Marco Spezia
e-mail: sp-mail@libero.it
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INDICE
Slai Cobas per il Sindacato di Classe slaicobasta@gmail.com
PARTECIPARE E SOSTENERE L’INIZIATIVA DI LOTTA DI
BERGAMO
Slai Cobas per il Sindacato di Classe slaicobasta@gmail.com
E’ NECESSARIO SAPER COGLIERE LE OPPORTUNITA’ CHE IL 1°
MAGGIO CI OFFRE
Slai Cobas per il Sindacato di Classe slaicobasta@gmail.com
COMUNICATO DEL SI COBAS SULLA MANIFESTAZIONE DEL PRIMO
MAGGIO 2017
AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
BARI, 28 APRILE 2017: XII GIORNATA MONDIALE DELLE
VITTIME DELL’AMIANTO
Posta Resistenze posta@resistenze.org
1° MAGGIO: LA LOTTA CONTRO L’ABOLIZIONE DELLO
SFRUTTAMENTO DELL’UOMO SULL’UOMO CONTINUA
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
LA SCHIAVITU’ NON E’ UN
ROTTAME DEL PASSATO, MA UN’ISTITUZIONE RIPORTATA IN AUGE DAL CAPITALISMO DEL
TERZO MILLENNIO
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 4 MESI DEL 2017
Teoria & Prassi piattaforma_comunista@lists.riseup.net
COMUNICATO ASSEMBLEA OPERAIA DEL 1° MAGGIO A
POMIGLIANO
Scotto Daniello Giustino scottodaniello@tiscali.it
SALUTE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO: AL VIA IL
BANDO PER FINANZIAMENTI A FONDO PERDUTO
Luca Nanfria USB l.nanfria@usb.it
COMUNICATO STAMPA SICUREZZA SUL LAVORO
Posta Resistente posta@resistenze.org
USB: IN PUGLIA E CALABRIA I BRACCIANTI DI OGGI SONO
RIPARTITI DAI LUOGHI DELLE LOTTE DI IERI PER CHIEDERE LAVORO, DIRITTI E
DIGNITA’
Posta Resistente posta@resistenze.org
SOVRAPPRODUZIONE E CRISI CAPITALISTICA
USB Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
OSPEDALE GASLINI: PRESIDIO MERCOLEDI’ 10 MAGGIO ALLE
11 PER LA SICUREZZA
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To:
Sent: Saturday, April 29, 2017 12:26
PM
Subject: BARI, 28 APRILE 2017: XII
GIORNATA MONDIALE DELLE VITTIME DELL’AMIANTO
Un groviglio di emozioni.
Questo è il modo migliore per descrivere quello che
abbiamo provato ieri mattina nel sopralluogo effettuato nell’area Fibronit.
Capannoni irriconoscibili, coperti da teli bianchi che
creavano una luce suggestiva tanto da far apparire il tutto come un set
cinematografico per un film sulla guerra. Una guerra che, come tutte le guerre,
non ha vinti o vincitori, ma solo sconfitti e vittime. Una guerra non
dichiarata ma subita da ignari operai e innocenti cittadini che non hanno
potuto difendersi dall’attacco vigliacco e subdolo di fibre sempre più sottili
che hanno raggiunto i loro alveoli polmonari sino a farli soffocare.
Indubbiamente quella descritta è un’immagine forte che
si inserisce bene nella giornata del 28 aprile dedicata a tutte le vittime
dell’amianto a cui vogliamo dedicare le emozioni provate questa mattina durante
la visita nel sito inquinato.
Lo hanno capito bene anche i ragazzi delle scuole
medie superiori che hanno aderito al concorso dal titolo “Storie di lavoro e
di morte: dialoghi d’amianto”.
Su nostra iniziativa, il concorso prende il via quest’anno. Giovedì prossimo 4
maggio ci sarà la premiazione di cinque lavori selezionati dalla commissione
giudicante, presso l’auditorium dell’Istituto Istruzione Superiore Secondaria
Gorjux Tridente Vivante in via Raffaele Bovio, 3 a Bari.
Il concorso è stato promosso dall’Associazione
Italiana Esposti Amianto Val Basento, dall’Associazione Familiari Vittime
Amianto di Bari, dal Comitato Cittadino Fibronit, dalla Società italiana di
Geologia Ambientale sezione Puglia, dall’Associazione “Memoria Condivisa” e
dall’Associazione “Capo Gallo 6 agosto 2005”, in collaborazione con il Liceo
scientifico “Enrico Fermi” di Bari.
L’obiettivo principale è quello di stimolare, nelle
nuove generazioni, una riflessione sulla gravità della catastrofe sanitaria e
ambientale che l’utilizzo dell’amianto ha comportato e tuttora comporta.
L’amianto continua a fare paura e continua a produrre
dolore in numerose famiglie di nostri concittadini, ma le positive impressioni
raccolte durante il sopralluogo nel sito Fibronit e l’interesse suscitato nei
giovani studenti baresi, ci lasciano sperare che questa guerra si possa vincere.
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To:
Sent: Thursday, April 27, 2017 11:21
PM
Subject: 1° MAGGIO: LA LOTTA
CONTRO L’ABOLIZIONE DELLO SFRUTTAMENTO DELL’UOMO SULL’UOMO CONTINUA
La classe operaia deve ancora liberarsi dalle catene,
prendere in mano il proprio destino, costruire il proprio futuro e il partito
comunista per il cambiamento del sistema capitalista.
Ormai da anni il 1° Maggio (giornata internazionale di
lotta del proletariato e degli sfruttati di tutto il mondo, occasione di
scioperi, manifestazioni e proteste contro lo sfruttamento capitalista) è stato
snaturato dai sindacati di regime e trasformato in una giornata di festa.
I supermercati e i grandi magazzini rimangono aperti e
i dipendenti restano reclusi. I sindacati confederali festeggiano con concerti
e una manifestazione nazionale all’insegna del pacifismo, dell’unità nazionale,
del nazionalismo a sostegno dell’imperialismo italiano, la chiesa celebra San
Giuseppe falegname.
In ogni caso in Italia, come in tante parti del mondo,
migliaia di operai e proletari insieme a compagni rivoluzionari, comunisti,
anarchici, sindacati di base, scendono nelle piazze sulla base dell’internazionalismo
e della solidarietà di classe.
Il 1° Maggio i rivoluzionari di tutto il mondo
ricordano che la storica conquista delle 8 ore fu un importante passo sulla
strada dell’emancipazione operaia e che nel 1886 fu bagnata dal sangue
proletario degli operai statunitensi, e che la lotta contro l’abolizione dello
sfruttamento dell’uomo sull’uomo continua.
La lotta per le otto ore fu la prima lotta mondiale di
un proletariato che si riconosceva come classe internazionale. Il 1° Maggio gli
operai scioperavano e scendevano in piazza, nelle strade, si radunavano in
conferenze e assemblee per dimostrare l’unità degli sfruttati, la solidarietà
internazionale, riconoscendosi come classe con gli stessi interessi.
Oggi, dopo 131 anni, lo slogan: 8 ore per lavorare,
8 ore per dormire e 8 ore per educarci, o 8 ore per fare quello che mi pare (quest’ultimo usato in polemica contro
chi sosteneva che la riduzione della giornata lavorativa avrebbe portato ad una
maggiore “dissolutezza”) è ancora attuale. Gli sviluppi della scienza e della
tecnica renderebbero possibile un’altra notevole riduzione d’orario, ma oggi
persino la “storica” conquista delle 8 ore è messa in discussione e vanificata
dalla “modernità” del capitalismo e dalla flessibilità della giornata lavorativa.
