NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
GUIDA ALLA SICUREZZA DEI CANTIERI: RUOLO
E RESPONSABILITA’ DEL COMMITTENTE
La presente
guida elenca, in maniera sintetica, gli obblighi a carico del Committente di
qualunque cantiere, secondo quanto disposto dal Titolo IV del D.Lgs. 81/08
(Decreto).
Per cantiere
(“cantiere temporaneo o mobile”) il Decreto intende (articolo 89, comma 1,
lettera a)) qualunque luogo in cui si effettuano i seguenti lavori edili o di
ingegneria civile:
-
lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione,
ristrutturazione, equipaggiamento, smantellamento di opere fisse, permanenti o
temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri
materiali, comprese le parti strutturali di linee e impianti elettrici, gli
scavi, e il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per
la realizzazione di lavori edili (ad esempio ponteggi), ecc.
Chiunque decide di avviare un cantiere cioè costruire una nuova opera
edile o di intervenire su una esistente con lavori di ampliamento, riparazione,
manutenzione (anche di piccola entità) e installazione impianti, cioè il soggetto per conto del quale l’opera viene realizzata assume secondo
il D.Lgs.81/08 il ruolo di Committente (articolo 89, comma 1, lettera b)).
Nel processo di realizzazione di un’opera il Committente è il primo anello
della catena che riguarda la sicurezza, in quanto ha potere decisionale e di
spesa.
Questi due
poteri gli impongono di scegliere i professionisti coinvolti (progettisti,
direttore dei lavori, responsabile dei lavori, coordinatore in fase di
progettazione e coordinatore in fase di esecuzione), le imprese esecutrici
dell’opera in base alle qualifiche tecnico-professionali, non in base a un
criterio prettamente economico, ma in maniera finalizzata alla salvaguardia
della salute e della sicurezza dei lavoratori (e dei soggetti terzi) coinvolti.
Il
Committente, in quanto parte attiva nella catena di realizzazione dell’opera è
posto nella posizione di “primo responsabile” per quanto riguarda la sicurezza
nei cantieri, quindi soggetto agli obblighi stabiliti dal Decreto (articolo 90)
e alle relative sanzioni.
Il Decreto dà
al Committente la possibilità, nel caso in cui egli non abbia le capacità
tecniche o non voglia gestire in prima persona i lavori, di nominare,
preferibilmente tramite una delega formale scritta, un Responsabile dei Lavori
(RL).
Il Committente ha comunque il dovere non delegabile di controllo
sull’operato del RL.
Come figura cardine della sicurezza nei cantieri, il Committente (o il
RL) deve attenersi alla normativa vigente (il D.Lgs. 81/08) nelle varie fasi
del processo del cantiere.
FASE DI PROGETTAZIONE DELL’OPERA
Il
Committente (o il RL) deve considerare la sicurezza dei lavoratori definendo le
modalità e i tempi di realizzazione dell’opera da eseguire (articolo 90, comma
1, lettera a) del Decreto).
Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più
imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente (o il RL),
contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione al Progettista,
designa il Coordinatore in materia di Sicurezza e di salute durante la Progettazione
(CSP) (articolo 90,
comma 3 del Decreto).
La mancata nomina del CSP, ove dovuto, è reato penale sanzionabile ai
sensi del D.Lgs.81/08.
Il CSP deve
essere un professionista con titolo di studio, esperienza e formazione
specifica, come indicato nel Decreto (articolo 98).
Ruolo del CSP è la redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC)
e del Fasciolo dell’Opera (FO) e il coordinamento nella definizione delle modalità e dei tempi di
realizzazione dell’opera da eseguire assieme al Committente (o al DL) e al
Progettista (articolo 91 del Decreto).
Il PSC deve
contenere almeno (allegato XV del Decreto):
-
identificazione
e la descrizione dell’opera (indirizzo, contesto, descrizione sintetica);
-
individuazione
dei soggetti con compiti di sicurezza;
-
analisi e
valutazione dei rischi;
-
scelte
progettuali e organizzative, procedure, misure preventive e protettive;
-
prescrizioni
operative, misure preventive e protettive e dispositivi di protezione individuale,
in riferimento alle interferenze tra le lavorazioni;
-
misure di
coordinamento relative all’uso comune di attrezzature, infrastrutture, ecc.;
-
modalità
organizzative della cooperazione e del coordinamento fra datori di lavoro e
lavoratori autonomi;
-
organizzazione
prevista per il servizio di gestione delle emergenze;
-
durata
prevista delle lavorazioni, delle fasi di lavoro (cronoprogramma dei lavori);
-
stima dei
costi della sicurezza.
Il FO deve
contenere almeno (allegato XV del Decreto):
-
descrizione
sintetica dell’opera e l’indicazione dei soggetti coinvolti;
-
individuazione
dei rischi, delle misure preventive e protettive in dotazione dell’opera per
gli interventi successivi sull’opera;
-
riferimenti
alla documentazione di supporto.
La mancata redazione del PSC e del FO prevede la sospensione del Titolo
Abilitativo.
Il Committente o il RL deve
condividere con il CSP e con il Progettista le scelte di sicurezza che dovranno
concretizzarsi nei piani che il CSP deve predisporre: il PSC da applicare nelle
attività di cantiere e il FO da usare per gli interventi di manutenzione futuri
(articolo 90, comma 2 del Decreto).
PRIMA
DELL’AFFIDAMENTO DEI LAVORI
Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più
imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente (o il RL),
contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione al Progettista,
designa il Coordinatore della Sicurezza per l’Esecuzione dei lavori (CSE) (articolo 90, comma 4 del Decreto).
La mancata nomina del CSE, ove dovuto, è reato penale sanzionabile ai
sensi del D.Lgs.81/08.
Il CSE deve
essere un professionista con titolo di studio, esperienza e formazione
specifica, come indicato nel Decreto (articolo 98).
Ruolo del CSE è la verifica della corretta applicazione da parte delle
imprese esecutrici di quanto disposto nel PSC, la verifica del Piano Operativo
di Sicurezza (POS) redatto dalle imprese (vedi dopo), il coordinamento delle
attività delle varie imprese, la segnalazione al Committente (o al DL) le
inosservanze commesse dalle imprese (articolo 92 del Decreto).
Il POS è il
documento che il datore di lavoro dell’impresa esecutrice redige,
in riferimento al cantiere (articolo 96, comma 1, lettera g) del Decreto) e
consegna al CSE.
Il POS deve contenere almeno (allegato XV del Decreto):
-
dati identificativi dell’impresa esecutrice
(nominativo del datore di lavoro, gli indirizzi e i riferimenti telefonici, la
specifica attività e le singole lavorazioni svolte in cantiere, i nominativi
delle figure della sicurezza, il numero e le relative qualifiche dei
lavoratori);
-
specifiche mansioni, inerenti la sicurezza, svolte
da ogni figura nominata allo scopo dall’impresa;
-
descrizione dell’attività di cantiere, delle
modalità organizzative e dei turni di lavoro;
-
elenco delle opere provvisionali, delle macchine e
degli impianti utilizzati;
-
elenco delle sostanze e miscele pericolose utilizzate;
-
esito del rapporto di valutazione del rumore;
-
individuazione delle misure preventive e
protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC;
-
procedure complementari e di dettaglio, richieste
dal PSC quando previsto;
-
elenco dei dispositivi di protezione individuale;
-
documentazione in merito all’informazione ed alla
formazione fornite ai lavoratori.
