INDICE
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
PIENO SOSTEGNO ALLA LOTTA DEL POPOLO FRANCESE CONTRO LA LOI TRAVAIL
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
ROSARNO:
PER SHEIKH TRAORE E TUTTE LE VITTIME DI UN SISTEMA DA ABOLIRE!
Federico Giusti giustifederico@libero.it
RIFORMA DEL TERZO SETTORE: ATTENZIONE AL RISCHIO DEL LAVORO GRATUITO
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
COMUNICATO STAMPA SU LAVORO A NORMATIVA
Muglia La
Furia fmuglia@tin.it
INGEGNERI: ECCO LE PROPOSTE DI MODIFICA DEL D.LGS.
81/08
Pubblicazioni Istituto Superiore di Sanità pubblicazioni@iss.it
NUOVE PUBBLICAZIONI DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’
Posta Resistenze posta@resistenze.org
MESSICO: FORMAZIONE AZIENDALE, LO SFRUTTAMENTO MASCHERATO
DA OPPORTUNITA’
Posta
Resistenze posta@resistenze.org
IL LATO OSCURO DEL CIOCCOLATO: LAVORO MINORILE E DEFORESTAZIONE
Daniele
Barbieri pkdick@fastmail.it
BANANE,
VELENI, BOICOTTAGGI E... STORIE CHE IN ITALIA SONO INVISIBILI
Comitato Sostegno Vittime Eureco comitatosostegnovittime.eureco@gmail.com
COMUNICATO STAMPA NUOVO INSEDIAMENTO PRODUTTIVO NELL’AREA
EURECO
Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
NUORO: NUOVO
PROTOCOLLO UNICO DI SORVEGLIANZA SANITARIA E TAVOLO TECNICO PER IL RICONOSCIMENTO DELLE MALATTIE PROFESSIONALI
---------------------
From:
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent:
Sunday, June 12, 2016 11:11 PM
Subject: PIENO
SOSTEGNO ALLA LOTTA DEL POPOLO FRANCESE CONTRO LA LOI TRAVAIL
Esprimiamo pieno
sostegno alla lotta del popolo francese contro la Loi Travail, che
umilia i diritti dei lavoratori e le loro aspettative, come nel caso del Jobs
Act in Italia.
In
particolare comunichiamo sostegno ai ferrovieri francesi, che come noi e come
in Germania e in Belgio, stanno anche lottando per condizioni contrattuali
dignitose e contro i tentativi speculativi di privatizzazione e svendita del
servizio ferroviario.
Inoltre
esprimiamo piena solidarietà al compagno Antoine, vilmente imprigionato a Lille
durante la mobilitazione contro la
Loi travaille; ci uniamo a tutti coloro che stanno
combattendo per ottenere il suo rilascio immediato.
In Italia
abbiamo dato vita il 24/25 maggio a uno dei più grandi scioperi del settore
ferroviario negli ultimi anni e stiamo preparando un nuovo sciopero ferroviario
nazionale per il 23/24 giugno 2016.
I sindacati di base dei Ferrovieri Italiani
-
CUB Trasporti
-
CAT - Coordinamento Autorganizzato Trasporti
-
SGB - Sindacato Generale di Base
-
USB - Unione Sindacale di Base
---------------------
From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Monday,
June 13, 2016 1:08 AM
Subject: ROSARNO: PER SHEIKH
TRAORE E TUTTE LE VITTIME DI UN SISTEMA DA ABOLIRE!
Ripubblichiamo l’articolo del Comitato dei
lavoratori delle campagne e di Campagne in lotta sull’omicidio del bracciante
Sheikh Traore a Rosarno. Un fatto che accusa non solo chi pretende di far
valere la legge sparando agli schiavi delle piantagioni dei tempi nostri, ma
tutto un sistema basato sulle difficoltà di ottenere permessi di soggiorno e
residenze, sulle connivenze di amministrazioni e sindacati, sulla scelta di non
dare risposte a chi sempre di più si sta organizzando per conquistare i propri
diritti.
da Campagne in
lotta
Una nuova tragedia,
dal copione purtroppo sempre uguale a sé stesso, si è consumata ieri nella
tendopoli di San Ferdinando, nei pressi di Rosarno.
Un evento come ne capitano spesso nelle periferie e nei ghetti di tutto il
pianeta.
Ma in questo caso si
tratta di un omicidio di stato, perché come già avvenuto in passato, i
responsabili sono i suoi fedeli servi, quelle forze dell’ordine che ancora una
volta abusano del proprio potere, arrivando a togliere la vita a una persona. Ma anche perché quella tendopoli è stata voluta e progettata dallo stato
stesso, che ha creato l’emergenza, il ghetto e le condizioni di
precarietà totale e tensione che questi determinano. Questa volta ne ha fatto
le spese un ventisettenne maliano che abitava nella tendopolI, Sheikh Traoré,
il quale aldilà di ogni ricostruzione possibile è stato brutalmente assassinato
ieri mattina, mercoledì 8 giugno.
La dinamica riportata
dalla questura e dai media è alquanto discutibile, ed è tesa esclusivamente a tenere in piedi la tesi della legittima difesa.
Come è possibile che le forze dell’ordine, in numero superiore (pare fossero
ben 7!!), debbano ricorrere alle armi da fuoco per sedare una persona, anche se
questa fosse in uno stato non controllabile? Come è possibile che, come
raccontato dalle voci delle persone presenti al campo, il lancio del “coltello”
e lo sparo siano in momenti temporali differenti, provando l’ipotesi di un’esecuzione
a freddo? E come è possibile che un procuratore della Repubblica, prima che si
siano concluse le indagini, già avvalori la tesi della legittima difesa?
Ai giornali non è
interessato fornire una ricostruzione veritiera, ascoltando le testimonianze
dei presenti o approfondendo la dinamica: la morte di un africano immigrato,
seppur per mano di un carabiniere, è notizia quasi da tutti i giorni, che non
necessita di approfondimenti di alcun tipo poiché si
spiega con l’anormalità del soggetto, con il suo essere “disturbato, ubriaco,
rissoso” com’è ovvio, essendo immigrato. Eppure la storia
arrivata dalle veline della questura appare totalmente discutibile. Non è un
caso, appunto, che i giornali abbiano sostenuto immediatamente la tesi della
legittima difesa, o addirittura quella del colpo partito accidentalmente, che
in maniera drammatica ricorda l’assassinio di Davide Bifolco, avvenuto a Napoli
2 anni fa. Un nuovo omicidio di stato in un’altra delle estreme periferie di
questo paese, buona a balzare agli onori della cronaca solo per eventi tragici
come quello di ieri. E non è un caso nemmeno che la risposta del neoeletto
sindaco di Rosarno sia stata la solita dichiarazione populista tutta improntata
su un’ottica securitaria: bisogna sgomberare la tendopoli, e non si possono
accogliere tutti, sono troppi. D’altronde, anche la CGIL è orientata all’ottica
del meno peggio: qualche tempo fa, dopo l’ennesima promessa di intervento da
parte della Prefettura, aveva dichiarato di volere che i lavoratori fossero
trasferiti “in container”. Come se facesse la differenza.
Ma la risposta dei braccianti della tendopoli non si
è fatta attendere: stamane, 9 giugno, sono scesi in corteo ed hanno
raggiunto il comune di San Ferdinando, dove hanno ottenuto di parlare con i
suoi rappresentanti chiedendo soluzioni immediate, non soltanto giustizia e
verità per la morte di Sheikh, ma la fine delle aggressioni che i braccianti
della tendopoli e degli altri insediamenti subiscono quotidianamente, di
ritorno dal lavoro, e soluzioni concrete ed immediate
per eliminare le cause prime di questa condizione di assoluta vulnerabilità,
a cui però i lavoratori non si piegano. I problemi che vivono i braccianti
agricoli e gli abitanti della tendopoli come di molti altri luoghi simili, in
tutta Italia, sono molteplici: scarsezza di risorse igieniche e sanitarie,
mancanza di acqua ed elettricità in alcuni casi. Condizioni abitative che si sommano alle condizioni di vita nel lavoro,
con l’altissimo tasso di sfruttamento, e di vita, legate alla dipendenza e alle
difficoltà burocratiche per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Questi
elementi sono quelli che creano veri e propri ghetti prossimi alle nostre
città, dove la marginalità sociale e l’esclusione da ogni tipo di meccanismo di
integrazione sono condizioni che permeano quotidianamente la vita di queste
persone.
