Martina, commessa di Zara:
“zero dignità nella malattia”
Mi chiamo Martina e lavoro come addetta alle vendite in una delle più
grandi multinazionali presenti sul mercato, Zara, che con il suo
fatturato ha reso Amancio Ortega l’uomo più ricco del mondo. Oggi vi
scrivo non per lamentarmi del trattamento che l’azienda riserva ai suoi
magazzinieri (condizioni da medioevo, con turni estenuanti e senza riposo), e
neppure per chiedere la
chiusura dei punti vendita nei giorni festivi e domenicali. Non vi voglio parlare nemmeno delle
tante “Sonia” che vengono
lasciate a casa allo scadere dei mesi che una Legge di liberalizzazione
selvaggia ha previsto per instaurare un precariato dilagante.
Oggi vi voglio parlare delle mie colleghe: Elena,
Emanuela, Stefania, Cinzia, Marta e tante altre, che sono donne e mamme, che lavorano
ma che hanno la sfortuna di essere malate, o categorie protette, o madri di disabili.
Vi voglio parlare delle loro lotte per mantenere il posto di lavoro, con
sacrificio e professionalità Vi voglio raccontare quanto Zara le mette
sotto pressione, facendole sentire inadeguate.
Marta ha vinto sul cancro, per ora, ma come tutti i malati di
cancro la sua battaglia non finisce col ciclo di chemioterapia. Lei è una
categoria protetta, ha un contratto a tempo indeterminato, e viene ogni giorno
a lavorare dimostrando a se stessa e agli altri che si può vincere, ha
ricominciato a sognare al futuro, e si è sposata. Peccato che suo marito viva
in un’altra città, una città dove esiste il negozio Zara che fattura di più al
mondo, una città dove opera il suo oncologo. Marta ha chiesto il trasferimento,
ma ZARA GLIELO NEGA, apparentemente senza motivo.
Elena è malata di sclerosi multipla, e da quando lavora in Zara
le sue condizioni di salute sono peggiorate fino al 74% di invalidità. Elena
non vuole arrendersi a questa malattia, e viene a lavorare anche quando le
gambe le si piegano dalla fatica, ogni giorno lavora le 4 ore previste dal suo
contratto a tempo indeterminato con grande sacrificio, ma con grande impegno.
In negozio noi tutti, suoi colleghi e amici, ammiriamo la sua forza di
carattere e la sua determinazione.
Purtroppo il negozio in cui lavora chiude alle 23 ogni giorno e per lei farcela fino
a quell’ora è una battaglia troppo dura. Così insieme ai miei colleghi abbiamo
combattuto per un intero anno al fine di farle ottenere dei turni meno pesanti,
che non superassero le 21. Alla nostra insistenza Zara, nella persona
dei vari Direttori di negozio e delle Risorse Umane, all’inizio si è mostrata
completamente riluttante alle nostre richieste, cedendo solo dopo un
lunghissimo anno. Il problema è che non passa giorno in cui Elena non senta
“battutine” sui suoi turni agevolati, o pressioni.
Stefania è mamma di una splendida bimba disabile, per cui ha diritto alla Legge 104.
Spesso si assenta dal lavoro per poter accudire sua figlia, la Legge 104 le dà
il diritto di farlo, ma Zara glielo fa pesare. Quando è in servizio
cerca di sorridere ai clienti e a noi colleghi con gentilezza, per non far
percepire le sue ansie e la sua preoccupazione. Viene a lavoro anche il giorno
dopo un ricovero straordinario della figlia e scopre che Zara non le ha
retribuito l’assenza del giorno prima, qualificandola come “assenza
ingiustificata”. Purtroppo i permessi maturati negli anni di lavoro per
l’azienda vengono concessi a discrezione dei direttori del negozio che non
ritengono quell’assenza giustificata. Quando rientra dopo un lungo periodo di
Congedo Straordinario per prendersi cura della figlia, non può non sentire il
mormorio che le si scatena intorno, come se fosse stata in vacanza!
