Stoppani, torna l'incubo:
riaffiora la terra avvelenata dal cromo esavalente
Il muro di
conteniemnto della collina che "trasuda" cromo esavalente
Nella
riviera genovese, in uno dei 40 siti più inquinati d'Italia la bonifica fa
scoprire un muro di contenimento che trasuda materiale nocivo
di GIUSEPPE
FILETTO
16 maggio
2017
Una macchia
gialla sul muro di cemento e a 14 anni dalla fine dell'attività e dopo
centinaia di milioni investiti nella bonifica torna l'incubo cromo esavalente
alla Stoppani di Cogoleto.
La Stoppani è oggi uno spettro industriale ma è uno
dei 40 "siti di interesse nazionale" (assieme a Casale
Monferrato, Porto Marghera, Gela, Fibronit di Bari, polo chimico di Mantova,
l'Acna di Cengio) seguiti direttamente dal Ministero dell'Ambiente a causa
dell'altissimo livello di inquinamento che ha richiesto piani di bonifica
impegnativi e costosi. Nel 2003 lo stabilimento ha cessato l'attività che era
consistita principalmente nella produzione di bicromato di sodio, dal quale,
attraverso successivi stadi di lavorazione, sono stati prodotti altri derivati
del cromo. Una storia quella di Stoppani - collocata a poche decine di metri
dalla costa dove in estate i bagnanti affollano la spiaggia - passata
attraverso malattie, processi, durissime battaglie sindacali, contrapposizioni
tra ambiente e lavoro, e poi ancora tentativi di speculazione. Alla fine tutto
il costo della bonifica è finito sulle spalle dello Stato mentre gli eredi
Stoppani riprendevano la produzione di cromo in Russia. E oggi ecco la
difficoltà a proseguire una bonifica che rivela purtroppo nuove sorprese. Il
grande sarcofago Stoppani, pieno di cromo esavalente, è molto più esteso di
quanto si veda. O meglio: di quanto previsto. È interrato nei dintorni di Pian
Masino, al confine tra i comuni rivieraschi di Arenzano e Cogoleto.
L'inquietante scoperta (per chi non ne era a conoscenza, ma pare che gli ex
operai sapessero) è diventata di pubblico dominio in questi giorni, durante
l'ispezione della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti,
presieduta dal deputato Alessandro Bratti del Pd.
Le aree
esterne ai muraglioni che delimitano il sito industriale sono stracolme di
materiale cancerogeno, e lo si vede ad occhio nudo da un fiotto di sostanza
giallastra che percola da una di queste pareti (vedi foto a lato), emersa dopo
la rimozione dei cumuli di cromite che vi erano addossati.
"Tanto che bisognerà pensare ad una nuova fase di bonifica - dice il deputato Alberto Zolezzi dei Cinque Stelle, membro della Commissione Parlamentare - occorrerà rifinanziarla, perché i soldi stanziati finora non basteranno".
"Tanto che bisognerà pensare ad una nuova fase di bonifica - dice il deputato Alberto Zolezzi dei Cinque Stelle, membro della Commissione Parlamentare - occorrerà rifinanziarla, perché i soldi stanziati finora non basteranno".
Non saranno
sufficienti i 40 milioni di euro che dal 2006 il Ministero dell'Ambiente ha
fatto arrivare in Liguria per disinquinare le aree industriali, e neppure la proroga
del Dpcm per tutto il 2017. Così come non bastano i 500mila metri cubi di
rifiuti tossico-nocivi prelevati da Pian Masino e trasferiti nella discarica
del Molinetto, in Valle Arrestra, al confine tra Cogoleto e Varazze, messa
sotto indagine dalla magistratura e sotto sequestro. Piove un'altra tegola
sulla situazione ambientale dell'immediato Ponente genovese, quando la bonifica
- portata avanti dalla struttura commissariale incaricata dalla Presidenza del
Consiglio - sembra a buon punto: con la messa in sicurezza del sito
industriale, la captazione e la depurazione delle acque di falda, con i rifiuti
imballati ed i cumuli coperti da teli impermeabili che attendono di essere
trasferiti. I carotaggi effettuati dalla stessa struttura commissariale (formalmente
guidata dal prefetto Fiamma Spena, ma di fatto in mano al sub-commissario
Cecilia Brescianini, il braccio operativo), secondo quanto è stato spiegato
alla Commissione Parlamentare, forniscono un quadro alquanto preoccupante.
Tutto il costone di Ponente (verso Cogoleto), sorretto da uno spesso muraglione
alto una decina di metri, sarebbe costituito da terre sature di cromo
esavalente. In Val Lerone sarebbero sepolti gli scarti di 100 anni di
lavorazioni: una quantità difficile da stabilire. Si tratta di milioni di metri
cubi di materiale cancerogeno. Una situazione dal punto di vista ambientale al
momento preoccupante soltanto a parlarne. Spaventosa, se si pensa ai quattrini
che bisognerà investire. D'altra parte, la bonifica dell'intero sito prevede che
sia restituito a "prato verde". Libero da inquinanti. "Temiamo
che la situazione sia destinata a prolungarsi per almeno quattro, cinque
decenni", precisa l'onorevole Zolezzi al ritorno dalle audizioni di
giovedì e venerdì scorso. Sono stati ascoltati il prefetto di Savona,
l'assessore regionale all'Ambiente Giacomo Giampedrone, il sub-commissario
Brescianini che è anche dirigente dell'Ambiente di Regione, i tecnici della
struttura commissariale e quelli di Arpal. Non sono stati ascoltati i pm
Francesco Cardona Albini e Francesco Pinto che sulla discarica del Molinetto
hanno aperto l'inchiesta per "abuso d'ufficio" e "gestione di
rifiuti non autorizzata" a carico di 7 pubblici ufficiali. E lo scorso 28
settembre il gip Nicoletta Bolelli ha disposto il sequestro del sito. Secondo
la Procura della Repubblica, la struttura commissariale avrebbe
"rappresentato una agibilità del sito non conforme alla situazione
reale". Fino a confezionare una gara d'appalto più modellata al
conferimento di terre da scavo (dovrebbero provenire dal Terzo Valico) che di
vero risanamento della discarica.
Tant'è che di turbativa d'asta e falso sono chiamati a rispondere: Cecilia Brescianini; i dirigenti della ex Provincia Paola Fontanella, Francesco Benzi e Raffaella Dagnino; Marco Canepa e Francesco Di Ceglia, entrambi geologi dell'Arpal distaccati presso la struttura; il geologo Vittorio Asplanato, ingaggiato come esperto esterno. Avrebbero procurato un vantaggio patrimoniale da 8 milioni di euro alla società vincitrice dell'appalto.
Tant'è che di turbativa d'asta e falso sono chiamati a rispondere: Cecilia Brescianini; i dirigenti della ex Provincia Paola Fontanella, Francesco Benzi e Raffaella Dagnino; Marco Canepa e Francesco Di Ceglia, entrambi geologi dell'Arpal distaccati presso la struttura; il geologo Vittorio Asplanato, ingaggiato come esperto esterno. Avrebbero procurato un vantaggio patrimoniale da 8 milioni di euro alla società vincitrice dell'appalto.
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