NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
PRESENTATO
AL SENATO UN DISEGNO DI LEGGE PER STRAVOLGERE LA NORMATIVA SU SALUTE E
SICUREZZA
Riporto a seguire un
breve articolo di Studio Cataldi sul Disegno di Legge (DdL) presentato al
Senato per riformare completamente la normativa su salute e sicurezza sul
lavoro.
Se passasse una tale
riforma le ricadute per la tutela dei lavoratori sarebbero gravissime.
Il DdL (da quanto
emerge dall’articolo) prevede in sostanza:
-
eliminazione
della valutazione dei rischi e della definizione delle misure di prevenzione e
protezione e sostituzione con una “certificazione” redatta da un professionista
(tecnico della prevenzione e/o medico del lavoro) pagato dal datore di lavoro:
è ovvio che il professionista venderà a qualunque costo la sua “certificazione”
dichiarando che va tutto bene;
-
deresponsabilizzazione
del datore di lavoro in relazione a infortuni e a malattie professionali, se
avrà dimostrato, tramite la “certificazione”, di avere adempiuto agli obblighi
di legge;
-
sostanziale
eliminazione dell’obbligo di vigilanza a capo del datore di lavoro e
trasferimento della responsabilità a dirigenti, preposti e lavoratori stessi;
-
sgravi
fiscali per le aziende “virtuose”, sempre sulla base della semplice
“certificazione” del professionista.
Se dovesse passare
tale impostazione, di fatto i diritti reali di tutela della salute e della sicurezza
garantiti oggi da precisi obblighi normativi, perderebbero enormemente di
valore.
Tale impostazione
creerebbe inoltre un mercato incontrollato di “certificatori”, pagati proprio
dalle aziende che dovrebbero verificare, disposti a dichiarare il falso solo
per acquisire nuovi clienti.
Tale DdL rappresenta
un GRAVISSIMO attacco ai diritti dei lavoratori su salute e sicurezza.
E’ NECESSARIO DA
SUBITO LA MASSIMA VIGILANZA E MOBILITAZIONE PER EVITARE CHE DIVENTI OPERATIVO.
Marco Spezia
P.S. Il Testo del DdL
ad oggi non è ancora stato pubblicato sul sito del Senato.
Il suo link di
riferimento è il seguente:
* * * * *
Da Studio Cataldi
25 luglio 2016
di Lucia Izzo
PRESENTATO AL SENATO
UN DISEGNO DI LEGGE PER RIFORMARE IL TESTO UNICO SULLA SALUTE E SICUREZZA DEI
LAVORATORI
SICUREZZA SUL LAVORO:
SPETTERA’ AI PROFESSIONISTI “CERTIFICARLA”
Un disegno di legge
che promette una "radicale riforma di tutta la disciplina rivolta a
garantire la salute e sicurezza dei lavoratori". Lo ha annunciato Maurizio
Sacconi (AP), presidente della Commissione Lavoro del Senato, che ha presentato
insieme alla senatrice Serenella Fuksia (Gruppo misto), un DdL che vuole
superare il Testo unico della salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08) che
si compone di 306 articoli e 51 allegati e che "si caratterizza per
un'eccessiva complessità legislativa e attuativa".
Si vuole passare,
"attraverso la semplificazione, da un approccio formalistico a uno pratico
e sostanziale" spiega Sacconi che aggiunge: "Con questo DdL
intendiamo aprire una riflessione sulla tradizionale regolazione del lavoro,
prodotta in un tempo in cui prevaleva la produzione seriale e l'attività
lavorativa era in conseguenza fortemente standardizzata".
Le nuove tecnologie
digitali, sottolinea Sacconi, "cambiano con veloce progressione il modo di
produrre e di lavorare e allo stesso tempo offrono una continua evoluzione delle
prassi e delle tecniche con cui rendere più sicuro il lavoro".
Da qui scaturirebbe
la necessità di non rinunciare a tale evoluzione, ma di garantire la sicurezza
dei lavoratori con un approccio dinamico e sostanziale, distante dall'attuale
disciplina eccessivamente rigida e formalista.
Si rende necessaria,
secondo le previsioni del DdL, un'attività di supporto che dovrà essere garantita
dai medici del lavoro oppure da altri professionisti del settore, con un ordine
di riferimento, oppure da esperti i quali svolgano professioni inerenti salute
e sicurezza: costoro dovranno essere iscritti in apposito elenco presso il
Ministero del Lavoro che provvederà a verificarne il possesso delle necessarie
competenze professionali e di esperienza.
Saranno tali professionisti
che, sotto la propria responsabilità, si occuperanno di certificare e valutare
le misure di prevenzione e protezione adottate dall'azienda. Affidare la
certificazione a un soggetto terzo, spiega la relazione che accompagna il
disegno di legge, "permetterà una notevolissima riduzione della
documentazione necessaria per dimostrare l'adempimento agli obblighi di legge
da parte del datore di lavoro". Saranno gli organi di vigilanza e la
magistratura a intervenire in caso di colpa professionale nel rendere la
certificazione, oppure se emergano false dichiarazioni e modalità fraudolente.
Inoltre, il DdL priva
di responsabilità il datore di lavoro laddove questi ottemperi a tutti gli obblighi
su di lui gravanti e se l'evento è provocato da circostanze a lui estranee,
eccezionali e imprevedibili, oppure da eventi eccezionali le cui conseguenze
sarebbero state comunque inevitabili, nonostante il datore di lavoro si fosse
comportato in modo diligente.
In ambito di salute e
sicurezza, emerge quindi una sorta di "colpa di organizzazione": se
l'imprenditore dimostra il proprio comportamento diligente, di aver adempiuto
efficacemente le misure previste dalla normativa, di aver organizzato in
maniera idonea la propria azienda quanto alle esigenze di tutela dei
lavoratori, non potrà rispondere penalmente in caso di infortunio che sia
derivato da grave negligenza del dirigente, del preposto o del lavoratore.
Il DdL prevede
altresì, per agevolare la trasmigrazione dalla vecchia alla nuova disciplina,
un periodo transitorio triennale in cui il datore potrà dimostrare di aver
adempiuto i propri obblighi previsti dal D.Lgs. 81/08 e si richiede
l'intervento del Ministero del Lavoro e dell'INAIL per attuare efficacemente le
misure di prevenzione e protezione, possibilmente prevedendo degli sgravi
fiscali destinati alle aziende virtuose.
L’ORGANIZZAZIONE
DEL LAVORO E I PROBLEMI DI CUORE
Da: Lavoro e Salute
06 luglio 2016
In Europa più della metà dei lavoratori
lavora anche durante il week-end e circa uno su cinque fa il turno di notte,
soprattutto fra gli uomini.
Il lavoro a turni è stato associato ad un
aumento di rischio delle malattie cardiovascolari. Può causare problemi legati
alla mancanza di sonno, dinamiche famigliari complesse, assunzione di
comportamenti non salutari come l’abitudine al fumo o una dieta irregolare, che
può portare ad un aumento di peso e di colesterolo nel sangue, fattore di
rischio per le malattie cardiovascolari.
La maggior parte degli studi condotti sino ad
ora si sono focalizzati sui turni serali, notturni o sulla rotazione.
Tuttavia l’evidenza è scarsa per l’intera
gamma dei turni lavorativi. Non è ancora stata stabilita una relazione certa
tra il lavoro su turni che non comprenda la sera o la notte e il rischio di eventi
cardiovascolari. Un altro fattore importante è quello dell’età, invecchiando i
lavoratori sono più vulnerabili all’impatto negativo del lavoro organizzato su
turni.
