Il 4 maggio processo per la manifestazione contro Riva
e il governo del 30 marzo 2012
RIVA
PATTEGGIA E LAVORATORI, GIOVANI, DONNE VENGONO CONDANNATI. 32 tra lavoratori, militanti dello
Slai Cobas sc, tra cui i suoi coordinatori, giovani, compagni saranno domani,
giovedì 4 maggio, sul banco degli imputati, per respingere una condanna al
pagamento di quasi 4mila euro ciascuno per aver legittimamente manifestato il
30 marzo 2012 al Tribunale, mentre Riva e i capi avevano contemporaneamente
organizzato una marcia sediziosa, organizzata con sistemi illegali. Nè allora
Riva e i capi subirono alcun provvedimento giudiziario, nonostante un esposto
presentato proprio quel giorno dallo Slai Cobas; nè ora, nel processo Ilva,
rischiano reali e pesanti condanne e sanzioni pecuniare (anzi, è in pieno corso
l'accettazione del patteggiamento per fare uscire i Riva dal processo); INVECE
LAVORATORI, GIOVANI, DONNE CHE LOTTAVANO E LOTTANO CONTRO PADRONI E GOVERNO,
PER I DIRITTI ALLA SALUTE, AL LAVORO VENGONO REPRESSI...
Per capire
bene cosa accadde realmente quel giorno, riportiamo dal libro "Ilva la
tempesta perfetta", stralci della cronaca commentata e l'esposto
presentato dallo Slai Cobas sc.
DAL LIBRO: ILVA LA TEMPESTA PERFETTA
"...Quanto
è accaduto a Taranto venerdì 30 marzo, è una scesa in campo aperto del fascismo
padronale che usa mezzi eversivi per imporre i suoi interessi e la sua
politica.
Partiamo dai
fatti. Venerdì 30 i dirigenti e i capi dell'Ilva si trasformano in
attivisti/squadristi. Girano tra i lavoratori dicendo che il 30 devono TUTTI
andare alla manifestazione sotto il tribunale, diffondono allarmismo affermando
che se il giudice va avanti in questa inchiesta l’Ilva può
chiudere; minacciano, ricattano: “vieni, altrimenti…”, “se chiudono dei
reparti, il primo nella lista sarai tu”.
Il venerdì
30 è di fatto una “libera uscita” forzata per chi sta in fabbrica. Gli operai
sono intimoriti o minacciati, o confusi dall’allarmismo diffuso sul rischio dei
posti di lavoro. Venerdì, poi, avviene un incredibile capovolgimento: mentre
quando vi sono scioperi sindacali l’Ilva punisce gli operai, togliendogli una
parte del premio di produzione, il 30 gli operai rischiano di essere puniti se
non partecipano alla manifestazione. Si parla di ferie forzate per chi osa dire
che non andrà alla manifestazione. Agli operai delle ditte dell’appalto Ilva –
ai cui padroni la direzione Ilva ha mandato un “messaggio” che fa capire che
potrebbero perdere l’appalto se il venerdì lavorano – le aziende hanno dette
che è inutile che vanno in fabbrica tanto non si lavora. Vengono richiamati
operai in cassintegrazione solo per la giornata del 30 marzo per essere rimessi
in cig il 2 aprile, lo stesso vengono richiamati in fabbrica gli operai che
hanno il turno di riposo; gli operai che hanno fatto il turno di notte sono
costretti a rimanere per andare alla manifestazione; si dice che l’azienda
paghi anche gli straordinari.
Di fatto venerdì 30 viene attuata una sorta di serrata aziendale. In tutto questo i delegati e sindacalisti o sono spariti o sono penose pecorelle. Il giovedì mattina, al 1° turno, mentre lo Slai cobas per il sindacato di classe strappava da tutte le bacheche delle portinerie i volantini dei capi, i sindacalisti della Fiom facevano finta che non stesse accadendo nulla.
