INDICE
LE “FREQUENTLY ASKED
QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.18
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1
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LA REPUBBLICA DEI VOUCHER
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4
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MILITARI: INFORTUNIO
SUL LAVORO E RISARCIMENTO DANNI
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D.LGS. 81/08: LAVORO
INTERMITTENTE, ACCESSORIO E AUTONOMO
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6
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RISCHIO STRESS:
PROPOSTA DI AGGIUNTA DI UN NUOVO TITOLO AL TESTO UNICO
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8
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IMPARARE DAGLI ERRORI:
SE LE SALDATURE SONO EFFETTUATE IN QUOTA
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COSA PRESCRIVE LA NORMATIVA IN
MATERIA DI ALCOL E TOSSICODIPENDENZA
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IMPARARE DAGLI ERRORI:
LA CADUTA DI
MATERIALI DALL’ALTO
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16
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LE
“FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.18
Nella mia attività di
diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono
chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere
e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che
poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter,
nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your
Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono
consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi
molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi
consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo
nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.
Ovviamente, per
evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori
o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il
nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
************
Ciao Marco,
l’azienda in cui
lavoro (azienda di igiene urbana) vuole sottoporre a visita medica alcuni lavoratori
(addetti alla guida di veicoli porta rifiuti e alla raccolta dei cassonetti con
il sistema di aggancio del veicolo) che stanno andando in pensione.
Da un punto di vista
normativo, è legittima la visita media al termine del rapporto di lavoro?
Grazie.
Ciao,
a seguire le mie considerazioni in dettaglio che
derivano dalla normativa vigente.
Riassumendo la visita medica alla cessazione del
rapporto deve (e quindi può) essere effettuata solo nei seguenti casi:
-
esposizione
ad agenti chimici pericolosi con rischio rilevante per la salute;
-
esposizione
all’amianto per attività di manutenzione, rimozione, bonifica, ecc. in caso di iscrizione
all’interno del registro degli esposti;
-
esposizione
significativa a radiazioni ionizzanti (classificazione come “lavoratore
esposto”).
Nel
caso da te citato la mansione dei lavoratori non prevede nessuno di tali
fattori di rischio e pertanto la visita medica alla cessazione del rapporto di
lavoro non è legittima.
Un
abbraccio.
Marco
VISITA MEDICA ALLA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI
LAVORO
La visita medica alla cessazione del rapporto di
lavoro è prevista dal D.Lgs. 81/08, solo nei casi previsti dalla normativa
vigente.
Infatti, l’articolo 41, comma 2, lettera e) di
tale Decreto stabilisce che:
“La sorveglianza sanitaria comprende:
[...]
visita medica alla cessazione del rapporto di
lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente;
[...]”.
La
“normativa vigente” prevede solo i seguenti casi di obbligatorietà della visita
medica di fine rapporto.
ESPOSIZIONE
AD AGENTI CHIMICI PERICOLOSI
L’articolo
229 del D.Lgs. 81/08 (Titolo IX, Capo I) prevede al comma 1:
“Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 224, comma 2, sono sottoposti
alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 i lavoratori esposti agli
agenti chimici pericolosi per la salute che rispondono ai criteri per la
classificazione di cui al Regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento
europeo e del Consiglio, e successive modificazioni ed integrazioni, come
tossici acuti, corrosivi, irritanti, sensibilizzanti, tossici per il ciclo
riproduttivo o con effetti sull’allattamento, tossici specifici per organo
bersaglio, tossici in caso di aspirazione, cancerogeni e mutageni di categoria 2”.
Tale articolo non si
applica, “fatto salvo quanto previsto
dall’articolo 224, comma 2” del medesimo Decreto, che specifica che:
“Se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in
relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle
modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro,
vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori
e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si
applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230”.
La sorveglianza
sanitaria, prevista dal citato articolo 229, è quindi obbligatoria solo se la
valutazione del rischio da agenti chimici ha evidenziato un rischio rilevante
per la salute.
Per quanto riguarda
la visita medica di fine rapporto, essa è obbligatoria (sempre nel solo caso di
rischio rilevante per la salute derivante da agenti chimici), ai sensi
dell’articolo 229, comma 2, lettera c) del D.Lgs. 81/08, che stabilisce che:
“La sorveglianza sanitaria viene effettuata:
[...]
all’atto
della cessazione del rapporto di lavoro. In tale occasione il medico competente
deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni relative alle prescrizioni
mediche da osservare”.
ESPOSIZIONE
AD AMIANTO PER ATTIVITA’ DI MANUTENZIONE, RIMOZIONE, TRATTAMENTO, BONIFICA
Va
osservato preliminarmente che quanto di seguito esposto si applica solo, ai
sensi dell’articolo 246 del D.Lgs. 81/08 (Titolo IX, Capo III) alle:
“attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori,
un’esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell’amianto o dei
materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti,
nonché bonifica delle aree interessate”
e quindi non si
applica all’esposizione alle fibre di amianto eventualmente presenti negli ambienti
di lavoro a seguito della presenza di manufatti contenenti amianto, nel caso in
cui i lavoratori non eseguano le attività sopra indicate.
In tale
ambito, la sorveglianza sanitaria alla fine del rapporto di lavoro è
disciplinata dall’articolo 259 del D.Lgs. 81/08, che prevede al comma 2:
“I lavoratori che durante la loro attività sono stati iscritti anche una
sola volta nel registro degli esposti di cui all’articolo 243, comma 1, sono
sottoposti ad una visita medica all’atto della cessazione del rapporto di
lavoro; in tale occasione il medico competente deve fornire al lavoratore le
indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare ed all’opportunità
di sottoporsi a successivi accertamenti sanitari”.
I lavoratori iscritti
nel registro degli esposti di cui all’articolo 243, comma 1 citato, sono, ai
sensi dell’articolo 260, comma 1 del D.Lgs. 81/08 quelli che sono stati esposti
a valori di esposizione alle fibre di amianto superiori ai valori limite
previsto dal Decreto stesso e quelli che sono stati sottoposti ad esposizione a
fibre di amianto in maniera accidentale e imprevedibile.
ESPOSIZIONE
A RADIAZIONI IONIZZANTI
Ai sensi
dell’articolo 180, comma 3 del D.Lgs. 81/08 (Titolo VIII, Capo I):
“La protezione dei lavoratori dalle radiazioni ionizzanti è disciplinata
unicamente dal Decreto L17 marzo 1995, n. 230, e sue successive modificazioni”.
Il D.Lgs.
230/95 prevede all’articolo 75, comma 1 che:
“Il datore di lavoro deve provvedere ad assicurare mediante uno più
medici la sorveglianza medica dei lavoratori esposti e degli apprendisti e
studenti in conformità alle norme del presente capo [...]”.
Solo per i lavoratori classificati come esposti
a radiazioni ionizzanti, tale sorveglianza sanitaria prevede anche la visita
medica alla fine del rapporto di lavoro, ai sensi dell’articolo articolo 85,
comma 5 del D.Lgs. 230/95:
“Prima della cessazione del rapporto di lavoro il datore di lavoro deve
provvedere a che il lavoratore sia sottoposto a visita medica. In tale
occasione il medico deve fornire al lavoratore le eventuali indicazioni
relative alle prescrizioni mediche da osservare”.
