Prescrizione
a metà per le morti di amianto condanne definitive ai manager Fincantieri
La scure
della prescrizione cancella un altro pezzo del processo per la strage
silenziosa dell'amianto ai Cantieri navali di Palermo. Ma dopo 16 anni di
udienze, le condanne degli ex direttori dello stabilimento fin cantieri
reggono. Ieri sera, la quarta sezione della Corte di Cassazione ha solo ridotto
e pene agli imputati, proprio per effetto della prescrizione, che ha spazzato
via 9 casi di decesso per amianto e ne ha risparmiato 21: Luciano Lemetti passa
da 4 anni e 2 mesi di reclusione a 3 anni e 6 mesi, Giuseppe Cortesi da 3 anni
e 5 mesi a 3 anni e 1 mese, Antonino Cipponeri da due anni e 8 mesi a 2 anni, 7
mesi e 10 giorni. La prescrizione è scattata per la morte di nove operai
avvenuta fra il 1998 e il 1999. Un epilogo non proprio a sorpresa. In primo e
secondo grado, la prescrizione aveva già cancellato 28 episodi di lesioni per
malattie gravi e decessi. Ma nessuno sconto arriverà sui risarcimenti, che
adesso verranno chiesti per tutti i familiari delle vittime. È il vero successo
per le parti civili e per la procura di Palermo.
"Questa
sentenza dimostra che è comunque urgente riformare le norme sulla prescrizione
– dice l'avvocato Fabio Lanfranca, che in questo processo è stato parte civile
per diversi familiari delle vittime e per il sindacato Fiom Cgil. – Su 62 capi
di imputazione più della metà è stata cancellata. Per il resto – prosegue il
legale – la sentenza conferma i giudizi di primo e secondo grado. A Palermo,
Fincantieri ha violato sistematicamente la normativa sulla sicurezza, senza
informare i lavoratori né dotare gli operai degli strumenti di protezione. Secondo
i dati emersi dal processo – spiega Lanfranca – 1.750 persone sono state
mandate in pensione con contributi statali dopo che per anni erano state
esposte all'amianto."
Nelle case
dei familiari delle vittime, la sentenza provoca sentimenti opposti. "Siamo
allibiti", dice Annamaria Arcoleo, che si è costituirà parte civile per la
morte del padre: "La prescrizione ha salvato questi signori da pene più
pesanti". Michele Arcoleo, operaio addetto al rivestimento delle caldaie
morì a 59 anni nel 1998.
Gioisce a
metà, invece, Maria Tricomi. Suo padre Antonino fu stroncato dall'asbestosi nel
2002. "E' una verità che poteva arrivare prima – dice – però è arrivata.
Sono contenta che qualcuno sconterà i suoi errori". Antonino Tricomi era
un "tracciatore", la malattia se lo portò via in un anno. "Non
gli dicemmo la verità sulla sua malattia – racconta Maria – avrebbe saputo
della sua condanna a morte."
Annamaria
Arcoleo insiste: "Noi speravamo nella giustizia e in una condanna
esemplare. Il risarcimento? Non è per quello che abbiamo aspettato questi 15
anni". Annamaria ricorda ancora i giorni terribili che seguirono alla
morte del padre: "Ci cadde il mondo addosso, siamo sette fratelli. La
verità è che quegli operai vennero trattati senza alcun rispetto, morirono per il
loro lavoro. Noi vogliamo che questo non accada più".
Soddisfatto
della sentenza l'Inail: "E' stata confermata la nostra linea in base ala
quale riteniamo che l'istituto ha diritto ad essere indennizzato per quanto ha
dato alle vittime e ai loro familiari in termini di sostegno economico",
dice l'avvocato Giuseppe Vella. L'Inail ha pagato 8 milioni e mezzo di euro per
prestazioni assicurative e ha già avuto una provvisionale di 4 milioni e
100mila euro.
La
Repubblica Palermo
22 novembre
2014
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