Anche a Gabés come a Taranto,
nocivo é il capitale non la fabbrica!
Gabés é una città costiera meridionale tunisina che
sorge sull’omonimo golfo. La città ha una particolarità unica al mondo: si é
sviluppata all’interno di una grande oasi che si affaccia sul mare, tutte le
altre oasi esistenti al mondo sorgono infatti nel bel mezzo del deserto. Prima
dell’apertura del GCT le principali attività economiche erano legate al settore
primario che sono svolte in forma tradizionale. In particolare la pesca e
l’agricoltura (famosa la produzione del melograno e dei datteri da palma) le
spezie di Gabés sono tra le più rinomate del paese e infine vi é una discreta
attività artigianale che produce oggetti di vimini e derivati dalla foglia di
palma come copricapi, ventagli e sporte.
A partire dalla fine degli anni ’60- inizio anni ’70
nascono alcuni impianti industriali nel paese come conseguenza in parte postuma
della linea politica dell’allora primo ministro con portafoglio ad interim
della Sanità Pubblica e degli Affari Sociali, Ahmed Ben Salah che
persegue la strategia della creazione di poli economici decentrati rispetto al
centro economico del paese che é stato storicamente la fascia litoranea del
paese compresa tra Bizerte e Sfax. La città quindi si trasforma nel principale
polo industriale dell’area e si ingrandisce notevolmente raggiungendo gli
attuali 120 mila abitanti.
Il GCT a Gabés impiega circa 4.800 lavoratori e
attualmente rappresenta una buona fetta del Pil tunisino, possiede un
proprio porto separato dal porto della città in cui vi é un intenso traffico di
navi provenienti da tutto il Mediterraneo. Il modo con cui produce l’impianto,
circa quantità e qualità, in un quadro di regime di produzione capitalista che
punta quindi al raggiungimento del massimo profitto da parte del padrone (stato
tunisino) ha fatto si che l’attività della fabbrica abbia avuto un impatto
fortemente negativo sull’ambiente e su alcune attività economiche
pre-esistenti, abbia prodotto cioé delle esternalità negative come direbbero
alcuni economisti. Cio’ é “normale” in qualsiasi processo di
industrializzazione in regime capitalistico, la quantità é direttamente legata
a quella richiesta dal mercato e non a quella legata ai bisogni reali, il
mercato spesso chiede irrazionalmente una quantità superiore a quella
necessaria quindi il capitalista per raggiungere il proprio saggio di profitto
spinge la produzione in accordo con questo obiettivo incurante di tutto il
resto. Lo stesso vale per la qualità della produzione, il capitalista non si
interessa dell’inquinamento prodotto dall’impianto che poi si traduce in
disastri ambientali e problemi di salute per gli abitanti dell’area circostante
in primis. Ultimamente il “caso Gabés” é stato paragonato al “caso Taranto” in
Italia.
In particolare alcuni settori ambientalisti italiani
fanno un parallelismo nella seguente maniera:
– Entrambe le città si trovano sul mare e prima del
periodo industriale il settore della pesca e dell’agricoltura, entrambi
tradizionali, erano molto sviluppati.
– Il mare per entrambe le città ha un grosso
potenziale, da cui consegue il famoso leitmotiv “si potrebbe vivere di turismo”
che si aggiungerebbe alle attività tradizionali elencate prima.
– In entrambe le città l’industrializzazione ha
provocato disastri ambientali e danni alla salute dei cittadini (il termine
“cittadino” é enfatizzato e vedremo più avanti perché).