E’ sempre più probabile, inoltre, ed è vero
nell’est della Finlandia dove è stato realizzato lo studio
che molti lavoratori abbiano avuto nel corso
della loro vita problemi cardiovascolari.
L’obiettivo dello studio è dunque quello di
analizzare la relazione tra tutti i tipi di turni lavorativi e l’incidenza di
infarto acuto del miocardio in una popolazione di uomini tra i 42 e i 60 anni
che avevano avuto e non avevano avuto una cardiopatia ischemica negli anni
precedenti.
Lo studio ha coinvolto 1.891 uomini che sono
stati seguiti per 20 anni, è iniziato nel 1984. Fra i 1.565 uomini che non
avevano avuto cardiopatie ischemiche al baseline, si sono verificati 335 casi
di infarto acuto del miocardio (incidenza annuale del 1,1%) mentre fra i 326
uomini che avevano avuto in precedenza cardiopatie ischemiche si sono
verificati 142 casi di infarto acuto del miocardio (incidenza annuale del
2,6%).
Il 35% di essi svolge un lavoro su turni,
incluso il lavoro durante il week end, la sera, la notte, turni che cambiano,
due turni, turni irregolari e trasferte di lavoro. E’ stata osservata una relazione
positiva tra il lavoro che comporta trasferte (almeno tre notti a settimana
fuori casa) e l’infarto acuto del miocardio (hazard ratio 2,45; 95% CI 1,08 a 5,59) solo tra coloro
che avevamo avuto una cardiopatia ischemica. Non è stata riscontrata alcuna
associazione significativa tra altre tipologie di lavoro su turni e l’incidenza
di infarto acuto del miocardio.
Lo studio ha riscontrato nuove e convincenti
evidenze che mostrano come l’associazione tra i turni lavorativi e l’incidenza
dell’infarto del miocardio può variare a seconda della popolazione lavorativa.
E’ il primo studio in cui il lavoro che
comporta trasferte frequenti è identificato come singolo fattore di rischio per
l’outcome in esame, in particolare per i lavoratori con un pregresso episodio
di cardiopatia ischemica.
E’ quindi necessario proteggere questa fascia
di popolazione più fragile anche in considerazione del fatto che la stessa è
destinata, a causa delle modifiche dell’età pensionabile, ad invecchiare.
1.891 uomini di età compresa tra i 42 e i 60
anni al baseline, inclusi nello studio prospettico di coorte “Kuopio Ischemic
Heart Disease Risk Factor Study”, sono stati seguiti per 20 anni.
Sono state raccolte informazioni riguardo
l’orario e i turni di lavoro, le loro caratteristiche sociodemografiche,
comportamentali e psicologiche. Inoltre sono stati esaminati alcuni parametri
biologici e test per la funzionalità respiratoria.
E’ stato usato il modello proporzionale di
rischio di Cox con l’aggiustamento per le variabili demografiche, biologiche,
comportamentali e psicologiche.
I seguenti riferimenti bibliografici sono
scaricabili agli indirizzi sotto riporatati:
- Wang A, Arah OA, Kauhanen J, Krause N. Shift work and 20-year incidence of acute myocardial infarction: results from the Kuopio Ischemic Heart Disease Risk Factor Study Occup Environ Med. 2016 Mar 31
- Vyas MV, Garg AX, Iansavichus AV, et al. Shift work and vascular events: systematic review and meta-analysis BMJ. 2012 Jul 26
ESPOSIZIONE AD AGENTI
CHIMICO-FISICI: DOMANDE E RISPOSTE
Da
LavoroInSicurezza
LavoroInSicurezza.org
è un’iniziativa di Rete Iside onlus per lavoratori e lavoratrici, delegati
sindacali e cittadini.
Uno
strumento di intervento per promuovere una nuova cultura della salute e
sicurezza sui luoghi di lavoro. Un progetto totalmente autofinanziato e
indipendente.
Tra
le varie sezioni del sito, vi è quella “Domande/Risposte” dedicata appunto a
fornire risposte a domande poste da lavoratori sui temi della tutela della
salute e sicurezza:
La
Sezione è divisa nei seguenti settori:
RISCHI
PER LA SALUTE PREVENZIONE-PROTEZIONE
-
esposizione
ad agenti chimico-fisici;
-
rischi
muscolo-scheletrici;
-
rischi
nei lavori ai videoterminali;
-
rischi
nella guida dei veicoli;
-
rischi
da stress lavoro correlato.
RISCHI
PER LA SICUREZZA PREVENZIONE-PROTEZIONE
-
attrezzature
di lavoro (macchine, utensili elettrici, attrezzi manuali ecc);
-
apparecchiature
per la movimentazione delle merci;
-
Carenze
nei luoghi di lavoro.
Nel
presente numero della mia Newsletter riporto le Domande/Risposte relative al
tema “Esposizione ad agenti chimico-fisici”.
Marco
Spezia
*
* * * *
DOMANDA
Salve,
lavoro nel settore dei rivestimenti del sottotetto di auto e furgoni, sono
stato eletto da poco RLS dei lavoratori. Durante il turno di lavoro
sistematicamente avviene il cambio di stampi a caldo per altri formati. Invece
di aspettare che si raffreddino vengono sostituirli con altri stampi. Gli
stampi ancora caldi sprigionano nell’aria delle sostanze che ci causano un
forte bruciore agli occhi.
Come
posso agire in qualità di RLS?
RISPOSTA
La
situazione che descrivi è molto grave perché, per esigenze di produttività,
ossia evitare il tempo di attesa per il raffreddamento degli stampi, l’azienda
espone i lavoratori ad un possibile rischio chimico.
In
qualità di RLS ti consigliamo di scrivere una lettera al datore di lavoro e al
RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) in cui si richiede
la parte del DVR (Documento Valutazione dei Rischi) sul rischio chimico
relativo alla specifica fase di lavoro di cambio dello stampo. Quindi verifica
se la valutazione è secondo te corretta. Puoi anche inviarcelo così lo
valutiamo insieme.
Se
l’azienda non ti consegna il DVR ti puoi rivolgere subito agli organi di
vigilanza territoriali (ASL), perché l’accesso al documento è un diritto
primario di un RLS ai sensi degli articoli 18 e 50 del D.Lgs. 81/08.
Considera
che, in base all’articolo 18 del D.Lgs. 81/08, i lavoratori si potrebbero
rifiutare di effettuare la fase di lavorazione a rischio chimico, cambio stampi
a caldo, fino a quando l’azienda non è in grado di dimostrare attraverso il DVR
che le sostanze emesse non sono pericolose, cosa che confligge con le
irritazioni agli occhi che voi lamentate.
Chiaramente
sta a te, insieme ai lavoratori, stabilire se utilizzare o meno questa
possibilità offerta dalla legge.
*
* * * *
DOMANDA
Buonasera,
lavoro in un ente pubblico, abbiamo problemi con gli armadietti che sono a
nostro avviso molto piccoli e finisce che la divisa sporca contamini i vestiti
puliti con grossi rischi sia biologici che chimici. Abbiamo già scritto al
direttore e al RLS.
RISPOSTA
Buongiorno.