Come recitavano i
cartelli imbracciati stamane dai lavoratori, ricordando anche le vittime del
razzismo di stato oltreoceano, senza giustizia non c’è pace!
Verità per la morte
di Sheikh Traoré e di tutte le vittime di questo sistema fatto di
discriminazione e sfruttamento. Da Foggia a Rosarno, uniti in un solo grido e
in una sola lotta.
Comitato Lavoratori delle Campagne
Rete Campagne in Lotta
Per approfondire:
-
articoli
sulle lotte dei braccianti al link:
-
sfruttamento
e lotte nelle campagne: un bilancio parziale ed alcune prospettive di rilancio
al link:
---------------------
From: Federico
Giusti giustifederico@libero.it
To:
Sent: Monday,
June 13, 2016 1:06 PM
Subject: RIFORMA
DEL TERZO SETTORE: ATTENZIONE AL RISCHIO DEL LAVORO GRATUITO
Da Controlacrisi
RIFORMA DEL TERZO SETTORE: ATTENZIONE AL RISCHIO DEL LAVORO GRATUITO
Intervento di Federico Giusti
Non è
possibile capire la riforma del terzo settore, approvata dal Parlamento lo
scorso 25 maggio, senza guardare alle associazioni di volontariato non solo
come uno strumento di straordinario consenso politico al PD, ma nella veste di
strumento per una feroce revisione dello stato sociale e del modello welfare
che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi 50 anni.
Secondo noi
non è possibile discernere la “riforma” dall’utilizzo insano e selvaggio dei
voucher e la istituzione del lavoro gratuito in Expo e nel Giubileo con tanto
di accordo sindacale sottoscritto da CGIL, CISL, UIL.
Facciamo di
ogni erba un fascio? Risposta negativa e proveremo in sintesi a spiegare le
nostre ragioni senza dimenticare che all’ennesima controriforma seguiranno
innumerevoli decreti attuativi da qui a un anno, tanto per smentire il luogo
comune di un Governo semplificatore
Il terzo
settore consente al Governo di procedere a tappe forzate verso lo
smantellamento del welfare erogato direttamente dal pubblico, al posto di
lavoratori regolarmente assunti e contrattualizzati, formati e con regolare
contratto e formazione subentreranno figure di pseudo volontari, un po’ quello
che da tempo sta succedendo in sanità con servizi quali il trasporto sociale e quello
sanitario, gestiti da associazioni che utilizzano come forza lavoro uomini e
donne costrette al volontariato come misura alternativa a una pena.
Si fa strada
non l’associazione di volontariato ma l’impresa del terzo settore,
impropriamente definita impresa sociale, alla quale demandare la erogazione di
servizi alla collettività in nome di un welfare “moderno” che nei fatti si basa
sul lavoro gratuito, sfruttato, sulla riduzione di fondi alla istruzione, alla
sanità, una riduzione di spesa che non riguarda ormai solo lo Stato centrale ma
a cascata le autonomie locali, dalla Regione ai comuni più piccoli e a cascata
investe il terzo settore a cui destinare bandi e appalti al ribasso.
Del resto il
nuovo codice degli appalti non prevede la eliminazione del massimo ribasso,
quello per altro più esposto ai rischi della corruzione che dilaga all’ombra
degli appalti pubblici. Il massimo ribasso resta negli appalti inferiori al
milione di euro che sono più o meno l’80% del totale degli appalti senza
dimenticare che nei casi dell’offerta economicamente più vantaggiosa la
proposta migliore sarà vagliata e scelta da una commissione di esperti che solo
in alcuni casi (quando si supera la soglia comunitaria pari a 5,2 milioni di
euro) sarà attinta da un elenco curato dall’AAC, in tutti gli altri casi, ossia
la quasi totalità degli appalti, da membri interni all’ente e scelti con assai
poca trasparenza).
La riforma
del terzo settore si spiega solo dentro il contesto europeo di smantellamento
del lavoro e del welfare, di riduzione della spesa sociale ridisegnando un
welfare al massimo ribasso appaltato alle imprese del terzo settore senza alcun
controllo di direzione ed effettivo controllo dello stato.
Nasce così
la società benefit, che poi è una impresa sociale con i suoi utili/profitti che
inserisce nello statuto qualche clausoletta che individua obiettivi a beneficio
comune, da non confondere tuttavia con le imprese sociali che teoricamente non
possono avere fini di lucro pur potendo collocare sul mercato servizi e beni da
cui traggono una fonte di guadagno, forti anche dell’inquadramento contrattuale
sfavorevole (quando un contratto lo hanno e non sono pagati con i voucher o
qualche rimborso spese) della loro forza lavoro malpagata e sfruttata.
Da oggi
dovremo imparare a convivere con nuovi termini e concetti, magari rigorosamente
in lingua inglese per annebbiare le menti e confondere le idee creando nell’immaginario
collettivo una narrazione che mistifica la realtà.
Che ci sia
fine di lucro o no, che sia una impresa sociale o una società di benefit resta
il fatto che le condizioni retributive e contrattuali saranno tutte al massimo
ribasso e se fino ad oggi era fatto divieto di distribuire gli utili, pur con
alcuni paletti, da domani sarà possibile farlo fatta salva la destinazione
prioritaria degli utili al conseguimento dei fini sociali per i quali è nata la
società.
Siamo altresì
certi che un bravo legale o commercialista, compresa bene la riforma, non
tarderà a trovare scappatoie di vario genere.
Siamo anche
convinti che questa riforma costruirà un sistema di lavoro gratuito e di
precarietà ancora più forte di quello delle cooperative, anzi pensiamo che
queste ultime non debbano dormire sonni tranquilli con un concorrente così spietato
che potrà avvalersi di figure volontarie che abbasseranno ulteriormente i costi
dei servizi.
Di sicuro il
fondo per lo sviluppo, deciso dal Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, resta una incognita non solo per il suo ammontare ma anche per la
finalità dello strumento perchè i progetti delle associazioni del terzo settore
sono spesso funzionali ad obiettivi prettamente politici.
La riforma
del Terzo settore si prefigge comunque obiettivi ambiziosi e socialmente
pericolosi perchè si poggia sul potenziamento della iniziativa economica
privata che diventa una sorta di “conditio sine qua non” per tutelare i diritti
civili e sociali, quindi una sorta di supremazia dell’impresa e del mercato
rispetto al ruolo sociale dello Stato (da un Governo che cancella la Costituzione
antifascista che ci poteva attendere?).
Sul riordino
della disciplina del terzo settore il discorso si fa invece più complesso perché
siamo consapevoli che molte associazioni non abbiano la cultura e le condizioni
per adottare un controllo interno all’insegna della trasparenza e della
rendicontazione che il testo di legge sostiene di volere garantire. Basti
ricordare a come le varie pubbliche assistenze e misericordie operino sul
territorio, il colossale giro di affari dietro alle loro attività sociali e non
per capire la vera posta in gioco.
Esiste poi
un deficit democratico all’interno del terzo settore del tutto simile a quello
denunciato in altre forme aggregative, se l’obiettivo è rilanciare la
democrazia partecipativa alle decisioni che contano possiamo, senza timore di
smentita, asserire che le decisioni dirimenti sono sempre e solo prese in
circuiti ristretti. Se guardiamo ad alcune associazioni ci rendiamo conto che
la esistenza di vari livelli al loro interno determina il sostanziale
accentramento del potere decisionale ed economico nelle mani di ristretti
gruppi per lo più espressione di ceto politico o destinati a diventarlo
(ricordiamo il ruolo del terzo settore nell’elezioni di sindaci e consiglieri
locali e regionali, un potere lobbistico che controlla milioni di voti oltre a
un flusso di denaro ragguardevole).
