NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
REQUISITI
DEI LUOGHI DI LAVORI E ORGANIZZAZIONE DELLA SALUTE E SICUREZZA
LE
CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.76
Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR
RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne
fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di
lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di
richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire
con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti dei lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che
hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e
possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a
che fare con casi simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza
ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende
coinvolte.
Marco Spezia
QUESITO
Ciao,
l’azienda dove lavoro non ha mai adeguato i
sistemi di sorveglianza e tutela della salute a quanto dettato dal D.Lgs.
81/08.
Nella sostanza ci troviamo in presenza di
specifiche violazioni inerenti:
-
microclima:
assenza di regolazione climatica e relativa umidità dall’interno delle cabine dove
operano i lavoratori, cabine dotate di ampia metratura, ma schermata da tendine
non atte allo scopo;
-
immissione
di aria forzata o pressurizzata all’interno delle cabine: l’impianto immette
aria ventilata all’interno della cabina non tenendo conto dei vari periodi di
presenza di inquinanti e delle condizioni climatiche; inoltre il flusso d’aria
è perpendicolare al sedile dell’operatore con conseguenze negative
sull’apparato muscolo scheletrico;
-
ergonomicità:
presenza di spigoli vivi nell’area di lavoro dell’addetto ove è presente videoterminale;
-
sicurezza
zona uffici: assenza di porte antipanico e presenza di grate in ferro alle
finestre;
-
inadeguatezza
dell’illuminazione: scarsissima illuminazione delle aree di transito veicolare
che sottopongono l’operatore a elevato rischio di investimento;
-
agenti
atmosferici: assenza di qualsiasi copertura nelle aree di passaggio pedonale:
l’operatore è costretto ad operare sotto le intemperie;
-
salute:
assenza di scheda di valutazione dei rischi, assenza di fascicoli sanitari del
lavoratore, visite mediche non specifiche per la peculiarità della mansione
svolta;
-
assenza
di Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza.
Puoi darmi qualche indicazione a proposito di
quanto segnalato.
RISPOSTA
Ciao,
in merito ai problemi da te lamentati ti
riporto a seguire cosa prevede la normativa in materia, relativamente ai
requisiti che devono avere i luoghi di lavoro e in merito alla organizzazione
del lavoro per ridurre gli altri rischi da te lamentati (sorveglianza
sanitaria, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ecc.).
MICROCLIMA E IMMISSIONE ARIA FORZATA O
PRESSURIZZAZIONE
I luoghi di lavoro devono possedere
caratteristiche microclimatiche adeguate al lavoro da svolgere.
Ciò discende da precisi obblighi legislativi,
che trovano origine dall’articolo articolo 64, comma 1, lettera a) del D.Lgs.
81/08 (“Testo unico sulla sicurezza”, nel seguito Decreto):
“Il datore di lavoro provvede
affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63,
commi 1 [...]”.
A sua volta l’articolo 63, comma 1 impone che:
“I luoghi di lavoro devono
essere conformi ai requisiti indicati nell’allegato IV”.
Il mancato rispetto da parte del datore di lavoro dei requisiti di cui
all’allegato IV e di conseguenza dell’articolo 64, comma 1, lettera a) del
Decreto, è reato penale, punito, ai sensi dell’articolo 68, comma 1, lettera b)
del Decreto stesso con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.000 a 4.800 euro
L’allegato IV del Decreto, in merito al microclima prevede un intero
capitolo, al punto 1.9 “Microclima”, i cui contenuti ti riporto a seguire, per
i soli requisiti attinenti a quanto da te segnalato.
“1.9.1.1.
Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far si che tenendo conto dei metodi
di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi
dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche ottenuta con impianti
di areazione.
1.9.1.2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere
sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un
sistema di controllo, quando ciò è necessario per salvaguardare la salute dei
lavoratori.
1.9.1.3. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell’aria o di
ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non
siano esposti a correnti d’aria fastidiosa.
1.9.1.4. Gli stessi impianti devono essere periodicamente sottoposti a
controlli, manutenzione, pulizia e sanificazione per la tutela della salute dei
lavoratori.
1.9.1.5. Qualsiasi sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un
pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all’inquinamento
dell’aria respirata deve essere eliminato rapidamente.
1.9.2.1. La temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata
all’organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di
lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori.
1.9.2.2. Nel giudizio sulla temperatura adeguata per i lavoratori si
deve tener conto della influenza che possono esercitare sopra di essa il grado
di umidità ed il movimento dell’aria concomitanti.
1.9.2.4. Le finestre, i lucernari e le pareti vetrate devono essere
tali da evitare un soleggiamento eccessivo dei luoghi di lavoro, tenendo conto
del tipo di attività e della natura del luogo di lavoro”.
In merito alla presenza di sostanza nocive all’interno delle cabine,
lo stesso allegato IV riporta al capitolo 2.1 “Difesa da agenti nocivi” quanto
segue (ho riportato solo i punti strettamente attinenti a quanto da te
segnalato):
“2.1.4-bis. Nei lavori
in cui si svolgano gas o vapori irrespirabili o tossici od infiammabili ed in
quelli nei quali si sviluppano normalmente odori o fumi di qualunque specie il
datore di lavoro deve adottare provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne, per
quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione.
2.1.8.1. Nei locali o luoghi di lavoro o di passaggio deve essere per
quanto tecnicamente possibile impedito o ridotto al minimo il formarsi di
concentrazioni pericolose o nocive di gas, vapori o polveri esplodenti,
infiammabili, asfissianti o tossici; in quanto necessario, deve essere
provveduto ad una adeguata ventilazione al fine di evitare dette
concentrazioni.
Parimenti il successivo capitolo 2.2 “Difesa contro le polveri” riporta
quanto segue:
2.2.1. Nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di
polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i
provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne, per quanto è possibile, lo
sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro.
2.2.2. Le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della
natura delle polveri e della loro concentrazione nella atmosfera.
2.2.3. Ove non sia possibile sostituire il materiale di lavoro
polveroso, si devono adottare procedimenti lavorativi in apparecchi chiusi
ovvero muniti di sistemi di aspirazione e di raccolta delle polveri, atti ad
impedirne la dispersione. L’aspirazione deve essere effettuata, per quanto è
possibile, immediatamente vicino al luogo di produzione delle polveri.