Il
riferimento legislativo rispetto alle caratteristiche degli armadi negli
spogliatoi è l’Allegato 4 punto 1.12.5 del D.Lgs. 81/08 “Qualora i lavoratori
svolgano attività insudicianti, polverose, con sviluppo di fumi o vapori contenenti
in sospensione sostanze untuose od incrostanti, nonché in quelle dove si usano
sostanze venefiche, corrosive od infettanti o comunque pericolose, gli armadi
per gli indumenti da lavoro devono essere separati da quelli per gli indumenti
privati”. Se hai già scritto una lettera al tuo direttore o datore di lavoro e
non hai risolto il problema, ti consigliamo di insistere con il tuo RLS per
scrivere (magari con una raccolta di firme di altri lavoratori interessati)
direttamente agli organi di vigilanza territoriali. In questa lettera conviene
descrivere bene la situazione, fare riferimento all’Allegato 4 del D.Lgs.
81/08, e chiedere un loro intervento per verificare il livello di rischio e
prescrivere al datore di lavoro l’adozione di armadi di dimensione adeguata.
*
* * * *
DOMANDA
La
struttura presso cui lavoro è stata chiusa a causa di presenza di manufatti con
cemento-amianto (MCA) nella pavimentazione tra l’altro deteriorata in
numerosissimi punti. Ho lavorato in questi uffici per 8 ore al giorno 5 giorni
su 7 per 4 anni. Quali controlli medici devo fare? come devo comportarmi nei
confronti del mio datore di lavoro?
RISPOSTA
Per
quanto riguarda i controlli medici da effettuare per verificare gli eventuali,
speriamo assenti, effetti della tua attività lavorativa con presenza di MCA, ti
consigliamo di rivolgerti subito al medico competente aziendale e al tuo medico
curante per avere delle informazioni più dettagliate.
In
linea di massima la patologia più tipica da esposizione ad amianto è l’asbestosi
che crea difficoltà respiratorie e disturbi cardiaci, si diagnostica con una
radiografia al torace e la spirometria che valuta la funzionalità respiratoria.
Per verificare l’esposizione è utile effettuare un esame dell’escreato dove si
possono trovare fibre chiamate corpuscoli di asbesto. Raramente l’asbestosi
compare prima di 10 anni dalla prima esposizione.
Per
quanto riguarda le responsabilità del datore di lavoro, in caso di presenza di
MCA, egli ha l’obbligo di effettuare una valutazione dei rischi specifica (ai
sensi dell’articolo 249 del D.Lgs. 81/08) per verificare se la percentuale di
presenza di amianto nell’aria supera il valore limite di esposizione di 0,1
fibre per centimetro cubo di aria, misurato come media ponderata nel tempo di
riferimento di otto ore.
Quindi
dovresti richiedere, anche tramite il tuo RLS, copia del DVR e verificare:
-
se
il DVR è stato redatto prima o dopo la scoperta di presenza di MCA;
-
verificare
se la percentuale di presenza di amianto nell’aria supera il valore limite;
-
verificare
la correttezza delle misure di prevenzione-protezione adottate dall’azienda in
caso di presenza di rischio; ad esempio se è stata effettuata una bonifica
temporanea immediata del MCA e/o l’allontanamento dei lavoratori dai locali
inquinati.
Se
il datore di lavoro non ha attuato uno di questi tre punti procedete, se
possibile in collaborazione con il RLS, a sporgere denuncia agli organi di
vigilanza territoriali (ASL) chiedendo una perizia tecnica per la valutazione
del rischio d’esposizione all’amianto.
Queste
verifiche sono fondamentali per capire, nel caso sfortunato che tu abbia subito
dei danni alla salute (polmoni e vie respiratorie in generale), se esiste un
nesso causa/effetto tra la patologia e l’attività lavorativa effettuata negli
ultimi anni. La presenza di questo nesso causa/effetto è fondamentale per
ottenere il giusto risarcimento dall’INAIL in caso di patologie.
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DOMANDA
La
divisa da lavoro è dispositivo di sicurezza?
RISPOSTA
La
divisa da lavoro non è un Dispositivo di Sicurezza Individuale (DPI). Ti
riportiamo il testo dell’articolo 74, comma 2, lettera a) del D.Lgs. 81/08:
“Non costituiscono DPI: gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non
specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore”.
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DOMANDA
C’è
un obbligo di periodica deblattizzazione degli ambienti di lavoro? Ci sono, al
riguardo, norme particolari per il settore pubblico?
RISPOSTA
Non
c’è un obbligo specifico sulla periodicità (ad esempio ogni mese, anno ecc) della
“deblattizzazione-disinfestazione” dei locali di lavoro; questo aspetto rientra
nell’obbligo del datore di lavoro di valutare i rischi e garantire, ai sensi
dell’articolo 64 e Allegato 4 del D.Lgs. 81/08, l’igiene e la pulizia dei
locali di lavoro.
Se
ritieni che ci siano dei problemi (presenza di blatte ecc) puoi scrivere una
lettera, al datore di lavoro e al RSPP, per segnalare i rischi e richiedere
l’adozione delle misure di prevenzione adeguate (in sostanza chiamare una ditta
specializzata per la disinfestazione-deblattizzazione dei locali). In questo
modo “scatta” l’obbligo per il datore di lavoro di risolvere il problema.
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* * * *
DOMANDA
Nel
nostro ambiente di lavoro, in una sala del percorso espositivo temporaneo, è
stata collocata un’installazione audiovisiva costantemente in funzione dalle 8
alle 10 ore al giorno, che abbiamo verificato superare i limiti di legge di
emissione di rumore. Tale rilevazione non è stata effettuata con i fonometri
professionali, ma con delle “app” da smartphone. Come ci consigliate di
procedere con l’azienda? Facendo richiesta formale di una rilevazione con
fonometro professionale? Chi la deve fare? Lo potremmo fare noi RLS?
RISPOSTA
Il
datore di lavoro, in qualsiasi tipologia di attività, ha l’obbligo di valutare
il livello d’esposizione dei lavoratori al rischio rumore, a meno che
attraverso un’autocertificazione dichiari che nella sua azienda non si superano
gli 80 dB(A).
La
misurazione e valutazione del rischio rumore deve essere effettuata da un
tecnico abilitato, iscritto all’albo regionale, con un fonometro omologato e
sottoposto alla taratura periodica da parte di un ente abilitato
Nel
tuo caso, quindi, puoi richiedere al tuo datore di lavoro, in forma scritta, di
effettuare la valutazione del rischio rumore e, in caso di livello di
esposizione di superiore a 80 dB(A) pretendere l’adozione di misure per
abbassare il livello di rischio come ridurre il volume del l’installazione
audiovisiva. Ricordati che il datore di lavoro ha l’obbligo di ridurre il
rischio rumore alla fonte e, solo se ciò è tecnicamente impossibile, i
lavoratori devono adottare dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) anti
rumore come le cuffie.
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DOMANDA
Lavoro
in ospedale svolgendo servizio di sanificatore ad alto rischio. Una notte ci è
arrivata una chiamata con richiesta di pulire dal triage ai box del pronto
soccorso e corridoi adiacenti per un rischio di contagio da scabbia. Non
avevamo né i dispositivi adeguati, né la macchina del tipo 100 gradi, ce la
siamo dovuta cavare con mezzi di fortuna per coprirci e sanificare solo con il
cloro a nostra disposizione. Ora io mi chiedo cosa posso fare per rifiutarmi di
fare questi servizi e sopratutto cosa devo scrivere all’azienda per tutelarmi
da questi rischi?