Un discorso
a parte e meritevole di approfondimento riguarda le misure fiscali e di
sostegno economico al terzo settore tra deducibilità e detraibilità di imposte
senza menzionare poi le agevolazioni per favorire investimenti di capitale a
vari livelli.
Non è
casuale che dentro la riforma (mai nome fu più errato) del terzo settore ci sia
anche la revisione dei centri di servizio per il volontariato e non ci
meraviglieremmo che nella interazione tra scuola e lavoro spuntasse anche il
terzo settore che così potrà guadagnare ulteriore forza lavoro gratuita.
Concludiamo
con la riforma del servizio civile nazionale destinato anche a cittadini
stranieri residenti in Italia e di età compresa tra i 18 e i 28 anni, un
servizio civile al quale preferiremmo un piano di investimento destinato al
recupero del territorio investendo in lavori socialmente utili pagati 700/800
euro al mese che potrebbero svolgere un ruolo importantissimo, assai più utile
degli sgravi fiscali alle imprese. Ma a tale scopo servirebbe un intervento
statale degno di questo nome, l’esatto contrario del disimpegno e della
dismissione del ruolo pubblico nel welfare e nei servizi alla persona che poi è
la filosofia guida di questa riforma del terzo settore
---------------------
From: Maria
Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent:
Monday, June 13, 2016 11:04 PM
Subject: COMUNICATO
STAMPA SU LAVORO A NORMATIVA
Nei giorni scorsi abbiamo letto sulla
stampa di uno “sciopero bianco” attuato dal personale mobile (capitreno e
macchinisti) di Trenitalia che, a detta di un’associazione di consumatori,
starebbe provocando interruzioni di pubblico servizio. Questa descrizione dei
fatti è totalmente non corrispondente alla realtà, fortemente offensiva per i
lavoratori e, ancor più grave, ha scatenato sul web una sorta di caccia alle
streghe decisamente pericolosa e fuori luogo.
Abbiamo a più riprese cercato di
informare e coinvolgere gli utenti del servizio ferroviario, in particolare
lavoratori e studenti pendolari, perché sono coloro, insieme a noi ferrovieri,
su cui ricadono le conseguenze delle condizioni che da anni denunciamo circa le
allarmanti mancanze di personale in Trenitalia, sia nel trasporto regionale che
in quello a media-lunga percorrenza.
Per questo, per noi e per i ferrovieri
coinvolti, è assolutamente inaccettabile leggere affermazioni offensive e
richieste di licenziamento da chi parla mosso da chiari scopi propagandistici,
creando un clima di potenziale pericolo per i lavoratori, del quale si assumerà
tutte le responsabilità.
La realtà dei fatti è molto semplice: in
Trenitalia da anni il servizio si regge esclusivamente sul lavoro straordinario
del personale che, già contrattualmente, subisce condizioni lavorative pesanti
tanto da portare l’aspettativa di vita molto al di sotto della media nazionale.
Dopo anni questa situazione è diventata insostenibile per i ferrovieri, per la
loro salute, per la loro sicurezza personale (aggressioni) e per la vita familiare.
Per quanto ci riguarda, come attivisti sindacali, da sempre (non da ora) ci
battiamo per il rispetto dell’orario di lavoro (già di per sé assai pesante) e
delle normative, a tutela della sicurezza del trasporto e della qualità del
servizio.
Ma è nato dai lavoratori, dalle
assemblee, da RSU, in modo autonomo e spontaneo, l’impegno a rispettare le
norme contrattuali e i turni di servizio comandati dall’azienda. Se qualcuno ha
riscontrato in questo un vulnus rispetto al diritto alla mobilità, dimostra di
conoscere poco la realtà che intenderebbe descrivere e, soprattutto, i più
elementari principi democratici e del diritto.
Chi riporta dichiarazioni e scrive di
questi argomenti dovrebbe farlo colpendo i problemi e individuando la loro vera
causa, non chi li espone: sarebbe bastato dare una rapida lettura alle
motivazioni degli scioperi fin qui indetti per poter parlare ed agire con
cognizione di causa.
Abbiamo letto di migliaia di certificati
medici che, secondo i dati riportati sulla stampa, supererebbero di quattro
volte il numero totale dei lavoratori addetti al servizio! Così come di
richieste di precettazione o di intervento della Commissione di garanzia: ci
piacerebbe sapere come si fa a precettare chi svolge regolarmente il proprio
lavoro. Già questo basta per dare la misura dell’attendibilità di tali
affermazioni.
In ogni caso, i lavoratori hanno il
nostro pieno appoggio riguardo a decisioni che tutelano diritti, salute e
sicurezza collettive che siamo pronti a difendere in ogni sede opportuna, anche
nel caso venisse a mancare la necessaria rettifica alle dichiarazioni fin qui
emerse.
E i viaggiatori, i pendolari e i
comitati che li rappresentano hanno tutto il diritto di pretendere a gran voce
treni in orario e numero di carrozze sufficienti e dignitose e denunciare la
violazione di questo diritto da parte di chi ne ha la vera responsabilità.
11 maggio 2016
Attivisti CAT, CUB, USB Toscana
---------------------
To:
Sent: Tuesday,
June 14, 2016 5:14 PM
Riporto a seguire l’intervento di Franco Mugliari,
interessante e come al solito ben argomentato.
Mi preme, da ingegnere iscritto all’ Albo “professionale”
(mio malgrado... io non mi sarei mai iscritto, ma per lavorare mi tocca
esserlo), dire la mia sulla esperienza, maturata in vent’anni di attività, in
merito al contributo degli ingegneri alla tutela della salute e della sicurezza
dei lavoratori.
Salvo casi particolari ed eccezionali per
professionalità, competenza, etica, in genere gli ingegneri liberi
professionisti si comportano come la maggior parte dei “venditori” di
consulenze ai datori di lavoro per salute e sicurezza.
Badano cioè al fatturato dei propri servizi, cercando
di ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo.
E di conseguenza vendono valutazioni del rischio,
procedure di sicurezza, piani di emergenza, piani operativi di sicurezza, piani
di sicurezza e coordinamento fatti senza nessun approccio professionale serio e
coerente, ma solo realizzati tramite “copia e incolla” di documenti scritti una
volta (magari da altri) e mai aggiornati alle reali situazioni delle aziende e
dei cantieri.
Ci sono ingegneri RSPP, direttori dei lavori,
coordinatori della sicurezza che in fabbrica o in cantiere non ci vanno mai o
ci vanno talmente poco da non rendersi conto delle reali situazioni di rischio.
Tanto hanno venduto la “carta che richiede la legge” e il committente è
contento.
Brutta razza quella degli ingegneri e brutta lobby
quella dell’ordine professionale.
Non ci si può meravigliare che poi escano le proposte
di modifica del D.Lgs. 81/08 riportate da Franco Mugliari, tutte a uso e
consumo degli ingegneri e dell’ordine professionale.
Marco Spezia
Nelle settimane scorse il Consiglio
Nazionale degli Ingegneri (CNI) ha reso di pubblico dominio una “inchiesta
pubblica” per raccogliere suggerimenti e contributi per una proposta di
modifica del D.Lgs. 81/08.
Alla buon’ora penseranno i soliti maligni,
e io con loro, vista la clamorosa assenza degli ordini professionali dal
dibattito al momento dell’emanazione del Testo Unico, salvo i soliti mugugni.
Vale però la pena di ricordare che così
non fu al momento dell’emanazione del D.Lgs. 494/96, di recepimento della Direttiva
cantieri (92/57/CEE).
Gli stimati professionisti, in particolare
quelli che assumevano incarichi di Direzione lavori si mobilitarono e,
affetti da “torcicollismo cronico”, dopo aver sostenuto per anni che loro con
la sicurezza sul lavoro non c’entravano per nulla, ecco che d’incanto, alla
luce della norma transitoria che tagliava il corso coordinatori da 120 a 60 ore per chi fosse
stato in grado di dimostrare una specifica esperienza, guarda caso proprio
nella sicurezza sul lavoro, eccoli lì tutti a giurare e spergiurare sulla testa
dei loro figli, che la sicurezza sul lavoro era sempre stata al centro delle
loro attenzioni.