2.2.5. Qualunque sia il sistema adottato per la raccolta e
l’eliminazione delle polveri, il datore di lavoro è tenuto ad impedire che esse
possano rientrare nell’ambiente di lavoro”.
INADEGUATA
ILLUMINAZIONE E MANCATA DI COPERTURA DEI LUOGHI DI LAVORO ESTERNI
Anche
in questo caso fa fede l’obbligo di cui all’articolo 64, comma 1, lettera a)
del Decreto, che rimanda sempre all’allegato IV.
Per
quanto riguarda i requisiti relativi all’illuminazione dei luoghi di lavoro, a
livello generale tutto il capitolo 1.10
“Illuminazione naturale ed artificiale dei luoghi di lavoro” dell’allegato IV è
dedicato a questo aspetto.
Ti riporto i requisiti pertinenti a quanto da te
lamentato:
“1.10.1. A
meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e
salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono
disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e
luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano
un’illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute
e il benessere di lavoratori.
1.10.5. Gli ambienti, i posti di lavoro ed i passaggi devono essere
illuminati con luce naturale o artificiale in modo da assicurare una
sufficiente visibilità”.
Per quanto attiene poi ai luoghi di lavoro
all’aperto, vale quanto contenuto nel capitolo 1.8 “Posti di lavoro e di
passaggio e luoghi di lavoro esterni” dell’allegato IV, cui punti attinenti
alle problematiche segnalate sono i seguenti:
“1.8.3. I
posti di lavoro, le vie di circolazione e altri luoghi o impianti all’aperto
utilizzati od occupati dai lavoratori durante le loro attività devono essere
concepiti in modo tale che la circolazione dei pedoni e dei veicoli può
avvenire in modo sicuro.
1.8.6. I luoghi di lavoro all’aperto devono essere opportunamente
illuminati con luce artificiale quando la luce del giorno non è sufficiente.
1.8.7. Quando i lavoratori occupano posti di lavoro all’aperto, questi
devono essere strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che
i lavoratori:
1.8.7.1 sono protetti contro gli agenti atmosferici e, se necessario,
contro la caduta di oggetti;
1.8.7.2 non sono esposti a livelli sonori nocivi o ad agenti esterni
nocivi, quali gas, vapori, polveri;
1.8.7.3 possono abbandonare rapidamente il posto di lavoro in caso di
pericolo o possono essere soccorsi rapidamente;
1.8.7.4 non possono scivolare o cadere”.
ERGONOMIA E SICUREZZA DELLE POSTAZIONI DI LAVORO
Per
quanto riguarda l’ergonomia e la sicurezza delle postazioni di lavoro, in
funzione delle attrezzature di lavoro presenti, gli obblighi a carico del
datore di lavoro derivano in generale dall’articolo 71, comma 6 del Decreto,
relativo appunto alle attrezzature di lavoro:
“Il datore di lavoro prende le
misure necessarie affinché il posto di lavoro e la posizione dei lavoratori
durante l’uso delle attrezzature presentino requisiti di sicurezza e rispondano
ai principi dell’ergonomia”.
Inoltre,
poiché la postazione di lavoro in cabina è dotata di videoterminale essa deve
possedere i requisiti specifici per tali postazioni di lavoro.
Ciò
deriva da quanto disposto dall’articolo 174, comma 3 del Decreto che impone:
“Il datore di lavoro organizza e
predispone i posti di lavoro di cui all’articolo 173 [postazioni con
videoterminali], in conformità ai
requisiti minimi di cui all’allegato XXXIV”.
Il mancato rispetto da parte del datore di lavoro dei requisiti di cui
all’allegato XXXIV e di conseguenza dell’articolo 174, comma 3 del Decreto, è
reato penale, punito, ai sensi dell’articolo 178, comma 1, lettera a) del
Decreto stesso con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Il punto 1, lettera
a) dell’allegato XXXIV specifica che:
“L’utilizzazione
in sé dell’attrezzatura non deve essere fonte di rischio per i lavoratori”.
SICUREZZA ZONA UFFICI
Come già detto i luoghi di lavoro devono
possedere specifiche caratteristiche per la tutela della sicurezza dei
lavoratori.
In merito alla necessità che i luoghi di lavoro
siano dotati di uscite di sicurezza e che le porte che chiudono tali uscite
siano dotate di maniglioni antipanico o simili per aprirle facilmente e
immediatamente, l’allegato IV riporta al capitolo 1.5 “Vie e uscite di emergenza” le seguenti
prescrizioni:
“1.5.3. In
caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter essere evacuati
rapidamente e in piena sicurezza da parte dei lavoratori.
1.5.4. Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle
uscite di emergenza devono essere adeguate alle dimensioni dei luoghi di
lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazione d’uso, alle attrezzature
in essi installate, nonché al numero massimo di persone che possono essere
presenti in detti luoghi.
1.5.5. Le vie e le uscite di emergenza devono avere altezza minima di m
2,0 e larghezza minima conforme alla normativa vigente in materia antincendio.
1.5.6. Qualora le uscite di emergenza siano dotate di porte, queste
devono essere apribili nel verso dell’esodo e, qualora siano chiuse, devono
poter essere aperte facilmente ed immediatamente da parte di qualsiasi persona
che abbia bisogno di utilizzarle in caso di emergenza. L’apertura delle porte
delle uscite di emergenza nel verso dell’esodo non è richiesta quando possa
determinare pericoli per passaggio di mezzi o per altre cause, fatta salva
l’adozione di altri accorgimenti adeguati specificamente autorizzati dal
Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio.
1.5.7. Le porte delle uscite
di emergenza non devono essere chiuse a quando sono presenti lavoratori in
azienda, se non nei casi specificamente autorizzati dagli
organi di vigilanza.
1.5.8. Nei locali di lavoro e in quelli destinati a deposito è vietato
adibire, quali porte delle uscite di emergenza, le saracinesche a rullo, le
porte scorrevoli verticalmente e quelle girevoli su asse centrale.
1.5.9. Le vie e le uscite di emergenza, nonchè le vie di circolazione e
le porte che vi danno accesso non devono essere ostruite da oggetti in modo da
poter essere utilizzate in ogni momento senza impedimenti.
1.5.10. Le vie e le uscite di emergenza devono essere evidenziate da
apposita segnaletica, conforme alle disposizioni vigenti, durevole e collocata
in luoghi appropriati.