Nonostante la crisi, le fabbriche chiuse, gli operai
licenziati o in cassa integrazione i padroni e i governi, nella difesa strenua
del profitto costringono i lavoratori a lavorare sempre di più e, come si vede
dalla tabella che riportiamo, i lavoratori italiani sono quelli che in Europa
lavorano di più con salari sempre più bassi.
Queste le ore annue lavorate in diversi paesi (dati
OCSE 2014):
Italia 1.734;
Giappone 1.729;
Spagna 1.689;
Regno Unito 1.677;
Finlandia 1.645;
Francia 1.473;
Germania 1.371.
Nel “moderno” sistema capitalista lo sviluppo del
macchinario, il mezzo che accorcia il tempo di lavoro, l’informatica e la
robotica si trasformano per l’operaio in maggiore tempo di vita disponibile per
la valorizzazione del capitale. La maggiore introduzione dei robot sostituirà
sempre più la manodopera aumentando la disoccupazione e il conseguente
impoverimento. I mezzi che potrebbero essere usati per alleviare la fatica e
per accorciare la giornata lavorativa si trasformano nel loro contrario e diventano
una potente arma del capitale per impedire eventuali ribellioni operaie e
scioperi.
La parola d’ordine che portò alla conquista legale
delle 8 ore e all’unità del proletariato internazionale nella lotta contro il
capitale recitava: “l’offesa verso uno riguarda tutti” e si basava sul
principio della solidarietà di classe senza tenere conto della qualifica, della
nazionalità o della “razza”.
Il contrario di quello che succede oggi, dove il
proletario immigrato, lo “straniero” e l’operaio italiano diventano
“concorrenti” e “nemici”.
Il razzismo, fomentato da chi ha interesse ad acuire
la concorrenza fra lavoratori mettendo i proletari gli uni contro gli altri,
serve solo ad alimentare guerre fra poveri, abbassare i diritti e il salario a
tutti a tutto vantaggio dei capitalisti.
Il lavoratore italiano non potrà mai emanciparsi in un
paese dove la concorrenza e lo sfruttamento considerano normale far lavorare
come schiavi gli immigrati e dove il numero dei disoccupati aumenta a
dismisura, in particolare fra i giovani e le donne.
L’Italia è il Paese europeo con il numero più elevato
di persone che vivono in “gravi privazioni materiali”, secondo la definizione
di “povertà” dell’Eurostat.
Sono 41 milioni i poveri in Europa, di cui 7 milioni
in Italia. Si tratta di persone che non possono affrontare una spesa
inaspettata, il dentista, permettersi un pasto a base di carne ogni due giorni
o tre giorni, mantenere una casa, fare una vita decente.
Di questi 1,5 milioni di famiglie residenti in Italia
vivono in condizioni di assoluta povertà, cioè pari al 6,8 dell’intera
popolazione.
La “modernità” del capitalismo si vede anche dai dati
degli infortuni e dei morti sul lavoro, un vero e proprio bollettino di guerra.
Nel 2016 i morti sul lavoro sono stati, secondo l’Osservatorio Indipendente di
Bologna, 641 e, se si considerano i morti sulle strade e in itinere,
oltre 1.400: si tratta di una stima minima, per l’impossibilità di
conteggiare le morti in itinere delle partite IVA individuali, di coloro che
lavorano in “nero” e di altre innumerevoli posizioni lavorative, dato che solo
una parte degli oltre 6 milioni di partite IVA individuali sono assicurate
all’INAIL.
Attraverso il nazionalismo, il localismo, il razzismo,
i borghesi e i partiti al loro servizio alimentano divisione e concorrenza fra
lavoratori.
L’Italia è presente ed è coinvolta in decine di guerre
imperialiste nascoste dietro il nome di “missioni umanitarie”. Con le guerre le
industrie multinazionali legate alla produzione di materiale bellico (industria
definita pilastro dal Ministro Pinotti), il capitale finanziario, le banche,
gli speculatori fanno soldi a palate sui cadaveri insanguinati dei proletari,
uomini, donne e bambini e dei popoli del mondo. Intanto nei paesi imperialisti
i proletari e le masse popolari vedono le loro condizioni di vita e di lavoro
peggiorare inesorabilmente e costantemente.
La storia insegna che senza una teoria rivoluzionaria
non è possibile nessun movimento rivoluzionario e oggi la borghesia ha
concentrato la sua offensiva proprio su questo.
Dopo la sconfitta momentanea delle rivoluzioni
proletarie, la borghesia ha cominciato un’opera di smantellamento, revisione e
cancellazione della teoria marxista-leninista dello Stato e dell’analisi delle
classi sociali.
Ormai da anni è cambiato anche il lessico comune. Le
parole padroni e operai (borghesi e proletari) sono state sostituite da “datori
di lavoro” e “risorse umane”. Le guerre imperialiste e di rapina sono chiamate
“missioni di pace”.
L’imperialismo, dopo aver affossato temporaneamente il
socialismo, agisce ormai senza freni. La brutalità del sistema di sfruttamento
dell’uomo sull’uomo si abbatte contro chiunque ostacoli i suoi interessi per
sottomettere ancora di più la classe proletaria, nel tentativo di cancellare la
sua memoria storica.
La storia e la realtà di ogni giorno dimostrano che il
lavoratore isolato come “libero” venditore della propria forza-lavoro è alla
completa mercé del padrone.
La conquista della giornata lavorativa di 8 ore è
stata ottenuta perché è diventata una rivendicazione di tutto il proletariato
internazionale che ha lottato non solo contro il singolo padrone ma contro lo
Stato rappresentante dell’intera classe capitalista, cioè di coloro che
possiedono tutti i mezzi di produzione.
La lotta contro lo sfruttamento e la conquista delle
otto ore è stata il risultato di una guerra civile fra la classe capitalista e
quella operaia. Una lotta a volte latente e lenta, a volte pacifica e in alcuni
momenti violenta, nella quale il movimento operaio e proletario si è presentato
e imposto sulla scena politica come un’unica classe internazionale con gli
stessi interessi. Sebbene la Costituzione della Repubblica Italiana formalmente
stabilisca l’uguaglianza dei diritti fra padroni e operai, come sempre succede,
fra diritti apparentemente uguali vince chi ha dalla sua la forza del potere
economico, politico, istituzionale, militare: in una parola, lo Stato borghese.
In mancanza di un combattivo movimento operaio, unito
e organizzato che costringa lo Stato (in quanto capitalista collettivo) a
obbligare i singoli padroni a mettere un argine sia alle condizioni di
sfruttamento nei luoghi di lavoro, sia alle continue delocalizzazioni
produttive e spostamenti delle sedi legali delle imprese all’estero, l’unico
diritto realmente riconosciuto da questa società è quello al profitto a scapito
di tutti gli altri. Senza una propria organizzazione, il proletariato è legato
al carro della borghesia imperialista e la classe operaia senza una sua
organizzazione, come un gregge di pecore, è condotto al macello.
Il proletariato è una classe internazionale e
l’emancipazione della classe operaia, l’unica classe che, liberando sé stessa
libera tutta l’umanità, si può ottenere solo con il proletariato organizzato
nel suo partito. Un partito operaio rivoluzionario, comunista che, conquistando
il potere politico, espropria la classe dei capitalisti e si appropria dei
mezzi di produzione. Un partito che distrugge la dittatura del capitale e della
borghesia imperialista e instaura la democrazia operaia, la dittatura del
proletariato in un sistema socialista dove si produce per soddisfare i bisogni
degli esseri umani e dove lo sfruttamento capitalista è considerato un crimine
contro l’umanità.