Emanuela è mamma di un bimbo dislessico, anche lei per questo ha diritto
alla Legge 104. Emanuela è una venditrice part time, da quando per esigenze
familiari, si è demansionata dal ruolo di direttrice di negozio. Lavora con
grande competenza e professionalità, senza aver mai smesso di contribuire con
la sua esperienza alle vendite del negozio. Purtroppo quando chiede turni più
regolari per poter accompagnare il figlio alla terapia logopedistica, ZARA
GLIELO NEGA, e il nuovo direttore di negozio motiva tale rifiuto
nell’impossibilità di creare un “precedente” in azienda e le dice: “Se tutti
ci chiedessero turni a misura come faremmo a portare avanti il negozio?”.
Emanuela avrebbe voluto rispondergli “Per fortuna non tutti hanno figli
disabili!”, ma ha taciuto, sentendosi tradita, ancora una volta,
dall’Azienda a cui negli anni ha creduto e a cui ha dato tanto.
Cinzia non è mamma, è una donna single, fuori sede, arrivata in Zara dopo che al
Sud non trovava lavoro. A Roma ha trovato un contratto a tempo indeterminato e
si è messa a lavorare tanto da far carriera, ora ha il terzo livello. Purtroppo
nei tanti anni di lavoro, sempre in piedi, la sua schiena comincia a darle
problemi e scopre di avere varie ernie discali. Purtroppo a volte il suo corpo
si paralizza e lei è immobilizzata a letto, sola perché la sua famiglia è a
centinaia di chilometri di distanza. Quando dopo un lungo periodo di malattia
torna in negozio nessuno le chiede come sta, ma al contrario si sente dire che
dovrebbe demansionarsi. Quando ha delle ricadute, nessuno le crede, e non le
rivolgono parola durante le otto ore di lavoro, colpevolizzandola per le sue
ripetute assenze. Alla collega che le urla disumanamente contro “tu ci
pesi con le tue continue malattie!” lei vorrebbe rispondere per le
rime, ma tace, il lavoro le serve per vivere. Il direttore che assiste a queste
scene tace, mostrando la posizione di un’azienda che non tollera malati.
Purtroppo Zara va avanti incurante dei disagi dei suoi dipendenti,
cresce, apre nuovi negozi e stipula contratti a gente sempre più giovane nella
speranza che non si ammalino. Ma la malattia non è una scelta. E di
fronte a lavoratrici come queste, che lottano nella loro vita privata battaglia
inimmaginabili, e che vengono a lavoro sempre con enorme professionalità, Zara
risponde con una strategia che le criminalizza. Da quando lavoro in Zara il
contratto collettivo nazionale ha decurtato sensibilmente la remunerazione
delle assenze per malattia, ciò significa che al danno subito da chi
sfortunatamente si ammala si aggiunge l’impossibilità di affrontare serenamente
le spese per le cure mediche. In questo clima, Zara aggiunge disperazione ai
suoi dipendenti, trattandoli come criminali, creando nei negozi, tra colleghi,
un clima di sospetto e di sfiducia verso coloro che si ammalano o che si
assentano per prendersi cura dei propri familiari. Nei mesi scorsi ho seguito
le polemiche sulle taglie degli abiti del mio brand: le accuse erano di
voler creare un modello di clientela ai limiti dell’anoressia. Purtroppo il
modello che Zara propone è quello di individui giovanissimi, magrissimi e
SANI, non solo come clientela ma anche come dipendenti e chi non rientra in
questi parametri viene vessato, ai limiti della sopportazione. Ancora una volta
Zara dimostra la sua faccia disumana, incurante e sprezzante. Avrei
voluto parlarvi di altre storie, ma altri lavoratori e lavoratrici hanno
ceduto, hanno accettato di dimettersi, perdendo per sempre anche la sicurezza
di un lavoro, perché toglieva loro dignità.
da http://www.francescoiacovone.com
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