1.5.11. Le vie e le uscite di emergenza che richiedono un’illuminazione
devono essere dotate di un’illuminazione di sicurezza di intensità sufficiente,
che entri in funzione in caso di guasto dell’impianto elettrico”.
Relativamente alla presenza di grate
metalliche alle finestre, il Decreto non specifica niente in merito.
Queste potrebbero essere giustificate da
necessità di sicurezza degli uffici rispetto a intrusioni e furti.
Le grate non diminuiscono o impediscono
l’evacuazione in emergenza della palazzina, perché le vie di esodo e le uscite
di emergenza possono essere costituite solo da percorsi percorribili a piedi.
Occorre verificare che le vie di esodo e le
uscite di emergenza siano comunque adeguate a una evacuazione di emergenza, in
funzione degli ingombri di personale nella palazzina, della lunghezza
complessiva delle vie di esodo, della larghezza delle porte delle uscite di
emergenza, del livello di rischio incendio dei luoghi di lavoro.
SORVEGLIANZA SANITARIA
L’obbligo di predisporre la sorveglianza
sanitaria mediante la nomina del medico competente e l’invio dei lavoratori
alle viste è a carico del datore di lavoro e dei dirigenti.
A tale proposito vige quanto disposto
dall’articolo 18, comma 1, lettere a) e g) del Decreto:
“Il datore di lavoro [...] e i dirigenti [...] devono:
a) nominare il medico
competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti
dal presente decreto legislativo;
[...]
g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le
scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico
competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto;
[...]”.
Il mancato adempimento da parte del datore di
lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a)
(nomina del medico competente) è punito dall’articolo 55, comma 5, lettera d)
del Decreto con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.500
a 6.000 euro.
Il mancato adempimento da parte del datore di
lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di cui all’articolo 18, comma 1, lettera g)
(invio dei lavoratori alle visite mediche) è punito dall’articolo 55, comma 5,
lettera e) del Decreto con l’ammenda da 2.000 a
4.000 euro.
L’esecuzione della
sorveglianza sanitaria, secondo i criteri stabiliti dal Decreto è invece un obbligo
a carico del medico competente.
In particolare
il medico competente è obbligato a definire il contenuto della sorveglianza sanitaria
(tipologia e periodicità delle visite mediche e degli accertamenti diagnostici)
in funzione degli effettivi rischi per la salute a cui sono sottoposti i
lavoratori, come specificati all’interno del documento di valutazione dei
rischi. I contenuti della sorveglianza sanitaria devono essere allineati ai
criteri scientifici più avanzati.
Infatti
l’articolo 25, comma 1, lettera b) del Decreto impone che:
“Il medico competente programma ed effettua
la sorveglianza sanitaria [...]
attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e
tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati”.
A seguito e in
esito alle visite mediche e agli accertamenti diagnostici definiti all’interno
della sorveglianza sanitaria, il medico competente deve poi redigere una
specifica cartella clinica (cartella sanitaria e di rischio) in cui riportare
l’anamnesi del lavoratore e tutti gli esiti della sorveglianza sanitaria. La
cartella deve essere ovviamente coperta da segreto professionale.
Infatti
l’articolo 25, comma 1, lettera c) del Decreto impone che:
“Il
medico competente istituisce, aggiorna e
custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di
rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto
professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l’esecuzione della
sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il
luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente”.
Il mancato adempimento da parte del medico
competente degli obblighi di cui all’articolo 25, comma 1, lettere b)
(definizione della sorveglianza sanitaria in funzione dei rischi specifici) e
c) (tenuta della cartella sanitaria e di rischio) è punito dall’articolo 58,
comma 1, lettera b) del Decreto con l’arresto
fino a due mesi o con l’ammenda da 300
a 1.200 euro.
Sull’effettivo adempimento degli obblighi
sopra elencati a carico del medico competente, in ogni caso il datore e di
dirigenti, sono tenuti a effettuare adeguata vigilanza (nelle modalità che
ritengono più opportune, ma che devono avere caratteristiche di piena
efficacia).
Tale vigilanza costituisce un obbligo in
virtù dell’articolo 18, comma 3-bis del Decreto:
“Il datore di lavoro e i
dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all’adempimento degli
obblighi di cui agli articoli [...] 25 [obblighi a carico del medico
competente], ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati
ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti
obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un
difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti”.
Il datore di lavoro e i dirigenti devono in
pratica verificare che il medico competente provveda ad eseguire le viste
mediche e a tenere e aggiornare la cartella sanitaria e di rischio, ovviamente
senza entrare nel merito delle scelte professionali effettuate dal medico.
RAPPRESENTANTI DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA
Sotto tale aspetto l’azienda non ha alcun
obbligo, essendo l’elezione o la designazione del Rappresentante dei Lavoratori
per la Sicurezza
(RLS) una facoltà e un diritto per i lavoratori, ma non certo un obbligo per
l’azienda.
A tale proposito fa riferimento l’articolo
47, comma 2 del Decreto che stabilisce che:
“In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.
Tale dettato normativo non è, come detto, uno
degli obblighi a carico del datore di lavoro o dei dirigenti (riportati invece
all’articolo 18 del Decreto).
Tieni conto che, nelle aziende nelle quali i
lavoratori decidano di non eleggere o designare il RLS, tutte le sue
attribuzioni (sopralluogo dei luoghi di lavoro, consultazione del documento di
valutazione dei rischi, partecipazione alla riunione periodica, segnalazione di
criticità rilevate nella sua attività, ricorso agli organi di vigilanza)
possono essere svolte dal RLS Territoriale, ai sensi dell’articolo 47, comma 8
del Decreto:
“Qualora non si proceda alle elezioni previste dai commi 3 e 4 [elezione del RLS], le funzioni
di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono esercitate dai
rappresentanti di cui agli articoli 48 [RLS Territoriale] e 49 [RLS di Sito Produttivo], salvo diverse intese tra le associazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale”.
Pertanto per qualunque problema relativo alla
mancata tutela della salute e della sicurezza nella tua azienda, nel caso in
cui i lavoratori non abbiano eletto o designato il RLS aziendale, ti puoi
rivolgere al RLS Territoriale, chiedendone il nominativo alle
Organizzazioni Sindacali a livello provinciale.