Il Committente
(o il RL), se prevista la nomina del CSP o del CSE, trasmette il PSC a tutte le
imprese invitate a presentare offerte per l’esecuzione dei lavori. Il PSC è
parte integrante del contratto di appalto (articolo 101 del Decreto).
Il mancato invio del PSC alle imprese, ove dovuto, è reato penale
sanzionabile.
Il Committente
o il RL comunica alle imprese esecutrici i nominativi del CSP e del CSE. Tali
nominativi devono essere indicati nel cartello di cantiere (articolo 90, comma
8 del Decreto).
La mancata comunicazione dei nominativi del CSP e del CSE alle
imprese, ove dovuto, è reato penale sanzionabile.
Il
Committente (o il RL) (anche nel caso di singola impresa esecutrice) verifica
l’idoneità tecnico professionale delle imprese o dei lavoratori autonomi che
eseguiranno il lavoro richiesto attraverso il controllo dei documenti riportati
di seguito (articolo 90, comma 9 del Decreto).
Per la
verifica dell’idoneità tecnico professionale le imprese esecutrici devono
consegnare al Committente (o al RL):
-
l’iscrizione
alla CCIAA (Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura) con oggetto
sociale inerente la tipologia dell’appalto;
-
il DURC
(Documento Unico di Regolarità Contributiva);
-
l’autocertificazione
sul possesso dei requisiti tecnico professionali;
-
la
dichiarazione di Organico Medio Annuo distinto per qualifica corredato dei
riferimenti INPS, INAIL e Cassa Edile;
-
la
dichiarazione del Contratto Collettivo Nazionale applicato ai Lavoratori
dipendenti;
-
il DVR
(Documento di Valutazione dei Rischi);
-
la
dichiarazione di non essere oggetto di provvedimenti interdittivi o di
sospensione dell’attività imprenditoriale.
Per la verifica dell’idoneità
tecnico professionale i lavoratori autonomi devono consegnare al Committente o
al RL:
-
l’iscrizione
alla CCIAA (Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura) con oggetto
sociale inerente la tipologia dell’appalto;
-
il DURC
(Documento Unico di Regolarità Contributiva);
-
la dichiarazione
circa la conformità delle attrezzature, macchine e opere provvisionali usate;
-
l’elenco dei
DPI in dotazione;
-
attestati di
formazione e di idoneità sanitaria.
La mancata verifica della idoneità tecnico professionale delle imprese
e/o dei lavoratori autonomi appaltati è reato penale sanzionabile.
PRIMA
DELL’INIZIO DEI LAVORI
Nel caso in
cui si è di fronte ad un lavoro di almeno 200 uomini-giorno, anche se c’è una
sola impresa il Committente (o il RL) deve inviare la Notifica Preliminare
all’AUSL e alla Direzione Territoriale del Lavoro (articolo 99 del Decreto).
Il mancato invio della Notifica Preliminare è reato penale sanzionabile.
Il
Committente (o il RL) deve trasmettere all’Amministrazione concedente
(solitamente al Comune) la
Notifica Preliminare, il DURC e una
dichiarazione che attesti la verifica dell’idoneità di ciascuna impresa.
La mancata consegna della documentazione comporta la sospensione del
Titolo Abilitativo.
Nel caso che
dopo l’affidamento dei lavori ad un’unica impresa, l’esecuzione dei lavori o di
parte di esse sia affidata a due o più imprese il Committente o il RL deve di
conseguenza nominare il CSE (articolo 90, comma 5 del Decreto).
La mancata nomina del CSE, ove dovuto, è reato penale sanzionabile.
DURANTE I
LAVORI
Il Committente
(o il RL) deve verificare che il CSE svolga correttamente il suo lavoro
(articolo 93, comma 2 del Decreto).
AL TERMINE DEI
LAVORI
Il Committente
(o il RL) controfirmano il verbale di termine lavori redatto dal Direttore dei
Lavori.
Il Committente
(o il RL) acquisiscono il FO dal CSP, come eventualmente modificato dal CSE.
Marco Spezia
ingegnere e
tecnico della salute e sicurezza sul lavoro
LAVORO: APPROVATA LA STRETTA SUI VOUCHER
Da
Studio Cataldi
27/09/16
di
Marina Crisafi
Lavoro:
approvata la stretta sui voucher
Via
libera definitivo del Governo al decreto correttivo per il Jobs Act
Voucher
tracciabili con obblighi di comunicazione almeno 60 minuti prima dell’avvio
delle prestazioni occasioni, via sms e e-mail, con sanzioni per chi non
ottempera fino a 2.400 euro per ciascun lavoratore. E’ questa la stretta da
tempo annunciata che ha ricevuto il via libera definitivo ieri da parte del
Consiglio dei Ministri in un decreto correttivo del Jobs Act.
Tra
le altre novità che hanno trovato spazio nel provvedimento approvato ieri
rilevano anche: il rifinanziamento degli ammortizzatori, l’incremento della
NASPI a favore dei lavoratori stagionali e la possibilità di trasformare i contratti
di solidarietà da difensivi ad espansivi.
Il
decreto legislativo, composto da sei articoli di integrazione e correzione dei
Decreti Legislativi n. 81/16, n. 148/15, n. 149/15, n. 150/15 e n. 151/15,
andrà ora alla firma del Presidente della Repubblica per poi essere pubblicato
in Gazzetta Ufficiale ed entrare in vigore il giorno successivo.
Ecco,
nel dettaglio, le novità.
VOUCHER
TRACCIABILI
Professionisti
e imprenditori non agricoli che ricorrono al lavoro accessorio dovranno comunicare
almeno 60 minuti prima dell’inizio delle prestazioni occasionali di lavoro
accessorio, alla sede territoriale competente dell’Ispettorato nazionale del
lavoro, con sms o email, i dati anagrafici del lavoratore (o il codice
fiscale), il luogo, il giorno e la durata (comprensiva di ora d’inizio e di
fine) della prestazione.
La
ratio della novella è quella di garantire la piena tracciabilità dei buoni
lavoro al fine di contrastarne l’utilizzo irregolare ed è attuata “mutuando (si
legge nel comunicato del Governo) la procedura già utilizzata per tracciare il
lavoro intermittente”. Una finalità che spiega anche la severità delle sanzioni
che, analogamente a quelle previste per il lavoro intermittente, prevedono in
caso di violazione degli obblighi di comunicazione una sanzione amministrativa
da 400 fino a 2.400 euro per ogni lavoratore per cui la comunicazione stessa è
stata omessa.
