questa deve essere provata per accertarne il
corretto funzionamento;
-
ogni
guasto o inconveniente deve essere rimosso prima di iniziare la programmazione;
-
la
programmazione deve avvenire senza che nessuno si trovi all’interno dello
spazio protetto;
-
se
ciò fosse impossibile, possono essere sospese provvisoriamente alcune
protezioni a condizione che vengano automaticamente adottati altri criteri di sicurezza
(unità portatile, ecc.);
-
prima
di entrare nello spazio protetto il programmatore deve verificare che tutte le
protezioni siano presenti e funzionanti;
-
le
operazioni di programmazione devono sempre avere inizio prima di entrare nello
spazio protetto;
-
durante
la programmazione non deve essere possibile il funzionamento automatico;
-
in
fase di programmazione solo il programmatore può essere presente all’interno
dello spazio protetto;
-
l’isola
robotizzata deve essere sotto l’esclusivo comando del programmatore quando
questi è all’interno dello spazio protetto;
-
una
volta completata la programmazione devono essere ripristinate tutte le
protezioni eventualmente disattivate;
-
deve
essere conservata una registrazione dei programmi eseguiti comprensiva di tutte
le modifiche apportate;
-
la
verifica del programma deve avvenire senza persone presenti all’interno dello
spazio protetto (se ciò non è possibile, si applicano specifiche procedure come
velocità lenta, comando ad azione mantenuta, ecc.).
L’accesso
via internet al sito “Impresa Sicura” è gratuito e avviene tramite una
registrazione all’ indirizzo:
IMPARARE DAGLI
ERRORI: SE GLI OCCHIALI NON SI USANO O SI USANO MALE
Da:
PuntoSicuro
30
giugno 2016
di
Tiziano Menduto
Esempi
di infortuni correlati uso errato o mancato uso di Dispositivi di Protezione
Individuali (DPI) per la protezione degli occhi. La lavorazione di prodotti
ittici e le attività edili. L’importanza degli occhiali per la protezione degli
occhi contro schizzi di liquidi e schegge di metallo.
Siamo
arrivati alla seconda puntata che “Imparare dagli errori”, la rubrica di
PuntoSicuro destinata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, ha
deciso di dedicare all’uso errato o mancato uso dei DPI nei luoghi di lavoro.
In
particolare facciamo riferimento alla prima delle tre categorie, di infortuni
correlati ai DPI, presenti nelle schede di INFOR.MO.:
-
uso
errato o mancato uso (ma disponibile) di DPI;
-
inadeguatezza
strutturale o deterioramento di DPI;
-
DPI
non fornito.
Nella
prima puntata siamo partiti parlando dei dispositivi per la protezione del viso
e di protezione degli occhi e su questa tipologia di DPI ci soffermiamo anche
oggi.
Chiaramente
le dinamiche degli infortuni presentati sono tratte dalle schede di INFOR.MO.,
strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema
di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il
primo caso riguarda un infortunio avvenuto presso una ditta che si occupa della
lavorazione, confezionamento, pastorizzazione ed etichettatura di prodotti
ittici.
Una
lavoratrice, con la mansione di operaia generica, interviene in tutte le fasi
del ciclo di lavorazione dal lavaggio dei contenitori alla conservazione e
confezionamento manuale dei prodotti ittici.
Il
giorno dell’infortunio, mentre carica il cestello di lavaggio della
lavastoviglie industriale, accorgendosi che il detergente è finito, procede
alla sostituzione dello stesso con un contenitore pieno.
Dopo
aver indossato gli occhiali di protezione e svitato il tappo, poggia a terra
frettolosamente il contenitore e viene colpita al volto da un getto di detergente
che esce per il contraccolpo.
Durante
questa manovra gli occhiali scivolavano sul naso lasciando scoperti gli occhi.
Da
questo incidente la lavoratrice riporta una causticazione corneo-congiuntivale
dell’occhio sinistro.
Questi
i fattori causali identificati nella scheda:
-
la
lavoratrice poggiava frettolosamente il contenitore del detergente privo di
tappo;
-
gli
occhiali scivolavano in avanti.
Il
secondo caso riguarda un infortunio in alcune attività edili.