Anche all’interno dell’Ilva, solo dove vi sono operai dello slai cobas per il sindacato di classe si contrasta attivamente l’azione dei capi. L’organizzazione della manifestazione del venerdì è sotto regia aziendale. L’azienda mette a disposizione bus interni ed esterni per cammellare gli operai. Si vedono striscioni tutti della stessa fattura, fatti in serie, fondo bianco e scritte nere, sembrano usciti poche ore prima dalla stamperia (dell’Ilva); non c’è una bandiera rossa; anche i fischietti vengono forniti dai capi; stranamente le tute, i caschi degli operai sono puliti e sembrano nuovi (anche quelli degli operai dell’indotto, che normalmente hanno tutt’altra pulizia). E comincia la “marcia”. Giacchè il Tribunale è stato vietato (a tutti) dalla questura, la manifestazione dell’Ilva si concentra sotto la prefettura e si mostra poi nelle strade centrali della città. Il clima nei pezzi dei capi ha un esplicito indirizzo eversivo (in cui il paragone è con la marcia dei 40mila della Fiat o peggio). I toni sono da “chiamata alle armi” e sono ben caratterizzati dagli striscioni “a marchio di fabbrica”: “Noi non ci stiamo - giù le mani dal nostro stabilimento”, “…dopo tutti a casa del sindaco e del gip”, “NO alle speculazioni personali sulla pelle dei lavoratori”, “fuori le bugie dalle aule della giustizia”, ecc. ; gli atteggiamenti dei capi sono arroganti e ostentati. Nei pezzi degli operai, invece, sembra la “marcia della paura”, nei due sensi, sia per il clima creato dall’azienda, sia per la confusione/preoccupazione sulla possibile chiusura dello stabilimento..."
Di fatto venerdì 30 viene attuata una sorta di serrata aziendale. In tutto questo i delegati e sindacalisti o sono spariti o sono penose pecorelle. Il giovedì mattina, al 1° turno, mentre lo Slai cobas per il sindacato di classe strappava da tutte le bacheche delle portinerie i volantini dei capi, i sindacalisti della Fiom facevano finta che non stesse accadendo nulla.
Anche all’interno dell’Ilva, solo dove vi sono operai dello slai cobas per il sindacato di classe si contrasta attivamente l’azione dei capi. L’organizzazione della manifestazione del venerdì è sotto regia aziendale. L’azienda mette a disposizione bus interni ed esterni per cammellare gli operai. Si vedono striscioni tutti della stessa fattura, fatti in serie, fondo bianco e scritte nere, sembrano usciti poche ore prima dalla stamperia (dell’Ilva); non c’è una bandiera rossa; anche i fischietti vengono forniti dai capi; stranamente le tute, i caschi degli operai sono puliti e sembrano nuovi (anche quelli degli operai dell’indotto, che normalmente hanno tutt’altra pulizia). E comincia la “marcia”. Giacchè il Tribunale è stato vietato (a tutti) dalla questura, la manifestazione dell’Ilva si concentra sotto la prefettura e si mostra poi nelle strade centrali della città. Il clima nei pezzi dei capi ha un esplicito indirizzo eversivo (in cui il paragone è con la marcia dei 40mila della Fiat o peggio). I toni sono da “chiamata alle armi” e sono ben caratterizzati dagli striscioni “a marchio di fabbrica”: “Noi non ci stiamo - giù le mani dal nostro stabilimento”, “…dopo tutti a casa del sindaco e del gip”, “NO alle speculazioni personali sulla pelle dei lavoratori”, “fuori le bugie dalle aule della giustizia”, ecc. ; gli atteggiamenti dei capi sono arroganti e ostentati. Nei pezzi degli operai, invece, sembra la “marcia della paura”, nei due sensi, sia per il clima creato dall’azienda, sia per la confusione/preoccupazione sulla possibile chiusura dello stabilimento..."
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