************
Ciao Marco,
con la scusa che il
Registro Infortuni è stato abolito dal Jobs Act, la mia azienda non comunica
più nemmeno all’INAIL gli infortuni occorsi in azienda (recentemente e nel giro
di pochi giorni taglio dell’arcata oculare con necessità di tre punti di sutura
e contusione dell’occhio a causa di urto).
A me risulta invece
che l’articolo 18 del Testo Unico preveda ancora tale obbligo.
Mi puoi preparare una
lettera da mandare all’azienda per richiamarli a tale obbligo.
Grazie
Ciao,
hai perfettamente
ragione in merito all’obbligo per l’azienda di comunicare comunque all’INAIL
ogni infortunio che comporti l’assenza di almeno un giorno. Non solo, ma
l’azienda è anche obbligata a mettere a disposizione dei RLS i dati relativi ai
fenomeni infortunistici.
A seguire ti riporto
bozza della lettera da mandare alla tua azienda per richiamarla all’obbligo di
segnalazione degli infortuni sul lavoro.
Fai una segnalazione
formale, tramite lettera inviata con Raccomandata RR oppure fatti firmare e/o
protocollare copia della lettera per avvenuta ricezione.
Marco
Al Datore di Lavoro
della Azienda XXX
per conoscenza
Al Responsabile del
Servizio di Prevenzione e Protezione della Azienda XXX
Ho riscontrato, in
qualità di RLS che recentemente i seguenti infortuni:
-
taglio
dell’arcata oculare con necessità di tre punti di sutura ...;
-
contusione
dell’occhio a causa di urto con ...;
che hanno causato a
lavoratori della azienda XXX lesioni con prognosi superiori a un giorno non
sono stati denunciati dall’azienda all’INAIL.
Ricordo che il datore
di lavoro o il dirigente (in questo caso il Capo Cantiere XXX) sono tenuti ad
effettuare tale denuncia ai sensi dell’articolo 18, comma 1, lettera r) del
D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (Decreto), secondo cui essi devono “comunicare in via
telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema
informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui
all’articolo 8, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini
statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul
lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello
dell’evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro
che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni; l’obbligo di comunicazione
degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre
giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui
all’articolo 53 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124”.
Ricordo inoltre il
datore di lavoro o il dirigente devono consentire al RLS di accedere i dati relativi
agli infortuni, secondo l’articolo 18, comma 1, lettera o) del Decreto, secondo
cui essi devono “[...] consentire
al medesimo rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r) [...]”.
Ai
sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera h) del Decreto, secondo cui il RLS “promuove l’elaborazione,
l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare
la salute e l’integrità fisica dei lavoratori”,
richiedo con la presente che per ogni infortunio occorso a lavoratori della
azienda XXX, il datore di lavoro o il dirigente si attengano agli obblighi
sopra segnalati.
Rimango in attesa di formale riscontro alla
presente.
Data
e firma
************
NOTA
Nel testo delle
“Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi
e termini:
ASL = Azienda
Sanitaria Locale
CCNL = Contratto
Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI = Dispositivi di
Protezione Individuali
DVR = Documento di
Valutazione dei Rischi
DUVRI = Documento
Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori in appalto
OS = Organizzazioni
Sindacali
RSPP = Responsabile
del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS = Rappresentate
dei Lavoratori per la Sicurezza
RSA = Rappresentanze
Sindacali Aziendali
RSU = Rappresentanze
Sindacali Unitarie
D.Lgs. 81/08 o
Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche
e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)
LA REPUBBLICA DEI VOUCHER
da
Contropiano
I voucher sono
stati introdotti nel 2008 dal governo Berlusconi. Li istituì il Ministro del
Lavoro Sacconi, poi passato con Alfano a sostenere Renzi. Il quale come suo
solito ha fatta propria ed estesa la devastazione dei diritti del lavoro
avviata dalla destra.
Con il
Jobsact i voucher sono stati liberalizzati e sono così cresciuti in maniera
esponenziale. Secondo gli ultimi dati INPS nel 2015 sono 1.400.000 i lavoratori
pagati coi voucher. Prima che Renzi e Poletti andassero al governo erano poco
più di 400.000.
Il milione
di posti di lavoro promesso da Berlusconi nel 1994, l’attuale Presidente del
Consiglio lo ha realizzato con i lavoratori che si comprano in tabaccheria, al
prezzo di due pacchetti di sigarette. Un voucher costa 10 euro all’
“imprenditore”, 2,50 vanno allo Stato il resto al lavoratore. Così per legge è
stato di fatto stabilito il salario minimo giornaliero: in Italia è di sette euro
e mezzo al giorno, come in Mozambico. Per un ammontare di 500 euro netti
complessivi in un anno per persona, ci dice ancora l’INPS.
Il governo
sostiene che questo milione di lavoratori sia emerso dal lavoro nero.
Mente
sapendo di mentire. Le regioni più povere dove c’è più lavoro nero sono quelle
che usano meno i voucher, quelle più ricche, Lombardia e Veneto, quelle che lo
usano di più.
E’ vero
l’esatto contrario, i voucher hanno degradato ulteriormente il lavoro precario
ufficiale, ai 39 contratti a termine ne hanno aggiunto uno peggiore, il
peggiore.
Un
lavoratore coi voucher riceve il ticket e poi è a disposizione di chi glielo dà
per un numero indefinito di ore di lavoro non pagato. Se il giorno dopo vuole
tornare deve accettare la stessa condizione. E i controlli non esistono,
contrariamente a quanto afferma il governo
Poletti ha
vantato in TV che ora chi usa il voucher un’ora prima dovrà comunicarlo alle
autorità con un SMS: “Ciao come stai, ho comperato due operai nella tabaccheria
all’angolo, tutto bene?”.
Che penosa
sciocchezza, anche se ci fosse un ufficio che riceva e registri gli SMS, che
ora non c’è perché Poletti si é dimenticato di istituirlo, che potrebbe fare
concretamente, con qualche ispettore di fronte a un milione e mezzo di
lavoratori sparsi per tutta Italia.
La realtà è
che c’è un solo modo per impedire questo schiavismo legalizzato: abolire totalmente
i voucher e riportare ogni rapporto di lavoro al contratto, quel principio nato
da poco più di duecento anni, che il modernismo neomedioevale di Renzi vuole
cancellare.
Altro che
conservare la prima parte della Costituzione e cambiare solo la seconda! Se
resteranno i voucher il primo articolo della nostra Carta diventerà
semplicemente una frase beffarda. E alla fine, per non esagerare nel contrasto
tra principi e realtà, ci si sarà chi proporrà di cambiarlo, per renderlo più
coerente con il mercato.
Un governo
che alimenta i voucher, solo per questa ragione senza considerare niente altro,
dovrebbe essere cacciato per indegnità morale. Ora abbiamo la possibilità di
farlo, il 21 e il 22 ottobre scioperando e manifestando nel NORENZIDAY e poi
votando NO il 4 dicembre.
Per gettare
al macero la costituzione renziana e la repubblica dei voucher.
Giorgio
Cremaschi
MILITARI: INFORTUNIO
SUL LAVORO E RISARCIMENTO DANNI
Da
Studio Cataldi
16/10/16
avvocato
Francesco Pandolfi
MILITARI:
INFORTUNIO SUL LAVORO E RISARCIMENTO DANNI
NOTA
DI COMMENTO ALLA SENTENZA DEL TAR BOLOGNA N. 772/2016
I
militari che svolgono il loro servizio sovente si trovano esposti a rischi
consistenti. Si tratta di circostanze che possono anche oltrepassare i confini
di quel “rischio ordinario” tipico delle loro specifiche funzioni ed attività
professionali.