Questi tre punti del ragionamento portano gli
ambientalisti a concludere con una domanda retorica: “E’ più importante il
lavoro o la salute?” a cui rispondono con certezza: “sicuramente la salute,
quindi la fabbrica in quanto nociva deve essere chiusa”. Questo ragionamento
viene propugnato spesso da soggetti che abbracciano il paradigma della
“post-modernità”, paradigma figlio della “fine della storia” di Fukuyama, che
in ultima analisi volta le spalle alla realtà concreta inventandosi la non
esistenza delle classi sociali e di conseguenza negando che in un dato tipo di
società (il capitalismo) la fabbrica é teatro quotidiano della contraddizione
capitale-lavoro cioé degli interessi contrapposti dei lavoratori da un lato e
dal capitalista dall’altro; “dimenticano” o negano apertamente episodi storici
che invece stanno li a ricordarci che con un’organizzazione politico-sociale e
di produzione economica differente in cui i mezzi di produzione sono in mano ai
lavoratori e al popolo in generale, la produzione industriale viene organizzata
tenendo conto della salute e della sicurezza in primis di chi vi lavora e in
secundis della questione ambientale quindi sia dell’ambiente che della salute
dei “cittadini”. In base all’esperienza storica possiamo affermare che i veri
ambientalisti ante-litteram sono nati nel socialismo “reale” e in particolare
nella Cina della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (di qui ricorre
quest’anno il 150° anniversario) dove gli operai al comando della
produzione avevano a cuore la propria salute, quella della propria famiglia e
del resto della popolazione lavoratrice. La qualità della produzione era
regolata quindi in modo da non inquinare grazie al fatto che la quantità
prodotta dalla fabbrica non veniva decisa in termini di profitto (non essendo
la borghesia al potere) ma in base alle reali necessità collettive. All’interno
del paradigma post-moderno si nega quindi l’esistenza delle classi sociali e
del conflitto di classe e si sostituisce il tutto con un interclassista
“cittadino” categoria dalla quale viene buttato fuori l’operaio che, cornuto e
bastonato come si suol dire, non solo fatica almeno 8 ore al giorno al soldo
del padrone rischiando spesso la vita, non solo é il primo che ha le ricadute
negative sulla propria salute ma in più viene etichettato anche come
“assassino” come se fosse il responsabile di tutto cio’ e non il padrone (della
fabbrica), come successo a Taranto in questi anni da parte dei sedicenti
“cittadini liberi e pensanti”. I nostri post-moderni non si limitano a negare
la realtà diventando partigiani della “fine della storia”, ma si spingono
oltre, pretendono che la storia faccia un salto indietro. Si enfatizza in
maniera oggettivamente reazionaria il concetto di “tradizione”: la pesca
tradizionale, l’agricoltura tradizionale negando il progresso materiale
raggiunto dall’umanità in termini di livelli di produzione e miglioramenti
tecnologici utili potenzialmente al miglioramento della qualità della vita
generale, cio’ che Marx chiamerebbe “lo sviluppo delle forze produttive”. Inoltre
arbitrariamente si parla di “vocazione” della città in termini economici,
allora sia Taranto che Gabés sarebbero delle città a vocazione turistica o
dedite al settore primario “tradizionale”, secondo lo stesso ragionamento
qualsiasi luogo del mondo dovrebbe avere la stessa “vocazione” facendo un volo
pindarico temporale come se la Rivoluzione Industriale non avesse mai avuto
luogo. Inoltre nel caso specifico tunisino, l’attuale crisi del settore
turistico provocata per dirla brutale da un ragazzino armato di kalashnikov
dimostra come qualsiasi paese al mondo non possa pensare che il settore
strategico del paese possa essere rappresentato dal turismo al contrario ogni
paese conta realmente in base alla propria capacità produttiva di beni finiti e
non di soli servizi. Per fortuna a Taranto ci sono altri soggetti che si
battono da anni sul terreno dei diritti in fabbrica per gli operai e in città
per i settori popolari, sia sul fronte più strettamente sindacale come lo Slai
Cobas per il Sindacato di Classe che politico come proletari comunisti-PCm che
ultimamente ha organizzato “l’accoglienza” al presidente del consiglio Renzi,
la parola d’ordine assunte da queste forze sociali e politiche é: “Nocivo é il
capitale non la fabbrica”. Questa scontro di posizioni si é riprodotto in
maniera surreale all’Università di Gabés lo scorso Aprile durante un convegno
dal titolo “I due Sud. Le condizioni
socio-economiche e la continua lotta tra cultura e letteratura ‘dimenticate’ “.
