giovedì 13 luglio 2023

13 luglio - Da operai dell'ex Ilva Taranto agli operai/operaie della Stellantis di Melfi

 C’è un filo che lega la vicenda Stellantis a quella dell’ex Ilva ed è il filo della conversione green della produzione, una conversione che viene usata per giustificare i numerosi esuberi all’interno della fabbrica, con incentivi all’esodo che sono delle vere e proprie prese in giro in quanto, prendendo a titolo di esempio l’accordo stipulato per i lavoratori ex Ilva nel 2018, la cifra proposta all’epoca coincideva con quanto si sarebbe guadagnato nei successivi sette anni di cassintegrazione ma con in più la perdita del proprio

posto di lavoro. Come se questo non fosse già abbastanza alla Stellantis di Melfi inoltre c’è il ricatto dei trasferimenti forzati a Pomigliano con il conseguente disagio, per usare un eufemismo, all’interno dei nuclei famigliari che dovranno affrontare un netto cambio del proprio stile di vita ed un peggioramento della propria situazione economica, tutto con l’avallo di questo governo che dichiara di difendere le famiglie ma alla prova dei fatti dimostra che è la prima causa della loro devastazione: una tragedia sotto forma di farsa.

Ad oggi non è possibile vedere nei sindacati confederali la soluzione ai problemi dei lavoratori, è da tempo infatti che hanno smesso di svolgere la loro funzione di rappresentanza e di lotta per gli interessi della classe operaia per divenire esclusivamente un organo di ratifica delle decisioni aziendali, si potrebbe dire che sindacati ed aziende sono rispettivamente ciò che attualmente sono parlamento e governo, con il primo che si limita ad approvare qualsiasi decisione del secondo. 
Il ritorno ad un sindacalismo conflittuale è ciò che noi auspichiamo, e non saranno di certo le oscene proposte come quella fatta da Sbarra della CISL di piazzare nei consigli di amministrazione i lavoratori stessi a farci cambiare idea, si tratterebbe infatti di permettere che si accetti lo sfruttamento come endemico della fabbrica, con i lavoratori incentivati a sfruttarsi tra di loro piuttosto che come avviene adesso tra classe dirigente e classe operaia, non risolverebbe assolutamente il problema delle delocalizzazioni né la questione dei bassi salari in quanto quei posti sarebbero riservati esclusivamente ad una piccola elite selezionata tra i più fedeli al padrone. Non appoggiamo neanche le continue lamentele di Landini sui salari rimasti al palo da trent’anni a questa parte, gli fa comodo dimenticare che in buona parte dei rinnovi contrattuali c’è stata anche la sua firma. Per non parlare poi dell’estensione dei contratti stessi a tre anni prima e quattro successivamente, di questo passo dovremo restare vita natural durante con lo stesso contratto sottoscritto al momento dell’assunzione, per chi avrà la fortuna di essere assunto.

Sappiamo perfettamente che lo sfruttamento dei lavoratori è la conseguenza naturale dell’economia di tipo capitalista, da questo ne consegue che cercare di trovare accordi con i padroni non migliorerà di certo la nostra condizione, sarebbe come svuotare con i secchi una nave che affonda, allora è attraverso la lotta che dobbiamo passare per ottenere quello che ci spetta di diritto, quello che ci viene quotidianamente strappato con la violenza di classe, e sappiamo anche che non sarà semplice, ma la consapevolezza di ciò è un’arma a nostro vantaggio in quanto non ci faremo cogliere impreparati.

Altra questione che deve fare riflettere è l’aumento dei profitti come mai prima d’ora a fronte della riduzione delle vendite. Questo si spiega da una parte con il maggior carico di lavoro che gli operai devono sostenere in quanto la riduzione degli organici obbliga chi resta a sobbarcarsi del lavoro di chi è andato via, dall’altra l’aumento vertiginoso dei prezzi ha compensato di gran lunga la perdita di unità vendute rendendo ogni bene, anche di prima necessità, un bene di lusso. Un qualsiasi elettrodomestico che possa aiutare nelle faccende domestiche che sappiamo benissimo essere logoranti dopo una giornata trascorsa in fabbrica o anche un semplice prodotto per lo svago divengono beni ad uso esclusivo di chi non lavora ma ha il denaro per comprare. 

Ed il punto è proprio questo: quelli che lavorano (gli operai) non hanno, mentre quelli che non lavorano (i padroni) hanno. In un sistema sociale sano la distribuzione della ricchezza avverrebbe secondo parametri totalmente diversi, in questo sistema capitalista che si tenta di tenere a galla con ogni mezzo, invece, avviene secondo il principio della capacità di sfruttamento di pochi verso la stragrande maggioranza della persone.

Questo è un punto cruciale per capire che anche se la lotta per gli aumenti salariali e la difesa delle nostre condizioni di lavoro è importante non è sufficiente, perché se dovessimo fermarci a questo livello dello scontro noi non avremmo prodotto un cambiamento nella natura dei rapporti ma solo un miglioramento temporaneo, che resterebbe tale sino a quando i padroni non tornerebbero più forti di prima grazie al potere delle leggi e delle forze dell’ordine al loro servizio. Lo scontro deve penetrare più in profondità, deve produrre un cambiamento radicale in modo tale da non poter più permettere che si torni ad essere utili solo agli interessi dei profitti delle aziende ed essere trattati di conseguenza. La nostra forza è nel numero, noi siamo tanti, sempre più di loro, e non saranno certo i sindacati confederali che ci fermeranno dall’ottenere il nostro obiettivo, è chiaro come il sole qual è la loro funzione, e cioè quella di porre un freno alla proteste, cercare la trattativa con le associazioni datoriali, imporre la pace sociale. Niente di più sbagliato, niente di più dannoso per i nostri interessi.

Dichiarare quattro ore di sciopero è altamente insufficiente, se le iniziative non sono continuative, costanti, si ottiene l’effetto opposto, mi riferisco al fatto che dopo un solo sciopero non è affatto scontato che si possa ottenere un risultato anche lontanamente sufficiente, se non si prosegue si è solo ingannato gli operai che potrebbero perdere fiducia nella lotta, e diventa scontato iniziare a credere che non serva a nulla e che si sia persi solamente la retribuzione di quelle ore. Lo sciopero è la nostra arma di difesa, venuto meno restiamo inermi di fronte agli attacchi che i nostri padroni ci sferzano, e l’utilizzo che ne fanno i confederali è quello di un coltello tenuto per la lama e rivolto dal manico dove i primi a tagliarsi siamo noi.

Dunque sciopero si, ma che sia lotta dura senza paura, sciopero dal basso e non concertativo con le istanze dei padroni, loro hanno già tutto, tocca a noi prendercelo.

Intervento di un operaio dell'Ex Ilva di Taranto, dello Slai Cobas sc


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