Che
cosa succede se il militare riporta un infortunio serio, ad esempio, mentre si
trova in missione?
Dopo
gli accertamenti iniziali e le cure del caso questo sinistro può essere
considerato “causa di servizio”, cioè collegato ad un’occasione di servizio.
Ne
derivano varie conseguenze, sia sul piano medico legale che sul versante delle
indennità, emolumenti dovuti e risarcimenti.
Il
TAR di Bologna (sentenza n. 772 del 9 agosto 2016) si occupa di questo
interessante caso.
In
occasione di una missione all’estero il ricorrente riporta un grave infortunio,
che si appura essere dipendente dal servizio.
Il
Ministero della Difesa ha stipulato una polizza assicurativa, ossia un
contratto per la responsabilità civile nei confronti dei dipendenti: il
danneggiato attinge dalla polizza un risarcimento cospicuo.
Accade
che il Ministero, pur riconoscendo separatamente l’equo indennizzo spettante al
dipendente in forza del grave infortunio, non paga il corrispondente
controvalore ritenendo coperta dall’indennizzo assicurativo privato anche la
quota di tale voce di danno.
Il
militare non ci sta.
Prepara
il ricorso, si rivolge al TAR e chiede la condanna del Ministero al
risarcimento di tutti i danni subiti in occasione del triste evento e li
quantifica in euro 158 mila.
In
pratica, il congegno giuridico è questo: in caso di infortunio di un militare
dipendente da causa di servizio scatta la procedura per il riconoscimento del
nesso tra le lesioni e l’adempimento di compiti di servizio.
Se
questo accertamento da esito positivo, viene accordato un equo indennizzo
(oltre a futuri risvolti in ambito di pensione privilegiata).
Nel
caso poi quanto corrisposto dall’assicurazione privata superi la quota
dell’equo indennizzo, può verificarsi che nulla di altro venga liquidato al
danneggiato.
Ma
allora, prendendo spunto dal caso commentato, che cosa deve fare in concreto il
militare danneggiato se intende domandare un maggiore risarcimento?
Deve
dimostrare in causa di aver subito il danno a causa di precise responsabilità
della Pubblica Amministrazione, proprio come accade nei rapporti con qualsiasi
altro datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti.
Deve
trovare cioè una responsabilità, una colpa dell’amministrazione, un nesso
causale tra la violazione del dovere di diligenza (o di applicazione di regole
tecniche) e l’infortunio subito.
In
casi analoghi occorre quindi ricorrere al TAR, mettendo in evidenza il fatto
che dimostra l’inadempimento dell’obbligo di sicurezza, oltre al nesso di
causalità tra quell’inadempimento e il danno subito.
Il
datore di lavoro dovrà dimostrare la non imputabilità dell’inadempimento.
D.LGS. 81/08: LAVORO
INTERMITTENTE, ACCESSORIO E AUTONOMO
Da:
PuntoSicuro
30
settembre 2016
Un
intervento fa il punto sulle novità delle forme contrattuali e
dell’applicazione del D.Lgs. 81/08 (Testo Unico sulla Sicurezza) alle varie
tipologie di lavoratori. Focus sul lavoro intermittente, sul lavoro accessorio
e sul lavoro autonomo.
In
relazione ai cambiamenti nel mondo del lavoro correlati ai decreti del “Jobs
Act”, ci siamo già soffermati sulle novità per le tutele di salute e sicurezza
nei lavoratori con contratti di collaborazione, somministrati, distaccati o
associati in partecipazione.
L’intervento
“Applicazione del D.Lgs. 81/08 ai lavoratori con contratti di lavoro atipici e
flessibili”, a cura di Maria Capozzi (Direzione Territoriale del Lavoro di
Bologna), si sofferma anche sulle novità per tre altre importanti tipologie di
lavoro: lavoro intermittente, lavoro accessorio e lavoro autonomo.
Novità
che concernono, in particolare, il coordinamento tra il D.Lgs. 81/08 e il
D.Lgs. 81/15 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione
della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della
Legge 10 dicembre 2014, n. 183”.
Nel
lavoro intermittente (a chiamata) il lavoratore si pone a disposizione del
datore di lavoro per l’esecuzione di attività che hanno la caratteristica di
non essere continuative. L’imprenditore può utilizzare la prestazione
lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate
dai contratti collettivi (anche per periodi predeterminati nell’arco della
settimana/mese/anno).
Con
riferimento all’articolo 13 del D. Lgs. 81/15 si indica che:
-
il
contratto di lavoro a chiamata, può essere stipulato sia a tempo indeterminato
che a tempo determinato;
-
il
contratto di lavoro intermittente o a chiamata è sempre consentito con soggetti
di età inferiore a 24 anni (purché la prestazione sia svolta entro il 25° anno)
o con più di 55 anni;
-
è
ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un
periodo complessivamente non superiore alle quattrocento giornate di effettivo
lavoro nell’arco di tre anni solari (ad eccezione per settori turismo, pubblici
esercizi e spettacolo);
-
in
caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in
un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato;
-
il
prestatore di lavoro intermittente è computato nell’organico dell’impresa in
proporzione dell’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre;
-
la
comunicazione di assunzione va inviata on-line al centro per l’impiego in via
preventiva, prima dell’inizio dell’attività lavorativa;
-
gli
obblighi di sicurezza sono in capo al datore di lavoro;
-
è
vietato il ricorso al lavoro intermittente ai datori di lavoro che non hanno
effettuato la valutazione dei rischi.
Veniamo
al lavoro accessorio (voucher), un rapporto di lavoro che ha ad oggetto tutte
quelle attività lavorative, che non possono essere ricondotte a tipologie
contrattuali tipiche di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, in quanto
vengono prestate in via saltuaria e si pongono in posizione ausiliaria e
funzionale rispetto ad una attività o situazione principale. E riguarda attività
lavorative che (secondo l’articolo 48 del D. Lgs. 81/15) non danno luogo a
compensi superiori a 7.000 euro (totalità committenti) o a compensi superiori a
2.000 €/anno (singolo committente imprenditore o professionista).
In
particolare il meccanismo di pagamento del corrispettivo è fondato sul sistema
dei buoni. Il credito dovuto al lavoratore viene, infatti, cartolarizzato in
voucher aventi un valore nominale totale, comprendente, oltre al compenso
spettante al lavoratore, anche quote per la gestione separata INPS, per
l’assicurazione INAIL e una quota ulteriore a favore dell’INPS per la gestione
del servizio.
Si
ricorda inoltre che è vietato il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio
nell’ambito dell’esecuzione di appalti, di opere o servizi.
E
in materia di salute e sicurezza si può far riferimento all’articolo 3, comma 8
del D.Lgs. 81/08, come modificato dal D.Lgs. 151/15, relativo al campo di
applicazione del Testo Unico sulla Sicurezza:
“Nei
confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni di lavoro accessorio, le
disposizioni di cui al presente decreto e le altre norme speciali vigenti in
materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori si applicano nei casi
in cui la prestazione sia svolta a favore di un committente imprenditore o
professionista. Negli altri casi si applicano esclusivamente le disposizioni di
cui all’articolo 21. Sono comunque esclusi dall’applicazione delle disposizioni
di cui al presente decreto e delle altre norme speciali vigenti in materia di
tutela della salute e sicurezza dei lavoratori i piccoli lavori domestici a
carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e
l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai
disabili”.