I RITARDI SULLE
BONIFICHE DELL’AMIANTO NON HANNO SCUSE MA HANNO SICURAMENTE DEI COLPEVOLI
Da
Medicina Democratica
7
giugno 2016
Il
Ministero dell’Ambiente ha siglato un accordo con la Presidenza del
Consiglio dei Ministri per la mappatura con droni delle coperture in cemento-amianto,
strombazzando una innovazione nel metodo che nasconde solo i ritardi
“bipartisan” accumulati negli anni dai governi che si sono succeduti.
L’obbligo
di censimento e autodenuncia delle coperture in cemento amianto risale al 1994
(!!!) ed è stato ribadito dai diversi Piani Regionali Amianto (PRA). Tutti i
proprietari e gli utilizzatori, pubblici e privati, di edifici contenenti
amianto dovevano procedere all’autodenuncia della presenza di amianto (ovvia
premessa per predisporre la rimozione o, almeno, il controllo nel tempo) alle
USL/ASL.
Ancora
precedente è l’obbligo di denuncia dell’amianto friabile nei luoghi di lavoro.
Da
anni si dovrebbe sapere (e in molte ASL si sa) dove è l’amianto in particolare
negli edifici pubblici (la
Regione Lombardia, per esempio, organizzò il censimento a
metà degli anni ‘80) di tempo ce ne è stato affinché venisse eliminato o almeno
la bonifica fosse a buon punto e invece siamo ancora a chiederci dov’è.
Inoltre
uno degli obblighi dei PRA è quello di individuare le priorità di intervento a
partire dai luoghi pubblici o a uso pubblico (ospedali, scuole, cinema,
palestre ecc.) e adesso si prevede che si penserà a stanziare dei fondi per le
priorità che verranno individuate (quando: dopo aver rifatto un censimento che
dovrebbe esistere da oltre 20 anni ??!!).
Che
il Ministero si occupi di monitorare e svegliare le Regioni che non hanno
nemmeno una approfondita conoscenza del proprio territorio e non hanno
programmato le modalità e i tempi per risolvere il problema (incluse le
modalità di gestione dei rifiuti).
Nel
frattempo, infine, sembra sparito dall’orizzonte il Decreto con cui si
intendeva porre una “dead line” per “asbestos free” nei luoghi pubblici, in
primis le scuole.
Ma
chi vogliono prendere in giro?
Riportiamo
sotto il testo del comunicato stampa del Ministero:
PROGETTO
PILOTA CON UTILIZZO DRONI DOTATI DI TELECAMERE AD ALTA RISOLUZIONE. “OBIETTIVO
MAPPATURA NAZIONALE, POI FONDI PER INTERVENTI DI MAGGIORE URGENZA”
Roma
31 maggio 2016
Un
programma per la mappatura dell’amianto nelle scuole, per un’efficace
progettazione e realizzazione di interventi di bonifica. E’ quanto prevede un
protocollo d’intesa firmato oggi dalla Struttura di missione per la
riqualificazione dell’edilizia scolastica della Presidenza del Consiglio dei
Ministri e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
L’assoluta novità contenuta nel documento è il ricorso alle più moderne
tecnologie di telerilevamento, mediante l’utilizzo di droni dotati di
telecamere ad alta risoluzione, e il consolidamento di un progetto pilota che
dia per la prima volta una dimensione omogenea del fenomeno a livello
nazionale.
“Con
il lavoro che avviamo oggi con il Ministero dell’Ambiente” – dichiara Laura
Galimberti, coordinatrice della Struttura di Missione di Palazzo Chigi –
“affrontiamo in modo sistematico un problema estremamente complesso, creando
per la prima volta una mappatura scientifica su scala nazionale, essenziale per
delineare azioni efficaci nella bonifica dell’amianto nelle scuole. Ricordo che
è compito delle Regioni predisporre piani di protezione dell’ambiente, di
decontaminazione, smaltimento e bonifica e che, dal 1994, è stata istituita la
figura del Responsabile amianto con compiti di controllo e coordinamento per
ogni Ente locale”.
“La
conoscenza completa e aggiornata della presenza di amianto nelle scuole
italiane” – spiega Gaia Checcucci, Direttore generale per la Salvaguardia del
territorio e delle Acque del ministero – “è il presupposto per velocizzare la
progettazione e la realizzazione delle opere di bonifica. Questo importante
protocollo ci permette di farlo attraverso le più moderne tecniche di analisi e
monitoraggio della consistenza e della struttura delle superfici, anche
seguendo un metodo di lavoro che potrà definire in tempi brevi una mappatura
analitica su scala nazionale. Il passo successivo e conseguente, che verrà
disciplinato dal decreto ministeriale in attuazione della norma del Collegato
Ambientale già predisposto dalla direzione, servirà a destinare in maniera più
efficace i fondi per la progettazione disponibili, in particolare privilegiando
gli edifici scolastici per i quali gli interventi di bonifica rivestono
carattere di maggiore urgenza”.
I
fondi del Governo per la sicurezza delle scuole comprendono anche le attività
di rimozione dell’amianto: 400 milioni sono stati stanziati a giugno 2014, in continuità con i
150 milioni del “Decreto del Fare”. Molte Regioni, nelle proprie graduatorie,
hanno dato la priorità agli interventi di bonifica dell’amianto nelle scuole,
riducendo di molto il numero di istituti ancora interessati. Anche i 905
milioni previsti dall’operazione #MutuiBei possono finanziare interventi di
questo tipo. I primi 1.215 cantieri sono stati già avviati.
Per
ulteriori informazioni:
OBBLIGHI DEL DATORE
DI LAVORO DERIVANTI DALL’ARTICOLO 2087 DEL CODICE CIVILE
Da:
PuntoSicuro
06
giugno 2016
di
Gerardo Porreca
E’
dovere del datore di lavoro apprestare tutte le misure di sicurezza
tecnologicamente esigibili che, se pure non in grado di impedire eventi
criminosi a danno dei lavoratori, possano svolgere un’azione dissuasiva.
La Sentenza in esame si occupa
di un caso più volte dibattuto e già oggetto di precedenti espressioni della
suprema Corte e cioè della mancanza in un ufficio postale di qualsivoglia misura
specifica atta a impedire, a prevenire o comunque a rendere più difficoltoso il
realizzarsi di una rapina ai danni dell’ufficio stesso, non essendovi
installato alcun sistema di allarme rivolto all’esterno ma solo una protezione
del banco cassa con vetro antisfondamento.
