A Palermo la Questura contro gli operai dei Cantieri Navali
la Questura di Palermo ha notificato più di 40 denunce in seguito ai
blocchi stradali avvenuti il 9 giugno scorso.
Lo scorso 9 giugno gli operai del cantiere navale e del relativo indotto di
Palermo si sono riuniti in presidio in due delle arterie principali della città
per protestare contro le condizioni di emergenza in cui versa lo stabilimento
siciliano (i bacini sono di fatto fermi), giungendo sotto la Prefettura
attuando anche una serie di blocchi stradali. Questa mattina hanno ricevuto più
di 40 notifiche di denuncia in cui vengono contestati provvedimenti penali per
la manifestazione non autorizzata, ed amministrativi per i blocchi stradali che
gli operai hanno messo in campo in quella giornata per dare maggiore rilievo
alla propria protesta. Sembra evidente innanzitutto un dato: i provvedimenti
previsti sono stati notificati ad effetto lampo, appena dopo una decina di
giorni dai fatti, con la chiara intenzione di voler smorzare immediatamente la
protesta. Non è nuovo infatti il rapporto privilegiato tra Fincantieri e la
Questura, che in casi come queste torna goffamente a galla nel tentativo di
sedare la rabbia degli operai.
Ma Fincantieri e Questura non sono che due facce
della medesima medaglia: uno Stato Italiano che da sempre si è dimostrato
profondamente avverso agli operai del cantiere navale di Palermo e
dell'indotto. Da un lato, la dirigenza Fincantieri, come da direttive, fa in
modo che i carichi di lavoro vengano fatti confluire sempre più al Nord ItaliA,
abbandonando la Sicilia ad una prospettiva (presente e futura) di precarietà,
cassa integrazione e disoccupazione (recente è il caso dell'operaio licenziato
ingiustamente solo perché, per condizioni fisiche, rappresenterebbe una
“zavorra” all'interno del cantiere, che inceppa dunque il meccanismo di messa a
profitto); dall'altro lato la Questura risponde con denunce e repressione per
quegli operai che non accettano di abbassare la testa nei confronti di uno
sfruttamento sistematico della propria forza lavoro.
Questi ridicoli tentativi non sortiranno l'effetto sperato dagli emissari
dello Stato, dall'altro lato non faranno invece che accrescere la convinzione
che una lotta sul posto di lavoro, dentro le fabbriche, è più che mai
necessaria, e che a questo tipo di lotte, da tutte le composizioni sociali,
bisogna portare solidarietà e partecipazione attiva.
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