Inoltre,
chi fa ricorso ai voucher potrà ritrovarsi gli ispettori in azienda, atteso
che, nella programmazione annuale, le Direttive del Ministro del lavoro
conterranno indirizzi specifici per la vigilanza dei buoni.
AGRICOLI
Gli
imprenditori agricoli che decidono di ricorrere al lavoro accessorio, dovranno
effettuare la comunicazione con le stesse modalità (indicando dati anagrafici o
codice fiscale del lavoratore, luogo e durata della prestazione) e nello stesso
termine degli altri committenti, con riferimento a un arco temporale non
superiore a tre giorni (la versione precedente del provvedimento prevedeva 7
giorni). Si tiene conto delle specificità del lavoro agricolo e delle
difficoltà di prevedere anticipatamente il numero esatto di lavoratori da
utilizzare.
STAGIONALI
Vengono
stanziati, inoltre, 135 milioni per il biennio 2016-2017 (57 milioni per il
2016 e 78 per il 2017) con il fine di potenziare la nuova indennità di
disoccupazione (NASPI) per i lavoratori stagionali dei settori del turismo e
degli stabilimenti termali. Chi ha lavorato almeno tre anni su quattro
usufruendo di 6 mesi di indennità avrà un mese di sussidio aggiuntivo fino a un
massimo di 4 mesi.
Secondo
la relazione tecnica sono circa 88.000 i lavoratori interessati dalla misura.
CONTRATTI
DI SOLIDARIETA’
Il
provvedimento approvato ieri va ad integrare anche il D.Lgs. 148/15 prevedendo
che i contratti di solidarietà “difensivi” (finalizzati alla gestione degli
esuberi) potranno essere trasformati in “espansivi” in modo da “favorire
l’incremento degli organici e l’inserimento di nuove e più aggiornate
competenze”.
La
trasformazione potrà riguardare i contratti di solidarietà in corso da almeno
un anno, nonché quelli stipulati prima dell’1 gennaio 2016, a patto che non venga
prevista una riduzione d’orario superiore a quella concordata.
AMMORTIZZATORI
Per
i lavoratori delle imprese delle cosiddette aree di crisi complessa (che
cessano di godere dell’integrazione straordinaria nel periodo luglio/dicembre
2016), la cassa integrazione straordinaria può essere prorogata, fino a un
massimo di 12 mesi, una volta esaurita a causa dei nuovi limiti fissati dal
Jobs Act.
A
tal fine sono stati stanziati 216 milioni di euro. Le imprese però potranno
accedere alla misura a patto che presentino “un piano di recupero occupazionale
che prevede appositi percorsi di politiche attive del lavoro, concordati con la Regione, e finalizzati
alla rioccupazione dei lavoratori”.
La
relazione tecnica del provvedimento spiega che oggi nelle aree di crisi
individuate sono oltre 11.000 i lavoratori che beneficiano del trattamento di
integrazione straordinaria con un onere mensile di circa 1.600 euro ciascuno.
Dal
provvedimento approvato (rispetto alla versione precedente) è scomparso,
invece, per paura di incorrere in un eccesso di delega, il riferimento ai 150
milioni da destinare alla prestazione di sostegno al reddito di 500 euro al
mese per i lavoratori licenziati ad esito di un programma di CIGS o in deroga
dalle imprese nelle aree industriali di crisi individuate.
Infine,
viene disposto che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano
potranno utilizzare fino al 50% delle risorse assegnate per la mobilità e la
cassa in deroga. Sinora le amministrazioni regionali potevano aumentare i 3
mesi di durata del 5%, con l’attuale misura, invece, la copertura degli
ammortizzatori in deroga potrà arrivare sino a 4 mesi e mezzo.
DOVERI
E COMPITI DEL MEDICO COMPETENTE
Da: PuntoSicuro
19 settembre 2016
Disponibile sul sito dell’INAIL la terza
edizione del “Codice internazionale di etica per gli operatori di medicina del
lavoro” redatta da ICOH, che esplicita i principi etici alla base dell’attività
professionale del medico competente.
La
ICOH
(International Commission on Occupational Health), ha redatto la terza edizione
del “Codice internazionale di etica per gli operatori di medicina del lavoro”.
Il documento è richiamato dall’articolo 39 del D.Lgs. 81/08 ed esplicita i
principi etici che sono alla base dell’attività professionale del medico
competente.
L’articolo 39, comma 1 del D.Lgs. 81/08
“Svolgimento dell’attività di medico competente” stabilisce infatti quanto
segue:
“L’attività di medico competente è svolta
secondo i principi della medicina del lavoro e del codice etico della
Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH)”.
Riportiamo a seguire i contenuti del Codice.
DOVERI E COMPITI DEGLI OPERATORI DI MEDICINA
DEL LAVORO (OML)
OBIETTIVI E RUOLO DI CONSULENZA
Obiettivo primario della medicina del lavoro
è quello di salvaguardare e promuovere la salute dei lavoratori, in un ambiente
di lavoro sicuro e non nocivo e di proteggerne le capacità lavorative e
l’accesso al mondo del lavoro. Nel perseguire tale obiettivo, gli OML dovranno
fare uso di validi metodi di valutazione del rischio e di promozione della
salute, dovranno proporre misure preventive efficaci e quindi controllarne
l’applicazione. Nel soddisfare le richieste in materia di salute e sicurezza
espresse dai datori di lavoro, lavoratori o autorità competenti, gli OML dovranno
essere proattivi nel migliorare i livelli di salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro avvalendosi delle proprie competenze e valutazioni di natura etica. Gli
OML dovranno assistere con competenza e chiarezza i datori di lavoro sulle
modalità di adempimento delle proprie responsabilità per quanto concerne la
sicurezza e la salute sul lavoro e i lavoratori per quanto riguarda la
protezione e promozione della salute in rapporto all’attività lavorativa. Essi
dovranno mantenere un contatto diretto con i comitati di sicurezza e di sanità,
ove questi esistano.
CONOSCENZA E COMPETENZA
Gli OML dovranno mantenersi continuamente
informati sul ciclo produttivo e sull’ambiente di lavoro, oltre a migliorare le
proprie competenze e aggiornare le proprie conoscenze tecnico-scientifiche sui
fattori di rischio professionali e sulle misure più efficaci per eliminare o
ridurre i relativi rischi. Poiché l’obiettivo principale è la prevenzione
primaria in termini di indirizzi, programmazione, scelta di tecnologie pulite,
misure di controllo tecniche e adattamento dell’organizzazione del luogo di
lavoro ai lavoratori, gli OML devono, con regolarità e, ove possibile, con
scadenza preordinata, fare sopralluoghi sui luoghi di lavoro e discutere delle
attività svolte con i lavoratori ed i loro responsabili.