E’
dovere del datore di lavoro, ha sostenuto in questa Sentenza la suprema Corte,
apprestare tutte le misure di sicurezza tecnologicamente esigibili per impedire
eventi criminosi a danno dei lavoratori che, se pure non in grado di impedire
il loro verificarsi, possano comunque svolgere un’azione dissuasiva e quindi
preventiva e protettiva.
L’articolo
2087 del Codice civile, infatti, rende necessaria l’installazione di adeguati
mezzi necessari a tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti
di eventi criminosi nei casi in cui siano prevedibili episodi di aggressione a
scopo di lucro perché insiti nel tipo di attività nelle quali è prevista la
movimentazione di somme di denaro specie se, come nel caso in esame, si è già
registrato il verificarsi di tali episodi.
Il
direttore di un ufficio postale, che aveva subito due rapine restando in
entrambe le occasioni in balia dei rapinatori armati di pistola, avendo dedotto
che da tali eventi gli era derivata una malattia psichica, ha ricorso al
Tribunale denunciando la responsabilità del datore di lavoro per la violazione
dell’articolo 2087 del Codice Civile per avere omesso di dotare l’ufficio
presso il quale prestava la sua attività di appropriate difese in grado di
proteggere i dipendenti durante lo svolgimento del servizio e ha quindi chiesto
al Tribunale stesso la condanna della società al risarcimento del danno per
lesione del diritto alla salute. Instaurato il contraddittorio, il giudice
monocratico ha condannato la società che gestiva l’ufficio al risarcimento del
danno subito dal direttore, danno determinato, a seguito di Consulenza Tecnica
di Ufficio, nella misura complessiva di euro 17.500 oltre accessori e spese.
La Corte di Appello ha
successivamente respinto l’appello della società, confermando la responsabilità
datoriale per violazione dell’articolo 2087 del Codice Civile non avendo la
stessa provveduto a dotare l’ufficio postale di qualsivoglia dispositivo di
sicurezza funzionale alla protezione del personale addetto durante l’orario di
servizio, neanche dopo la prima rapina a mano armata e ha condiviso altresì la
liquidazione del danno non patrimoniale effettuata dal primo giudice sulla
scorta di una Consulenza Tecnica di Ufficio e applicando le tabelle in uso
nell’ufficio giudiziario.
La
società ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo fra le altre motivazioni
di avere assolto a tutti gli obblighi di legge su di essa incombenti, in quanto
le ridotte dimensioni dell’ufficio in argomento e la scarsa dotazione di denaro
escludevano che l’evento rapina avesse un grado di probabilità apprezzabile ai
fini della configurabilità di un obbligo da parte della datrice di lavoro di
apprestare particolari misure di sicurezza, ulteriori rispetto a quelle già apprestate.
Il
ricorrente ha sostenuto, inoltre, che la Corte di Appello avrebbe condiviso l’elaborato
peritale, nonostante la
Consulenza Tecnica di Ufficio non avesse compiuto alcun esame
specifico circa la derivazione causale della patologia del direttore dagli
eventi delittuosi.
Il
ricorso non è stato accolto dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto
rigettato. La stessa ha fatto presente che di recente ha avuto modo di statuire
proprio in riferimento a rapine presso uffici postali (si veda ad esempio le
Sentenze di Cassazione n. 23793 del 2015 e n. 7405 del 2015), che l’articolo
2087 del Codice Civile rende necessario l’apprestamento di adeguati mezzi di
tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori nei confronti dell’attività
criminosa di terzi nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi
di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività
esercitata, in ragione della movimentazione, anche contenuta, di somme di
denaro, nonché delle plurime reiterazioni di rapine in un determinato arco
temporale.
In
particolare la Corte
ha cassato in passato una sentenza della Corte di Appello che aveva negato il
nesso causale tra la verificazione degli eventi criminosi e la mancata adozione
di qualsivoglia misura specificamente diretta a impedire, prevenire o comunque
rendere più difficoltoso il realizzarsi di rapine ai danni di un ufficio
postale di ridotte dimensioni, presso il quale non vi era alcun sistema di
allarme rivolto all’esterno, ma solo una protezione del banco cassa con vetro
antisfondamento, come pure ha respinto il ricorso della società di gestione
dell’ufficio postale in un caso in cui gli unici accorgimenti contro il rischio
di rapine erano costituiti da sbarre alle finestre, pareti esterne a spessore
rinforzato e istruzioni affinché il personale dell’ufficio non opponesse
resistenza alcuna.
E’
analoga, secondo la
Sezione Lavoro, la situazione che è stata accertata dai
giudici di merito nel caso in esame, secondo cui la società non ha provveduto a
dotare l’ufficio postale di qualsivoglia dispositivo di sicurezza funzionale
alla protezione del personale addetto durante l’orario di servizio, neanche
dopo la prima rapina a mano armata, tali non essendo, di certo, le inferriate
alle finestre ed il maggiore spessore dei muri esterni, volti ad evitare
intrusioni durante la chiusura al pubblico dell’ufficio.
Ciò
posto, la Corte
di Cassazione ha ribadito che è dovere del datore di lavoro apprestare tutte le
misure di sicurezza previste dalla normativa di riferimento o comunque
esigibili secondo la tecnologia del momento, il che non significa che tali
mezzi debbano essere certamente in grado di impedire il verificarsi di episodi
criminosi a danno del dipendente, bensì che gli stessi siano idonei, secondo
criteri di comune esperienza, a svolgere una funzione almeno dissuasiva e,
quindi, preventiva e protettiva.
Inoltre,
ha concluso la suprema Corte, se è vero che dall’articolo 2087 del Codice
Civile non può evincersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare
ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la
conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni
qual volta si verifichi un danno, nondimeno nel caso di specie i giudici di
merito hanno in concreto individuato svariati accorgimenti suggeriti dalla
tecnica al giorno d’oggi disponibile al fine di prevenire il rischio di rapine,
evidenziando che nessuno di essi era stato adottato presso l’ufficio postale in
argomento.
Pertanto
in definitiva, coerente con i principi innanzi espressi, la sentenza della
Corte di Appello si sottrae alle censure che le sono state mosse.
La Sentenza n. 3424 del 22
febbraio 2016 della Corte di Cassazione Civile Sezione Lavoro è consultabile
all’indirizzo:
PREPARAZIONE
E GESTIONE DELLE EMERGENZE SECONDO IL NUOVO CODICE
Da: PuntoSicuro
07 giugno 2016
Il nuovo codice di prevenzione incendi
riporta precise indicazioni sulla preparazione all’emergenza e sulla gestione
della sicurezza in emergenza. Le misure antincendio per la preparazione
all’emergenza.