Rimandiamo
alla lettura integrale dell’intervento per avere altri particolari sul lavoro
accessorio e ricordiamo che il 10 giugno 2016 il Consiglio dei Ministri ha
approvato in via preliminare un nuovo Decreto Legislativo recante alcune
disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in
attuazione della Legge delega n. 183 del 2014.
Concludiamo
riportando qualche informazione sul lavoratore autonomo, persona che si obbliga
a compiere verso un corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del
committente (ai sensi dell’articolo 2222 del Codice Civile). O, come indica
all’articolo 89 il D.Lgs. 81/08, è la persona fisica la cui attività
professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di
subordinazione
Ricordando
che l’assenza di subordinazione nei confronti di chi commette l’opera non
significa che il lavoratore autonomo debba comportarsi da “libero battitore”
all’interno del luogo di lavoro, sono riportati alcuni obblighi per i
lavoratori autonomi, come riportati nel Testo Unico per la Sicurezza (specialmente
con riferimento all’articolo 21):
-
utilizzano
attrezzature conformi alle norme di sicurezza;
-
si
proteggono con dispositivi di protezione individuali;
-
si
muniscono di tessera di riconoscimento se svolgono lavori in appalto o
subappalto;
-
hanno
facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria;
-
hanno
facoltà di partecipare a corsi di formazione specifici;
-
si
devono adeguare alle indicazioni fornite dal Coordinatore per la Sicurezza nei cantieri;
-
devono
dimostrare al committente la propria idoneità tecnica nei cantieri;
-
si
devono adeguare alle prescrizioni dei Piani Operativi di Sicurezza nei
cantieri;
Sono
poi ricordati brevemente alcuni elementi indicatori di un’effettiva autonomia
del lavoratore autonomo, come riportati, ad esempio, nella Circolare n. 16 del
4 luglio 2012 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali:
-
svolgimento
dell’attività personalmente;
-
assunzione
del rischio del risultato;
-
nessun
vincolo di subordinazione gerarchica (orari, giorni, modalità, ecc.);
-
incarico
per l’intera opera/servizio affidato e non a “ore”;
-
utilizzo
di proprio materiale/attrezzature;
-
pagamento
che non sia una “‘retribuzione” fissa periodica;
-
pluricommittenza.
La
relatrice ricorda, infine, che i lavoratori autonomi sono esclusi dal computo
di cui all’articolo 4 del D.Lgs. 81/08 (cioè dal numero di lavoratori dal quale
il Decreto fa discendere particolari obblighi).
Inoltre
il lavoratore autonomo non entra nel conteggio del numero di imprese operanti
nel cantiere, mentre rientra nel conteggio degli uomini-giorno.
L’intervento
“Applicazione del D.Lgs. 81/08 ai lavoratori con contratti di lavoro atipici e
flessibili”, a cura di Maria Capozzi è scaricabile al link:
RISCHIO STRESS:
PROPOSTA DI AGGIUNTA DI UN NUOVO TITOLO AL TESTO UNICO
Da:
PuntoSicuro
05
ottobre 2016
di
Tiziano Menduto
Un
intervento presenta la proposta di aggiunta di un nuovo Titolo al D.Lgs. 81/08
in materia di stress, molestie e violenze. La normativa vigente e la proposta
relativa agli obblighi del datore di lavoro, alla formazione e alla
sorveglianza sanitaria.
In
questi ultimi anni abbiamo assistito a varie proposte sulla semplificazione
della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro,
normativa considerata spesso troppo complicata e difficile da applicare. Proposte
che, a volte, si sono tradotte in modifiche del Testo Unico o in tentativi, non
sempre riusciti, di rendere più semplici gli adempimenti per le aziende. Proposte
che, in altri casi, sono ancora sulla carta come il Disegno di Legge
Sacconi/Fucksia che vorrebbe ridurre il corpus legislativo del D.Lgs. 81/08
(306 articoli e 51 allegati) a soli 22 articoli e 5 allegati.
Accenniamo
oggi invece ad una proposta che sembra andare nella direzione contraria e che
vorrebbe arricchire il Testo Unico di un nuovo Titolo dedicato al tema dello
stress, della violenza e delle molestie in ambito lavorativo. Una proposta che
vuole aumentare l’attenzione su quello che in questi anni si può considerare un
rischio emergente, in termini di diffusione, anche con riferimento agli studi e
ricerche sui rischi e sul benessere organizzativo.
Per
parlare brevemente di questa proposta ci soffermiamo su un intervento al
convegno “Stress, molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti
preventivi, clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni possibili” organizzato
da AIBEL, ATS Milano e SNOP (Milano, 7 giugno 2016).
L’intervento
“Proposta di recepimento nel D.Lgs. 81/08 degli Accordi europei tra CES e organizzazioni
datoriali europee”, a cura del dottor Luigi Carpentiero (Coordinatore dello
Sportello Lavorativo di Medicina Democratica, Firenze e dell’Associazione
Italiana Benessere e Lavoro AIBeL) fa un breve excursus della
normativa/documentazione in materia e riporta alcuni commenti su novità, come
il “recepimento”, da parte delle principali parti sociali italiane, avvenuto il
25 gennaio 2016, dell’Accordo quadro sulle molestie e sulla violenza sul luogo
di lavoro firmato il 26 aprile 2007 dalle parti sociali europee.
Il
relatore indica che si è partiti con il recepimento della Direttiva Europea
89/391/CEE e altri passaggi successivi sono stati:
-
D.Lgs
626/94 e s.m.i. in cui si indica (articolo 4) che tutti i rischi vanno valutati
(dove il “tutti” fu aggiunto nel 2001 dopo la “condanna dell’Italia da parte
della Corte di Giustizia Europea”): in questo caso la valutazione dei rischi
psico-sociali rimaneva implicita in mancanza di riferimenti specifici; il
relatore fa poi cenno di alcuni commi nelle misure generali di tutela (articolo
3) che facevano riferimento all’organizzazione del lavoro e all’ergonomia e
all’articolo 8 bis, quello che prevedeva la formazione dell’RSPP anche sui
rischi psicosociali;
-
nascono
i primi Centri Clinici per il disadattamento lavorativo (il primo nasce nel 1998 a Milano);
-
viene
pubblicato il primo documento di indirizzo nazionale: il Consensus Document sul
mobbing del 2001;
-
l’agenzia
europea sulla salute e sicurezza sul lavoro lancia la prima settimana europea
nel 2002 (Lavorare con stress);
-
nel
2003 la stessa agenzia pubblica un corposo documento sulla prevenzione dello
stress, della violenza e del bullying sul lavoro;
-
viene
ratificato l’Accordo tra le parti sociali europee sullo stress nell’ottobre
2004;
-
viene
ratificato l’Accordo tra le parti sociali europee su violenza e molestie
nell’aprile 2007;
-
con
il varo del D.Lgs 81/08 e s.m.i. si è eliminato il concetto di fattori
psico-sociali operando in maniera riduzionistica per trattare separatamente
stress, violenza e molestie sul lavoro (nelle slide dell’intervento è riportato
un estratto dell’Articolo 28 del D.Lgs. 81/08.