RISPOSTA
Il
datore di lavoro, ai sensi degli articoli del Titolo 10 (rischi da agenti
biologici) articoli 271, 272, 273, 274, 277, 278 del D.Lgs. 81/08, deve
valutare il rischio da esposizione ad agenti biologici di una specifica fase di
lavoro, adottare le misure di prevenzione e protezione adeguate (collettive e
individuali) e fornire ai lavoratori tutte le informazione-formazione
dettagliate sulla pericolosità degli agenti biologici (nel tuo caso i parassiti
della scabbia), sulle misure adottate per ridurre i rischi e sulle modalità di
lavorare in sicurezza.
Tutto
ciò deve avvenire prima di effettuare l’attività di lavoro a rischio, qualora
non siano state svolte, l’azienda non può obbligarti ad effettuare la pulizia
di locali per un rischio scabbia.
Ti
consigliamo di procedere in questo modo.
Scrivi
una lettera al datore di lavoro o al dirigente con delega su salute e sicurezza
del lavoro, al RSPP, in cui chiedi, ai sensi degli articoli citati sopra, che
ti sia consegnata la sezione dei rischi da agenti biologici del DVR con le
disposizioni sulle fasi di fasi di lavoro specifiche come la pulizia dei box
del pronto soccorso.
Verifica
se in tale documento il rischio è stato valutato correttamente con una corretta
descrizione dei rischi che tu individui (come in questo caso, per esempio la
scabbia) e se sono effettivamente state applicate tutte le misure di
prevenzione e protezione previste nel documento.
Importante:
fino a quando il datore di lavoro non ti consegna questi dati, ti puoi
rifiutare di effettuare il lavoro.
Se
sono previsti dei DPI, verifica che ti siano stati consegnati tutti
correttamente. Se i requisiti dei DPI consegnati non corrispondono, ti puoi
rifiutare di effettuare il lavoro.
Nella
lettera chiarisci che ritieni responsabili il datore di lavoro ed il dirigente
di area dei danni alla salute dei lavoratori causati dal mancato rispetto dei
requisiti previsti, da leggi e norme, in caso di esposizione ad agenti
biologici. Ricordati di farti consegnare una copia della lettera controfirmata
dal datore di lavoro e dal RSPP.
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* * * *
DOMANDA
Stiamo
lavorando alla rimozione di materiale di risulta, alcuni di questi materiali
sembra che contengano fibra di amianto. Ho avvisato il mio superiore e mi ha
detto di continuare perché le quantità sono poche e non rischio niente. E’
vero?
RISPOSTA
No....assolutamente,
con l’amianto non si scherza! Di norma i lavori di rimozione di materiali
contenente amianto, vengono effettuati da ditte specializzate. Nel caso di
lavorazioni sporadiche e di breve durata in cui il datore di lavoro, con la
valutazione dei rischi specifica (ai sensi dell’articolo 249 del D.Lgs. 81/08),
dimostra che la percentuale di presenza di amianto nell’aria non supera il
valore limite di esposizione di “0,1 fibre per centimetro cubo di aria” (misurato
come media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore), solo in questo caso
le lavorazioni possono essere effettuate da lavoratori non specializzati (per
la rimozione di amianto). Questi lavoratori, però, devono essere dotati dei DPI
adeguati.
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* * * *
DOMANDA
Il
mio capoturno mi ha ordinato di ripulire un luogo di lavoro sporco di olii,
grassi e altre sostanze che non conosco. Mi è stata fornita una tuta, una
mascherina e un paio di occhiali. Posso lavorare in questo modo? Sono
rispettate le norme?
RISPOSTA
No,
le norme non sono rispettate. Il datore di lavoro, ai sensi degli articoli dal
223 al 227 del D.Lgs. 81/08, deve valutare il rischio chimico (di una specifica
fase di lavoro), adottare le misure di prevenzione adeguate e fornire ai
lavoratori tutte le informazioni dettagliate su: pericolosità dei prodotti,
misure adottate per ridurre i rischi, modalità di lavorare in sicurezza. Ti consigliamo
di procedere in questo modo.
Scrivi
prima una lettera al datore di lavoro (e al RSPP) in cui chiedi la consegna
della parte del documento di valutazione del rischio chimico relativa alla tua
fase di lavoro (pulizia di un locale con oli, ecc.) e verifica se il rischio è
stato valutato correttamente (se, cioè sono descritte tutte le sostanze
chimiche presenti e la loro pericolosità) e se sono state applicate tutte le
misure di prevenzione-protezione individuate.
Chiedi,
inoltre, la consegna delle Schede di sicurezza di tutti i prodotti presenti nel
locale da pulire e verifica sulle schede i seguenti punti:
-
Punto
8 “Controllo dell’esposizione/protezione personale” che descrive le misure di
protezione collettiva (sistemi d’aspirazione) da attuare per evitare, o almeno
ridurre, l’esposizione e descrive i DPI da utilizzare (maschere, occhiali,
guanti);
-
Punto
11 “Informazioni tossicologiche” in cui sono dettagliati gli effetti pericolosi
per la salute (irritante, nocivo);
-
Punto
15 “Informazione regolamentare” nel quale il prodotto viene classificato, sulla
base delle normative in materia, secondo il suo livello di pericolosità (non
pericoloso, irritante, nocivo, tossico, molto tossico ecc.).
Importante:
fino a quando il datore di lavoro non ti consegna le schede di sicurezza di
tutti i prodotti, su cui devi agire per le pulizie, ti puoi rifiutare di
effettuare il lavoro. Se te le consegna verifica, in particolare, se i DPI,
previsti dalla scheda di sicurezza dei singoli prodotti, corrispondono a quelli
che ti ha consegnato il datore di lavoro. Ad esempio: se sulla scheda di un
prodotto si dice, al Punto 8, che bisogna usare delle maschere con filtri con
un particolare codice, devi verificare se la maschera, che ti è stata
consegnata, corrisponde ai requisiti previsti dalla scheda. Se i requisiti
della maschera non corrispondono, ti puoi rifiutare di effettuare il lavoro.
Nella
lettera ti conviene chiarire che ritieni responsabili il datore di lavoro, e il
tuo dirigente di area, dei danni alla salute dei lavoratori che possono essere
causati dal mancato rispetto dei requisiti previsti, da leggi e norme, in caso
di esposizione ad agenti chimici. Ti conviene precisare, inoltre, che se entro
un certo tempo (ad esempio una settimana) il problema non sarà risolto, ti
rivolgerai agli organi di vigilanza territoriali (ASL).
Se
il problema non viene risolto puoi fare denuncia alla ASL territoriale. In
questo caso gli ispettori ASL verificano la situazione e, se rilevano rischi
per la salute, impongono e prescrivono al datore di lavoro di attuare le misure
adeguate per risolvere il problema: sostituire i prodotti chimici utilizzati
con quelli meno pericolosi, consegnare ai lavoratori i DPI (maschere, ecc.) adeguati
previsti dalle schede di sicurezza dei prodotti, ecc. Se ritieni che non abbia
senso la lettera al datore di lavoro, puoi partire direttamente con la denuncia
alla ASL. Importante: fatti consegnare una copia controfirmata (dal datore di
lavoro) della lettera.
*
* * * *
DOMANDA
Se
il mio datore di lavoro non mi fornisce i DPI posso rifiutarmi di effettuare il
lavoro?