E’ giunto il momento in cui la classe operaia, per
liberarsi dalle sue catene, deve smettere di delegare agli intellettuali
borghesi di “sinistra” o ad altri il proprio futuro e la costruzione del suo
partito ma sia lei stessa l’artefice del proprio destino.
Michele Michelino
aprile 2017
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To:
Sent: Saturday, April 29, 2017 10:07
PM
Subject: LA SCHIAVITU’ NON E’ UN ROTTAME DEL
PASSATO, MA UN’ISTITUZIONE RIPORTATA IN AUGE DAL CAPITALISMO DEL TERZO
MILLENNIO
“La schiavitù del capitale” (Bologna 2017) è il nuovo libro di Luciano
Canfora, che stupisce sempre per l’ampiezza della sua cultura e per la
lucidità delle sue analisi, le quali delineano un quadro complessivo e
sintetico delle prospettive storiche che abbiamo davanti a noi. Inoltre, si può
cogliere tra le righe il piacere che prova lo studioso italiano, svolgendo il
suo attento lavoro di ricerca, anche se da esso emerge un disegno drammatico.
“La
schiavitù del capitale” è un saggio breve (111 pagine), nel quale vengono individuati in maniera
precisa i gravissimi problemi della società contemporanea, che sarebbe
caratterizzata dal “ritorno in grande stile del fenomeno della schiavitù
come anello indispensabile del cosiddetto capitalismo del Terzo Millennio”
(pagina 69). Questo ritorno non deve meravigliarci, giacché conferma quanto
sosteneva Aristotele: “la necessità e l’eternità della schiavitù” (pagina 68).
Secondo
Canfora la partita che è stata giocata nel corso del Novecento, iniziata con la
Grande Guerra, è stata vinta da chi sfrutta e gli sconfitti sono stati gli
sfruttati, ma è stato un grave errore credere che questa vicenda abbia posto
fine alla storia. Che non fosse così ce lo ha fatto capire il “crollo del
lungo, ostinato, alla fine insostenibile esperimento di socialismo”, evento dal
quale possiamo ricavare una serie di osservazioni. Prima di tutto, che la
partita è appena cominciata e che il modello capitalistico si è espanso in
tutto il pianeta, conquistando anche la Russia e la Cina. A ciò dobbiamo
aggiungere che solo oggi il capitalismo ha il dominio del mondo debolmente
contrastato dai residui delle organizzazioni sindacali non collegate a livello
internazionale, giacché gli sfruttati non sono in grado di compattarsi per
ragioni religiose, etniche ecc.
Inoltre, per
rendere efficace la sua espansione e seguendo la sua logica del profitto e
dell’acquisizione di nuovi mercati, il capitalismo ha reintrodotto “forme
di dipendenza di tipo schiavile” sia nel mondo sviluppato che in quello
arretrato (pagine 10 e 11), in cui probabilmente (aggiungo io) non ha mai
cessato di esistere. Tale reintroduzione ha comportato la perdita dei “diritti
del lavoro”, ottenuti in Occidente grazie all’esistenza del blocco
socialista, che costringeva il capitalismo ad essere più benevolo. Infine,
Canfora sottolinea il ruolo determinante della malavita organizzata nella
gestione delle varie forme di dipendenza oggi esistenti (pagine 11 e 12).
Un altro
aspetto interessante della dinamica storica esaminato da Canfora è costituito
da quella che chiama “svolta occidentalista” che ha portato l’ex Unione
Sovietica ad adottare uno stile di vita americaneggiante, abbandonando la linea
politica internazionale perseguita fino agli anni Settanta-Ottanta.
Quest’ultima
consisteva nell’appoggio anche materiale ai paesi ex coloniali per indirizzarli
verso una prospettiva politica nazionalista-socialista, che si è dissolta
provocando la fine del socialismo arabo e il trionfo del fondamentalismo
religioso (pagine 20 e 21). Tale osservazione conferma quello che pochi hanno
pensato prendendo atto della caduta del muro di Berlino, mentre i più
esultavano: quali sconvolgimenti provocherà la dissoluzione del “socialismo
reale”?
Che l’Unione
Sovietica dovesse puntare sulla rivoluzione delle colonie, dopo che questa era
stata sconfitta in Europa, lo aveva scritto Lenin, il quale attribuiva
la causa di tale disastroso evento al comportamento delle “aristocrazie
operaie” che avevano patteggiato con le rispettive borghesie. A suo parere solo
la fine della colonizzazione e dello scambio ineguale avrebbe determinato un
cambio di atteggiamento nelle prime non più privilegiate dalle briciole della
rendita coloniale (pagine 25 e 26).
Il trionfo
attuale del capitalismo è legato all’occidentalizzazione del mondo, anche se Canfora ci avverte che la
parola “Occidente” non ha un significato univoco e per questa regione è anche
di difficile localizzazione. Assai spesso, scrive, è stato identificato dai
vari autori con una delle tendenze in esso presenti secondo un criterio
arbitrario, ossia ciascuno ha scelto l’Occidente che preferiva. La complessità
delle relazioni che hanno unito e contrapposto i diversi paesi occidentali,
rendono inaccettabili le sbrigative equazioni, che identificano l’Occidente
con la democrazia e il cristianesimo. Inoltre, bisogna tenere conto che
l’Occidente affonda le sue radici nelle terre feconde della Mesopotamia, dalla
quale ebrei e greci hanno attinto molti aspetti, integrandoli nella loro
tradizione. D’altra parte, la Grecia, ritenuta la culla della civiltà
occidentale, è da tempo stata espulsa da questa comunità e considerata, invece,
un paese “orientale”. Un destino diverso è toccato al Giappone, che è
stato a pieno titolo incorporato dall’Occidente, ormai dominato dall’estremo
Occidente, identificato invece con gli Stati Uniti, che impongono
attraverso la NATO i loro voleri ai paesi europei, i quali li accettano
masochisticamente. Un esempio di questo atteggiamento supino sta
nell’imposizione delle sanzioni alla Russia, che danneggiano l’economia
europea, solo per allinearsi con gli Stati Uniti, che mirano all’inserimento
dell’Ucraina nella NATO.
Secondo
Canfora oggi non ha più senso la contrapposizione Oriente/Occidente, che deve
essere sostituita da quella tra Nord e Sud del mondo, tenendo presente, tuttavia,
che il secondo è presente anche da noi nelle zone marginali. Pertanto, a
causa del massiccio fenomeno migratorio, Nord e Sud del mondo si penetrano
reciprocamente e inevitabilmente si scontreranno, giacché il Sud non può che
richiedere una diversa distribuzione della ricchezza attualmente monopolizzata
dal Nord. Lo studioso italiano cita alcuni documenti sul traffico degli esseri
umani, che produce la costante violazione dei diritti umani e che è un fenomeno
transnazionale, da cui scaturiscono le nuove modalità del lavoro schiavile, nel
quale si ricicla il “denaro sporco”.
Riprendendo
la riflessione di Arnold Toynbee, sviluppata in un piccolo libro
intitolato “Il mondo e l’Occidente”, di cui Canfora ha curato la
traduzione italiana, egli delinea le tappe percorse da quest’ultimo per
estendere il suo dominio mondiale, a partire dall’epoca delle grandi scoperte
geografiche. Queste ultime, grazie all’evoluzione tecnica nella costruzione dei
velieri e dei cannoni, si trasformarono ben presto nella costituzione di domini
extracontinentali. Ma tale processo non è stato esente da contraddizioni, che
hanno messo l’Occidente contro se stesso, come quando vinse la seconda
guerra mondiale, nella quale erano state sconfitte Germania, Italia (e Giappone).