La
relazione, che fa cenno anche al D.Lgs. 19/14 sul rischio sanitario, arriva
anche a ricordare il recente Accordo Confindustria-Sindacati su violenza e
molestie sul lavoro del 2016, che viene tuttavia considerato minimalista e
difficilmente applicabile.
Veniamo
infine alla proposta dell’Associazione italiana Benessere e Lavoro del 2015 di
recepire i due Accordi Europei del 2004 e del 2007 inserendo un nuovo titolo
nel D.Lgs. 81/08 con l’intento di ricomporre nella valutazione dell’intero
rischio organizzativo le problematiche di stress violenza e molestie sul
lavoro.
Questi
i due Accordi europei da recepire nel Testo Unico:
-
Accordo
Europeo dell’8 ottobre 2004
in materia di prevenzione dello stress lavoro correlato
tra organizzazioni sindacali e organizzazioni datoriali europee (European Trade
Union Confederation e European Association of Craft Small and Medium-Size
Enterprises);
-
Accordo
Europeo in materia di prevenzione della molestia, vessazione e violenza sul
lavoro del 26 aprile 2007 tra organizzazioni sindacali e organizzazioni
datoriali europee (European Trade Union Confederation e European Association of
Craft Small and Medium-Size Enterprises).
La
proposta dell’Associazione italiana Benessere e Lavoro prevede dunque di
inserire un Titolo VI bis (Stress Molestia e Violenza) che comprenda un Capo I
con le disposizioni generali e alcuni articoli.
L’articolo
167 bis dovrebbe prevedere il campo di applicazione:
“le
Norme del presente titolo si applicano a tutte le aziende e a tutti i
lavoratori come da definizione di cui all’articolo 2 del presente Decreto”;
e
le definizioni di stress lavoro correlato, molestia o vessazione, violenza,
patologie correlate allo stress, molestia e violenza.
L’articolo
168 bis presenterebbe gli obblighi del datore di lavoro:
“1.
Adottare un’organizzazione del lavoro che tenga conto dei principi
dell’ergonomia e che promuova il benessere psichico, fisico e sociale dei
lavoratori;
2.
Valutare il rischio stress lavoro correlato e quello da molestia e violenza”.
E
il datore di lavoro “a tal fine dovrà tenere obbligatoriamente conto del parere
dei lavoratori utilizzando gli strumenti più adeguati (questionari validati
dalla comunità scientifica, focus group, interviste semistrutturate) per la
rilevazione del disagio soggettivo individuale”.
Inoltre
il datore di lavoro dovrà:
-
adottare
le misure di prevenzione adeguate per quanto riguarda lo stress lavoro
correlato;
-
adottare
un sistema di monitoraggio in continuo del rischio molestia e violenza
consistente in una serie di misure;
mediante,
ad esempio:
-
adozione
di un Codice di Condotta;
-
nomina
di una commissione (o comitato) di garanzia (che sarà “composta preferibilmente
da un membro dell’ufficio risorse umane, con funzioni di coordinamento, dal
Responsabile del Servizio di Prevenzione e protezione o suo delegato, dal
Rappresentante dei Lavoratori alla Sicurezza e dal medico competente”): i
membri della commissione “sono tenuti a procedere con la necessaria discrezione
per difendere la dignità e la riservatezza di tutte le parti in causa,
valutando preliminarmente la possibilità di una mediazione del conflitto”.
Sarà
poi necessaria l’assunzione degli “opportuni provvedimenti anche di tipo
disciplinare fino, nei casi di particolare gravità, al licenziamento, nei confronti
dei dirigenti, preposti e lavoratori qualora la commissione” rilevi da parte
degli stessi, “gravi violazioni del codice di condotta”.
L’articolo
169 bis dovrebbe definire gli obblighi di Informazione e Formazione mediante:
-
informazione
e formazione a tutti i lavoratori (commi 1 e 2);
-
formazione
specifica al Rappresentante dei Lavoratori alla Sicurezza e agli altri membri
della Commissione (comma 3).
E,
infine, riguardo alla sorveglianza sanitaria, i lavoratori, secondo questa
proposta dell’articolo 169 bis, sarebbero
“sottoposti
alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, qualora non sia già
prevista per altri rischi di cui al presente Decreto, nelle seguenti
situazioni:
a)
quando dalla valutazione del rischio si evidenziano aree di criticità tali da
far ritenere non basso il rischio stress, molestia e violenza;
b)
quando si siano manifestate situazioni di disagio lavorativo trattate dalla
Commissione di cui al comma 3 dell’articolo 168 bis o sia stata denunciata la
presenza di malattia professionale correlata allo stress da parte del medico
competente, dell’organo di vigilanza della ASL territorialmente competente, di
un Centro Clinico per il disadattamento lavorativo o dell’INAIL”.
Tale
proposta di recepimento nel D.Lgs. 81/08 degli Accordi europei tra CES
(Confederazione Europea dei Sindacati) e Organizzazioni datoriali europee,
propone una sorveglianza sanitaria biennale.
Secondo
la proposta di modifica del D.Lgs. 81/08, per gli approfondimenti specialistici
sono necessarie le competenze dei Centri Clinici per il Disadattamento
Lavorativo che dovranno essere istituiti in ogni Regione presso le ASL o le
Aziende Ospedaliere Universitarie e dovranno essere strutturati avendo le
caratteristiche di uno specifico allegato che sarebbe aggiunto al Testo Unico.
Il
documento “Proposta di recepimento nel D.Lgs. 81/08 degli Accordi europei tra
CES e organizzazioni datoriali europee”, a cura del dottor Luigi Carpentiero
(Coordinatore dello Sportello Lavorativo di Medicina Democratica, Firenze e
dell’Associazione Italiana Benessere e Lavoro AIBeL), intervento al convegno
“Stress, molestie lavorative e organizzazione del lavoro: aspetti preventivi,
clinici e normativo-giuridici. Le soluzioni possibili” è scaricabile
all’indirizzo:
IMPARARE DAGLI
ERRORI: SE LE SALDATURE SONO EFFETTUATE IN QUOTA
Da:
PuntoSicuro
06
ottobre 2016
di
Tiziano Menduto
Un
esempio di infortunio in attività di saldatura con particolare riferimento al
rischio di caduta dall’alto. Le dinamiche degli infortuni, il lavoro in quota,
i dispositivi di protezione e i fattori di rischio nella saldatura metalli.
E
se dei rischi durante le saldature abbiamo già cominciato a parlare attraverso
due recenti puntate di “Imparare dagli errori”, la rubrica di PuntoSicuro
dedicata agli infortuni e alle malattie professionali, oggi ci soffermiamo in
particolare sul tema delle cadute dall’alto che possono avvenire in varie
attività di saldatura.
Ricordiamo
che i casi che presentiamo sono raccolti nell’archivio di schede di INFOR.MO.,
strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema
di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il
caso riguarda un infortunio avvenuto durante un’attività di manutenzione.
L’infortunato
si trova sulla piattaforma di un camion nel quale è stato montato un
apparecchio di sollevamento (granchio) ovvero un’attrezzatura per la presa, il
sollevamento e la movimentazione di rifiuti solidi.