RISPOSTA
Si,
ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettere d) e m) del D.Lgs. 81/08, il datore
di lavoro deve fornire al lavoratore i DPI adeguati e non può obbligarlo a
lavorare in una situazione di pericolo per la sua sicurezza-salute.
Ti
consigliamo di procedere in questo modo.
Scrivi
prima una lettera al datore di lavoro (e al RSPP) in cui, dopo la descrizione
dettagliata dei rischi presenti e dei DPI necessari, motivi la tua astensione
dal lavoro con la mancata consegna dei DPI. Ti conviene precisare, inoltre, che
se il problema non sarà risolto immediatamente, ti rivolgerai agli organi di
vigilanza territoriali (ASL).
Se
il problema non viene risolto puoi fare denuncia alla ASL territoriale. In
questo caso gli ispettori ASL verificano la situazione e, se rilevano rischi
per la salute, impongono e prescrivono al datore di lavoro di attuare le misure
adeguate per risolvere il problema: attuare le misure di prevenzione e
protezione adeguate rispetto ai rischi presenti nella specifica attività
lavorativa e la consegna dei DPI necessari per la protezione dai rischi
residui.
Importante:
fatti consegnare una copia controfirmata (dal datore di lavoro) della lettera.
*
* * * *
DOMANDA
Lavoro
come in un’azienda di pulizie. La ditta per cui lavoro ci fornisce solo del
materiale di pulizia (detersivi, buste etc.) che riporta solo il nome del
prodotto e il simbolo di tossicità. Mi chiedo, visto che alcuni prodotti sono
tossici (contengono acidi, ammoniaca), se devono esserci consegnate delle
schede sulla tossicità e su come comportarsi in caso di contatto?
RISPOSTA
I
produttori delle sostanze chimiche hanno l’obbligo di elaborare delle schede di
sicurezza dei loro prodotti e di consegnarlo ai compratori. Il datore di lavoro
di un’azienda (o istituzione pubblica) ha l’obbligo di valutare il rischio
chimico per i lavoratori e consegnare loro le schede di sicurezza relative ai
prodotti utilizzati durante il lavoro. Queste schede sono molto importanti
perché descrivono:
-
il
livello di pericolosità di un prodotto (irritante, nocivo, tossico ecc);
-
le
modalità adeguate d’utilizzo per prevenire i rischi;
-
i
DPI da utilizzare per evitare danni alla salute (guanti, maschere, scarpe,
occhiali ecc);
-
cosa
fare in caso di esposizione (per contatto, inalazione o ingestione) del
lavoratore al prodotto.
In
sintesi devi richiedere al datore di lavoro tutte le schede relative ai
prodotti che utilizzi, leggere, in particolare, il punto in cui descrive i DPI
da utilizzare e verificare se le modalità reali di utilizzo del prodotto
corrispondono a quelle previste dalla scheda di sicurezza.
Verifica
prima se l’azienda ha fatto queste cose e poi ricontattaci per definire le
migliori modalità per ottenere dei risultati concreti per la tutela della tua
salute.
*
* * * *
DOMANDA
Lavoro
in una società come pulitore/ausiliario negli ospedali. Mi chiedono di svuotare
i sacchi dei rifiuti ospedalieri speciali. Vorrei sapere se devo farlo e
soprattutto se esistono delle particolari protezioni previste dall’INAIL?
RISPOSTA
In
questa attività puoi essere esposto ad un rischio di tipo biologico che può
essere anche elevato. Gli obblighi del datore, relativi a questa tipologia di
rischio, sono descritti chiaramente nel Titolo 10 del D.Lgs. 81/08. L’azienda,
quindi, non può farti svolgere queste mansioni (ammesso che sia possibile
nell’ambito del tuo contratto di lavoro) senza aver effettuato prima i seguenti
adempimenti:
-
valutazione
dei rischi specifici individuati nell’attività di smaltimento dei rifiuti
“speciali”:
-
controllo
del livello di pericolosità dei rifiuti;
-
stima
della probabilità che il lavoratore sia esposto al rischio per contatto o per
via aerea (contenitori inadeguati, rischio di caduta e rottura dei contenitori
durante il percorso ecc);
-
adozione
delle misure necessarie per prevenire i rischi:
-
utilizzo
di contenitori adeguati (sia per i singoli prodotti che per quello che li
contiene tutti);
-
strutturazione
del percorso, effettuato per lo smaltimento, in modo da evitare urti e cadute
che possono provocare la rottura dei contenitori;
-
fornitura
ai lavoratori dei DPI adeguati (ad esempio guanti e scarpe resistenti ad
eventuali oggetti appuntiti; maschere di protezione delle vie aeree, se c’è il
rischio, in caso di rottura del contenitore, di esalazione di sostanze nocive,
indumenti adeguati).
Quindi
puoi chiedere all’azienda (magari tramite il tuo RLS) se ha fatto una
valutazione specifica di questi rischi e quali sono le misure adottate per
ridurre i rischi. Se non l’ha fatto l’azienda non può obbligare il lavoratore
ad effettuare questi lavori. Se la valutazione dei rischi è stata fatta (e
riesci a fartela consegnare) puoi verificare (sempre con l’aiuto del tuo RLS)
che l’azienda abbia realmente applicato le misure di prevenzione previste nella
valutazione.
L’azienda,
prima di far effettuare queste mansioni, deve fare dei corsi d’informazione, formazione
e addestramento sui seguenti aspetti: i rischi per la salute dovuti agli agenti
biologici utilizzati; le precauzioni da prendere per evitare l’esposizione; le
misure igieniche da osservare; la funzione degli indumenti di lavoro e
protettivi e dei dispositivi di protezione individuale ed il loro corretto
impiego).
Se
non l’ha fatto l’azienda non può obbligare il lavoratore a effettuare questi
lavori.
Se
ha consegnato solo degli opuscoli informativi oppure ha fatto solo
un’informazione rapida (ad esempio 1-2 ore), non ha ottemperato agli obblighi
di legge previsti. In sintesi puoi verificare sia se è stata fatta la
formazione, sia se è stata adeguata.
Verifica
prima se l’azienda ha fatto queste cose e poi ricontattaci per definire le
migliori modalità per ottenere dei risultati concreti per la tutela della tua
salute.
CADUTA AL
SUPERMERCATO: RESPONSABILITA’ DEL DIRETTORE ANCHE VERSO TERZI
Da
Studio Cataldi
25
luglio2016
di
Lucia Izzo
CADUTA
AL SUPERMERCATO: LESIONI COLPOSE AGGRAVATE PER IL DIRETTORE CHE NON SEGNALA IL
PAVIMENTO BAGNATO
Va
condannato per lesioni colpose aggravate e per aver violato le norme in materia
di prevenzione di infortuni sul lavoro, il direttore del supermercato che ha
omesso di segnalare il pavimento bagnato, causando così la caduta e il
ferimento di un cliente.
Vanno
considerati destinatari delle misure di prevenzione anche i terzi che si
trovano esposti al pericolo derivante dall’attività lavorativa svolta da altri
nell’ambiente di lavoro.
Lo
ha stabilito la Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, nella Sentenza n.
31521/2016 che ha accolto il ricorso promosso dal Procuratore Generale presso
la Corte d’appello di Venezia avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace ha
dichiarato non doversi procedere per mancanza di querela nei confronti del
direttore di un supermercato, imputato del delitto di lesioni colpose aggravate
dalla violazione di norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro,
per essere il reato ascritto estinto per intervenuta remissione di querela.