E andò a finire che tutti poterono
frequentare il corso abbreviato.
Nel tempo, si ricorda un altro momento di
grande impegno del CNI in occasione dell’emanazione del regolamento per l’acquisizione
dei crediti professionali obbligatori, su cui ho già avuto più volte modo di
dire la mia.
Geometri, periti, architetti…. Una piccola
convenzione, programma e formatori e via, i crediti erano riconosciuti. Per gli
ingegneri no. Devi accreditarti presso di loro PAGARE. E così tra gli
accreditati ci trovi pure quelli dei CORSI A COSENZA o quelli che I CORSI LI
FANNO CON IL COUCH.
Ma torniamo alla corposa proposta predisposta
dal Gruppo Di Lavoro Sicurezza (GDLS) del CNI che, seppur pubblicata sui social
non mi pare abbia dato avvio ad un’ampia discussione. E’ come se, visto che
suggerimenti e contributi sono richiesti agli Ordini provinciali, nessuno
abbia avuto voglia:
1) di leggersi le 22 pagine del documento;
2) di regalare un’idea agli ingegneri.
Anche per questo motivo ho deciso di dare
il mio contributo sulla parte più generale e di richiedere quella di alcuni
esperti, sulla parte più specifica.
E’ tra l’altro un momentaccio per proporre
cose al Ministero del lavoro, attualmente impegnato a far passare rapidamente i
mesi che ci separano dal referendum costituzionale che darà loro l’esclusiva
competenza in materia di sicurezza, alla luce anche dell’emanazione del regolamento
per l’Agenzia unica per le ispezioni (altro grande baraccone burocratico).
E poi pare che
per i prossimi giorni (il 15 giugno in sede tecnica e in 23 in quella politica) sia
stata convocata la
Conferenza delle Regioni per discutere (e approvare?) il
nuovo accordo per la formazione/aggiornamento degli RSPP, e non solo, visto che
prevede l’attuazione dell’articolo 32, comma 5-bis e dell’articolo 37, comma
14-bis del D.Lgs. 81/08.
Sono peraltro gli stessi ingegneri che
lamentano nella loro nota che: “già
prima del Jobs Act (che ha modificato il Testo Unico), il CNI aveva avanzato
precise richieste in tal senso alle commissioni parlamentari ma... (udite,
udite) purtroppo le proposte non furono prese in considerazione perché
presentate non in tempo utile”. E anche questa volta temo siano
presentate fuori tempo massimo.
Per quanto al Titolo I, le proposte del
GDLS del CNI riguardano gli articoli 2, 6, 19, 31, 32 e inoltre gli articoli 66
e 82.
Su di essi io esprimerò la mia personale
opinione.
Per quanto al Titolo IV, e relativi
allegati, chiedo ad altri di intervenire (Catanoso, Macchi, Valentini...) sia a
titolo individuale sia collettivo (vedi Sarnes 16...). Da una prima lettura non
mi pare peraltro di vedere una sostanziale proposta di riforma del ruolo del
coordinatore della sicurezza, probabilmente la figura più in sofferenza alla
luce della italica applicazione della norma comunitaria.
Per quanto
riguarda l’articolo 2, comma 1, lettera f), la proposta è quella di modificare
la definizione del RSPP trasformandola in CSPP. Cioè da
Responsabile a Coordinatore del Servizio di Prevenzione e Protezione. Premesso
che a 22 anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 626/94 l’hanno capito tutti che
per “responsabile” si intende il “capo” del servizio e non il soggetto su cui
grava la responsabilità a prescindere... Tra l’altro spesso il RSPP viene
declinato, anche dai giudici, in “responsabile della sicurezza” tout court (ma
noi sappiamo che si tratta comunque di una semplificazione), se la stessa cosa
si facesse anche per il Coordinatore del SPP ecco che avremmo due “coordinatori
della sicurezza” e allora sai che casino?
A questo ci hanno pensato anche quelli del
GDLS del CNI che infatti propongono, in alternativa, di trasformare il
Responsabile del SPP, non già in Coordinatore, ma in Direttore del SPP. Ma per
piacere!
La proposta di
modifica all’articolo 6 (Commissione Consultiva) è tesa a
precisare che gli esperti, che già oggi possono essere chiamati a far parte
della Commissione consultiva permanente (permanentemente in letargo, sempre in
attesa della riforma costituzionale che toglierebbe dai piedi i rappresentanti
delle regioni), debbano essere designati dal coordinamento nazionali delle
professioni tecniche per, sottolinea il GDLS del CNI, garantire il background “tecnico”.
Insomma il bollino blu ce lo metterebbero loro.
Sui preposti
(articolo 19 del Testo Unico), quanto propone il GDLS del CNI è
davvero curioso. Secondo gli ingegneri infatti, il ruolo del preposto (articolo
19, comma 1, lettera c)) si sovrapporrebbe a quello delle squadre antincendio
creando confusione. Non dovrebbe toccare al preposto il compito di “richiedere
l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso
emergenza...” ma direttamente agli incaricati per la gestione delle emergenze
che, nel momento in cui si dovessero trovare a impartire istruzioni ecc. si
troverebbero preposti di fatto. Senza dire del fatto che in un’impresa con 5
cantieri, l’incaricata alla gestione delle emergenze è l’impiegata in ufficio.
Certo che la conoscenza delle situazioni organizzative delle nostre aziende è
davvero cosa oscura per i nostri.
La proposta di
modifica dell’articolo 31 (Servizio di Prevenzione e Protezione) è quella di cancellare il passaggio (di recente introduzione) che prevede
che il servizio debba essere “prioritariamente” interno. Ma come? La modifica
risale ad un paio d’anni fa (“Decreto del fare”) resasi necessaria per evitare
l’avvio di una possibile procedura di infrazione (e conseguente sanzione) a
livello comunitario. La giustificazione a sostegno di tale proposta è davvero
risibile: lasciare che il datore di lavoro possa scegliere tra servizio interno
o quello esterno. Ma dai... è già così, infatti c’è scritto prioritariamente e
non tassativamente interno. O no?
Sull’articolo 32
(Capacità e requisiti del RSPP...), quello cioè
che (comma 5) consente a un ingegnere neolaureato di svolgere i compiti del
RSPP in tutti i settori di attività economica previa frequenza del solo Modulo
C (24 ore), confesso che mi sarei aspettato uno scatto d’orgoglio. Mi sono
visto gli ingegneri del CNI affermare: “basta
con questa porcheria”. Corsi per tutti, laureati e non, come prima del
2008. E invece no. La proposta è quella di istituire l’elenco degli RSPP (o
meglio dei CSPP o DSPP) per fronteggiare i casi (pare numerosi) di svolgimento
dei compiti da parte di RSPP non formati (abusivi). Non che non abbiano ragione
ma che ha denunciare gli abusi siano gli “abusivi per legge” fa un po’ specie!
Per contrastare il fenomeno (pare siano
numerosi i casi segnalati al CNI) di svolgimento del ruolo di RSPP
privi del diploma di istruzione secondaria, quindi via l’articolo 32, comma 3 che rende legittima tale ipotesi per
chi fosse stato incaricato da almeno 6 mesi alla data del 13 agosto 2013 (prima
cioè del D.Lgs. 195/03, quando non erano richiesti titoli di studio per poter
fare gli RSPP) di continuare a svolgere tale funzione, previa frequenza di
corsi di formazione di cui all’Accordo della Conferenza Stato Regioni del 2006.
Come dire fuori dalle balle RSPP con esperienza pluriennale che, per essere
operativi in tutti i settori economici avrebbero dovuto frequentare più di 400
ore di formazione, per lasciare il posto a ingegneri neolaureati con 24 ore di
formazione senza alcuna esperienza.
Tanto per mettere nei guai i datori di
lavoro che gli RSPP devono nominare. E poi quanti saranno questi casi? In
Trentino Alto Adige a fronte di oltre 5.000 formati, i RSPP privi di diploma di
maturità dopo il 2003 sono stati “ben 2” (dicasi 2)! Entrambi con almeno un decennio
di esperienza sulla pelle.