Il nuovo “Codice di prevenzione Incendi”
contenuto nel Decreto del Ministero dell’Interno del 3 agosto 2015, definisce la Gestione della Sicurezza
Antincendio (GSA) come una misura finalizzata alla gestione di un’attività in
condizioni di sicurezza, sia in fase di esercizio che in fase di emergenza,
attraverso l’adozione di una struttura organizzativa che prevede ruoli,
compiti, responsabilità e procedure.
E con riferimento al capitolo S.5 (Gestione
della sicurezza antincendio) del Codice, entrato in vigore il 18 novembre 2015,
il Codice stesso si sofferma sul tema delle emergenze.
A questo proposito ricordiamo che la
preparazione all’emergenza, nell’ambito della gestione della sicurezza
antincendio, si esplica tramite:
-
pianificazione
delle procedure da eseguire in caso d’emergenza, in risposta agli scenari incidentali
ipotizzati;
-
nelle
attività lavorative con la formazione e addestramento periodico del personale
all’attuazione del piano d’emergenza, prove di evacuazione: la frequenza delle
prove di attuazione del piano di emergenza deve tenere conto della complessità
dell’attività e dell’eventuale sostituzione del personale impiegato.
Inoltre la pianificazione d’emergenza deve
includere planimetrie e documenti nei quali siano riportate tutte le
informazioni necessarie alla gestione dell’emergenza (ad esempio: indicazione
dei compiti e funzioni in emergenza mediante predisposizione di una catena di
comando e controllo, destinazioni delle varie aree dell’attività, compartimentazioni
antincendio, sistema d’esodo, aree a rischio specifico, dispositivi di
disattivazione degli impianti e di attivazione di sistemi di sicurezza, ecc.).
In prossimità degli accessi di ciascun piano
dell’attività, devono poi essere esposte:
-
planimetrie
esplicative del sistema d’esodo e dell’ubicazione delle attrezzature
antincendio;
-
istruzioni
sul comportamento degli occupanti in caso di emergenza.
E il piano di emergenza deve essere
aggiornato in caso di modifica significativa, ai fini della sicurezza
antincendio, dell’attività.
Una tabella del Codice riporta le misure
antincendio per la preparazione all’emergenza secondo il livello di
prestazione.
La
GSA
può infatti essere svolta secondo tre diversi livelli di prestazione:
-
livello
base,
-
livello
avanzato;
-
livello
avanzato per attività complesse.
Riguardo al primo livello di prestazione la
pianificazione dell’emergenza può essere limitata all’informazione al personale
ed agli occupanti sui comportamenti da tenere, informazione che deve riguardare:
-
istruzioni
per la chiamata del soccorso pubblico e le informazioni da fornire per
consentire un efficace soccorso;
-
istruzioni
di primo intervento antincendio, attraverso: azioni del responsabile
dell’attività in rapporto alle squadre di soccorso; azioni degli eventuali
addetti antincendio in riferimento alla lotta antincendio e all’esodo, ivi
compreso l’impiego di dispositivi di protezione ed attrezzature; azioni per la
messa in sicurezza di apparecchiature ed impianti;
-
istruzioni
per l’esodo degli occupanti, anche per mezzo di idonea segnaletica.
Riguardo invece al secondo e terzo livello di
prestazione il piano di emergenza deve contenere le procedure per la gestione
dell’emergenza e in particolare:
-
procedure
di allarme: modalità di allarme, informazione agli occupanti, modalità di
diffusione dell’ordine di evacuazione;
-
procedure
di attivazione del centro di gestione delle emergenze;
-
procedure
di comunicazione interna e verso gli enti di soccorso pubblico: devono essere
chiaramente definite le modalità e strumenti di comunicazione tra gli addetti
antincendio e il centro di gestione dell’emergenza, individuate le modalità di
chiamata del soccorso pubblico e le informazioni da fornire alle squadre di
soccorso;
-
procedure
di primo intervento antincendio, che devono prevedere le azioni della squadra
antincendio per lo spegnimento di un principio di incendio, per l’assistenza
degli occupanti nella evacuazione, per la messa in sicurezza delle
apparecchiature o impianti;
-
procedure
per l’esodo degli occupanti e le azioni di facilitazione dell’esodo;
-
procedure
di messa in sicurezza di apparecchiature e impianti: in funzione della
tipologia di impianto e della natura dell’attività, occorre definire apposite
sequenze e operazioni per la messa in sicurezza delle apparecchiature o
impianti;
-
procedure
di rientro nell’edificio al termine dell’emergenza: in funzione della
complessità della struttura devono essere definite le modalità con le quali
garantirne il rientro in condizioni di sicurezza.
Il Codice si occupa anche della preparazione
all’emergenza in attività caratterizzate da promiscuità strutturale,
impiantistica, dei sistemi di vie d’esodo.
Infatti qualora attività caratterizzate da
promiscuità strutturale, impiantistica, dei sistemi di vie d’esodo siano esercite
da responsabili dell’attività diversi, le pianificazioni d’emergenza delle
singole attività devono tenere conto di eventuali interferenze o relazioni con
le attività limitrofe. Inoltre deve essere prevista una pianificazione
d’emergenza di sito in cui siano descritte le procedure di risposta
all’emergenza per le parti comuni e per le eventuali interferenze tra le attività
ai fini della sicurezza antincendio.
Si indica poi che, dove previsto dalla
soluzione progettuale individuata, deve essere predisposto apposito centro di
gestione delle emergenze ai fini del coordinamento delle operazioni
d’emergenza, commisurato alla complessità dell’attività.
E tale centro di gestione delle emergenze,
che deve essere individuato da apposita segnaletica di sicurezza, deve essere
fornito almeno di:
-
informazioni
necessarie alla gestione dell’emergenza (ad esempio pianificazioni, planimetrie,
schemi funzionali di impianti, numeri telefonici, ecc.);
-
strumenti
di comunicazione con le squadre di soccorso, il personale e gli occupanti;
-
centrali
di controllo degli impianti di protezione attiva o ripetizione dei segnali
d’allarme.
Ricordando che il Codice sottolinea
l’importanza della revisione periodica dell’adeguatezza delle procedure di
sicurezza antincendio in uso e della pianificazione d’emergenza, concludiamo
l’articolo segnalando che il documento “Norme tecniche di prevenzione incendi”
(l’allegato al Decreto contenente il nuovo Codice) affronta anche il tema della
gestione della sicurezza in emergenza.