Surreale perché vi sono stati due interventi fatti da due professori italiani
partecipanti al convegno che hanno incarnato queste due posizioni parlando in
particolare di Gabés anche se ovviamente non sono mancati i riferimenti a
Taranto, é scaturito poi un dibattito con i diretti interessati: gli studenti
tunisini.
Abbiamo visto la posizione degli “ambientalisti”
italiani, torniamo a Gabés e al gruppo “No pollution”; si potrebbe pensare che
anche gli “ambientalisti gabesiani abbiano la stessa posizione e invece no… I
giovani studenti qui sono realmente “pensanti”, hanno incominciando
organizzando delle manifestazioni contro la direzione del gruppo chimico e non
contro gli operai, al contrario le manifestazioni avevano l’obiettivo di
sensibilizzare sia i settori popolari in generale che gli operai e non avevano
la rivendicazione di chiudere la fabbrica. Gli attivisti del gruppo non
negano che quando lo stesso é nato, alcuni membri avevano proposto la parola
d’ordine “estremista” della chiusura della fabbrica, ma in seguito a
discussioni interne si é deciso che la rivendicazione principale é quella di
una bonifica del golfo e dell’oasi utilizzando come fondi necessari una parte
dei profitti del GCT, inoltre si chiede una riduzione delle emissioni e il
rispetto delle norme ambientali già esistenti e non applicate che prevedano ad
esempio l’utilizzo di depuratori. Anche qui si denuncia il fatto che alcuni
settori economici come quello della pesca e dell’agricoltura siano stati
danneggiati dall’attività della fabbrica, ma innanzitutto bisogna pensare che in
un paese come la Tunisia il settore agricolo ha un peso specifico superiore
rispetto che ad un paese come l’Italia; in secondo luogo, “sorprendentemente” i
pescatori di Gabés sono contrari alla chiusura della fabbrica nonostante
danneggi direttamente la loro attività1.
Condividono le parole d’ordine del movimento “No
Pollution” é dichiarano espressamente che mai vorrebbero vedere i loro
familiari, amici e concittadini disoccupati ma che il governo deve assumersi le
proprie responsabilità e bonificare il golfo di Gabés. Quindi a differenza di
Taranto qui sono gli ambientalisti che hanno una linea simile a quella che a Taranto
hanno organizzazioni sindacali e della sinistra di classe. Al contrario la
sinistra ufficiale tunisina e il sindacato, l’UGTT, brancolano nel buio se non
addirittura vivono in connivenza con il GCT. Il movimento Stop Pollution é
nuovo in città e sicuramente ha ancora della strada da fare e qualcosa da
rettificare, ad esempio dopo essere riuscito a farsi conoscere tramite un paio
di manifestazioni cittadine, ha organizzato un convegno nell’hotel più in della
città in cui alla tavola rotonda é stato inviato anche un portavoce del GCT a
cui sono state poste delle domande per verificare le “buone intenzioni” del GCT
ad adempiere le legittime richieste della popolazione. Questo approccio é
illusorio e svia dal raggiungimento dell’obiettivo, solo i rapporti di forza
possono costringere il GCT e quindi il governo ad eseguire la bonifica, non una
semplice opera di convincimento. Detto questo sicuramente gli ambientalisti
gabessiani sono sicuramente anni luce avanti rispetto ai vaneggiamenti dei loro
omologhi tarantini e il fatto di essere principalmente una forza fresca e
giovane é sicuramente un punto di forza che fa sperare bene.
1Vedi intervista presente su questo blog: https://wordpress.com/stats/insights/tunisieresistant.wordpress.com
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