Inoltre, aveva vinto a prezzo di allearsi con l’Unione Sovietica, ossia con il
nemico dell’Occidente, trovandosi di fronte un mondo percorso da moti
rivoluzionari (Cina) e instabile nel suo assetto per la costituzione di
movimenti di liberazione in vari paesi.
Rotta quella
scomoda alleanza, nel corso della lunga fase della cosiddetta Guerra Fredda,
l’Occidente riprende il suo atteggiamento di sfida verso il mondo e, in
particolare, verso l’Est. Se Toynbee, pur consapevole delle colpe consumate dall’Occidente
verso il mondo, sperava che alla fine sarebbe di nuovo riuscito vittorioso,
Canfora osserva, invece, che questo “si trova di fronte a controspinte
molteplici, tutte gravide di conflitti e di tensioni” e proprio per questo
rischia di perdere. E ciò perché (come mostra il risorgere della minaccia
islamica), le sue vittime non possono sopportare tale spietato dominio senza
rispondere. In particolare, paradossalmente sono stati gli stessi Stati Uniti a
fomentare e a sostenere i nemici dell’Occidente, schierandosi con l’estremismo
islamico in maniera più o meno aperta e senza preoccuparsi della politica che
potrebbe essere vantaggiosa per l’Europa, non in grado di dare una risposta ai
flussi migratori prodotti dalla politica del “caos creativo” in Medio Oriente.
Questa
scelta richiama alla mente quella riflessione contenuta nel “Manifesto”,
un’opera non certo ottimistica, in cui si sviluppa una comparazione tra il
potere trasformatore e distruttore del capitalismo e lo “stregone che non sa
più controllare le potenze sotterranee da lui evocate”.
Con
l’abbattimento del muro di Berlino molti avevano vaticinato l’estensione del
“mondo libero”, la fine della Guerra Fredda e un felice avvenire di pace;
purtroppo, abbiamo avuto modo di sperimentare che le cose non stanno proprio
così: il numero dei muri è cresciuto, aggiungendosi a quelli già
esistenti, mentre altri sono stati costruiti come quello tra Macedonia e
Grecia, tra Ungheria e Serbia e l’utopia del rinnovamento con il passaggio al
nuovo secolo si è sbriciolata.
Ribadendo
con Croce che “la storia è sempre un processo aperto”, Canfora si chiede
cosa è restato delle utopie che si sono scontrate nel corso dei due ultimi
secoli, da lui identificate con l’utopia dell’egoismo e con quella della
fratellanza.
La prima
sarebbe ben espressa dalla politica dell’Unione Europea, la quale, arroccata su
se stessa, persegue il suo disegno di tenere in piedi “una moneta inutilmente
competitiva” e di fare a pezzi i diritti sociali conquistati nel corso del
Novecento. E per conseguire questi obiettivi non si vergogna di regalare
miliardi di euro al dittatore turco, perché crei un cordone contenitivo che
difenda la “fortezza Europa”.
Purtroppo
l’utopia della fratellanza, anche se ha radici antiche, oggi è assai debole e non
può certo espandersi anche per il dominio indiscusso dei mezzi di comunicazione
di massa, i quali cancellano dal reale tutto ciò che per loro è scomodo.
Nonostante
ciò le conclusioni di Canfora non sono pessimistiche, giacché egli ritiene che “la
storia procede a spirale: dà l’impressione di tornare indietro anche quando,
faticosamente, procede”. Da questo punto vista, tutti gli eventi che hanno
scandito la vittoria dell’utopia della fratellanza (dalla presa della
Bastiglia, all’Ottobre Rosso, alla Liberazione di Saigon e di Cuba ecc.) non
sono occorsi invano. Nonostante ciò, bisogna tenere conto del fatto che (come
sta scritto nel “Manifesto”) la lotta tra le due classi in lotta, che si
richiamano alle due diverse ideologie su menzionate, può anche generare la
rovina di entrambe.
In appendice
lo storico italiano pone il discorso radiofonico tenuto l’11 settembre 1973 da Salvador
Allende, mentre il Palazzo presidenziale veniva bombardato, nel quale egli
afferma di non morire invano e di nutrire speranze per il futuro. Al discorso
di Allende segue quello pronunciato da Alexis Tsipras il 27 giugno 2015,
nel quale si annuncia la prossima celebrazione di un referendum sulle misure
imposte alla Grecia dalla UE. Come è noto, le misure vennero respinte con una
larga maggioranza, ma l’esito del referendum non fu rispettato.
29/04/17
di Alessandra Ciattini
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To:
Sent: Sunday, April 30, 2017 8:26 PM
Subject: REPORT MORTI SUL LAVORO NEI
PRIMI 4 MESI DEL 2017
Dall’inizio dell’anno al 30 aprile ci sono stati 197
morti sui luoghi di lavoro. Erano al 30 aprile 2016 193, l’aumento è del 2,04%.
Ma, attenzione, se ai 197 morti sui luoghi di lavoro
ci aggiungiamo i morti sulle strade e in itinere si superano i 430 morti. Ma
per questi morti per infortuni si possono solo fare delle statistiche
comparando diversi dati. Probabilmente sono molti di più.
Ma se andiamo a vedere i morti sui luoghi di lavoro
registrati al 30 aprile 2008, che è l’anno di apertura dell’Osservatorio viene
l’ansia. I morti erano al 30 aprile di quell’anno 176: l’aumento rispetto a al
2017 è del +10.7%.
Del resto la politica tutta se ne frega dei lavoratori
dipendenti, se ne fregano le Istituzioni e chi dovrebbe occuparsene. Basta
pensare agli oltre 450 agricoltori schiacciati dal trattore negli ultimi tre
anni, senza che si sia visto un intervento concreto né sulla sicurezza, né con
la comunicazione.
Se si prendono tutti i morti sul lavoro e non solo gli
assicurati INAIL si rimane basiti. Si parla sempre di cali, ma in realtà i
morti sui luoghi di lavoro aumentano e non di poco. A mio parere è
completamente fallita la politica sulla sicurezza (non) fatta in questi dieci
anni.
Ha funzionato solo nei luoghi di lavoro dove è
presente il Sindacato, dove le morti sono quasi inesistenti rispetto al numero
di lavoratori.
Esprimo un mio parere che poi si può valutare come si
vuole: il calo si ha esclusivamente sulle strade e in itinere e questo per la
patente a punti e i tutor che ci sono sulle strade, che sono un bel deterrente
per chi guida in modo pericoloso.
Diamo una rappresentanza sindacale e un responsabile
della sicurezza a tutti i lavoratori, e un posto stabile senza Jobs Act che
uccide, che precarizza anche la vita di chi lavora. eventualmente nei posti con
pochi dipendenti, un rappresentante che rappresenti diverse aziende. Solo così
avremo un calo delle morti sui luoghi di lavoro.
Per quello che riguarda “le morti verdi” (quelle in
agricoltura), la strage continua: non passa giorno senza apprendere della morte
di un agricoltore schiacciato dal trattore, sono già 36 dall’inizio dell’anno.
L’ultima il 21 aprile a Torino val di Sangro.
Il Ministro delle Politiche Agricole Martina batta
finalmente un colpo su queste tragedie. Da quando è Ministro sono morti
schiacciati da questo mezzo oltre 450 agricoltori. Un morto su cinque sui
luoghi di lavoro di tutte le categorie è causato dal ribaltamento del trattore.
Occorre che qualcuno che ci governa faccia una campagna informativa sulla
pericolosità del mezzo. E chi di dovere dia forti incentivi per mettere in
sicurezza i vecchi trattori.