In particolare la gestione della sicurezza
antincendio durante l’emergenza nell’attività deve prevedere almeno:
-
se
si tratta di attività lavorativa: attivazione e attuazione del piano di
emergenza (di cui al paragrafo S.5.6.5 del Codice);
-
se
non si tratta di attività lavorativa: attivazione dei servizi di soccorso
pubblico, esodo degli occupanti, messa in sicurezza di apparecchiature ed
impianti;
-
qualora
previsto, attivazione del centro di gestione delle emergenze (secondo le
indicazioni del paragrafo 5.5.6.7 del Codice).
E, infine, alla rivelazione manuale o
automatica dell’incendio segue generalmente:
-
l’immediata
attivazione delle procedure d’emergenza;
-
nelle
attività più complesse, la verifica dell’effettiva presenza di un incendio e la
successiva attivazione delle procedure d’emergenza.
Il Decreto del Ministero dell’Interno del 3
agosto 2015 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi
dell’articolo 15 del Decreto Legislativo 8 marzo 2006, n. 139” è consultabile
all’indirizzo:
IMPARARE DAGLI
ERRORI: PIATTAFORME, LINEE ELETTRICHE E STABILIZZATORI
Da:
PuntoSicuro
09
giugno 2016
di
Tiziano Menduto
Esempi
di infortuni correlati all’utilizzo di piattaforme di lavoro elevabili (PLE). I
problemi correlati alla vicinanza delle piattaforme alle linee elettriche e
all’uso errato degli stabilizzatori. La dinamica degli infortuni e la
prevenzione.
Per
quanto riguarda gli incidenti e i rischi correlati all’uso delle piattaforme di
lavoro, la rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi
degli infortuni lavorativi, si è già soffermata in passato sulla vicinanza
delle piattaforme alle linee elettriche e sull’uso degli stabilizzatori.
Tuttavia
gli infortuni, anche mortali, correlati a questi due aspetti, continuano ad
avvenire. E dunque torniamo a parlarne nella serie di puntate della rubrica,
iniziate a marzo con un infortunio in attività di potatura, dedicate al
racconto delle dinamiche degli incidenti e alla presentazione di suggerimenti
per migliorare la prevenzione nell’uso delle piattaforme mobili elevabili.
Le
dinamiche infortunistiche che presentiamo sono tratte dall’archivio di
INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato
al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il
primo caso riguarda il ribaltamento di una piattaforma aerea.
Mentre
opera a circa 12/15 metri di altezza sopra una piattaforma aerea, in lavoratore
si infortuna a seguito del ribaltamento della macchina.
Il
lavoratore era dotato, e ne faceva uso, di cintura di sicurezza all’interno del
cestello della piattaforma. Nel caso in esame la macchina è stata posizionata
in un’area ristretta, su un piano inclinato e con configurazione pericolosa
(base di appoggio limitata, baricentro alto).
In
particolare in cantiere c’era un’altra piattaforma più piccola che poteva essere
usata in sicurezza.
Questo
il fattore causale rilevato: il lavoratore posizionava la macchina in
difformità a quanto previsto nel manuale di uso e manutenzione (innalzamento
baricentro e scorretta posizione stabilizzatori) e su un tratto in pendenza.
Il
secondo caso riguarda invece il contatto con la linea elettrica.
Il
titolare di un’impresa e un suo dipendente apprendista muratore devono
sostituire qualche lastra di copertura sul tetto di un fabbricato ad uso
agricolo.
Come
da contratto di subappalto, un’altra ditta noleggia una piattaforma elevabile
mettendola a disposizione del titolare della prima impresa per effettuare il
lavoro.
Il
titolare e il dipendente, dopo aver stabilizzato la piattaforma, salgono nel
cestello con due lastre di copertura e si portano in quota, azionando i comandi
posti nello stesso cestello, in prossimità del tetto.
Verosimilmente
durante questa operazione un’estremità della/e lastra/e urta/no uno dei cavi
della linea aerea (media tensione a 15.000 V).
Il
dipendente che si trova più vicino ai cavi afferra un martello con manico in
legno e, per spostare il cavo e liberare la lastra, urta, con tutta
probabilità, con la spalla lo stesso cavo che mette in tensione il cestello
provocando la morte di entrambi i lavoratori.
Questo
il fattore causale rilevato dalla scheda: è stato svolto il lavoro senza tenere
conto della vicinanza di cavi elettrici in tensione e toccandoli con un
attrezzo.
Innanzitutto
ricordiamo genericamente, con riferimento al primo incidente, quanto richiesto
dalla normativa di tutela della salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08) in
riferimento agli obblighi del datore di lavoro (articolo 71): il datore di
lavoro, al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle
attrezzature di lavoro e per impedire che dette attrezzature possano essere
utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte,
adotta adeguate misure tecniche ed organizzative, tra le quali quelle
dell’Allegato VI del D.Lgs. 81/2008.
Rimandando
ad altre puntate di “Imparare dagli errori” gli approfondimenti relativi alle
problematiche degli stabilizzatori e al rischio ribaltamento, riprendiamo
alcune indicazioni sui divieti per l’installazione e l’uso di PLE come
riportati nella scheda contenuta nel manuale “Le macchine in edilizia.
Caratteristiche e uso in sicurezza”, un documento nato dal rapporto di collaborazione
tra l’INAIL Piemonte e il CPT Torino. Nella scheda sono presenti anche le
istruzioni prima, durante e dopo l’uso che fanno riferimento anche alla verifica
della vicinanza a linee elettriche aeree.