Finisce qui la mia analisi delle proposte,
davvero insignificanti, di modifica al Titolo I del D.Lgs. 81/08.
Se quelle al Titolo IV dovessero essere
dello stesso tenore e spessore, mi aspetterei da parte del Ministero l’immediata
chiusura della pratica con la formulazione: “PROPOSTA NON PERVENUTA”.
Salverebbero per lo meno la faccia.
Salverebbero per lo meno la faccia.
Franco
Mugliari alias Muglia La Furia
mail: fmuglia@tin.it
---------------------
From: Pubblicazioni
Istituto Superiore di Sanità pubblicazioni@iss.it
To:
Sent:
Wednesday, June 15, 2016 2:21 PM
TUTELA DELLA MATERNITA’ NEI LABORATORI DI RICERCA E CONTROLLO
di Rosalba
Masciulli, Graziella Morace, Olivia Oliviero, Stefania Caiola
Molte delle attività
lavorative svolte in un laboratorio biologico o chimico, considerate
accettabili in situazioni normali, possono comportare una condizione di
pregiudizio o di rischio sia per la lavoratrice in gravidanza o allattamento,
che per la salute del feto e del bambino.
Questo rapporto vuole
costituire una guida per il datore di lavoro, che deve adempiere agli obblighi
di tutela nei confronti delle dipendenti in gravidanza, e un mezzo di
informazione per le lavoratrici.
Nel documento vengono
presentati i riferimenti normativi in materia di tutela della lavoratrice, e
descritti i principali fattori di rischio per la salute presenti nei
laboratori, allo scopo di facilitare la valutazione delle attività che possono
presentare un rischio particolare di esposizione ad agenti biologici, chimici o
fisici, processi o condizioni di lavoro e definire le misure di prevenzione e
protezione da adottare per minimizzare il rischio.
Il testo completo del documento è accessibile
al link:
PRESENZA DI
CO2 E H2S IN AMBIENTI INDOOR: CONOSCENZE ATTUALI E LETTERATURA SCIENTIFICA IN
MATERIA
di Gaetano Settimo,
Luigi Turrio Baldassarri, Silvia Brini, Arianna Lepore, Federica Moricci,
Annamaria de Martino, Lucrezia Casto, Loredana Musmeci, Maria Alessandra Nania,
Francesca Costamagna, Ida Marcello, Sergio Fuselli, per il Gruppo di Studio
Nazionale sull’Inquinamento Indoor
Obiettivo
di questo documento è quello di fornire per la CO2 e l’H2S, in assenza di specifici riferimenti
normativi nazionali, una panoramica sui valori guida a cui fanno riferimento
altri Paesi europei, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre istituzioni
pubbliche.
I
valori guida per la CO2
si riferiscono all’aria di ambienti confinati (indoor) mentre per l’H2S vengono
riportati i valori guida relativi all’aria ambiente (outdoor).
Il testo
completo del documento è accessibile al link:
STRATEGIE DI
MONITORAGGIO DEL MATERIALE PARTICELLARE PM10 E PM2,5 IN AMBIENTE INDOOR:
CARATTERIZZAZIONE DEI MICROINQUINANTI ORGANICI E INORGANICI
di
Gaetano Settimo, Loredana Musmeci, Annalisa Marzocca, Angelo Cecinato, Giorgio
Cattani, Sergio Fuselli, per il Gruppo di Studio Nazionale sull’Inquinamento
Indoor
Obiettivo
di questo documento è quello di fornire una uniformità di applicazione di
metodologie che consentono di valutare la concentrazione del materiale
particellare PM10 e PM2,5 e di caratterizzare i principali microinquinanti
organici e inorganici presenti su tali frazioni.
Si
riportano i principali fattori da considerare per pianificare le attività di
monitoraggio in relazione agli ambienti e alle sorgenti indoor. Vengono
descritti i principi generali e le caratteristiche dei metodi per il
campionamento e l’analisi dei microinquinanti organici (PCDD/F, PCB e IPA) e
inorganici (metalli e metalloidi) con riferimento alle norme elaborate a
livello europeo.
Il testo
completo del documento è accessibile al link:
---------------------
From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent:
Thursday, June 16, 2016 3:22 AM
Subject: MESSICO:
FORMAZIONE AZIENDALE, LO SFRUTTAMENTO
MASCHERATO DA OPPORTUNITA’
di Omar Cota
L’arrivo di
grandi investimenti del settore automobilistico ha fatto sì che lo Stato e le
varie camere di commercio destinino una quantità importante di risorse per
addestrare i futuri lavoratori del settore, implementando programmi di
abilitazione, formazione e reclutamento.
A causa del
boom che il settore automobilistico sta avendo in Messico, nei prossimi cinque
anni si dovrebbe avere una crescita del 60%, il che significa anche
moltiplicare la manodopera qualificata che si ha attualmente. Proprio in questo
momento il settore necessita di 1.4 milioni di tecnici in più per avere un
rendimento simile a quello dei paesi più “produttivi”.
Questa
situazione ha suscitato la preoccupazione delle aziende sulla necessità di
formare i giovani in modo da qualificarli e in modo che il loro profilo
corrisponda alle proprie necessità.
Mentre in
alleanza con lo Stato si modificano i piani di studi di CBEtis, Cetis,
Conaleps, Licei, Istituti Tecnici, eccetera e si aprono scuole “pubbliche”
specializzate nel settore, le grandi case automobilistiche come Generale
Motors, Nissan, Audi e Mazda, solo per nominarne alcune, stanno sviluppando i
propri centri di formazione in cui, per un determinato tempo, formano tecnici
che lavorano senza percepire salario alcuno, per potere essere abilitati e,
successivamente, poter essere impiegati in queste imprese.
La forma
nella quale si annunciano e si ricevono questi grandi investimenti, è sempre
accompagnata da un discorso “progressista”, come se l’arrivo di questi monopoli
fosse un’opportunità di crescita per chi abita nella regione e non rappresenti
invece l’opportunità di queste grandi aziende di ottenere profitto dalla
necessità di chi non ha nulla da vendere se non la propria forza di lavoro.
In un
modello di “formazione aziendale”, nel quale si dà una formazione teorica ai
giovani, ma ai quali viene anche fornita una formazione pratica all’interno
delle proprie strutture: per almeno tre anni i giovani lavorano senza ricevere
nessuna rimunerazione.
Queste
società si presentano con un discorso altruistico e reclutano giovani facendo
loro credere che si sta dando loro l’opportunità di esserne parte, quando in
realtà sono essi stessi che lavorandovi, finiscono per pagare la formazione
della manodopera utilizzata successivamente dall’impresa.
Attraverso
questi programmi per “apprendisti”, come li hanno chiamati alcune imprese,
molti giovani, finita la scuola secondaria e senza possibilità di potere
accedere a una formazione superiore, vi vedono l’opportunità di crescere o per
lo meno di migliorare un po’ la loro condizione economica, che è in effetti
possibile, ma è necessario dimostrare loro che non c’è niente di buono in
questo.
Gli operai,
in questo caso i tecnici necessari al settore automobilistico, sono non solo i
responsabili dell’impatto economico milionario che sta generando questo
settore, non solo in Messico, ma nel mondo, ma anche del fatto che questo
rimanga nelle mani di pochi, dei padroni delle grandi aziende attraverso
il suo facilitatore; lo Stato, conta su tutte le garanzie per sfruttare tanto
le risorse naturali necessarie, come garantire la sua manodopera.
Questo
modello formativo è solo un’altra forma di sfruttamento che dobbiamo
combattere, sia gli studenti tecnici, di qualunque settore, come quelli che
fanno parte di questi programmi che non sono esclusivi del settore
automobilistico, devono essere coscienti che solo in una società in cui quello
che prevale è la soddisfazione delle necessità di tutta la popolazione e non la
sete di guadagno delle imprese, potranno svilupparsi pienamente come studenti e
come futuri lavoratori.