MORTI NELLE REGIONI E PROVINCE ITALIANE NEL 2017 PER
ORDINE DECRESCENTE
I morti sulle autostrade e all’estero non sono a
carico delle province
ABRUZZO 22:
L’Aquila 5, Chieti 3, Pescara 12 Teramo 3;
VENETO 21:
Venezia 4, Padova 1, Rovigo 4, Treviso 2, Verona 5, Vicenza 5;
SICILIA 15:
Palermo 2, Agrigento 2, Catania 1, Enna 1, Ragusa 3, Siracusa 1, Trapani 5;
LOMBARDIA
14: Milano 4, Bergamo 1, Brescia 2, Lecco 2, Lodi 1, Monza Brianza 2, Pavia 1,
Sondrio 1;
CAMPANIA 14:
Napoli 5, Benevento 2, Caserta 3, Salerno 4;
EMILIA
ROMAGNA 13: Bologna 2. Forlì Cesena 1, Ferrara 2, Parma 2, Piacenza 1, Ravenna
3, Reggio Emilia 2;
TOSCANA 12:
Firenze 2, Grosseto 2, Livorno 3, Lucca 1, Massa Carrara 1, Pisa 2, Pistoia 1;
PIEMONTE 11:
Torino 5, Biella 1, Cuneo 3, Verbano Cusio Ossola 1, Vercelli 1;
LAZIO 8:
Roma 5, Latina 3;
CALABRIA 8:
Catanzaro 2, Cosenza 4, Crotone 1, Reggio Calabria 1;
PUGLIA 6:
Bari 3, Brindisi 2, Lecce 1;
UMBRIA 4:
Perugia 2, Terni 2;
LIGURIA 4:
Genova 1, Imperia 1, Savona 2;
FRIULI
VENEZIA GIULIA 4: Trieste 1, Gorizia 1, Udine 2;
MARCHE 4:
Ancona 1, Pesaro-Urbino 3;
TRENTINO
ALTO ADIGE 3: Bolzano 3;
SARDEGNA 2:
Oristano 1, Sassari 1;
BASILICATA
1: Potenza 1, Molise 1 Campobasso 1, Isernia 1.
Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente d Bologna
morti sul lavoro, attivo dal 1° gennaio 2008
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To:
Sent: Tuesday, May 02, 2017 8:52 AM
Subject: COMUNICATO ASSEMBLEA
OPERAIA DEL 1° MAGGIO A POMIGLIANO
Riceviamo e diffondiamo il comunicato stampa dello
SLAI Cobas sull’assemblea operaia svolta il 1° maggio a Pomigliano, cui abbiamo
partecipato.
Lavoriamo per mettere in pratica le decisioni prese.
Invitiamo tutte le compagne e i compagni operai a dare
il proprio contributo.
Piattaforma Comunista - per il Partito Comunista del
Proletariato d’Italia
COMUNICATO STAMPA
Assemblea 1° maggio a Pomigliano
ALTRO CHE “ANTIPOLITICA” E POPULISMO
AGLI OPERAI SERVE UNA PROPRIA POLITICA, QUELLA DI
CLASSE!
E’ stata un’affollata assemblea operaia quella
svoltasi stamattina a Pomigliano per “fare il punto” sui modelli di Trump e
Marchionne.
“Questi stanno prefigurando la costruzione di un nuovo
ordine mondiale in cui le multinazionali esercitano una inquietante influenza
politica sugli Stati” - ha sostenuto Mara
Malavenda nella sua complessa relazione introduttiva “per il dominio del
capitale sul lavoro e la trasformazione in tal senso dell’intera società con la
progressiva eliminazione della democrazia sindacale e politica e dei diritti
dei lavoratori nonché di quelli sociali, civili e Costituzionali. E quando la
FIAT a Pomigliano si permette addirittura di colpire con provvedimenti
repressivi le operaie per aver partecipato allo sciopero e alla manifestazione
di genere operaio in occasione della scorsa ricorrenza internazionale della
donna allora possiamo ben dire che la misura è colma e l’attuale momento di
grande debolezza dei lavoratori è senz’altro data dalla mancanza di dirette
espressioni politiche e sindacali, di classe e di parte operaia!”.
Né il voto alle strumentali formazioni
dell’antipolitica o del populismo potrà dare “voce e forza” alle ragioni
dei lavoratori.
Per questo, oggi più che mai, si rende necessaria la
ricostruzione della nostra storia sociale, culturale e politica perché, quando
si perdono le proprie radici ci si preclude il futuro e finanche la speranza e
la determinazione per una vita diversa e migliore.
E la nostra storia, quella del Movimento Operaio, è
una storia sicuramente incompatibile ed estranea alla natura e ai contenuti del
costituendo nuovo ordine capitalistico mondiale.
L’assemblea ha deciso all’unanimità le prossime
iniziative:
una mobilitazione in occasione della discussione in
Tribunale della denuncia contro la FIAT di Pomigliano per repressione di genere
e antisindacale;
una assemblea operaia nazionale a Pomigliano in
occasione del centenario della rivoluzione socialista d’ottobre.
I PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA OPERAIA DEL 1° MAGGIO A
POMIGLIANO
Pomigliano d’Arco, 1° maggio 2017
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To:
Sent: Tuesday, May 02, 2017 7:09 PM
Subject: SALUTE
E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO: AL VIA IL BANDO PER FINANZIAMENTI A FONDO
PERDUTO
Segnalo l’articolo sottostante.
Giustino
* * * * *
L’INAIL finanzia in conto capitale le spese sostenute
per progetti di miglioramento dei livelli di salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro. I destinatari degli incentivi sono le imprese, anche individuali,
iscritte alla Camera di Commercio, industria, artigianato e agricoltura.
L’INAIL, tramite il Bando ISI 2016, rende disponibili complessivamente 244.507.756
euro. I finanziamenti sono a fondo perduto e vengono assegnati fino a
esaurimento, secondo l’ordine cronologico di arrivo delle domande.
Leggi tutto al link:
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To:
Sent: Wednesday, May 03, 2017 1:28 PM
Subject: COMUNICATO STAMPA SICUREZZA
SUL LAVORO
COMUNICATO STAMPA
LA SICUREZZA NON E’ BENVENUTA AL GASLINI
La USB Sanità Nazionale denuncia il comportamento
antisindacale dell’Istituto Gaslini di Genova nei confronti del nostro
dirigente sindacale nonché Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Luca
Nanfria.
Il fatto: Luca Nanfria dopo aver svolto le sue
legittime funzioni di RLS nella Unità Operativa Pediatria III si è visto
recapitare una contestazione di addebito finalizzata a colpire le prerogative
del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e, quindi, a rendere sempre
più a rischio gli ambienti di lavoro.
L’Esecutivo Nazionale USB Sanità approva e sostiene
l’iniziativa di controllo e verifica, a tutela della salute dei Lavoratori, del
proprio delegato sindacale che ha esercitato le sue funzioni di RLS nel
rispetto della normativa in vigore (D.Lgs. 81/08).
Contestualmente la USB richiede con forza al Direttore
Generale la revoca immediata dell’atto con il quale è stata disposta la
contestazione di che trattasi.
In mancanza di un atto in questa Direzione la USB
intraprenderà, a tutela del proprio dirigente sindacale, qualsiasi iniziativa
atta a garantire il corretto esercizio dell’attività di RLS.
Inoltre si chiede alla Direzione Generale
dell’Istituto Gaslini di adempiere agli obblighi che le competono quali: corso
di formazione per RLS, consegna della copia del DVR a tutti gli RLS del Gaslini
e accesso immediato alla stanza RLS dove è custodita la documentazione degli
anni precedenti.