Un
lavoratore nell’inchiodare una tavoletta di legno posta verticalmente ad
un’altezza di circa 70-80 cm
dal suolo, viene colpito all’occhio sinistro da un frammento metallico a causa
di un chiodo con sbavatura. Il corpo estraneo metallico rimane nel bulbo
oculare e crea una ferita all’occhio.
Il
lavoratore non faceva uso di DPI per la protezione degli occhi ed era chinato
col capo per vedere al meglio quanto stava facendo.
Questi
i fattori causali dell’incidente rilevati dalla scheda:
-
chiodo
con sbavatura;
-
il
lavoratore non faceva uso di dispositivo di protezione degli occhi.
Per
offrire qualche spunto, qualche suggerimento, per la prevenzione, anche con
specifico riferimento al pericolo degli schizzi dei liquidi, possiamo tornare a
presentare le schede informative pubblicate dal Servizio Prevenzione Igiene e
Sicurezza in Ambienti di Lavoro (SPISAL) dell’Azienda ULSS 9 di Treviso
dedicate alla protezione degli occhi.
Ricordiamo
innanzitutto che per gli occhiali protettivi la norma di riferimento è la UNI
EN 166, norma che specifica i requisiti funzionali dei vari tipi di protettori
individuali dell’occhio e, come ricorda il sito dell’Ente italiano di
Normazione (UNI), la norma contiene anche considerazioni generali come:
designazione, classificazione, requisiti di base applicabili a tutti i protettori
dell’occhio, particolari vari e requisiti facoltativi, marcatura, informazioni
per gli utilizzatori. E la conformità del DPI è attestata dal marchio CE
accompagnato dal numero della norma.
Veniamo
dunque alla scheda dell’ULSS 9 dal titolo “Occhiali per la protezione degli
occhi contro schizzi di liquidi, polveri, gas e metalli fusi”.
L’uso
di questa tipologia di occhiali di protezione potrebbe essere necessario per
chi svolge un’attività che comporta il rischio di lesioni alla mucosa
congiuntivale o alla cornea in seguito a:
-
schizzi
di liquidi di agenti chimici o fluidi biologici;
-
esposizione
a polveri;
-
esposizione
a vapori o gas;
-
proiezione
di metalli fusi.
E
anche per questa tipologia di rischio spesso è inevitabile ricorrere anche
all’uso dei DPI (occhiali, maschere).
Riportiamo
cosa deve il datore di lavoro (o il dirigente):
-
valutare
i rischi e individuare le misure di protezione più idonee. Se necessario
proteggere anche la bocca o le vie aeree, agli occhiali deve essere abbinata
una semimaschera o, in alternativa, si deve usare una maschera a pieno facciale
che protegge contemporaneamente occhi e vie aeree. In alcuni casi è possibile
usare uno schermo;
-
stabilire
procedure di lavoro che evitino la produzione di schizzi di liquidi, emissione di
polveri, gas e proiezione di metalli fusi;
-
se
necessario usare anche i DPI, esporre la segnaletica che indica l’obbligo di
utilizzare gli occhiali protettivi o la maschera in prossimità del posto di
lavoro in cui è presente il rischio;
-
fornire
i DPI idonei ai lavoratori;
-
informare,
formare ed addestrare i lavoratori all’uso dei DPI;
-
formare
i preposti;
-
vigilare
sulla sicurezza delle attrezzature e sull’uso dei DPI da parte dei lavoratori.
Rimandando
alle immagini esplicative e alle indicazioni nel dettaglio della scheda,
riportiamo in conclusione i codici di marcatura per le varie tipologie di
protezione:
-
schizzi
di liquidi (codice presente soltanto sulla montatura): codice 3;
-
particelle
di polvere di grandi dimensioni (codice presente soltanto sulla montatura):
codice 4;
-
gas
e particelle di polvere fini (codice presente soltanto sulla montatura): codice
5;
-
protezione
da arco elettrico dovuto a corto circuito: codice 8;
-
proiezione
di metalli fusi e penetrazione di solidi caldi: codice 9.
Segnaliamo
infine che nella prima puntata di “Imparare dagli errori” dedicata ai DPI
abbiamo già presentato un’analoga scheda correlata al rischio delle schegge.
Nell’articolo
abbiamo presentato le schede numero 4348 e 3113 (archivio incidenti 2002/2010)
tratto dal sito web di INFOR.MO., consultabile all’indirizzo
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