SVILUPPO DI UNA STRATEGIA E DI UN PROGRAMMA
DI LAVORO
Gli OML dovranno informare la direzione ed i
lavoratori di eventuali fattori che potrebbero rivelarsi dannosi per la loro
salute. La valutazione dei fattori di rischio professionali dovrà portare
all’attuazione di una strategia per la sicurezza e la salute sul lavoro e di un
programma di prevenzione adeguato ai bisogni dell’impresa e del luogo di
lavoro. Strategia e programma dovranno essere proposti dagli OML sulla base
delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento disponibili, oltre che
sulle loro conoscenze dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro. Essi
dovranno garantire di possedere la professionalità richiesta, o fornire la
necessaria competenza, per la stesura di programmi di prevenzione che includano
misure adatte per il monitoraggio e la gestione dei fattori di rischio per la
sicurezza e la salute sul luogo di lavoro, la conoscenza dei requisiti imposti
dalla regolamentazione nazionale e, in caso di insuccesso, per ridurne le
conseguenze. La qualità ed efficacia dei programmi di salute occupazionale
dovranno essere soggetti puntualmente a verifiche d’efficacia per garantire un
miglioramento continuo.
IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE E DELL’AZIONE
TEMPESTIVA
Merita particolare attenzione la rapida
applicazione di misure di prevenzione semplici che siano tecnicamente valide e
di facile applicazione. Valutazioni successive dovranno verificarne l’efficacia
e in caso contrario si dovrà trovare una soluzione più consona. Qualora vi
siano dubbi sulla gravità di un fattore di rischio, bisogna immediatamente pensare
e mettere in atto prudenti misure cautelative. Quando ci sia incertezza o
diversità d’opinione circa la natura dei fattori di rischio o dei rischi in
gioco, gli OML dovranno essere espliciti nelle loro valutazioni, evitare
ambiguità nella comunicazione e ricorrere alla consulenza di altri
professionisti, ove necessario.
FOLLOW-UP DELLE MISURE ATTUATE
In caso di rifiuto o di mancanza di volontà
di provvedere adeguatamente a rimuovere un rischio eccessivo o a porre rimedio
a una situazione che sia manifestamente pericolosa per la salute o la
sicurezza, gli OML dovranno esprimere per iscritto in modo chiaro e con la
massima urgenza la loro preoccupazione al dirigente responsabile, sottolineando
la necessità di tenere in dovuto conto le conoscenze scientifiche e di
applicare in modo corretto gli standard sanitari, compresi i limiti di
esposizione, e richiamando il datore di lavoro ai suoi obblighi
nell’applicazione della legge e dei regolamenti in difesa della salute dei
propri dipendenti. I lavoratori interessati e i loro rappresentanti
nell’impresa dovranno essere informati e, ove necessario, si dovranno avviare
contatti con l’autorità competente.
INFORMAZIONE, COMUNICAZIONE E FORMAZIONE SU
SICUREZZA E SALUTE
Gli OML dovranno fornire informazioni ai lavoratori
sui fattori di rischio professionali cui possono essere esposti in maniera
obiettiva e comprensibile, non omettendo alcun fatto e sottolineando le misure
preventive. Essi dovranno collaborare con il datore di lavoro, i lavoratori e i
loro rappresentanti, garantendo un’adeguata informazione e formazione sulla
salute e la sicurezza sia a livello di dirigenti che dei lavoratori.
Nelle comunicazioni relative ai rischi
occupazionali e alla loro gestione, gli OML sono chiamati a superare barriere
linguistiche, differenze interculturali ed altre diversità tra personale
dirigente e lavoratori che potrebbero inficiare l’efficacia della
comunicazione. Gli OML dovranno fornire informazioni adeguate ai datori di
lavoro, ai lavoratori e ai loro rappresentanti sul livello di fondamento
scientifico dei fattori di rischio noti o sospetti nell’ambiente di lavoro.
SEGRETO INDUSTRIALE
Gli OML saranno tenuti a non rivelare segreti
industriali o commerciali dei quali vengano a conoscenza nell’esercizio della
loro attività. Tuttavia, essi non dovranno celare informazioni utili a
proteggere la sicurezza o la salute dei lavoratori o della comunità. Qualora
necessario, gli OML dovranno contattare l’autorità competente per la
supervisione e l’applicazione delle leggi in materia.
SORVEGLIANZA SANITARIA
Gli obiettivi di medicina del lavoro, i
metodi e le procedure di sorveglianza sanitaria dovranno essere definiti con
chiarezza, dando priorità all’adattamento del luogo di lavoro al lavoratore,
che dovrà essere informato a questo riguardo. La rilevanza e validità di tali
metodi e procedure dovranno essere in linea con l’evidenza scientifica e
relative buone prassi. La sorveglianza sanitaria deve essere effettuata con il
consenso libero e informato dei lavoratori. Le conseguenze potenzialmente
positive e negative della partecipazione a programmi di monitoraggio o di sorveglianza
sanitaria dovranno venire messe in discussione come parte essenziale del
processo di consenso. La sorveglianza sanitaria deve essere condotta da un
medico del lavoro approvato dall’autorità competente.
COMUNICAZIONE DELLE INFORMAZIONI AL
LAVORATORE
I risultati degli accertamenti espletati
nell’ambito della sorveglianza sanitaria devono essere resi noti ai lavoratori
interessati. La valutazione dell’idoneità a un lavoro specifico, ove richiesta,
deve basarsi su una buona conoscenza della mansione e del posto di lavoro e
sulla valutazione dello stato di salute del lavoratore. I lavoratori devono
essere informati a proposito della loro facoltà di fare ricorso contro quelle
disposizioni circa la loro idoneità al lavoro che essi ritengano contrarie al
loro interesse.
A questo riguardo deve essere stabilito un
procedimento di appello.
COMUNICAZIONE DELLE INFORMAZIONI AL DATORE DI
LAVORO
I risultati degli accertamenti previsti da
leggi o regolamenti nazionali devono essere trasmessi alla direzione
esclusivamente in termini di idoneità al lavoro specifico o di limitazioni
necessarie dal punto di vista medico nell’assegnazione ad una mansione o
nell’esposizione a fattori di rischio. Nel fornire tali informazioni, verranno
privilegiati opportuni suggerimenti sull’adattamento delle mansioni e delle
condizioni di lavoro alle capacità del lavoratore. Informazioni di carattere
generale sull’idoneità al lavoro o in relazione alla salute o ai possibili o
probabili effetti dei fattori di rischio possono anche essere comunicate, col
consenso informato del lavoratore interessato, nella misura in cui ciò si renda
necessario per garantire la tutela della salute del lavoratore.
DANNO A TERZI
Qualora le condizioni di salute del
lavoratore e la natura del lavoro svolto siano tali da mettere in pericolo la
sicurezza degli altri, il lavoratore deve essere chiaramente informato della
situazione. Nel caso di circostanze particolarmente pericolose, occorre
informare la direzione e, se previsto dai regolamenti nazionali, anche le
autorità competenti devono essere informate sulle misure necessarie a
salvaguardare i terzi. Nel fornire le informazioni, gli OML dovranno cercare un
compromesso tra l’impiego del lavoratore interessato e la sicurezza e la salute
di coloro che ne potrebbero venire danneggiati.