Roma, 2 maggio 2017
Esecutivo Nazionale USB Sanità
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To:
Sent: Thursday, May 04, 2017 6:37 PM
Subject: USB: IN PUGLIA E
CALABRIA I BRACCIANTI DI OGGI SONO RIPARTITI DAI LUOGHI DELLE LOTTE DI IERI PER
CHIEDERE LAVORO, DIRITTI E DIGNITA’
Da USB
02/05/17
I braccianti giunti dalle campagne hanno marciato il 1° Maggio affollando le strade di Reggio Calabria (Calabria) e San Severo (Puglia). Territori e luoghi che storicamente sono stati caratterizzati dalle lotte bracciantili. Così i braccianti di oggi hanno voluto rimettere al centro i temi dei diritti negati nella filiera agricola: paga giusta e dignitosa, riconoscimento della disoccupazione agricola e diritto alla previdenza, acqua potabile, casa, permesso di soggiorno, iscrizione all’anagrafe, trasporto.
I braccianti giunti dalle campagne hanno marciato il 1° Maggio affollando le strade di Reggio Calabria (Calabria) e San Severo (Puglia). Territori e luoghi che storicamente sono stati caratterizzati dalle lotte bracciantili. Così i braccianti di oggi hanno voluto rimettere al centro i temi dei diritti negati nella filiera agricola: paga giusta e dignitosa, riconoscimento della disoccupazione agricola e diritto alla previdenza, acqua potabile, casa, permesso di soggiorno, iscrizione all’anagrafe, trasporto.
In Calabria gli operai agricoli sono partiti dalla
tendopoli di San Ferdinando, proprio là dove oltre 2.000 braccianti sono ancora
ghettizzati e dove venne ucciso Sekine Traore per mano di un carabiniere, dalle
campagne dalla Piana di Gioia Tauro, dalle varie provincie della regione
raggiungendo Reggio Calabria con un corteo meticcio e combattivo.
In Puglia i braccianti hanno marciato partendo dalle
campagne di Rignano Garganico, già teatro della morte tra le fiamme di Mamadou
Konaté e Nouhou Doumbia mentre i sopravvissuti sono da mesi privi di acqua
potabile e di un tetto, raggiungendo il centro di San Severo. La stessa
località in cui il 23 marzo 1950 venne repressa la lotta dei braccianti
addirittura con i carri armati. Tra i lavoratori si contarono un morto e
numerosi feriti, e tanti furono gli arresti di uomini e donne che chiedevano
diritti sindacali e sociali.
La giornata del 1° Maggio, con il sostegno e la
condivisione di numerose delegazioni giunte dalle altre regioni (Lazio,
Campania, Basilicata in prima fila) insieme ad associazioni e movimenti
territoriali, ha sottolineato l’importanza del progetto di sindacalizzazione ed
organizzazione lanciato dall’USB nella filiera agricola. Una filiera che vede
schiacciati contadini e braccianti sotto le imposizioni della GDO (Grande
Distribuzione Organizzata) e dell’agro-business.
La nostra lotta per il riconoscimento dei diritti
sociali e sindacali è e rimane la nostra bussola, proprio come chiedevano i
braccianti di ieri: “pane e lavoro”
Ringraziamo tutte le lavoratrici, lavoratori,
disoccupati, precari pensionati, movimenti ed associazioni che hanno sostenuto
con determinazione la giornata, trasformando il 1° Maggio in un momento di
ricomposizione concreto.
I firmatari dell’appello del 1° Maggio:
Coordinamento Lavoratori Agricoli USB
Federazione USB Foggia
Federazione Regionale USB Calabria
Collettivo Autonomo “Altra Lamezia”
Federazione Regionale USB Basilicata
Collettivo “Ri-scossa Studentesca”
Federazione Regionale USB Puglia
“SOS Rosarno”
CoSMi (Comitato Solidarietà Migranti di Reggio
Calabria)
Centro Socio Culturale “Nuvola Rossa” di Villa San
Giovanni
Associazione Culturale “Il Brigante” Serra San Bruno
Comitato Culturale Equosud Reggio Calabria
PSC Partigiani della Scuola Pubblica
ACAD Associazione contro gli Abusi in Divisa
Centro Internazionale “Crocevia”
Agribio Emilia Romagna (Associazione produttori e
consumatori biologici e biodinamici dell’Emilia-Romagna)
CISPM (Coalizione Internazionale Sans-papiers,
Migranti, Rifugiati e Richiedenti asilo)
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To:
Sent: Thursday, May 04, 2017 6:37 PM
Subject: SOVRAPPRODUZIONE E CRISI CAPITALISTICA
Di Michael Roberts
Traduzione per Resistenze.org a cura del
Centro di Cultura e Documentazione Popolare
27/04/17
Ho ricevuto recentemente alcune mail che mi chiedevano se la Grande Recessione in cui siamo appena passati (e le precedenti recessioni economiche) è stata causata dalla sovrapproduzione oppure dalla caduta del tasso di profitto. Sarebbe scortese rispondere dicendo: leggete il mio libro! Dopo tutto, questo è l’argomento affrontato da una considerevole parte dello scritto:
Ho ricevuto recentemente alcune mail che mi chiedevano se la Grande Recessione in cui siamo appena passati (e le precedenti recessioni economiche) è stata causata dalla sovrapproduzione oppure dalla caduta del tasso di profitto. Sarebbe scortese rispondere dicendo: leggete il mio libro! Dopo tutto, questo è l’argomento affrontato da una considerevole parte dello scritto:
Ma non voglio essere così bisbetico e cercherò di
rispondere in modo breve.
La sovrapproduzione avviene quando i capitalisti
producono troppo in proporzione alla domanda di beni e servizi. Ciò comporta
che i capitalisti accumulino scorte di beni che non possono vendere, essi hanno
impianti con troppa capacità produttiva rispetto alla domanda e hanno troppi
lavoratori rispetto a quelli di cui han bisogno. Per tali motivi chiudono gli
impianti, tagliano la forza lavoro arrivando persino a chiudere e liquidare l’attività
produttiva. Questa è una crisi capitalista.
La sovrapproduzione è l’espressione stessa della crisi
capitalistica. Prima del capitalismo, le crisi erano di sottoproduzione (ossia
carestia o scarsità di beni). Ma dire che la sovrapproduzione è la forma che
assume una crisi capitalistica non è dire che la sovrapproduzione è la causa
della crisi. Se fosse la causa, allora il capitalismo sarebbe in crollo
permanente, perché i lavoratori non sarebbero mai in grado di riacquistare
tutti i beni che producono. Dopo tutto, la differenza tra ciò che i lavoratori
ricevono in salario e il prezzo dei beni o dei servizi che producono e che
vengono venduti dai capitalisti non è altro che il profitto. Per definizione, i
lavoratori non possono disporre di questo valore per spendere, ma rimane nelle
mani dei proprietari capitalisti.
Marx criticò in modo sorprendente quegli economisti
capitalisti che sostenevano che non ci può mai essere crisi di sovrapproduzione
perché ogni vendita che il capitalista realizza significa che ci sarà un
acquirente. Come ha detto Marx, che ci sia un acquirente per ogni venditore è
una tautologia, la definizione stessa dello scambio. Di sicuro “nessuno può
vendere senza che un altro comperi” [Marx, Il Capitale, Editori Riuniti,
Roma, 1974, Libro I, pagina 146]. Il denaro ricavato da una vendita può essere
accumulato (risparmiato) e non utilizzato per acquistare. Questo solo aumenta
le possibilità di sovrapproduzione e di crisi.