L’imputato,
direttore del supermercato, è accusato di aver, per colpa, imprudenza,
imperizia e negligenza, omesso di segnalare opportunamente all’interno del
predetto supermercato un tratto di pavimentazione bagnata non visibile,
causando la rovinosa caduta a terra di un cliente che transitava a piedi su
quel tratto e cagionava a quest’ultimo lesioni personali.
Il
Procuratore rappresenta che le norme in materia di prevenzioni infortuni si
applicano non solo a tutela dei lavoratori, ma anche di terzi, così come ha
affermato uniformemente la Giurisprudenza di legittimità, con la conseguenza
che il delitto di lesioni personali, aggravato ai sensi del terzo comma
dell’articolo 590 del Codice Penale, è procedibile d’ufficio per cui non assume
alcuna rilevanza la remissione di querela da parte della persona offesa.
Per
gli Ermellini il ricorso va accolto con conseguente annullamento della sentenza
impugnata con rinvio alla Procura della Repubblica.
Innanzitutto
è incontestabile che il luogo ove è avvenuto l’infortunio è certamente un luogo
di lavoro, oltre che, essere aperto al pubblico per le finalità commerciali cui
è deputato.
Orbene,
precisano i giudici, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli
obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non
far carico, a titolo di colpa specifica, ex articolo 43 del Codice Penale e,
quindi, di circostanza aggravante ex articolo 590 del Codice Penale, comma 3,
su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che a
infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi
equiparato o una persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia
ravvisabile il nesso causale con l’accertata violazione.
Infatti,
“anche i terzi, quando si trovino esposti ai pericoli derivanti da un’attività
lavorativa da altri svolta nell’ambiente di lavoro, devono ritenersi
destinatari delle misure di prevenzione. Sussiste, pertanto, un cosiddetto
rischio aziendale connesso all’ambiente, che deve essere coperto da chi
organizza il lavoro”.
La
Sentenza n. 31521/2016 della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione è
scaricabile (previa iscrizione alla newsletters dello Studio Cataldi) all’indirizzo:
IL RISCHIO DI CLIMA
ESTREMO CALDO IN EDILIZIA
Da:
PuntoSicuro
18
luglio 2016
Cosa
fare per evitare colpi di calore e infortuni nelle giornate più calde?
L’importanza di una valutazione del rischio che tenga conto anche delle alte
temperature.
Proponiamo
una relazione presentata durante il Convegno Regionale RLS Toscana Firenze del
11 febbraio “Buon lavoro! Buoni propositi, buone prassi e buoni risultati: la
buona fortuna non c’entra”.
L’infortunio
mortale di un operaio edile, che si è verificato il 23 luglio 2015 a Calenzano in una
giornata climaticamente avversa per presenza di elevata temperatura e umidità
non può che ritenersi dovuto ad un colpo di calore.
Infatti
gli accertamenti effettuati dal PISSLL Firenze Nord, utilizzando dati di
temperatura e umidità rilevati da due centraline dislocate nelle vicinanze del
luogo dell’evento (centro comune di Calenzano) hanno permesso di stimare la
giornata a “rischio possibile di colpo di calore”, in base al heat index
proposto dall’ INRS.
Il
tipo di lavoro svolto dall’operaio era quello di tamponare con applicazione di
pannelli un breve tratto di muro di cinta pericolante di una villa storica,
lavoro eseguito sia a terra che su di un ponteggio allestito per accedere alla
parte superiore dell’opera.
Quindi
il lavoratore operava all’esterno in un ambiente aperto completamente esposto
al sole.
Gli
addetti all’esecuzione del lavoro erano 2 operai dipendenti, compreso l’operaio
in questione, alle dipendenze di una ditta specializzata in restauri di edifici
storici.
Il
tempo previsto di svolgimento lavori era di una giornata lavorativa.
E’
necessario a questo punto descrivere come si è svolta la giornata lavorativa.
Dopo
una mattinata di lavoro l’operaio in questione aveva più volte lamentato
malessere e dopo una pausa pranzo particolarmente “attiva” (oltre al pasto gli
operai sono passati in sede per caricare sul furgone materiali necessari per il
completamento del lavoro, viaggiando su un furgone privo di aria condizionata)
il lavoro è ripreso nel primo pomeriggio (la “pausa pranzo” è molto discutibile
perché di fatto non c’è stata pausa).
Alle
15 circa l’operaio ha accusato malessere, stato confusionale, disturbi gravi
dell’equilibrio, grave stato agitatorio.
Chiamata
l’ambulanza, che è arrivata in tempi rapidi, il lavoratore è stato portato al
Pronto Soccorso di Careggi e successivamente ricoverato, con diagnosi di
ingresso di “iperpiressia grave in sospetto colpo di calore”, presso il reparto
di rianimazione dove, in serata, è deceduto.
Come
causa di morte è stata formulata la diagnosi di “insufficienza multiorgano di
natura da determinare” Sono state avviate le indagini dalla Procura della
Repubblica di Prato che ha disposto l’autopsia, e non ci risulta al momento
prodotta nessuna relazione da parte del medico legale incaricato che, sentito
direttamente, è fortemente orientato a confermare l’ipotesi iniziale del colpo
di calore.
Aspettiamo
anche le indagini della magistratura che si pronuncerà in futuro.
Nel
frattempo: è stato fatto tutto ciò che doveva essere fatto in termini di
valutazione dei rischi, di assegnazione di un compito adeguato alle condizioni
fisiche del lavoratore ai sensi dell’articolo 18, comma 2 lettera c) del D.Lgs.
81/08, di informazione e formazione, di corretta esecuzione della sorveglianza
sanitaria?
Rispetto
ai fatti sopra esposti si nota una carenza nella valutazione dei rischi
nell’esecuzione dell’opera e conseguentemente nelle misure da adottare per
eliminare o ridurre il fattore di rischio al minimo.
Questa
è una carenza che purtroppo si trova molto spesso nei POS.
Le
aziende spesso adottano misure in modo unilaterale decidendo senza confrontarsi
con le rappresentanze dei lavoratori.
Un
esempio di decisione unilaterale potrebbe essere quella della modifica
dell’orario di lavoro, che sicuramente aiuta ma non risolve e in alcuni casi
potrebbe essere addirittura più dannosa perché si arriva alle ore più calde
stanchi.
Per
tornare all’evento certamente non era stata effettuata una congrua valutazione
del rischio e quindi non si era provveduto di conseguenza per mitigare gli
effetti delle avverse condizioni climatiche in quanto, nonostante fosse stato
redatto il POS del cantiere rimane evidente che non prendeva in considerazione
i rischi legati alle suddette condizioni, e quindi non erano state attuate le misure
necessarie.
Le
uniche misure adottate che sembrano piuttosto improvvisate sono state: lavorate
all’ombra (cosa per altro impossibile nel luogo di lavoro completamente esposto
al sole), fate pause ecc..
Inoltre
i lavoratori non avevano gli indumenti adeguati e per quello che riguarda
l’approvvigionamento idrico gli stessi avevano provveduto in proprio portando
con sé alcune bottiglie d’acqua e utilizzando una cannella destinata
all’irrigazione del giardino messa a disposizione da una vicina.