MONITORAGGIO BIOLOGICO ED ESAMI
Si dovranno prevedere esami biologici ed
altri accertamenti sulla base della loro validità e rilevanza nel proteggere la
salute del lavoratore interessato, tenendo in dovuto conto la loro sensibilità,
la loro specificità e il loro valore predittivo. Gli OML non dovranno basarsi
su esami o accertamenti non affidabili o con scarso valore predittivo in
rapporto alle caratteristiche del lavoro svolto. Ove possibile, verranno
preferiti i metodi non invasivi e gli accertamenti che non comportino alcun
rischio per la salute del lavoratore interessato. Si potrà prescrivere un esame
invasivo o che comporta dei rischi per la salute del lavoratore solo dopo
averne attentamente valutato vantaggi e svantaggi per lo stesso. Tale esame è
condizionato al consenso informato del lavoratore e dovrà essere eseguito
secondo i più elevati standard professionali.
Non è giustificato né per motivi assicurativi
né sulla base di richieste d’indennizzo.
PROMOZIONE DELLA SALUTE
Per quanto riguarda la partecipazione a
programmi di educazione sanitaria, di promozione della salute, di screening
sanitario e di sanità pubblica, gli OML dovranno coinvolgere, nella programmazione
e attuazione degli stessi, sia i datori di lavoro che i lavoratori. Essi
dovranno inoltre tutelare la riservatezza delle cartelle sanitarie personali
dei lavoratori e prevenirne il loro uso scorretto.
TUTELA DELLA COMUNITA’ E DELL’AMBIENTE
Gli OML devono avere piena consapevolezza del
loro ruolo nel tutelare la comunità e l’ambiente. Allo scopo di contribuire
alla tutela dell’ambiente e della sanità pubblica, gli OML dovranno giocare un
ruolo attivo e collaborare, secondo competenza, a scopo preventivo,
nell’identificazione, nella valutazione, nella promozione e nella consulenza
riguardo ai fattori di rischio occupazionali e ambientali che potrebbero
derivare da attività o processi lavorativi dell’impresa.
CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA SCIENTIFICA
Gli OML dovranno riferire con obiettività
alla comunità scientifica, così come alle autorità di sanità pubblica e del
lavoro circa nuovi o sospetti fattori di rischio occupazionale.
Essi devono anche segnalare nuovi e
pertinenti metodi di prevenzione.
Gli OML impegnati nella ricerca dovranno
programmare e svolgere la loro attività su solide basi scientifiche con piena
indipendenza professionale; dovranno seguire i principi etici propri della
salute e della ricerca medica e sanitaria come il valore scientifico e sociale,
la validità scientifica, l’equa selezione dei soggetti, il rapporto
rischio-beneficio favorevole, il consenso informato, il rispetto dei soggetti
arruolati nello studio, la tutela dei dati riservati e l’analisi dei protocolli
e dei potenziali conflitti di interesse svolta da un comitato etico
indipendente e competente. Gli OML hanno il dovere di rendere pubblici i
risultati delle attività di ricerca condotte e sono responsabili
dell’accuratezza dei rapporti.
Il documento dell’ International Commission
on Occupational Health “Codice internazionale di etica per gli operatori di
medicina del lavoro” è scaricabile all’indirizzo:
AMIANTO
NEI RIFIUTI: COME RICONOSCERLO E VALUTARLO CORRETTAMENTE
Da: PuntoSicuro
21 settembre 2016
Informazioni riguardo alle fibre di amianto
per i centri di raccolta, riciclaggio e smaltimento. I rifiuti e materiali di
scarto contenenti amianto e il tenore di amianto. Focus sul trattamento dei
pannelli leggeri e pannelli per soffitti.
L’amianto (utilizzato in passato, per la sua
resistenza al fuoco, al calore e all’azione di agenti chimici e biologici, per
la costruzione di diversi prodotti) è una sostanza cancerogena il cui utilizzo
è stato vietato in molti paesi. Ad esempio nel 1990 in Svizzera e nel
1992, con la Legge
n. 257 del 27 marzo 1992,
in Italia.
Tuttavia, come ricordato in una recente
intervista di PuntoSicuro, che stimava la sua presenza nell’80% delle attività
edilizie di ristrutturazione e demolizione, è possibile trovare ancora oggi
materiali che lo contengono. Si tratta spesso di materiali posati in opera
prima che entrassero in vigore le norme sul divieto dell’amianto e che possono
venire alla luce durante diversi lavori edili.
E un comparto a rischio per l’inalazione di
fibre di amianto, disperse nell’aria durante la presa in consegna e il
trattamento di questo materiale, è sicuramente anche quello delle imprese di
riciclaggio e smaltimento.
SUVA (Istituto svizzero per l’assicurazione e
la prevenzione degli infortuni) ha pubblicato sul proprio sito diversi
documenti che, pur facendo riferimento alla legislazione elvetica, contengono
utili indicazioni sulle modalità di riconoscimento e valutazione dell’amianto.
Ed in particolare nel 2015 ha prodotto proprio un
opuscolo dedicato ai centri di raccolta e alle imprese di riciclaggio e
smaltimento.
L’opuscolo “Amianto: riconoscerlo, valutarlo
e intervenire correttamente. Informazioni utili per le imprese di riciclaggio”,
nato dalla collaborazione di SUVA con le associazioni VSMR, ADSR, Swico e la Fondazione SENS
eRecycling, riguarda il ricevimento e il trattamento di rifiuti e materiali di
scarto nell’area aziendale delle imprese di riciclaggio o dei centri di
raccolta.
E indica:
-
in
quali casi durante il trattamento dei rifiuti può avvenire un contatto
pericoloso con le fibre di amianto;
-
quali
misure di protezione bisogna adottare;
-
quando
ci si deve rivolgere a una ditta specializzata in bonifiche da amianto,
chiaramente con riferimento alla normativa elvetica.
L’opuscolo riguarda unicamente l’esposizione
alle polveri di amianto. Infatti nel settore del riciclaggio la riduzione
dell’esposizione totale alle polveri rappresenta tuttavia un compito arduo.
Dato che oltre all’amianto le polveri possono contenere anche altre sostanze
nocive, bisogna adottare misure generali al fine di ridurre tale esposizione.
Come in altri documenti di SUVA, l’opuscolo
spiega innanzitutto cosa sia l’amianto, i suoi effetti sulla salute (a causa
della loro lunga permanenza negli alveoli polmonari, le fibre di amianto
possono provocare diverse malattie, tra cui l’asbestosi, il carcinoma polmonare
o il mesotelioma pleurico maligno). E indica quali rifiuti e materiali di
scarto normalmente non contengono amianto (vetro usato, carta e cartone, PET,
batterie, latta bianca e alluminio, scarti di produzione, ecc.) e quali rifiuti
e materiali di scarto possono invece contenerlo e devono, dunque essere
trattati adottando particolari misure precauzionali (rottami metallici, scarti
di legno, rifiuti edili, apparecchi e quadri elettrici, autoveicoli, impianti
tecnici, ecc.).
