Protestano i lavoratori di Foodora: “Siamo
sottopagati, non fate più ordinazioni”
Stato di
agitazione proclamato dai “rider” che consegnano il cibo a domicilio tramite
l’App
08/10/2016
paolo
coccorese
torino
«Siamo i rider di Foodora. Le ragazze e i ragazzi che
vi portano da mangiare con le bici e con i motorini, sia quando si muore di
caldo sia quando piove a dirotto. Siamo quelli che a Milano e a Torino vedete
vestiti di rosa». Inizia così il comunicato dei lavoratori di Foodora, la App
di consegna di cibo a domicilio, che oggi protestano per la prima volta a
Torino. La prima di Foodora e anche la prima dei dipendenti che hanno trovato
lavoro nella cosiddetta «sharing economy».
I rider a
domicilio di Foodora: “Ecco perché protestiamo”
Si sono radunati in una cinquantina in piazza Vittorio
Veneto: promoter e rider, i fattorini in bicicletta dalla divisa color viola
che sono diventati il simbolo di una delle startup di successo della sharing
economy nazionale, con l’obiettivo di rallentare il servizio e sensibilizzare,
distribuendo i volantini e sventolando bandiere, i clienti e locali sulle loro
condizioni contrattuali che definiscono al limite dello sfruttamento. “Dopo aver
invano chiesto un confronto con l’azienda, abbiamo deciso di protestare contro
le nuove condizioni economiche che ci propone Foodora – dicono i giovani
fattorini, quasi tutti under 30 e studenti”.
Denunciano “una precarietà
estrema e uno stipendio da fame”, come scrivono in un comunicato, che si celano
“dietro i nostri sorrisi, i nostri “grazie” e i nostri “buona cena,
arrivederci”. “Le decine di chilometri che maciniamo ogni giorno – si
legge nel comunicato - i rischi che corriamo in mezzo al traffico, i ritardi,
la disorganizzazione, i turni detti all’ultimo momento, venivano ripagati con 5
miseri euro all’ora, mentre adesso addirittura vengono pagati 2,70 euro per
ogni consegna effettuata, senza un fisso, con l’ovvia conseguenza che tutto il
tempo in cui non ci sono ordini non viene pagato, quindi è a tutti gli effetti
tempo regalato all’azienda”. E aggiungono che a loro carico “ci sono pure
la bici, lo smartphone e le spese telefoniche, gli strumenti essenziali del
nostro lavoro”. Il contratto li inquadra come liberi professionisti che
collaborano con un’azienda, ma è proprio il punto che contestano: “Noi rider
siamo a tutti gli effetti dipendenti di Foodora: costretti ad indossare la loro
divisa, sottoposti a rapporti gerarchici, in balia delle loro decisioni e
sottoposti a delle valutazioni per cui se non siamo accondiscendenti nei loro
confronti ci vengono dati meno turni”. Per queste e altre ragioni hanno
dichiarato stato di agitazione. “Come lavoratori di Foodora cercheremo di
portare la nostra protesta ovunque possa avere peso e visibilità, ed in
quest’ottica chiediamo la solidarietà dei cittadini. Non ordinate da Foodora,
non consigliatela e se potete chiamate il servizio clienti o fatevi sentire
sulla loro pagina facebook”.
LA REPLICA: “UN OPPORTUNITA’”
Arriva anche la replica di Foodora per voce degli
amministratori, Gianluca Cocco e Matteo Lentini. “Siamo molto dispiaciuti di
quanto accaduto. Abbiamo sempre avuto la disponibilità al confronto con i
nostri lavorati. Incontri “face to face”, e non in maniera collettiva, per
analizzare le richieste di ognuno dei nostri collaboratori”. Vietato parlare di
dipendenti. I contratti dettano un rapporto di collaborazione. Anche la nuova
versione che modifica il sistema retributivo. Non più a “paga oraria”, ma
“consegna”. “Non sono le cifre comunicate dei nostri collaboratori, ma più alte
dei due euro e rotti comunicato. Quanto di preciso? Manteniamo il riserbo”,
dicono. In più, spiegano: “Questo nuova politica dell’azienda è un’opportunità
per la nostra flotta. Perchè possono guadagnare di più facendo più consegne
all’ora. Come, per altro, fatto notare dagli stessi riders con cui abbiamo
parlato che ci dicevano di fare anche tre consegne nello stesso tempo. Il tempo
medio di un servizio a Torino è 29 minuti”. Infine, sottolineano i principi
della Sharing economy. “L’occupazione per Foodora deve essere considerata un
secondo-terzo lavoro. Non un primo. Per chi vuole guadagnare un piccolo
stipendio e ha la passione per andare in bicicletta. Non un lavoro per sbarcare
il lunario”.
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