Si
appresta ad effettuare una saldatura in manutenzione straordinaria, del sedile
del “granchio” che si è rotto.
L’operazione
viene svolta ad una altezza di 2,5 metri da terra. Prima di iniziare le
operazioni di saldatura il lavoratore si preoccupa di ripristinare “l’assetto”
normale del sedile e per far questo ancora un gancio su un montante del sedile
stesso e fissa l’estremità opposta della fune metallica cui il gancio era
collegato, ai denti del polipo.
Sale
sul sedile di manovra della gru e mette in tiro fune-gancio, muovendo il polipo
in avanti. Poiché questo movimento non è controllabile al centimetro, la messa
in tiro della fune-gancio provoca lo strappo del braccio di sostegno del sedile
alla colonna girevole provocando il parziale distacco del sedile stesso.
Il
sedile cade in basso lateralmente e il lavoratore che vi è seduto, senza
essersi agganciato la cintura di sicurezza, è sbalzato fuori precipitando al
suolo in prossimità della saldatrice e sbattendo la testa a terra.
Nell’impatto
con il suolo il lavoratore riporta un trauma cranico commotivo ed emorragia cerebrale.
A terra sono state ritrovate le bombole e il cannello per saldare e il casco di
protezione DPI. Sono intervenuti i sanitari del soccorso pubblico 118.
Il
lavoratore muore dopo due giorni dall’evento.
Il
lavoratore non aveva marcato il rientro pomeridiano sul cartellino delle
presenze; forse pensava di effettuare la riparazione in brevissimo tempo.
Questi
i fattori causali rilevati nella scheda:
-
il
lavoratore effettuava la saldatura a 2,5 metri da terra senza aver predisposto
protezione adeguata contro le cadute dall’alto;
-
ha
messo in tiro il sistema fune-gancio provocando il parziale distacco del
braccio di sostegno del sedile alla colonna girevole.
Nei
vari documenti dedicati ai rischi degli operatori impegnati in attività di
saldatura raramente si parla esaurientemente dell’eventuale rischio di caduta dall’alto,
correlato alle particolari situazioni operative e manutentive a cui l’operatore
può essere soggetto.
Per
ricavare qualche indicazione sulle cadute dall’alto e sui lavori in quota
possiamo sfogliare una delle schede realizzate dal Sistema di sorveglianza
nazionale degli infortuni mortali, dal titolo “Scheda n.2: le cadute dall’alto
dei lavoratori” a cura di Colazzo, Cuteri, Martini, Sciarrone, Campo,
Guglielmi, Nava, Santia.
Nel
documento si ricorda innanzitutto che per lavoro in quota si intende
un’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una
quota posta ad altezza superiore a 2
m rispetto ad un piano stabile. E nei casi in cui non
sia possibile eseguire i lavori temporanei in quota in condizioni di sicurezza
e in condizioni ergonomiche adeguate è necessario scegliere le attrezzature di
lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità
ai seguenti criteri a prescindere dalla modalità specifica dell’incidente:
-
priorità
alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione
individuale;
-
dimensioni
delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire,
alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi;
-
scelta
del tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in
quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata
dell’impiego.
In
particolare le attrezzature di lavoro utilizzate per i lavori in quota devono
essere confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni
prevedibili al fine di consentire una circolazione priva di rischi. Si devono
inoltre individuare le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori,
insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario,
l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute.
Come
sappiamo i saldatori sono tuttavia soggetti anche a molti altri i rischi.
Per
ricordarne alcuni possiamo fare riferimento ad un documento approvato con il
Decreto n. 10033 del 9 novembre 2012 della Direzione Generale Sanità della
Regione Lombardia.
Il
documento “Vademecum per il miglioramento della sicurezza e della salute dei
lavoratori nelle attività di saldatura metalli” affronta vari fattori di
rischio della saldatura di metalli.
Ad
esempio radiazioni non ionizzanti e campi elettromagnetici, rischi
microclimatici, rischio rumore, rischi correlati alla movimentazione manuale
dei carichi e alla movimentazione dei carichi con macchine, incendio ed
esplosione, organizzazione del lavoro ed igiene, ecc.
Nel
documento vengono fornite informazioni sui dispositivi individuali di
protezione.
Ci
soffermiamo in particolare sui rischi correlati al rumore e al microclima.
In
particolare il microclima è un fattore di rischio non trascurabile, in
particolare durante la stagione estiva, correlato al tipo di lavorazione che
richiede il raggiungimento di alte temperature in ambienti spesso ristretti e
talora con ventilazione e aspirazione inadeguate. La produzione di calore, in
particolare di elevatissime temperature localizzate nella vicinanza del punto
di saldatura è caratteristica sostanzialmente comune delle tecniche a gas, ad
arco elettrico, al plasma e al laser.
Il
documento fornisce alcune indicazioni:
-
nel
reparto di saldatura è necessario assicurare una sufficiente aerazione naturale
diretta dell’ambiente, realizzando il maggior numero possibile di superfici
fenestrate apribili, sia laterali che a soffitto; l’aerazione naturale dovrebbe
essere comunque integrata da impianti di ricambio forzato dell’aria che non
devono comunque entrare in contrasto con i sistemi di aspirazione localizzata;
-
durante
la stagione estiva in certi casi può risultare opportuna l’adozione di
particolari precauzioni per assicurare un adeguato assorbimento di acqua e sali
minerali.
Infine
riguardo al rumore si segnala che nelle lavorazioni di saldatura l’origine del
rumore è riconducibile in buona parte alla combustione della miscela gassosa
emessa ad alta pressione dal cannello nella saldatura a fiamma ossiacetilenica;
allo scoccare dell’arco elettrico, alla fuoriuscita del plasma dall’ugello
(sibilo caratteristico) nelle altre tipologie. Nel documento vengono descritte
altre sorgenti di rumore e alcuni esempi di livelli di esposizione quotidiana
dei lavoratori.
Questi
i principali interventi mirati al controllo e riduzione del rischio specifico:
-
acquisto
di macchine meno rumorose;
-
regolare
manutenzione delle macchine mirata alla sostituzione/manutenzione di componenti
soggette ad usura;
-
diminuzione
degli urti dei prodotti rigidi tra loro e con i recipienti di raccolta, ad
esempio diminuendo l’altezza di caduta e insonorizzando con materiale smorzante
i contenitori;
-
controllo
dell’emissione sonora degli impianti di aspirazione e ventilazione mediante
regolare manutenzione; eventuale insonorizzazione degli stessi;
-
previsione
di eventuale rotazione del personale;
-
fornitura
di idonei DPI;
-
informazione
e formazione i lavoratori sui rischi derivanti dall’ esposizione a rumore.
Il
link del sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato la
scheda numero 2586 (archivio incidenti 2002/2010), è:
Il
documento del Sistema di sorveglianza nazionale degli infortuni mortali, dal
titolo “Scheda n.2: le cadute dall’alto dei lavoratori” è scaricabile
all’indirizzo:
Il
documento “Vademecum per il miglioramento della sicurezza e della salute dei
lavoratori nelle attività di saldatura metalli” della Direzione Generale Sanità
della Regione Lombardia è scaricabile all’indirizzo:
COSA PRESCRIVE LA NORMATIVA IN MATERIA
DI ALCOL E TOSSICODIPENDENZA
Da:
PuntoSicuro
10
ottobre 2016
Un
volume dedicato alle Piccole e Medie Imprese e al mondo dell’artigianato
riepiloga la normativa in materia di salute e sicurezza. Focus sulla normativa
in materia di alcol e tossicodipendenza: i divieti, i rischi, i test e la
sorveglianza sanitaria.