Si ricorda poi che si possono avere:
-
prodotti
contenenti amianto fortemente agglomerato (matrice compatta): le fibre di amianto
sono fortemente legate in una matrice solida e stabile; alcuni esempi: prodotti
in fibrocemento (amianto in cemento) come pannelli piccoli e grandi su
facciate, lastre ondulate, pavimenti galleggianti, canaline per cavi, condotte
e canalizzazioni, fioriere; amianto nei rivestimenti in particolare rivestimenti
fonoisolanti e anticorrosivi (guaine catramate e bituminose); amianto nelle
guarnizioni di gomma (chiamate anche guarnizioni it); il tenore di amianto di
regola è inferiore al 20% in peso;
-
prodotti
contenenti amianto debolmente agglomerato (matrice friabile): le fibre di
amianto sono libere o debolmente legate in una matrice; alcuni esempi:
isolamenti e guarnizioni di impianti tecnici (ad esempio in apparecchi
elettrici e quadri elettrici vecchi); isolamenti di tubi e condotte;
sbarramenti antincendio; pannelli leggeri o cartoni di amianto; pannelli per
soffitti; amianto spruzzato; il tenore di amianto è di regola superiore al 40%
in peso;
-
prodotti
contenenti fibre di amianto pure: le fibre allo stato puro si possono trovare,
ad esempio in forma tessuta (trecce, corde, cuscini) oppure sotto forma di
cartoni; il tenore di amianto è del 100 % in peso.
Rimandando alla normativa italiana per il
trattamento specifico dei materiali contenenti amianto, ricordiamo che il
documento di SUVA indica che le operazioni di scarico e stoccaggio dei rifiuti
nonché lo smistamento e il trasporto manuali o meccanici comportano sempre
un’esposizione alle polveri. E per ridurre questo rischio, bisogna adottare
misure tecniche e organizzative generali (evitare tutti i lavori che generano
polvere, aspirare le polveri alla fonte, inumidire i materiali, confinare
correttamente la zona di lavoro), soprattutto se si devono manipolare materiali
contenenti amianto.
Il documento si sofferma poi sul
riconoscimento dell’amianto e sulle misure di sicurezza relative, con il
supporto di diverse immagini esplicative, in relazione a diversi materiali con
cui può avere a che fare un centro di raccolta, riciclaggio e smaltimento:
-
lastre
per tetti, tubi di canalizzazione, canalette e fioriere: fibrocemento;
-
pannelli
leggeri e pannelli per soffitti: coperture, elementi costruttivi, soffitti
fonoassorbenti;
-
quadri
elettrici, interruttori e accessori elettrici: pannelli in
fibrocemento/pannelli leggeri;
-
apparecchi
elettrici come fornelli, lavatrici e forni ad accumulo: pannelli e nastri
isolanti in amianto;
-
isolamento
di impianti tecnici come boiler, caldaie, cisterne: materiale di riempimento contenente
amianto, tappetini di amianto, rivestimenti di amianto termoisolanti;
-
isolamento
di tubi e condotte: malte e impasti di gesso contenenti amianto;
-
guarnizioni
su impianti tecnici come impianti di riscaldamento, caldaie, pompe: cordoni di
amianto;
-
guarnizioni
su impianti tecnici come impianti di riscaldamento, pompe, condotte: guarnizioni
per flange;
-
colori
e vernici, rivestimenti: colori e vernici contenenti amianto, rivestimenti;
-
finestre
in legno: stucco per finestre contenente amianto;
-
kit
frizione, freni a tamburo e piastre inutilizzate di freni a disco: materiale
contenente amianto.
Riportiamo, a titolo esemplificativo, alcune
delle indicazioni relative al trattamento dei pannelli leggeri e pannelli per
soffitti:
-
attività
generali: non intervenire sui pannelli contenenti amianto (ad esempio non smontare,
non frantumare o non tagliare);
-
separazione
dei pannelli contenenti amianto dal resto (scossoni o vibrazioni, movimenti abrasivi
o sfregamenti possono provocare il rilascio di fibre): garantire un sufficiente
ricambio d’aria (ventilazione naturale o artificiale); usare una maschera
antipolvere FFP3 e una tuta di protezione monouso di categoria 3 tipo 5/6;
evitare scossoni, vibrazioni e sfregamenti, non danneggiare o non gettare i
materiali;
-
smaltimento:
imballare ermeticamente i pannelli per non consentire il rilascio di fibre, contrassegnarli
e smaltirli a regola d’arte;
-
pulizia
del luogo di lavoro: non pulire a secco; pulire il pavimento a umido e/o con un
aspiratore industriale; eliminare le maschere antipolvere, le tute di
protezione e i sacchetti dell’aspiratore.
Chiaramente poi il documento di SUVA indica
che alcuni lavori, come lo smontaggio dalle altre parti o le lavorazioni di
pannelli contenenti amianto devono essere svolti esclusivamente da ditte
specializzate in bonifiche da amianto secondo la normativa elvetica.
Nota Bene
I riferimenti legislativi contenuti nei
documenti di SUVA riguardano la realtà svizzera, i suggerimenti indicati
possono essere comunque di utilità per tutti i lavoratori.
Il documento di SUVA “Amianto: riconoscerlo,
valutarlo e intervenire correttamente. Informazioni utili per le imprese di
riciclaggio” è scaricabile all’indirizzo:
DESIGNARE E FORMARE
GLI ADDETTI ALLE MISURE DI PRIMO SOCCORSO
Da:
PuntoSicuro
22
settembre 2016
Un
volume dedicato alle PMI e al mondo dell’artigianato riepiloga la normativa in
materia di salute e sicurezza. Focus sulla designazione e formazione degli
addetti alle misure di primo soccorso e sulle attrezzature necessarie nelle
aziende.
Il
Decreto Legislativo 81/08, Testo Unico in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro, all’articolo 18 (Obblighi del datore di
lavoro e del dirigente) indica che il datore di lavoro e i dirigenti, che
organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze
ad essi conferite, devono [...] designare preventivamente i lavoratori
incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta
antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e
immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione
dell’emergenza.
Per
fare il punto degli obblighi inerenti la designazione degli addetti alle misure
di emergenza, torniamo a sfogliare il volume “Salute e Sicurezza nelle imprese
artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare” in cui
l’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia (OPRA Lombardia) e
i vari Organismi Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA) analizzano la
normativa in materia di salute e sicurezza offrendo un utile strumento di
consultazione per favorire una corretta applicazione delle disposizioni di
legge.
In
questo articolo focalizziamo l’attenzione sugli addetti alle misure di primo
soccorso.
Presentiamo
innanzitutto gli obblighi del Datore di Lavoro:
-
il
Datore di Lavoro, tenendo conto della natura dell’attività e delle dimensioni
dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, sentito il medico competente ove
previsto, prende i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso e di
assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone
presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi
esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati (articolo 45 D.Lgs.