Per
quanto riguarda l’assegnazione di un compito che tenesse conto delle capacità e
delle condizioni di salute dei lavoratori c’è da dire che la sorveglianza
sanitaria era regolarmente effettuata e che da essa non erano emersi motivi di
non idoneità.
Mentre
gli aspetti correlati all’informazione e alla formazione sono da valutare.
Cosa
poteva esser fatto per evitare nel caso in questione l’infortunio mortale?
Sicuramente
una valutazione appropriata con individuazione delle misure per far fronte
all’emergenza caldo che, nella fattispecie, potevano consistere in per esempio:
-
allestimento
di un gazebo per creare una zona di ombra in cui osservare pause di riposo;
-
previsione
e istituzione di pause nell’ambito della giornata di lavoro;
-
messa
a disposizione di acqua e bevande fresche conservate in contenitori o
apparecchi refrigeranti;
-
dotazione
degli addetti di indumenti adeguati in cotone e cappello a tesa larga;
-
disposizione
dell’effettuazione del lavoro in orari adeguati alla situazione climatica, basandosi
anche sulle previsioni meteo, fino all’interruzione o alla non effettuazione
del lavoro utilizzando ala CIGO come previsto e suggerito da circolare INAIL;
-
informazione
e formazione adeguata dei lavoratori sui rischi del lavoro in condizioni di
caldo estremo;
-
osservanza
da parte dei lavoratori di comportamenti adeguati in termini di stili di vita
(alimentazione leggera ed evitare alcolici e fumo).
Cosa
deve essere fatto in prospettiva?
Intanto
un salto di qualità culturale.
Il
caldo non può essere considerato solo un fattore favorente l’attività, ma va
considerato anche come un elemento di rischio per la salute e sicurezza dei
lavoratori che può dar luogo a danni gravi e gravissimi.
Inserire
il colpo di calore come tema nella formazione obbligatoria che i lavoratori devono
effettuare per sapere come comportarsi durante le lavorazioni che sono esposte
a questo rischio.
Così
come non possiamo pensare che sia il lavoratore che in base alla sua percezione
decida quando fare una pausa e come comportarsi.
Spesso
i lavoratori ci dicono che hanno la piena autorizzazione a fermarsi per
riposare e comprare da bere ogni qualvolta lo ritengano opportuno.
Non
può essere così!
Come
RLST dell’edilizia della provincia di Firenze e i regionali con i rispettivi
CPT stiamo elaborando insieme al PISSL un elenco di provvedimenti che poi
presenteremo alle parti datoriali, agli ordini degli ingegneri, geometri
architetti e a tutti coloro che fanno parte del settore e che svolgono attività
di coordinamento o consulenza per la sicurezza.
In
modo che tutto questo possa diventare un documento da inserire nei POS come
procedure minime da rispettare per cercare di far diminuire o addirittura
eliminare il rischio.
Un’altra
misura su cui potremo confrontarci potrebbe essere quella di creare un collegamento
tra il medico di famiglia e il medico competente per la salute dei lavoratori,
conoscere dati anamnestici può essere utile.
Ancora,
aprire un confronto con l’INPS che possa portare ad un documento dove ci siano
scritti i requisiti per poter accedere alla CIGO in caso di temperature
elevate, diffondendo questa pratica in modo capillare.
Oggi
è possibile farlo ma non essendoci regole precise che stabiliscono criteri
certi per le autorizzazioni le aziende sono disincentivate a farlo, anche per
una cattiva informazione, infatti pare che le domande presentate nel 2015 sono
ancora in attesa di essere accolte.
Le
misure oggi previste per l’accesso alla CIGO (raccomandazione contenuta in
circolare INPS applicabile quando la temperatura raggiunge i 35°) sono lasciate
alla discrezionalità dell’ente del territorio.
Inoltre
fermarsi alla sola temperatura non è corretto perché la percezione del corpo
umano per quanto riguarda il caldo è soggettiva e fatta da un mix ovvero: la
temperatura e l’umidità.
Dobbiamo
in primis tener conto delle condizioni climatiche per come oggettivamente
(effetto serra o no) si presentano oramai negli ultimi anni con ondate di
calore estremo e quindi bisogna predisporre un kit di misure adeguate
prevedendo, per quanto possibile, le esacerbazioni del caldo.
Un
clima così non è più un evento eccezionale!
Il
rischio di clima estremo in edilizia, sovvertendo una consuetudine che tende a
non considerarlo tale, va pertanto valutato, come per altro il D.Lgs. 81/08
prevede come tutti gli elementi di rischio presente nelle attività lavorative e
di conseguenza i DVR, PSC e POS devono prendere in considerazione il problema.
Una
volta preso in considerazione il fatto che il caldo è un fattore di rischio,
adottare le misure, che voglio ribadire, per ridurlo potrebbero essere quello
di adottare mezzi come:
-
indumenti
adeguati, cappello a larga tesa;
-
postazioni
all’ombra pause;
-
modifiche
dell’orario di lavoro individuando orari correlati alle esigenze di sicurezza
dei lavoratori compatibili anche con le esigenze aziendali, fino alla
sospensione dell’attività o all’adozione della CIGO;
-
formazione
e informazione ai lavoratori.
Insomma
le stesse misure elencate precedentemente per evitare l’infortunio mortale di
cui abbiamo parlato.
Tutti
i materiali presentati al Convegno “Buon lavoro! Buoni propositi, buone prassi
e buoni risultati: la buona fortuna non c’entra” sono scaricabili
all’indirizzo:
IMPARARE
DAGLI ERRORI: SE NON SI METTE IN SICUREZZA IL CARICO
Da: PuntoSicuro
21 luglio 2016
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni tratti da SUVA (Istituto
svizzero per l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni): un infortunio
avvenuto perché il dipendente di una segheria viene travolto da un tronco che
non è stato ben fissato sul rimorchio. La prevenzione di infortuni simili e le
responsabilità della fissazione del carico.
Non è la prima volta che “Imparare dagli
errori”, la rubrica di PuntoSicuro dedicata al racconto e all’analisi degli
infortuni lavorativi, si sofferma sugli incidenti e infortuni correlati ad una
carente messa in sicurezza del carico.
Ne abbiamo parlato recentemente in relazione
a infortuni durante lo scarico di lastre di marmo e torniamo a parlarne oggi
con riferimento alla dinamica di un incidente avvenuto in Svizzera, dinamica
raccolta in una scheda dal titolo “Travolto da un tronco non fissato
correttamente”, in cui il dipendente di una segheria viene travolto da un
tronco che non è stato ben fissato sul rimorchio. La scheda è pubblicata sul
sito di SUVA ed è correlata alla campagna elvetica “Visione 250 vite”.
Il dipendente della segheria deve trasportare
l’ultimo carico di tondoni (tronchi lunghi al massimo 6 metri) e per farlo si
serve di un trattore con gru e rimorchio. Durante la fase di carico, il veicolo
è parcheggiato su una strada forestale con una forte pendenza. Visto nella
direzione di marcia, il veicolo si presenta fortemente inclinato a sinistra.
Tutto sembra andare per il verso giusto e
l’ultimo tondone, grande un metro cubo, viene posizionato sul rimorchio. Anche
se sporge oltre gli stanti, elementi di sostegno e appoggio, il tronco sembra
comunque in posizione stabile. Il dipendente assicura il carico a metà del
rimorchio con una cinghia di fissaggio resistente.
Quando il lavoratore mette in moto il veicolo
per avviarsi a valle in direzione della segheria, tutto sembra a posto. Il
carico non si muove.