Più
volte si è ricordato come l’assunzione di alcol e sostanze stupefacenti di un
lavoratore costituisca un pericoloso fattore di rischio aggiuntivo rispetto ai
rischi lavorativi già presenti. Un rischio che può minare anche la salute e la
sicurezza dei colleghi e di terze persone presenti nei luoghi di lavoro.
Proprio
per questo motivo e in attesa della futura nuova intesa, relativa agli “Indirizzi
per la prevenzione di infortuni gravi e mortali correlati all’assunzione di
alcolici e di sostanze stupefacenti, l’accertamento di condizioni di alcol
dipendenza e di tossicodipendenza e il coordinamento delle azioni di
vigilanza”, vediamo di riassumere alcuni aspetti normativi vigenti sul tema alcol
e tossicodipendenza.
Per
farlo sfogliamo le pagine del volume “Salute e Sicurezza nelle imprese
artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”, realizzato
dall’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia (OPRA
Lombardia) e dai vari Organismi Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA), che
rappresenta uno strumento di consultazione in grado di favorire una corretta
applicazione delle disposizioni di legge.
Nel
capitolo dedicato all’alcol e alle tossicodipendenze sono riportati
innanzitutto alcuni riferimenti normativi.
Si
ricorda che l’articolo 5 (Disposizioni generali) della Direttiva 89/391/CEE del
Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere
il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il
lavoro, prevede che il Datore di Lavoro è obbligato a garantire la sicurezza e
la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro.
E
in relazione al fatto che gli effetti delle sostanze psicotrope amplificano i
rischi insiti nell’attività lavorativa, si sottolinea che l’obbligo generale
indelegabile del Datore di Lavoro di valutare tutti i rischi lavorativi
(articoli 17 e 28 del D.Lgs. 81/08) include anche le eventuali interazioni dei
rischi presenti in ambiente di lavoro con quelli derivanti da errate abitudini
personali dei lavoratori, come l’assunzione di alcol e sostanze stupefacenti.
Il
documento si sofferma poi sulla dipendenza da alcol e segnala che il D.Lgs.
81/08 prevede (articolo 41, comma 4) che le visite preventive, periodiche e in
occasione del cambio di mansione, siano “nei casi ed alle condizioni previste
dall’ordinamento... altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni
di alcol dipendenza...”.
Si
indica che all’interno dell’Allegato I del Provvedimento 16 marzo 2006
(relativo all’Intesa in materia di individuazione delle attività lavorative che
comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza,
l’incolumità o la salute dei terzi, ai fini del divieto di assunzione e di
somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche) sono indicate le
attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro
ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi, e per le quali va
prevista la sorveglianza sanitaria specifica di cui sopra, tra cui (ad
esempio):
-
addetti
alla guida di veicoli stradali per i quali è richiesto il possesso della
patente di guida categoria B, C, D, E, e quelli per i quali è richiesto il
certificato di abilitazione professionale per la guida di taxi o di veicoli in
servizio di noleggio con conducente;
-
addetti
alla guida di macchine di movimentazione terra e merci (carrelli elevatori);
-
lavoratori
addetti ai comparti della edilizia e delle costruzioni e tutte le mansioni che
prevedono attività in quota, oltre i due metri di altezza.
Parliamo
ora di tossicodipendenza.
Si
segnala a tale proposito l’Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della
legge 5 giugno 2003, n. 131,
in materia di accertamento di assenza di
tossicodipendenza ratificata dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni il 30
ottobre 2007. Un’intesa che prevede controlli periodici, sull’eventuale uso di
sostanze stupefacenti o psicotrope, a garanzia della salute e della sicurezza
dei lavoratori con mansioni che possono comportare rischi per sé o per i
cittadini, su specifiche categorie di mansioni lavorative.
L’intesa,
che di fatto attua le previsioni previste in tal senso dall’articolo 125 del
D.P.R. 309/90, prevede l’effettuazione di test antidroga a garanzia della
salute e sicurezza dei lavoratori e dei cittadini utenti, esposti al rischio di
incidenti gravi e mortali dovuti alla pericolosa condizione di alterazioni per
assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope da parte degli stessi
lavoratori. Tali controlli, i cui costi sono a carico del Datore di Lavoro,
prevedono sia visite mediche che esami di laboratorio.
In
particolare il provvedimento si propone di:
-
assicurare
una efficace prevenzione degli infortuni e degli incidenti, mediante la
sospensione temporanea del lavoratore risultato positivo agli accertamenti
sanitari;
-
favorire
il recupero della tossicodipendenza del lavoratore attraverso idonei programmi
di riabilitazione aventi l’obbiettivo di reintegrare il lavoratore alle sue
vecchie mansioni;
-
evitare
il passaggio da un uso saltuario di droghe a uno stato di tossicodipendenza,
prevedendo controlli specifici e periodici.
Il
documento sottolinea poi che non vi è nessun licenziamento per i lavoratori in
difficoltà che accettino il percorso di riabilitazione. Infatti, in caso di
positività degli accertamenti sanitari, l’accordo prevede che il Datore di
Lavoro è tenuto a sospendere il lavoratore dall’espletamento delle mansioni, ma
se lo stesso accetta di sottoporsi a percorsi di recupero, fornisce ampie garanzie
della conservazione del posto di lavoro.
Il
documento si sofferma poi sui vari rischi per la salute del lavoratore
correlati all’assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope, anche abitudinaria
o saltuaria, e ricorda, ad esempio, che l’interazione dell’alcol con alcune
sostanze chimiche può alzare il rischio di malattie professionali. Ad esempio,
il consumo di alcol associato all’esposizione a metalli, a pesticidi o a solventi
può provocare danni al fegato e al sistema nervoso, mentre se associate alle
basse temperature le bevande alcoliche possono provocare patologie da
raffreddamento e se consumate nel corso di attività rumorose possono essere
fonte di danni all’apparato uditivo.
Si
segnalano, in conclusione, anche gli obblighi relativi alla sorveglianza
sanitaria.
Si
indica che la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente, di
norma con periodicità annuale. E qualora il medico competente ravvisi la
necessità che un lavoratore (appartenente alle categorie di cui all’Intesa
sopra citata) sia sottoposto ad ulteriori accertamenti sanitari per verificare
un’eventuale stato di tossicodipendenza, invia il lavoratore stesso al Servizio
per le Tossicodipendenze della ASL competente per territorio. Nel caso in cui
il lavoratore non si sottoponga all’accertamento, senza giustificato motivo, il
Datore di Lavoro è tenuto a farlo cessare dall’espletamento delle mansioni per
le quali l’accertamento è previsto, fino a che non venga accertata l’assenza di
tossicodipendenza.
Il
documento dell’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia,
“Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e
cosa si deve fare” del 2014 è scaricabile all’indirizzo:
IMPARARE DAGLI
ERRORI: LA CADUTA DI
MATERIALI DALL’ALTO
Da:
PuntoSicuro
13
ottobre 2016
di
Tiziano Menduto
Esempi
di infortuni correlati al mancato o errato uso di dispositivi di protezione
della testa. Le conseguenze delle cadute di materiali dall’alto in assenza di
casco protettivo. La dinamica degli infortuni e le informazioni sui dispositivi
di protezione.