81/08);
-
il
Datore di Lavoro designa uno o più lavoratori incaricati dell’attuazione dei
provvedimenti di Addetto al Servizio di Primo Soccorso (articolo 43 D.Lgs.
81/08).
Inoltre
nelle aziende o unità produttive di gruppo A e di gruppo B, il Datore di Lavoro
deve garantire le seguenti attrezzature:
-
cassetta
di pronto soccorso, tenuta presso ciascun luogo di lavoro, adeguatamente custodita
in un luogo facilmente accessibile ed individuabile con segnaletica
appropriata, contenente la dotazione minima indicata nell’allegato 1, che fa
parte del presente decreto, da integrare sulla base dei rischi presenti nei
luoghi di lavoro e su indicazione del medico competente, ove previsto, e del
sistema di emergenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale, e della quale
sia costantemente assicurata, la completezza ed il corretto stato d’uso dei
presidi ivi contenuti (D.M. 388/03);
-
un
mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza
del Servizio Sanitario Nazionale (D.M. 388/03).
Ricordiamo
che è lo D.M. 388/03 (relativo al Regolamento recante disposizioni sul pronto
soccorso aziendale, in attuazione dell’articolo 15, comma 3, del Decreto
Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni) a
classificare le Aziende e Unità produttive in tre gruppi di rischio (Gruppo A,
B e C), sulla base del numero dei dipendenti, del comparto produttivo e dei
rischi professionali.
Il
documento dell’OPRA Lombardia ricorda poi che, con riferimento sempre
all’articolo 2 del D.M. 388/03, nelle aziende o unità produttive di gruppo C,
il Datore di Lavoro deve garantire le seguenti attrezzature:
-
pacchetto
di medicazione, tenuto presso ciascun luogo di lavoro, adeguatamente custodito
e facilmente individuabile, contenente la dotazione minima indicata
nell’allegato 2, che fa parte del presente decreto, da integrare sulla base dei
rischi presenti nei luoghi di lavoro, della quale sia costantemente assicurata,
in collaborazione con il medico competente, ove previsto, la completezza ed il
corretto stato d’uso dei presidi ivi contenuti;
-
un
mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza
del Servizio sanitario nazionale.
E
tra gli obblighi in capo al Datore di Lavoro, va segnalato anche quello
riguardante le attività aventi lavoratori che prestano la propria attività in
luoghi isolati, diversi dalla sede aziendale o unità produttiva; in questi casi
il Datore di Lavoro è tenuto a fornire loro il pacchetto di medicazione e un
mezzo di comunicazione idoneo per raccordarsi con l’azienda al fine di attivare
rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.
Inoltre
ai sensi dell’articolo 43, comma 3, del D.Lgs. 81/08 i lavoratori non possono,
se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione ad addetto al
servizio di Primo Soccorso, e devono essere formati.
Si
ricorda che il D.M. 388/03 indica i contenuti minimi della formazione per gli
addetti aziendali all’attuazione delle misure di pronto soccorso. La formazione
deve contenere sia aspetti teorici che pratici. La parte attenente le capacità
di intervento pratico dovrà essere ripetuta con cadenza almeno triennale.
Riportiamo,
per completezza, l’intero articolo articolo 3 (Requisiti e formazione degli
addetti al pronto soccorso) del D.M. 388/03. Ricordiamo che il decreto fa
riferimento alla normativa su sicurezza e salute vigente nel 2003, il D.Lgs.
626/94, ma che è ancora tutt’ora valido con riferimenti agli analoghi disposti
del D.Lgs. 81/08:
“Articolo
3 Requisiti e formazione degli addetti al pronto soccorso
1.
Gli addetti al pronto soccorso, designati ai sensi dell’articolo 12, comma 1,
lettera b), del Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, sono formati con
istruzione teorica e pratica per l’attuazione delle misure di primo intervento
interno e per l’attivazione degli interventi di pronto soccorso.
2.
La formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico, in
collaborazione, ove possibile, con il sistema di emergenza del Servizio
Sanitario Nazionale. Nello svolgimento della parte pratica della formazione il
medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico o di
altro personale specializzato.
3.
Per le aziende o unità produttive di gruppo A i contenuti e i tempi minimi del
corso di formazione sono riportati nell’allegato 3, che fa parte del presente
Decreto e devono prevedere anche la trattazione dei rischi specifici
dell’attività svolta.
4.
Per le aziende o unità produttive di gruppo B e di gruppo C i contenuti e i
tempi minimi del corso di formazione sono riportati nell’allegato 4, che fa
parte del presente decreto.
5.
Sono validi i corsi di formazione per gli addetti al pronto soccorso ultimati
entro la data di entrata in vigore del presente decreto. La formazione dei
lavoratori designati andrà ripetuta con cadenza triennale almeno per quanto
attiene alla capacità di intervento pratico”.
E
sul tema della formazione ricordiamo che è intervenuta anche la Commissione per gli
interpelli (prevista dall’articolo 12 comma 2 del D.Lgs. 81/08) con l’
Interpello n. 2/2012 del 15 novembre 2012.
In
conclusione segnaliamo le novità del D.Lgs. 151/2015 (Decreto Attuativo del
Jobs Act).
Il
D.Lgs. 151/2015, che ha introdotto semplificazioni e razionalizzazioni delle
procedure e degli adempimenti, prevede che lo svolgimento diretto da parte del
datore di lavoro dei compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione degli
incendi e di evacuazione, venga consentito anche nelle imprese o unità
produttive che superano i cinque lavoratori (restano in vigore i limiti fissati
nell’Allegato II e richiamati dal comma 1 dell’articolo 34 del D.Lgs. 81/08).
Il
documento dell’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia
“Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e
cosa si deve fare” del 2014 è scaricabile all’indirizzo:
IMPARARE
DAGLI ERRORI: QUANDO SI CADE DALL’ALTO SENZA UN CASCO
Da: PuntoSicuro
29 settembre 2016
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni correlati al mancato o
errato uso di dispositivi di protezione della testa. Le conseguenze di cadute
dall’alto dei lavoratori in assenza di casco protettivo. La dinamica degli
infortuni e le informazioni sui dispositivi di protezione.
Nel mondo del lavoro le cadute dall’alto sono
purtroppo frequenti e portano spesso a conseguenze gravi per i lavoratori.
Cadute che possono avvenire anche da altezze non eccessive, ad esempio da una
scala, un palo, un albero, insomma in situazioni in cui la protezione della
testa potrebbe ridurre la gravità dell’infortunio.
Continuiamo dunque oggi il nostro viaggio di
“Imparare dagli errori”, la rubrica che PuntoSicuro dedica al racconto e all’analisi
degli infortuni lavorativi, attraverso le conseguenze relative all’uso errato o
mancato uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) nei luoghi di
lavoro. E dopo aver analizzato nelle scorse puntate l’importanza degli occhiali
di protezione e dei guanti, riprendiamo a parlare di protezione della testa.
E lo facciamo con particolare riferimento ad
infortuni avvenuti con cadute dall’alto in assenza di casco protettivo e,
dunque, con aggravamento delle conseguenze della caduta.
Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto
nella rimozione di pali della linea telefonica.
Un lavoratore è impegnato con altri due
colleghi a rimuovere dei vecchi pali in legno di una linea telefonica. La
prassi generale prevede che chiunque deve arrampicarsi su di un palo, deve
preventivamente saggiarlo alla base con un attrezzo chiamato saggiapalo.
L’infortunato raggiunge la cima del palo
senza averlo saggiato alla base e sbullona tutti i perni di ancoraggio del palo
stesso al contropalo ed alle traverse.
Così facendo il palo, di fatto, si è liberato
da qualsiasi ancoraggio e, poiché alla base la parte interrata era
completamente marcia e corrosa, crolla trascinandosi il lavoratore che vi è
legato con cintura e ramponi e che cade all’indietro, con il palo addosso, riportando
traumi diffusi.
Questi i fattori causali riportati nella
scheda:
-
saliva
su di un palo senza verificarne la stabilità;
-
palo
in legno con base interrata marcia;
-
mancato
uso del casco.
Il secondo caso riguarda un infortunio
avvenuto ad un lavoratore specializzato nell’installazione e manutenzione di
attrezzature elettriche.
Un lavoratore opera in una piazza per
scollegare dalla presa la spina elettrica su un quadretto installato (dallo
stesso operatore) sulla parete di un edificio, a un’altezza dal suolo di circa 3 metri.
Per eseguire tale operazione il lavoratore
utilizza una scala di altezza circa 1,90 m e dopo essere salito fino a circa metà
altezza, mentre cerca con una mano di recuperare il cavo che è sopra l’ingresso
di un locale pubblico, con l’altra mano cerca di farlo scendere a terra. In
quel momento però la spina collegata la cavo si libera dalla presa e facendogli
perdere l’equilibrio, il lavoratore cade a terra urtando la testa.
La scala non era sorretta, non veniva
utilizzato altro sistema anticaduta e non si indossava il casco.
E tra i fattori causali si sottolinea anche
l’errore procedurale dell’infortunato che con una mano recuperava il cavo e con
l’altra cercava di farlo scendere a terra.
Anche il terzo caso riguarda un infortunio avvenuto
con attività su apparecchiatura elettrica: la sostituzione di una lampada di
emergenza.
Un lavoratore autonomo è stato chiamato per
sostituire una lampada di emergenza posta sopra un portone all’interno di un
maglificio. Vicino alla verticale della lampada c’è una macchina da maglieria
che non permette l’utilizzo di un trabattello e lo spazio interno al
laboratorio non permette l’accesso ad una Piattaforma di Lavoro Elevabile.
Il lavoratore decide di utilizzare un
elemento di una scala a pioli che però deve posizionare con un’inclinazione
superiore a quelle previste dalle buone prassi per poter scavalcare la
macchina. Sale sulla scala senza vincolarla o farla trattenere al piede da
altro operatore pur essendo questa particolarmente inclinata. Quando si trova
nella posizione di lavoro, a un’altezza di circa 4 metri, la scala scivola
via e lui cade a terra sbattendo sulla pavimentazione. La scala era marcata CE
e a norma. Il lavoratore non indossava il casco durante il lavoro. Il decesso
avviene dopo circa 2 ore dall’evento.
In questo “Imparare dagli errori” non ci
soffermiamo sulle cause reali degli infortuni, spesso correlati a comportamenti
errati o alla mancanza di protezioni anticaduta, ma sulla mancanza di
protezioni adeguate per la testa.
Per conoscere questi dispositivi di
protezione del capo torniamo a fare riferimento al progetto multimediale
Impresa Sicura (elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna
e Inail) che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la
salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013.
Progetto che ha prodotto diversi materiali relativi alla prevenzione in molti
comparti lavorativi (metalmeccanica, cantieristica navale, lavorazione del
legno, calzature, ecc.) e una raccolta dettagliata di informazioni sui
Dispositivi di Protezione Individuale nel documento “Impresa Sicura DPI”.
Nella scorsa puntata di “Imparare dagli
errori” ci siamo soffermati in particolare sulla differenza tra due DPI:
-
elmetto
di protezione per l’industria: lo scopo primario è quello di proteggere la
parte superiore della testa dell’utilizzatore contro lesioni che possono essere
provocate da oggetti in caduta (norma UNI EN 397);
-
copricapo
antiurto per l’industria: destinato a proteggere la testa dell’utilizzatore
dalle lesioni causate da un urto della testa contro oggetti duri e immobili
(norma UNI EN 812).
Vediamo ora di conoscere meglio i due
dispositivi.
L’elmetto di protezione per l’industria deve
comprendere almeno una calotta e una bordatura. I materiali utilizzati devono
essere di qualità durevole, ossia le loro caratteristiche non devono subire
alterazioni apprezzabili per effetto dell’invecchiamento o modo di impiego ai
quali l’elmetto è normalmente soggetto (esposizione al sole, alla pioggia, al
freddo, alla polvere, a vibrazioni, contatto con la pelle, col sudore o con
prodotti applicati sulla pelle e sui capelli). La calotta (che dovrebbe coprire
la parte superiore della testa e scendere almeno fino al livello del bordo
superiore della fascia sulla parte frontale dell’elmetto) deve avere una
resistenza la più uniforme possibile e non deve essere rinforzata maggiormente
in alcun punto. Il documento riporta anche informazioni sulla possibilità di
eventuali aumenti dello spessore della calotta, sul comfort dei lavoratori (è
ad esempio raccomandata l’aggiunta di una fascia antisudore) e altri dettagli.
Il copricapo antiurto per l’industria deve
essere dotato di mezzi in grado di assorbire l’energia di un impatto. E anche
in questo caso i materiali utilizzati dovrebbero essere di qualità durevole. Il
copricapo antiurto deve essere progettato in modo da permettere la massima
regolazione della bardatura nella calotta al fine di ottimizzare il comfort
dell’utilizzatore. Qualsiasi dispositivo applicato al copricapo antiurto
dovrebbe essere progettato in modo da non causare lesioni al portatore in caso
di incidente. In particolare, all’interno del copricapo antiurto non ci dovrebbero
essere sporgenze metalliche o rigide tali da poter causare lesioni. Nessuna
parte del copricapo antiurto dovrebbe avere spigoli vivi sporgenti. Quando la
bardatura è fissata alla calotta mediante cuciture, queste dovrebbero essere
protette contro l’abrasione.
Concludiamo ricordando che in relazione ai
fattori di rischio per il capo la testa è esposta a danni derivanti da rischi,
che possono insorgere nelle applicazioni professionali, quali rischi di natura
meccanica, termica, elettrica, chimica e non è improbabile la circostanza in
cui si riscontri la contemporanea presenza di due o più rischi.
Il sito web di INFOR.MO., di cui
nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 979, 891 e 4048, è al link:
Il documento “Impresa Sicura DPI” elaborato
da da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e INAIL è scaricabile
all’indirizzo:
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