Questi
i divieti per l’installazione e l’uso delle PLE contenuti nella “Scheda 3:
Piattaforme di lavoro mobili elevabili”, fermo restando le indicazioni
contenute nelle istruzioni d’uso di ogni macchina:
-
non
rimuovere, disattivare o modificare in alcun modo i dispositivi di sicurezza;
-
non
applicare sulla PLE cartelli, striscioni o altri elementi che possano aumentare
la superficie esposta al vento;
-
non
aggiungere sovrastrutture, come scale, sgabelli o altri mezzi per incrementare
lo sbraccio e/o l’altezza;
-
non
installare apparecchi di sollevamento sul cestello;
-
non
operare con velocità del vento superiore a quella indicata dal fabbricante
(vedere targhe di istruzioni);
-
non
operare in condizioni meteorologiche difficili (ad esempio temporali);
-
non
operare in condizioni di scarsa visibilità e senza segnalazioni;
-
non
spostare la PLE
con operatore a bordo della piattaforma se non previsto dal fabbricante;
-
non
sovraccaricare la PLE:
la portata indicata sulla targa non deve mai essere superata e comprende sia le
persone che gli attrezzi/materiale utilizzati per l’attività;
-
non
salire e scendere dalla piattaforma quando essa è in quota; in particolare, per
le PLE a pantografo, non usare la struttura estensibile per tali scopi;
-
non
eseguire sulla piattaforma lavori che possano compromettere la stabilità del
ponte;
-
non
appoggiare la piattaforma su altre strutture, fisse o mobili;
-
non
utilizzare la PLE
come apparecchio di sollevamento materiali;
-
non
caricare o scaricare materiale dalla piattaforma quando è in quota;
-
non
poggiare gli stabilizzatori su chiusini o altre superfici cedevoli;
-
non
stazionare sul pianale dell’autocarro durante la manovra della piattaforma (per
PLE autocarrate);
-
con
la PLE su
autocarro stabilizzata, non disinserire il freno di stazionamento ed eseguire
lo spostamento (questa errata manovra se attuata, in genere, è segnalata da un
avvisatore acustico);
-
non
stazionare sul basamento dell’automezzo durante la manovra della piattaforma.
Riguardo
infine al tema della vicinanza delle linee elettriche, riportiamo la tabella
contenuta nell’allegato IX del D.Lgs. 81/08 riferita alle distanze di sicurezza
da parti attive di linee elettriche e di impianti elettrici non protette o non
sufficientemente protette da osservarsi, nell’esecuzione di lavori non
elettrici, al netto degli ingombri derivanti dal tipo di lavoro, delle
attrezzature utilizzate e dei materiali movimentati, nonché degli sbandamenti
laterali dei conduttori dovuti all’azione del vento e degli abbassamenti di
quota dovuti alle condizioni termiche.
“Un”
indica la tensione nominale espressa in volt, mentre “D” la distanza minima
consentita espressa in metri:
-
Un
< 1.000 => D = 3
-
1.000
< Un < 30.000 => D = 3,5
-
30.000
< Un <132.000 => D = 5
-
Un
> 132.000 => D = 7
Il
link del sito web di INFOR.MO è:
STORIE DI INFORTUNIO:
LA MIA STORIA
TRA LE DITA
Da:
PuntoSicuro
14
giugno 2016
La
storia di un infortunio avvenuto durante l’uso di una piccola pressa meccanica:
come è avvenuto l’incidente, le cause, i risultati delle inchieste e le
indicazioni per la prevenzione.
Il
Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte
(Dors) raccoglie storie d’infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi
PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la
convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione
indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione.
Questa
storia, dal titolo “La mia storia tra le dita” (a cura di Fabrizio Macagno,
Corrado Testa, Servizio PreSAL della ASL CN1), presenta un infortunio avvenuto
durante l’uso di una piccola pressa meccanica.
In
una ditta del cuneese che si occupa di serigrafia, durante la stampa di alcune
targhette metalliche con l’uso di una piccola pressa meccanica, Adrian rimase
con le mani schiacciate sotto il punzone della macchina subendo l’amputazione
del pollice, indice e medio della mano sinistra e dell’indice della mano
destra.
Adrian
è un operaio specializzato di 42 anni, di nazionalità albanese, che lavorava
con contratto a tempo pieno e la qualifica di “stampatore”.
L’infortunio
è avvenuto in Piemonte, in provincia di Cuneo, nel mese di novembre del 2005,
nel reparto produttivo di un’azienda che svolge attività di serigrafia,
produzione ed incisione di coppe, targhe, trofei.
Ha
raccontato Adrian:
“Il
giorno dell’infortunio stavo lavorando sulla pressa ed ero intento alla stampa
delle targhette, quando mi accorsi che la stampa non andava bene. Quindi,
decisi di mettere un pezzo di nastro biadesivo sulla parte superiore dello
stampo, per fare in modo che dopo la chiusura della pressa tale stampo
rimanesse attaccato al pressore e non si spostasse durante la fase di stampa
delle targhette. Fatto questo, incastrai perfettamente lo stampo nella parte
posizionata sul piano di battuta del pressore, quando improvvisamente mi trovai
con le mani schiacciate sotto la pressa...”.
La
pressa, di vecchia costruzione, era di tipo meccanico con innesto a frizione.
Per attivare la discesa del punzone era necessario premere contemporaneamente i
due “attuatori” (grossi pulsanti) di colore rosso posti sulla parte bassa e
frontale della macchina e mantenerli premuti.
Lavorando
seduto, Adrian si trovava con le ginocchia proprio all’altezza dei due comandi
che non erano posizionati correttamente e non erano protetti contro
l’azionamento accidentale.
Mentre
armeggiava con le mani nella zona dello stampo, anch’essa non protetta da
ripari o da fotocellule, accidentalmente premette i pulsanti con le ginocchia
provocando la discesa del punzone.
Dalle
indagini è emerso che, a monte dell’evento, nell’ambito della “valutazione dei
rischi” la pressa non era stata analizzata. In particolare, nel documento di
valutazione dei rischi prodotto dall’azienda la macchina non veniva citata e
non era stato neanche preso in considerazione il “rischio di schiacciamento” in
generale.
Nell’ambito
di qualsiasi attività lavorativa la corretta valutazione di tutti i rischi è
fondamentale al fine di mettere a disposizione dei lavoratori macchine,
attrezzature, impianti e locali di lavoro idonei ai fini della salute e della
sicurezza.
Le
presse e macchine simili devono possedere ripari o dispositivi atti ad evitare
che le mani o altre parti del corpo dei lavoratori siano offese dal punzone o
da altri organi mobili.
E’
quindi necessario che l’area di lavoro sia protetta mediante schermi o
dispositivi (ad esempio fotocellule) che impediscano la discesa del punzone
quando l’area di lavoro non sia libera.
In
alcuni casi, come dispositivo di sicurezza, è ritenuto sufficiente un doppio
comando di tipologia idonea, anche se è vivamente consigliabile l’abbinamento
contemporaneo di più sistemi.
Il
documento “La mia storia tra le dita” è scaricabile all’indirizzo:
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