Una
delle cose che più frequentemente possono capitare in diverse attività
lavorative, ad esempio in edilizia, è la caduta di materiali dall’alto e al di
là della necessaria prevenzione di queste cadute, sicuramente uno strumento per
evitare o ridurre la gravità degli infortuni correlati è il casco o elmetto di
protezione.
Ricordiamo,
a questo proposito, che un’analisi svolta sui casi di incidenti (2008-2012) in
INFOR.MO., strumento correlato al sistema di sorveglianza degli infortuni
mortali e gravi, mostra come le cadute dall’alto di gravi rappresentino poco
meno di un quinto (16,8%) di tutti gli eventi incidentali mortali presenti in
INFOR.MO. nel periodo. E i principali settori di attività economica interessate
dalle cadute dall’alto dei gravi sono le costruzioni (35,1%), il comparto manifatturiero
(29,6%) e il comparto agricolo (16,8%).
Riprendiamo
dunque il nostro viaggio di “Imparare dagli errori”, la rubrica che PuntoSicuro
dedica al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, attraverso le
conseguenze relative all’uso errato o mancato uso dei Dispositivi di Protezione
Individuale (DPI) nei luoghi di lavoro. E torniamo anche a parlare di protezione
della testa con particolare riferimento al rischio di cadute dall’alto di
gravi.
Segnaliamo
che le dinamiche degli infortuni presentati sono tratte proprio dalle schede di
INFOR.MO.
Il
primo caso riguarda un infortunio avvenuto in un cantiere durante i lavori di
ripuntellatura delle pareti divisorie all’interno di un convento.
I
lavori consistevano nella rimozione a strappo dei mattoni degradati della
parete, con successiva ricucitura di nuovi mattoni e malta cementizia. Aderente
alla parete era presente una cornice verticale (colonna in mattoni) che fungeva
da appoggio, assieme ad un’altra cornice verticale sulla parete opposta, alla
cornice orizzontale di irrigidimento del sovrastante piano. Le 3 cornici
caricavano il loro peso sulla volta sottostante. Per effetto della rimozione di
mattoni di appoggio della cornice verticale, la stessa si staccava dalla parete
e sfondava la volta, precipitando al piano sottostante. La cornice orizzontale
(in laterizio e cemento) conseguentemente, rimanendo priva di appoggio, cadeva
sul piano della stanza colpendo il lavoratore alla testa.
L’operazione
di ripuntellatura della muratura, prima di essere effettuata, richiedeva la
puntellatura della parete e della volta sottostante (con idonee opere
provvisionali) che all’atto dell’infortunio non era stata eseguita.
Dalle
testimonianze raccolte, si evidenzia che l’infortunato non indossava il casco.
Questi
i fattori causali individuati dalla scheda:
-
mancata
puntellatatura dal basso della parete e della volta;
-
la
rimozione dei mattoni di appoggio alla base della cornice verticale;
-
mancato
uso del casco.
Il
secondo caso riguarda un infortunio avvenuto in un cantiere in cui sono in
corso lavori di manutenzione straordinaria di un edificio.
Un
operaio, che lavora insieme ad un suo collega, dopo aver trasportato con un
autocarro alcune reti metalliche elettrosaldate (dimensione 2 metri per 4 metri), le va a scaricare
senza l’ausilio di aiuto, ma servendosi di una gru a torre e di un tondino di
ferro ripiegato alle estremità così adattato a gancio.
Durante
l’operazione di scarico, le reti vanno a toccare il cavo elettrico aereo che
attraversa il cantiere e il gancio deformandosi le lascia cadere. Le reti
colpiscono il lavoratore (frattura cranio) che si trova sotto il carico sospeso.
Il
lavoratore non faceva uso del casco.
I
fattori causali dell’infortunio indicano che il lavoratore infortunato:
-
usa
un ferro piegato come gancio per il sollevamento;
-
si
posiziona sotto il carico sospeso;
-
mentre
solleva le reti con la gru, intercetta il cavo elettrico aereo:
-
non
usa il casco.
Per
conoscere più da vicino i DPI per la protezione del capo possiamo riprendere
quanto indicato in un documento, dal titolo “Dispositivi di protezione
individuale”, realizzato dall’ingegner Daniele Galoppa (INAIL) e pubblicato sul
sito dell’Ente Scuola Edile di Cosenza.
Il
documento ricorda che i DPI vanno usati quando i rischi non possono essere
evitati o sufficientemente ridotti da:
-
misure
tecniche di prevenzione;
-
mezzi
di protezione collettiva;
-
misure
o procedimenti di organizzazione del lavoro.
E
riguardo agli elmetti di protezione il documento indica che:
-
gli
elmetti sono formati da un guscio esterno e da un rivestimento interno;
-
il
guscio esterno può essere in materiale plastico resistente (policarbonato
termoplastico, polietilene HD) o rinforzato (in fibre di vetro) o metallico
(alluminio o lega leggera);
-
il
rivestimento interno è formato dalle fasce portanti, dalla fascia perimetrale,
dalla fascia posteriore, dalla fascia antisudore e dall’imbottitura interna.
E
i requisiti obbligatori degli elmetti di protezione sono:
-
assorbimento
degli urti;
-
resistenza
alla penetrazione (dei solidi);
-
resistenza
alla fiamma;
-
ancoraggi
del sottogola;
-
etichetta.
La
norma di riferimento dei DPI del capo è la UNI EN 397:2013 che definisce le caratteristiche
costruttivi e i requisiti essenziali di resistenza degli elmetti al fine della
protezione da alcuni rischi specifici: caduta di oggetti, lacerazioni, fiamme
libere e dal possibile rischio di intrappolamento e soffocamento conseguente
all’uso della cinghia sottogola. Tali elmetti sono ritenuti idonei per lavori
in edilizia, in fossati, apparecchi di sollevamento, ecc.
Ogni
elmetto deve avere un marchio stampato o impresso che riporti le seguenti
indicazioni:
-
il
numero della norma europea EN 397;
-
il
nome o la marca del fabbricante;
-
l’anno
e il trimestre di fabbricazione;
-
il
tipo di elmetto;
-
la
taglia o la scala taglie.
Indicazioni
complementari, quali le istruzioni o raccomandazioni di regolazione, di
montaggio, di uso, di lavaggio, di disinfezione, di manutenzione e di
stoccaggio, sono specificate nel foglietto di utilizzo.
Ricordiamo
che la norma UNI EN 397:2013, relativa agli elmetti di protezione per
l’industria, versione ufficiale della norma europea EN 397:2012+A1:2012, sostituisce la norma UNI EN 397:2012
e indica che gli elmetti di protezione per l’industria sono destinati
essenzialmente a proteggere l’utilizzatore da oggetti in caduta e dalle lesioni
cerebrali e fratture del cranio che possono derivarne.
Il
link del sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo abbiamo presentato le
schede numero 648 e 255 (archivio incidenti 2002/2010), è:
Il
documento “Dispositivi di protezione individuale”, realizzato dall’ingegner
Daniele Galoppa (INAIL) e pubblicato sul sito dell’Ente Scuola Edile di Cosenza
è scaricabile all’indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131220_Inail_slide_DPI.pdf
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