martedì 30 maggio 2017

24 maggio - Morti sul lavoro: quando vengono "condannati", pagano i caporali, mai i committenti



Khaled, morto smontando il palco dei Kiss: paga solo chi lo reclutò la sera
L’incidente ad Assago il 18 giugno 2013. Farouk era entrato al Forum con altri tre facchini «privi di un qualsivoglia rapporto contrattuale regolare». Assolti gli organizzatori


Capire come il 34enne egiziano Khaled Farouk Abd Elhamid fosse andato a morire il 18 giugno 2013, mentre con altri facchini smontava il palco del concerto dei Kiss al Forum di Assago, non è stato così complicato: l’avevano reclutato al volo, chiamato a lavorare all’ultimo momento la sera e convocato per le ore 22 ad Assago, «non avevo idea per chi dovessi lavorare né chi e quanto mi dovesse pagare – ha testimoniato il compagno che era andato con lui -: sapevo solo che c’era un lavoro per quella notte, ma non sapevo quale». Molto complicato in Tribunale è stato invece orientarsi nella babele di subappalti sfociati nello schiacciamento dell’operaio tra la parete del montacarichi e uno dei 6 (anziché 4) pesanti carrelli con ruote che vi stava caricando. Una catena lunga.
Perché c’era la Gapp 2002, la società americana degli artisti dei Kiss, partecipe all’organizzazione. Che però per l’allestimento del palco aveva stipulato un contratto con la Barley Arts Promotion dell’impresario Claudio Trotta. Che però per la fornitura della manodopera per il palco aveva firmato un contratto con la cooperativa Working Crew. Che però per la «somministrazione» di altri operai aveva fatto un contratto con la cooperativa Work In Progress. Farouk era entrato al Forum con altri tre facchini «privi di un qualsivoglia rapporto contrattuale regolare», poi «gli era stato consegnato un braccialetto giallo e erano state impartite direttive da un uomo alto e tatuato. Nessuna formazione e informazione relativa ai rischi». E del resto uno dei compagni ha ammesso nell’inchiesta del pm Nicola Balice: «Non conosco la sede della cooperativa, non ci sono mai stato, non ho mai parlato con nessuno. Un amico mi telefona quando c’è qualche lavoro da fare, mi dice dove andare e dopo un po’ di tempo che ho lavorato mi fa avere i soldi». Il Tribunale premette che «l’inquadramento della società (di diritto straniero) degli artisti si rivela in concreto molto problematica all’interno della normativa di riferimento, rivestendo il ruolo sostanziale di committenti ma non venendo nella realtà qualificati come tali». Assolti poi il promoter Trotta e la sua società Barley Arts: un po’ perché rivoltisi comunque a imprese e a professionisti in teoria adeguati (compresa l’architetto nominata coordinatrice dei lavori, che patteggia 10 mesi e 20 giorni); e un po’ perché nel 2014, in adempimento di una modifica operata nel 2013 su una norma del 2008, il Ministero del Lavoro ha emanato il cosiddetto «decreto palchi», che «ha inciso sui contenuti minimi del Piano operativo di sicurezza e ne ha ridotto l’estensione», traducendosi in una «parziale depenalizzazione di fatto» della mancata valutazione del rischio tipico nell’utilizzo del montacarichi. Si smarca anche Work In Progress, perché per contratto il personale da essa fornito operava invece «sotto l’esclusiva responsabilità, controllo e direzione di Working Crew». Ai cui due amministratori (uno patteggia 22 mesi e una è condannata a 9 mesi) il Tribunale infine addebita di «non aver effettuato la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza» e «non aver adeguatamente formato i lavoratori in relazione alla specifica mansione». Per la giudice Anna Zamagni, infatti, la condotta del lavoratore, «certamente imprudente proprio per l’esiguità dello spazio libero» nel montacarichi, «rappresenta la conseguenza diretta della mancata formazione». Al punto che «può essere affermato con alto grado di credibilità razionale che, ove Farouk fosse stato adeguatamente informato dei rischi legati all’errato posizionamento dei carichi su impianti oltretutto non dotati di fotocellule, l’evento non si sarebbe verificato». La coop Working Crew, sprovvista dei modelli organizzativi previsti dalla legge 231/2001, è condannata per l’illecito amministrativo dell’ente alla sanzione di 350 quote, cioè 90.300 euro, per aver «usufruito di una somministrazione irregolare di lavoro» da cui ha tratto il «vantaggio economico» del «non sostenere i costi della regolare assunzione dei lavoratori e della loro formazione».
24 maggio 2017 | 21:10
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