---------------------
From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent:
Thursday, June 16, 2016 3:22 AM
Subject: IL LATO OSCURO DEL CIOCCOLATO: LAVORO
MINORILE E DEFORESTAZIONE
di Nolwenn
Weiler
IL LATO OSCURO DEL CIOCCOLATO: LAVORO MINORILE E DEFORESTAZIONE Da un lato, sei importanti
industrie (Mars, Nestlé, Ferrero...), che possiedono il 50% del mercato
mondiale), tra gli 80 e i 100 miliardi di dollari all’anno. Dall’altra parte,
cinque milioni di piccoli produttori che durante l’anno faticano a meno di due
dollari al giorno.
Benvenuti
nel meraviglioso mondo del cacao, analizzato dall’Ufficio di analisi (Basic,
Officina di Analisi Sociale per un’Informazione Cittadina http://lebasic.com).
Questo
studio di Basic, realizzato dalla Piattaforma del Commercio Equo (Plate-forme
du commerce équitable) confronta i costi sociali e ambientali dei settori
convenzionali, sostenibili ed equi del cacao proveniente dalla Costa d’Avorio e
dal Perù per il mercato francese.
DUE MILIONI DI BAMBINI LAVORANO NELLE PIANTAGIONI DI CACAO
I lavoratori
del settore convenzionale sono sottopagati e costretti a piegarsi alle
strategie a breve termine. In Costa d’Avorio, il più grande produttore di cacao
al mondo, i produttori estendono le loro piantagioni nella foresta per
mantenere i loro rendimenti e profitti. “Si stima che 13 milioni di ettari di
foresta originaria sono scomparse dal 1960, in parte a causa del cacao, l’80% della
foresta ivoriana originale”, dice lo studio. Un’altra “soluzione” per i piccoli
agricoltori al collasso: il sempre maggiore utilizzo di prodotti chimici e...
il lavoro minorile. “Più di due milioni di bambini lavorano nel settore del
cacao. Molti in condizioni di lavoro pericolose quando usano prodotti chimici o
maneggiano il machete”.
“La
deforestazione, il lavoro minorile e l’insicurezza alimentare sono le tre
principali conseguenze che genera il settore del cacao a carico dei piccoli
agricoltori e delle loro famiglie”, afferma Basic. Tali danni nei paesi di produzione sono la controparte
sociale e ambientale del valore economico creato dalla coltivazione e dalla
vendita di cacao.
Lo studio di
Basic ha quantificato questi danni o “costi sociali” sostenuti dalla
collettività. Essi sono stimati in 2,85 miliardi di euro per la Costa d’Avorio e 62 milioni
di euro per il Perù. Il che va comparato con i 3,7 miliardi di euro e 166
milioni di euro dei profitti generati rispettivamente nei due paesi dalle
esportazioni di cacao.
In altre
parole, per ogni euro di valore creato, la filiera cacao-cioccolato genera 77
centesimi di costi sociali in Costa d’Avorio e 37 centesimi in Perù. I costi
sociali possono essere definiti come “l’insieme di tutte le perdite e delle
spese, dirette e indirette, presenti e future, che sono sopportate da terzi o
dalla comunità nel suo complesso a causa dell’impatto sociale, sanitario e
ambientale dei modi di produzione e di consumo”.
L’ORGANIZZAZIONE COLLETTIVA E’ GARANZIA DI MIGLIORI PROFITTI
Garantiscono
le certificazioni sostenibili (“Rainforest Alliance” o “UTZ Certified”), cioè
il 10% di cacao ivoriano esportato, minori costi sociali? In realtà, no.
Nelle
piantagioni dove sono raccolte le fave di cacao, le condizioni di vita e di
lavoro sono più o meno le stesse per i produttori di cacao convenzionali. La
differenza in termini di costi sociali tra la filiera cacao-cioccolato
sostenibile e quella convenzionale è moderata. Secondo i nostri calcoli vi è una
riduzione media del 12% in Costa d’Avorio e del 34% in Perù, dovuta
principalmente a causa dei redditi migliori. Il reddito annuo dei coltivatori
di cacao certificato “sostenibile” è solo leggermente superiore rispetto ai
loro colleghi convenzionali: solo il 6% in più che non permette loro di
elevarsi al di sopra della soglia di povertà.
I redditi
dei produttori di cacao “equo” sono altrettanto miserabili, a meno che non si
riuniscano in organizzazioni collettive, come in Perù. In questo paese del Sud
America, il nono più grande produttore di cacao, il commercio equo e solidale
ha beneficiato di un movimento cooperativo strutturato.
“Le
cooperative peruviane hanno sviluppato il mercato del caffè prima di
reinvestire le proprie conoscenze nel cacao, con il sostegno della cooperazione
internazionale nella lotta contro la coca dopo la fine della guerra civile”,
spiega sempre Basic.
Oggi l’8% di
cacao peruviano viene esportato in condizioni di commercio equo e solidale. I
produttori di questo settore hanno visto il loro reddito aumentare di oltre il
50%, il che ha permesso loro di situarsi al di sopra della soglia di povertà e
di entrare in un circolo virtuoso.
La buona
base finanziaria dei produttori permette loro di investire nella manutenzione e
nel rinnovo delle loro piantagioni, aumentando i rendimenti e i profitti. Nel
frattempo, aumentano la superficie delle colture alimentari migliorando in tal
modo il loro accesso al cibo e alla salute generale delle loro famiglie.
“I
produttori di cacao peruviani raramente usano prodotti chimici per le loro
piantagioni perché queste, nelle agro-foreste, sono naturalmente conservate
meglio dalle malattie rispetto alle piantagioni al sole della Costa d’Avorio”.
L’impatto
del commercio equo in Perù si riflette in una riduzione di costi sociali: l’80%
dei costi in meno rispetto a quelli di stampo convenzionale! Ovviamente, questi
benefici generano notevoli costi aggiuntivi per l’acquisto di sementi, dell’ordine
del 40% - 90%. L’Industria del cioccolato è disposta a pagare la differenza?
---------------------
From:
Daniele Barbieri pkdick@fastmail.it
To:
Sent: Thursday, June 16, 2016
4:25 PM
Subject: BANANE, VELENI,
BOICOTTAGGI E... STORIE CHE
IN ITALIA SONO INVISIBILI
UN
POPOLO CONTRO DOLE
di Kate Wilson
Nel 1977,
gli Stati uniti hanno messo al bando i pesticidi contenenti PCB
(policlorobifenili). La scienza era stata categorica: sterilità, cancro, malattie congenite. Ma, nonostante il
bando e nonostante fosse al corrente delle conseguenze, la
Dole Food
Company ha continuato a irrorare i veleni chimici nelle piantagioni del Sud
America.
Il film
maker svedese Frederik Gertten è sceso in campo contro la Dole. Il suo lungometraggio “Bananas!” ha ripreso
il caso giudiziario tra la multinazionale e alcuni lavoratori del Nicaragua. Il
film mette a nudo i dettagli degli abusi ambientali e umanitari perpetrati
dalla Dole.
La Dole è andata
all’attacco. Nel tentativo di mettere il bavaglio al documentario, la compagnia
ha assoldato un team di avvocati per fare causa a Gertten e bloccare la
distribuzione del film. Ma, come
se ne è avuta notizia, gli svedesi si
sono subito mobilitati a difesa della libertà di parola del regista. A
difesa del diritto costituzionale di libertà di espressione, i cittadini
svedesi hanno apertamente difeso il diritto di Gertten per una informazione
libera. La protesta ha attirato l’attenzione del governo nazionale, muovendo
addirittura un’audizione parlamentare: il caso di Gertten ha unito tutte le
forze di destra e di sinistra e gli svedesi hanno iniziato a boicottare i prodotti della Dole.