Ma la possibilità della crisi nel processo di scambio
capitalistico per mezzo del denaro non significa che accada e non fornisce
alcuna spiegazione sul quando e sul come. Così Marx andò oltre e spiegò che ciò
che farà decidere i capitalisti se fare acquisti per investire in un impianto o
in nuova tecnologia e per acquistare forza lavoro per la produzione è la
redditività di tali azioni. “Il saggio del profitto costituisce la forza
motrice della produzione capitalistica: viene prodotto solo quello che può
essere prodotto con profitto, e nella misura in cui tale profitto può essere
ottenuto” [Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1974, Libro III,
pagina 313]. E’ qui che entra in gioco la legge di Marx della caduta
tendenziale del saggio di profitto. Marx dimostra che la redditività della
produzione capitalista non rimane stabile, ma è soggetta a una inesorabile
pressione (o tendenza) al ribasso. Ciò conduce infine al sovrainvestimento
(sovraccumulazione) dei capitalisti, i quali accumulano troppo rispetto ai
profitti che ottengono dai lavoratori.
A un certo punto, la sovraccumulazione rispetto al
profitto (vale a dire un calo del tasso di profitto) porta al totale o alla
massa di profitti che non sale più. Allora i capitalisti smettono di investire
e produrre e abbiamo la sovrapproduzione o la crisi capitalistica. In tal modo
è il calo del tasso di profitto (e il crollo dei profitti) che causa la
sovrapproduzione, non il contrario.
Ma un calo nel tasso di profitto non porta
direttamente a una crisi finché la massa dei profitti può aumentare. Come ho
dimostrato nel mio libro, è stato precisamente quando la massa dei profitti ha
smesso di salire che la Grande Recessione è nata. Nel mio blog del 19 gennaio,
“La massa dei profitti e la crisi economica”, ho portato più prove a
favore di questo argomento di Marx con gli ultimi dati dagli Stati Uniti.
Se questo è corretto, cioè che la causa delle crisi
economiche capitalistiche e dei crolli è la caduta del tasso di profitto che
porta ad una caduta nella massa dei profitti e così alla sovraccumulazione di
investimenti e sovrapproduzione di beni e servizi (che sono profittevoli),
allora questo porta ad importanti conclusioni politiche.
Per esempio, se noi pensiamo che la crisi
capitalistica è causata dalla sovrapproduzione rispetto alla capacità dei
lavoratori di acquistare i beni che vengono prodotti, come pensano i
keynesiani, allora la risposta politica può consistere solo nell’incentivare la
spesa pubblica oppure tagliare le tasse o i tassi di interesse (quello che
sta accadendo oggi). Problema risolto.
Dall’altra parte, se pensiamo che la crisi è causata
dalla mancanza di profitto, allora c’è solo una soluzione per il capitalismo:
distruggere il valore del capitale esistente (impianti, macchinari e
occupazione) al fine di tagliare i costi e ripristinare la profittabilità. Solo
questo potrà far ripartire di nuovo il capitalismo (per un po’ di tempo), ma a
spese di tutti noi. Così è svelata la contraddizione intrinseca del
capitalismo. Solo la sua abolizione può fermare il ciclo di espansione e
crollo.
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To:
Sent: Saturday, May 06, 2017 1:49 PM
Subject: OSPEDALE GASLINI: PRESIDIO
MERCOLEDI’ 10 MAGGIO ALLE 11 PER LA SICUREZZA
OSPEDALE GASLINI: MERCOLEDI’ 10 MAGGIO PRESIDIO
SICUREZZA E COMMISSIONE SANITA’
Continuano le nostre iniziative in difesa dei
lavoratori del Gaslini, ma che riguardano tutti i lavoratori.
Per questo motivo siete tutti invitati al presidio che
si terrà mercoledì 10 maggio alle ore 11 dall’ingresso al mare dell’Istituto
Gaslini in difesa della sicurezza sul lavoro.
Ogni anno aumentano i danni e gli infortuni ai
lavoratori per mancanza di tutele.
Al Gaslini è stata inviata una contestazione di
addebito perché il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza si è recato
in un reparto per controllare che un determinato processo fosse a norma.
Ricordiamo che in caso di infortunio o di malattia
professionale le spese vengono attinte da soldi pubblici.
PRESIDIO MERCOLEDI’ 10 ALLE ORE 11 PER LA TUTELA DEI
LAVORATORI!!!
Giovedì 11 maggio alle ore 15 una delegazione USB si
recherà in Commissione Sanità Regione Liguria per discutere di diverse
problematiche alla presenza del Direttore Generale.
In questo modo potremo affrontare direttamente le questioni
bypassando sindacati completamente asserviti all’Amministrazione.
Invitiamo i lavoratori ad abbandonare i sindacati
complici di un sistema in cui in cambio di alcuni favori per i dirigenti
sindacali si svendono anni di diritti.
Scandaloso a tale proposito è l’ultimo avviso per
mobilità interna.
PORTIAMO TRASPARENZA
Le nostre “parole d’ordine” sono quelle su cui ci
siamo impegnati nelle precedenti elezioni RSU e che continuiamo a portare
avanti: TRASPARENZA E SICUREZZA!
Genova 06/05/17
USB Ospedale Gaslini
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To:
Sent: Sunday, May 07, 2017 9:16 AM
Subject: PARTECIPARE E SOSTENERE
L’INIZIATIVA DI LOTTA DI BERGAMO
PARTECIPARE E SOSTENERE L’INIZIATIVA DI LOTTA DI
BERGAMO
APPROFONDIAMO IL CONFRONTO E L’UNITA’ NELLE LOTTE E
DELLE LOTTE
APPELLO
11
lavoratori della logistica della Kamila di Brignano (BG) sono stati licenziati,
tra cui 4 delegati dello Slai Cobas per il sindacato di classe.
Essi erano e
sono alla testa di una lunga lotta degli operai della logistica di Brignano per
i diritti lavorativi e sindacali, per la dignità, contro un sistema delle
cooperative che viola il rispetto delle condizioni contrattuali di lavoro, la
sicurezza e porta avanti discriminazioni, fino ad introdurre metodi da
caporalato per scegliere quanti e quando gli operai devono lavorare, facendo
agire anche un pesante ricatto in un settore in cui il 99% sono migranti che,
senza lavoro, rischiano di vedersi togliere il permesso di soggiorno.
Viene
portato avanti un intreccio tra questi attacchi alle condizioni di lavoro e i
licenziamenti repressivi, per cercare di soffocare una grande ed estesa lotta
che i lavoratori della logistica stanno portando avanti da tempo, con coraggio,
dignità; una lotta indomabile, resistendo anche di fronte a pesanti aggressioni
fisiche, morti, provocazioni, e diventando un esempio anche per altri settori
di lavoratori.
In questo
gli 11 licenziamenti di Brignano sono una delle realtà emblematiche.
Questi
licenziamenti rappresentano un salto di qualità, che chiunque si batte, con i
suoi mezzi e le sue forme, per la difesa dei diritti dei lavoratori, non può
non comprendere e rispondere.
Da un lato,
si tratta di licenziamenti volti a colpire l’organizzazione sindacale dei
lavoratori, la loro “testa”. I padroni sanno bene che
senza organizzazione sindacale i lavoratori possono essere manovrati in
qualunque maniera, possono essere divisi e meglio colpiti.
Dall’altro,
le stesse lettere di licenziamento non sono “normali” lettere di contestazione
su mancata produttività, non rispetto dei carichi di lavoro, o su “false”
malattie o infortuni, ecc; 11 lavoratori vengono licenziati perché colpevoli di
portare avanti un “disegno criminoso”, un’azione di “sabotaggio”,
finalizzata a “mettere in ginocchio la cooperativa”.