Tuttavia sul parcheggio della segheria, a
causa del terreno, il veicolo si inclina leggermente a destra. Quando il
dipendente si porta sul lato destro del rimorchio per allentare la cinghia, non
si accorge che il tronco più in alto è trattenuto insieme agli altri solo
grazie alla cinghia. Allentandola il tronco rotola giù ferendo l’operaio a
morte.
Dall’indagine successiva all’infortunio
(continua la scheda di SUVA) è emerso che il rimorchio era sovraccarico.
Inoltre durante la fase di scarico il
dipendente della segheria, prima di allentare la cinghia, non si era premunito
di assicurare il tronco più in alto che si trovava in posizione instabile.
La scheda di SUVA riporta precise indicazioni
per datori di lavoro, “superiori” e lavoratori, che possono servire per evitare
in futuro infortuni di questo tipo.
Queste le indicazioni per datori di lavoro e
superiori:
-
impiegare
solo persone che sono state appositamente formate;
-
ricordare
sempre ai dipendenti a quali pericoli sono esposti e istruirli sulle norme di
sicurezza;
-
stabilire
delle regole comportamentali per il carico e lo scarico dei veicoli;
-
verificare
periodicamente il comportamento dei lavoratori;
-
imporre
il rispetto delle norme di sicurezza.
Queste invece le indicazioni per i
lavoratori:
-
mai
sovraccaricare il rimorchio oltre gli stanti;
-
se
il carico scivola pericolosamente, assicurarlo per prima cosa con la gru di
carico prima di allentare la cinghia di fissaggio;
-
impiegare
delle cinghie di fissaggio che vengono allentate in maniera controllata e graduale.
Per avere indicazioni generali sulla
sicurezza del carico possiamo fare riferimento al contenuto di un recente
contributo, pubblicato su PuntoSicuro, che affronta buone pratiche e responsabilità
in materia di fissaggio del carico per il trasporto su strada, con particolare
riferimento, in questo caso, all’autotrasporto e alla normativa ADR (European
Agreement concerning the International Carriage of Dangerous Goods by Road)
relativa al trasporto su strada di merci pericolose.
Nel documento “Settore Autotrasporto: le
criticità sui profili di responsabilità relativi al corretto fissaggio del
carico”, a cura di Carmela Venere, Salvatore Di Ruocco e Antonio Santarpia, si
indica che quando si trasporta un carico, fissarlo in modo adeguato permette di
evitare danni al veicolo e lesioni ai passeggeri o ad altri utenti della
strada, e di evitare ingorghi dovuti alla perdita del carico. E permetterebbe
anche di prevenire, come abbiamo visto, infortuni per gli operatori impegnati
nella fase di carico.
Inoltre nel trasporto in strada il carico non
assicurato adeguatamente può cadere, sbilanciare il veicolo e a volte può
perfino farlo rovesciare e urtare altri veicoli. E nella filiera del trasporto
non sempre è facile capire a chi compete il corretto posizionamento del carico
sul veicolo ed il relativo ammarraggio (ancoraggio).
Riguardo alle responsabilità il documento
indica che tutti i soggetti impegnati nel processo logistico, compresi imballatori,
caricatori, imprese di trasporto, operatori e conducenti, concorrono ad
assicurare che il carico sia adeguatamente imballato e caricato su un veicolo
adatto.
In assenza di specifico accordo contrattuale
tra le parti coinvolte, e fatta salva la legislazione vigente, la seguente
catena di responsabilità individua le principali responsabilità funzionali in
materia di fissazione del carico.
Responsabilità/azioni relative alla
pianificazione del trasporto:
-
corretta
descrizione del carico che comprende almeno la massa del carico e di ciascuna
unità di carico, la posizione del baricentro di ciascuna unità di carico se non
è al centro, le dimensioni di imballaggio di ciascuna unità di carico, le
limitazioni relative all’impilamento e all’orientamento da applicare durante il
trasporto, tutte le informazioni supplementari necessarie per la corretta
fissazione del carico;
-
assicurare
che le unità di carico siano adeguatamente imballate per resistere alle
sollecitazioni previste in condizioni di trasporto normali, comprese le forze
di ancoraggio applicabili;
-
assicurare
che le merci pericolose siano correttamente classificate, imballate ed
etichettate;
-
assicurare
che i documenti di trasporto per le merci pericolose siano debitamente
compilati e sottoscritti;
-
assicurare
che il veicolo e i sistemi di fissazione siano idonei al carico da trasportare;
-
assicurare
che il caricatore abbia ricevuto tutte le informazioni relative alle
funzionalità di fissazione del carico del veicolo;
-
assicurare
che non possano verificarsi interazioni indesiderate tra i carichi di
caricatori diversi.
Responsabilità/azioni relative alle
operazioni di carico:
-
accertarsi
che vengano caricate solo merci sicure e idonee al trasporto;
-
verificare
la disponibilità di un piano di fissazione del carico quando si inizia a
caricare;
-
accertarsi
che possano essere forniti tutti i certificati dei componenti del veicolo
utilizzati per la fissazione del carico;
-
accertarsi
che il veicolo sia in buone condizioni e che il vano di carico sia pulito;
-
accertarsi
che tutte le attrezzature necessarie alla fissazione del carico siano
disponibili e in buono stato quando si inizia a caricare;
-
accertarsi
che il pavimento del veicolo non venga sollecitato eccessivamente durante le operazioni
di carico;
-
accertarsi
che il carico sia correttamente distribuito nel veicolo, tenendo conto della
distribuzione del carico sugli assi e degli spazi vuoti ammessi (nel piano di
fissazione, ove disponibile);
-
accertarsi
che il veicolo non venga caricato eccessivamente;
-
accertarsi
che tutte le attrezzature supplementari quali tappeti anti-slittamento,
materiali di riempimento e di fardaggio, barre di bloccaggio e tutte le altre
attrezzature di ancoraggio da fissare durante le operazioni di carico, siano
posizionate correttamente (in base al piano di fissazione, ove disponibile);
-
accertarsi
che il veicolo sia correttamente sigillato, se del caso;
-
accertarsi
che tutte le attrezzature di ancoraggio siano correttamente posizionate (in
base al piano di fissazione, ove disponibile);
-
chiudere
il veicolo, se del caso.
Responsabilità/azioni relative alla guida:
-
esame
visivo dell’esterno del veicolo e del carico, ove accessibile, per verificare
la presenza di situazioni di evidente pericolo;
-
accertarsi
che possano essere presentati tutti i certificati/contrassegni dei componenti
del veicolo utilizzati per la fissazione del carico, se necessario;
-
effettuare
controlli regolari della fissazione del carico durante il viaggio nella misura
in cui sia possibile accedervi.
Rimandando a una lettura integrale del
documento, ricordiamo che in definitiva le responsabilità del carico restano,
in assenza di accordi, del caricatore, anche se la messa a disposizione delle
cinghie è prettamente delegata al trasportatore.
N.B.: Gli eventuali riferimenti legislativi
contenuti nelle schede di SUVA riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti
indicati possono comunque essere utili per tutti i lavoratori.
La pagina web relativa alla scheda di SUVA
“Travolto da un tronco non fissato correttamente” è disponibile al link:
La pagina web
relativa all’articolo di PuntoSicuro “Autotrasporto: le responsabilità del fissaggio del
carico” è disponibile al link:
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