“Ti racconto
una storia buffa” - ha detto Gertten ad Adbusters dal suo albergo americano - “Dopo
che il film è uscito, mi trovavo in un albergo a Stoccolma (la più grande
catena nordica di hotel) e per colazione servivano banane della Dole. Allora
decisi di fotografarle con il mio cellulare e mettere la foto su Twitter e
Facebook. Dopo circa tre ore, la gente iniziò a twittare e a chiamare l’azienda
che immediatamente ritirò tutte le banane Dole in tutto il paese, in ciascun
albergo. Se vedi che qualcuno vende o distribuisce banane non etiche, puoi
postarlo e la gente così è immediatamente informata”.
Queste iniziative non erano parte di una campagna coordinata, ma hanno
avuto comunque degli effetti ad ampio raggio. Queste potenti sfide locali, hanno costretto le
principali catene di supermercati svedesi a rivalutare la loro fiducia nei
prodotti della Dole.
“Le principali
aziende di grande distribuzione hanno delle persone incaricate di analizzare
cosa accade nel mondo” – ci ha raccontato il film maker – “sanno che la
politica può distruggere il loro business. Se inizia a circolare il dubbio che
alcuni ingredienti possano causare il cancro o, ad esempio, qualcosa di nuovo
accade nella West Bank in Palestina, sono pronti ad agire. E’ esattamente ciò
che è accaduto con la mobilitazione contro la Dole”.
Le banane rappresentano l’1 per cento del totale delle vendite di un supermercato.
L’1 per cento, come dice Gertten, “è un’enormità, è un business molto lucrativo”. Quando i clienti hanno iniziato a
boicottare i prodotti della Dole, i supermercati svedesi hanno visto calare le
loro entrate. Le principali catene minacciarono di sospendere i rapporti
commerciali se la Dole
non avesse ripulito la propria immagine compromessa. Alcuni negozi, come la
catena svedese di hamburger Max, ha direttamente rescisso ogni rapporto con la Dole. Ed era ora!
Per più di un secolo, il modus operandi della Dole è stato basato su
sfruttamento, rapine, devastazioni ambientali e omicidi. Nonostante il suo brand
internazionale fosse basato sullo slogan “L’alba di una nuova era dell’alimentazione”,
la Dole è un’azienda
la cui famiglia fondatrice ha aiutato a rovesciare il regno delle Hawaii a
favore degli interessi delle imprese americane di zucchero. E’ un’impresa che,
per più di cento anni, ha sistematicamente pagato i propri dipendenti stranieri
a livello di servitù debitoria. E’ un’impresa che ha assoldato gruppi
paramilitari colombiani per sequestrare e uccidere un leader sindacalista che
si riteneva operasse contro gli interessi della compagnia.
La Dole in Svezia ha perso una partita, ma
continua comunque a monopolizzare il mercato globale. Dobbiamo pertanto rendere
globale il tipo di risposta che si è avuta in Svezia: dobbiamo lanciare un
boicottaggio mondiale!
L’iniziativa dal basso ha costretto la multinazionale a cambiare in un
paese. Possiamo
ottenere gli stessi risultati anche a livello internazionale.
---------------------
From: Comitato
Sostegno Vittime Eureco comitatosostegnovittime.eureco@gmail.com
To:
Sent: Friday,
June 17, 2016 7:25 PM
Subject: COMUNICATO
STAMPA NUOVO INSEDIAMENTO PRODUTTIVO NELL’AREA EURECO
Buonasera,
vi inviamo a
seguire il comunicato stampa del nostro Comitato in merito al probabile nuovo
insediamento produttivo nell’area del’Eureco di Paderno Dugnano.
Cordiali
Saluti
Comitato a sostegno dei Famigliari Vittime e
Lavoratori Eureco
UNA NUOVA AZIENDA CHE SMALTISCE RIFIUTI PERICOLOSI NELL’AREA EURECO?
Sono
trascorsi solo pochi giorni dalla sentenza emessa dalla Corte Cassazione per la
strage dell’azienda Eureco che ha visto la conferma della condanna del titolare
Giovanni Merlino a 5 anni di reclusione per la morte di Harun Zeqiri, 44 anni,
Sergio Scapolan, 63, Salvatore Catalano, 55 e Leonard Shehu, 37 ed altri 3
operai feriti in modo grave.
Apprendiamo
che il sindaco Marco Alparone durante l’ultimo consiglio comunale ha annunciato
che Città Metropolitana (la ex provincia di Milano) sta rilasciando un permesso
per l’insediamento sull’area ex Eureco di una società che dovrà smaltire
rifiuti tossici pericolosi.
Il comune
di Paderno Dugnano pur ribandendo la propria contrarietà a questo progetto, non
fa altro per opporsi a questa scelta sbagliata.
Il comune
di Paderno Dugnano costituitosi parte civile durante il processo, ha l’obbligo
morale nei confronti delle vittime di riaffermare con forza quest’opposizione e
di far di tutto per impedire che si creino nuove situazioni potenzialmente
pericolose.
In
qualità di “Comitato a sostegno dei famigliari delle vittime e dei lavoratori
Eureco” esprimiamo contrarietà a un nuovo insediamento, perché la strage
accaduta nel 2010 non abbia a ripetersi, chiedendo il sostegno di tutti i
cittadini, le forze politiche, le associazioni presenti sul nostro territorio.
Non è
possibile lasciare spazio ad aziende di questo tipo dopo un simile precedente
poiché su questa città non pesano solo le morti di 4 operai, ma anche l’esistenza
di altri 3 ancora abbandonati al loro destino.
Comitato a sostegno dei
famigliari delle vittime e dei lavoratori Eureco
---------------------
From: Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent: Saturday, June 18, 2016 6:37 PM
Subject: NUORO: NUOVO PROTOCOLLO UNICO DI SORVEGLIANZA SANITARIA E TAVOLO TECNICO PER IL RICONOSCIMENTO DELLE MALATTIE PROFESSIONALI
L’Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA) ha
promosso un incontro istituzionale, esteso alle Parti Sociali (CGIL, CISL, UIL),
Medicina Democratica (MD) e Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi su
Lavoro (ANMIL), per discutere e operare in merito ad una Sorveglianza Sanitaria
estesa a tutti i lavoratori ex esposti ed esposti all’amianto che abbia come
obiettivi: la riduzione della mortalità, la promozione della diagnosi precoce
anche attraverso un progetto pilota in collaborazione con i maggiori ospedali e
centri universitari regionali.
A
seguito degli incontri che si sono susseguiti negli ultimi mesi con i
lavoratori dei siti industriali di Ottana (NU) ed Assemini (CA) che hanno
motivato gli esposti denuncia depositati alle Procure di Cagliari e di Nuoro,
all’intervento della Magistratura nello Stabilimento di Ottana e a ciò che è
seguito in termini di interrogazioni parlamentari, di intervento della
Commissione Parlamentare Infortuni e Malattie Professionali e di diffusione del
problema sugli organi di stampa e tramite radio e televisione, si è
riscontrato:
-
esposizione
generale a sostanze cancerogene come l’amianto;
-
diversi casi di lavoratori di Assemini e di
Ottana, sottoposti ad uno screening HRCT, presso ospedali convenzionati, con
lesioni polmonari da amianto, alcuni di questi lavoratori erano, da tempo, in
sorveglianza sanitaria col metodo radiografico tradizionale, senza alcun riscontro di
patologia;
-
numerose
denunce di decessi per patologie oncologiche;
-
numerose
denunce di malattie professionali e rendite al superstite rigettate dall’INAIL;
-
aree
sotto sequestro per presenza sospetta di inquinanti industriali pericolosi come
l’amianto.
Dalla
banca dati dell’AIEA si riscontra che la maggiore incidenza delle suddette
patologie oncologiche tra i lavoratori dell’industria ex esposti all’amianto é
soprattutto a carico dell’apparato respiratorio, mesotelioma maligno, CA polmone,
CA laringeo, asbestosi, placche pleuriche, così come riscontrato dagli
screening sanitari riferiti a coorti di lavoratori che hanno operato in
ambienti lavorativi simili, equivalenti, quali zone industriali della Val
Basento in Basilicata, Ottana ed Assemini in Sardegna.