Cioè, una
normale attività sindacale contro tempi e ritmi di lavoro, contro l’arbitrio
aziendale, per la difesa dei diritti, oggi viene chiamata “disegno criminoso”,
una sorta di “azione terrorista” verso le aziende della logistica.
Ma c’è un
altro aspetto “nuovo”. Le “prove” di questa azione di “sabotaggio” sarebbero
nei messaggi fatti dai lavoratori su WhatsApp. Le cooperative, non avendo
riscontri oggettivi, giustificano i licenziamenti spiando nei telefonini
personali dei lavoratori. E’ necessario che anche avvocati, giuristi, dicano
che questo non è legittimo!
I padroni
delle cooperative, dei consorzi multinazionali vogliono alzare il tiro: non
vogliono solo licenziare le avanguardie sindacali dei lavoratori ma, come nel
fascismo, denunciarli penalmente, farli andare in galera. Ma questo non lo
possono e non lo devono fare!
Questo salto
di qualità dei piani del padronato deve trovare una larga opposizione unitaria,
perché se passano questi licenziamenti, questa linea di attacco
all’organizzazione sindacale dei lavoratori, di paragonare la lotta a un
crimine, questa linea sarà seguita in tante altre realtà lavorative in lotta e
nei Tribunali.
Facciamo
appello a tutti a dare il loro concreto sostegno ai lavoratori licenziati!
Facciamo
appello a sostenere, con piccoli o grandi contributi, a estendere dovunque la
cassa di resistenza, perché la resistenza degli 11 lavoratori e della lotta possa
continuare fino a che sarà necessario, fino a vincere.
Facciamo
appello a dare voce alla lotta contro i licenziamenti repressivi, antisindacali
dei lavoratori della logistica di Brignano, perché: se colpiscono uno,
colpiscono tutti.
Slai Cobas per il sindacato di classe Bergamo
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To:
Sent: Sunday, May 07, 2017 9:16 AM
Subject: E’ NECESSARIO SAPER
COGLIERE LE OPPORTUNITA’ CHE IL 1° MAGGIO CI OFFRE
E’ NECESSARIO SAPER COGLIERE LE OPPORTUNITA’ CHE IL 1°
MAGGIO CI OFFRE
INVITO AL CONFRONTO
Crediamo che il Primo Maggio sia stata un’eccezionale
giornata di lotta, che ha visto la partecipazione determinata di migliaia di
lavoratori, compagni e compagne, che insieme hanno contribuito a tracciare una
chiara linea di incompatibilità politica e sindacale con il capitale.
Senza entrare nel merito dei contenuti che demandiamo
all’appello di indizione, giriamo a questo proposito il comunicato del Si Cobas
che, con uno sforzo politico e organizzativo non comune, ha riempito la piazza
con i lavoratori della logistica e non solo che si sono resi protagonisti negli
ultimi anni dei livelli di conflitto più marcati in senso anticapitalista.
Crediamo però che questa bellissima giornata di lotta
possa rappresentare anche qualcosa di più. Questo proprio partendo da ciò che è
stato il confronto franco e dialettico tra le realtà sindacali e politiche che
hanno contributo alla sua realizzazione.
Un confronto costruito a partire dall’esigenza di
amplificare e generalizzare i diversi livelli e pratiche del conflitto, per una
ricomposizione sociale e un’unità di classe da sperimentare e provare a
costruire sul terreno concreto della lotta sulla materialità dei bisogni, in
una chiara prospettiva antagonista al modo di produzione capitalistico.
Siamo convinti infatti che il Primo Maggio possa
essere un ottimo punto di partenza per mettere in campo, in maniera orizzontale
e plurale dal punto di vista delle diverse specificità e settori di
intervento, un’opposizione concreta e radicale ai tentativi di superamento
della crisi da parte del capitale.
Essere conseguenti con la costruzione del Primo
Maggio vuol dire arrivare a un prossimo momento di confronto nel quale
auspichiamo si comprenda la necessità di una mobilitazione comune nel caso dei
preannunciati scioperi generali della logistica e dei trasporti. Ancor di più dopo il sonoro
schiaffone ricevuto da Alitalia e sindacati confederali.
Questi crediamo possano rappresentare solo i primi due
importantissimi possibili passi su cui costruire mobilitazioni condivise e
partecipate, in un momento nel quale anche altri terreni di scontro diventano
impellenti come xenofobia e razzismo e la campagna continua contro i proletari
che scappano dai teatri di guerra edificati dalle cosiddette “democrazie
occidentali” e i nuovi venti di guerra sempre più forti.
Sta a noi tutti saper valorizzare quella giornata e
saperne cogliere l’opportunità che ci offre.
I compagni e le compagne del CSA “Vittoria”
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To:
Sent: Sunday, May 07, 2017 9:16 AM
Subject: COMUNICATO DEL SI COBAS
SULLA MANIFESTAZIONE DEL PRIMO MAGGIO 2017
PRIMO MAGGIO: FORTE MANIFESTAZIONE INTERNAZIONALISTA A
MILANO
La manifestazione del Primo Maggio a Milano,
organizzata nel pomeriggio dal SI Cobas con USI, SGB, e diverse federazioni
della CUB, con l’adesione di numerose organizzazioni politiche, associazioni e
collettivi, ha visto la nutrita e vivace partecipazione di migliaia di persone,
nonostante la pioggia battente che ha accompagnato gran parte del corteo,
snodatosi nel quartiere popolare di via Padova e poi viale Monza.
Un grande numero di partecipanti era costituito dal
multicolore mondo dei lavoratori della logistica, provenienti da ogni parte del
mondo e organizzatisi con il SI Cobas in diverse regioni d’Italia (sono venuti
a Milano con 20 pullman). Sono i protagonisti delle lotte di questi anni che
hanno sollevato migliaia di lavoratori da condizioni schiavistiche imponendo
rispetto e dignità sul lavoro e un salario decente. Essi rappresentavano anche
visivamente il carattere di classe e internazionale del Primo Maggio, “leit motif”
della manifestazione, e il collegamento ideale con le manifestazioni che in
questa giornata si sono svolte in tutti i paesi del mondo.
Un fattore di mobilitazione aggiuntivo è stata la
protesta contro l’arresto, le accuse infamanti senza prova alcuna, e l’obbligo
di dimora inflitti al coordinatore del SI Cobas Aldo Milani per la lotta ancora
in corso contro i licenziamenti alla Alcar 1 del gruppo Levoni a Modena:
“siamo tutti Aldo Milani” è stato uno dei cori più ripetuti. Accomunava i
partecipanti l’opposizione contro gli attacchi al diritto di organizzazione e
di sciopero, portati avanti oltre che con centinaia di denunce, con l’accordo
sulle rappresentanze.
Il corteo, per nulla assottigliato dalla pioggia
battente, si è concluso nel parco Trotter, dove oltre ad Aldo Milani sono
intervenuti diversi esponenti delle organizzazioni partecipanti. Essi hanno
ricordato le origini del Primo Maggio nella lotta per le 8 ore, e nella
violenta repressione di quella lotta a Chicago nel lontano 1886. Diversi intervenuti
hanno sottolineato la necessità dell’unione internazionale dei lavoratori
per lottare non solo per il miglioramento immediato delle condizioni dei lavoro
e di vita (conquiste che il capitalismo continuamente rimette in discussione)
ma per opporsi al militarismo e alle guerre condotte dagli imperialismi,
Italia inclusa, e alla repressione contro profughi e immigrati in
generale; e soprattutto la necessità della lotta per portare al potere i
lavoratori rovesciando quello del capitale, e realizzare così una società senza
classi, senza sfruttamento e senza guerre.
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