Riportiamo
la sintesi dell’incontro, come riferito da Paolo Merlini in un articolo del
17/06/49 pubblicato da Nuova Sardegna (http://lanuovasardegna.gelocal.it)
Nuoro, 15
giugno 2016
C’è finalmente una svolta sul fronte del
riconoscimento dello status di esposti all’amianto degli ex lavoratori di
Ottana sino ai primi anni Duemila. L’incontro di mercoledì che ha visto la
partecipazione di AIEA, Medicina Democratica, CGIL, CISL, UIL, dell’ANMIL,
insieme con il medico Roberto Cherchi, responsabile della Chirurgia Toracica
dell’Ospedale Businco di Cagliari, il sindaco di Nuoro Andrea Soddu e l’assessore
regionale alla Sanità Luigi Arru, è stato positivo e produttivo.
Positivo perché finalmente, dopo tanto, si è creato
un fronte sinergico fra tutte le componenti, con l’obiettivo finalizzato al
superamento delle storture presenti nell’applicazione del protocollo sanitario
da parte degli Spresal e delle diverse ASL nella regione, al fine di garantire
un servizio di Sorveglianza Sanitaria rispondente in modo puntuale e urgente
alle esigenze dei lavoratori esposti all’amianto.
Le denunce dell’AIEA e di tutti i partecipanti,
precise e documentate, accompagnate dall’emergenza che vivono gli ex esposti,
dalle morti sempre più in aumento, dal crescente aumento dai lavoratori colpiti
dall’esposizione all’amianto e dai tanti veleni respirati durante la loro
attività lavorativa, hanno prodotto l’impegno da parte dell’assessore Arru di
un intervento urgente per fronteggiare la situazione.
L’assessore alla Sanità, accogliendo le richieste e
facendo proprie le motivazioni dei partecipanti, ha deciso:
-
di procedere all’eliminazione della disomogeneità
nel sistema attuale, dando avvio alla costituzione di tavolo unico Regionale di
tutti gli Spresal, coordinato dal dottor Roberto Cherchi, finalizzato all’utilizzo
di una procedura, in cui venga garantita una sorveglianza sanitaria degna di
questo nome, affinché ai lavoratori venga risparmiato l’estenuante calvario al
quale finora sono stati sottoposti;
-
di assumersi l’impegno di procedere con un’azione
congiunta nei confronti dell’INAIL con l’istituzione di un tavolo tecnico per
accelerare il riconoscimento delle malattie professionali per i lavoratori
colpiti da malattie asbesto correlate.
L’AIEA si augura che tutte le sofferenze, i
sacrifici, le battaglie, i dinieghi, le menzogne, i respingimenti, i rifiuti di
cui sono stati vittime troppi lavoratori per decenni possano trovare “giustizia”.
Purtroppo i morti non possono tornare, ma il
riconoscimento di quanto hanno subito, a causa delle storture vergognose del
sistema sanitario e previdenziale, deve essere in assoluto il nostro obiettivo.
Non sarà semplice né facile, il cammino dei diritti
dei lavoratori ex esposti è stato sempre intricato e complesso; agli impegni
assunti dall’assessore Arru dovranno seguire i fatti!!
L’AIEA, cosciente che in Sardegna si è prodotta una
delle ingiustizie sociali maggiori dell’intera nazione italiana, chiede la
costituzione di un fronte unico con le Organizzazioni Sindacali e le
Associazioni presenti all’incontro per far sì che gli impegni assunti diventino
realtà.
Riportiamo
a seguire il comunicato stampa diffuso da AIEA Onlus Sardegna il 13 giugno
2016.
COMUNICATO STAMPA
Troppe le patologie causate dall’amianto e altri
veleni che sfuggono agli esami di routine in uso presso gli Spresal delle ASL
sarde: è urgente adottare un nuovo protocollo per la sorveglianza sanitaria per
gli ex esposti all’amianto, per una diagnosi certa e precoce.
E’
allarme presso i lavoratori delle ex industrie chimiche di Ottana e Assemini,
non solo per l’aumento di patologie e decessi riconducibili alla esposizione
all’amianto e altri veleni, come da tempo e ripetutamente denunciato, ma anche
per il moltiplicarsi di casi “sfuggiti” ai controlli in uso presso gli Spresal (Servizio
Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro) che si basano sulla spirometria e
la semplice radiografia toracica.
Per
questa nuova emergenza, AIEA Sardegna, in collaborazione con CGIL, CISL, UIL,
ANMIL e Medicina Democratica, ha convocato un incontro urgente a Nuoro,
mercoledì 15 giugno, alle ore 16, presso i locali dell’ex INPDAP in via
Lamarmora 175, a
cui è stato invitato l’Assessore regionale della Sanità Luigi Arru, e che vedrà
la partecipazione dei vertici regionali e nazionali dell’AIEA e delle
rappresentanze provinciali e regionali del sindacato.
“E’
inaccettabile ciò che sta accadendo e che stiamo verificando attraverso i
nostri database” - ha dichiarato Sabina Contu, presidente di AIEA Sardegna - “per
il moltiplicarsi di casi di lavoratori, che stanno constatando di essere
affetti da patologie non riconosciute con le tecniche tradizionali, utilizzate
presso i Servizi di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro, ma
diagnosticate con esami più avanzati, interamente a carico del paziente e solo
su prescrizione dello specialista, come la TAC ad alta risoluzione, HRCT, effettuati presso
gli ospedali e strutture convenzionate”.
Una
nuova emergenza su cui si chiede un intervento urgente e risolutivo da parte
della Regione, con la definizione di un nuovo e più adeguato Protocollo di
Sorveglianza Sanitaria, a cui sottoporre i lavoratori delle ex industrie
chimiche sarde, per individuare il più precocemente possibile il manifestarsi
di quelle patologie a lenta ma inesorabile insorgenza, come le placche
pleuriche, l’asbestosi, i carcinomi polmonari e laringei, o il temibile mesotelioma
pleurico.
Il
convegno sarà coordinato da Salvatore Pinna, Segretario generale della CGIL di
Nuoro: dopo i saluti del sindaco di Nuoro Andrea Soddu e del Prefetto Giovanni
Meloni, sarà aperto dalla relazione di Sabina Contu
Seguirà
la comunicazione sulle novità diagnostiche in materia di patologie polmonari
del dottor Roberto Cherchi, responsabile della Chirurgia Toracica dell’Ospedale
Businco di Cagliari.
Dopo
il dibattito, seguirà l’intervento del segretario regionale CGIL Michele
Carrus. E’ previsto quindi l’intervento dell’assessore Regionale della Sanità
Luigi Arru. Le conclusioni sono affidate a Mario Murgia, vicepresidente
nazionale di AIEA.
“Siamo
di fronte alla ennesima situazione di discriminazione che riguarda la salute
dei nostri lavoratori” - ha dichiarato Mario Murgia - “che già pagano il prezzo
altissimo dell’essere stati esclusi per decenni dai programmi di sorveglianza
sanitaria attiva in qualità di ex esposti amianto, in termini di malattie e
decessi. L’AIEA consapevole di quanto si è riscontrato e tuttora si riscontra
tra i loro colleghi che hanno svolto le stesse mansioni nei siti industriali
della Val Basento in Basilicata, ha ripetutamente denunciato queste gravi e
inaccettabili inadempienze. Ma a questo si aggiunge l’assurdo che, per quei
pochi ammessi alla sorveglianza sanitaria passiva (richiesta individuale), non
vengono utilizzate le tecnologie e la diagnostica più avanzata, che pure la
scienza e la medicina ci mettono a disposizione per valutare la diagnosi
precoce del CA del polmone che è la causa del maggior numero di decessi tra i
lavoratori dell’industria riconducibile alla esposizione all’amianto ed altri
veleni presenti negli ambienti di lavoro: su questo chiederemo con forza,
insieme ai sindacati e ai patronati di riferimento dei lavoratori, precisi e
non più eludibili impegni alla Regione”.
Per
ulteriori approfondimenti:
-
Nuovi protocolli per la diagnosi delle patologie
legate all’amianto
-
AIEA lancia l’allarme: aumento delle patologie da
amianto e altri veleni
-
Amianto: Patologie lavoratori in aumento
Nessun commento:
Posta un commento