mercoledì 22 giugno 2016

23 giugno - Di M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 22/06/16



INDICE

PIENO SOSTEGNO ALLA LOTTA DEL POPOLO FRANCESE CONTRO LA LOI TRAVAIL

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
ROSARNO: PER SHEIKH TRAORE E TUTTE LE VITTIME DI UN SISTEMA DA ABOLIRE!

Federico Giusti giustifederico@libero.it
RIFORMA DEL TERZO SETTORE: ATTENZIONE AL RISCHIO DEL LAVORO GRATUITO

COMUNICATO STAMPA SU LAVORO A NORMATIVA

Muglia La Furia fmuglia@tin.it
INGEGNERI: ECCO LE PROPOSTE DI MODIFICA DEL D.LGS. 81/08


Pubblicazioni Istituto Superiore di Sanità pubblicazioni@iss.it
NUOVE PUBBLICAZIONI DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’

Posta Resistenze posta@resistenze.org
MESSICO: FORMAZIONE AZIENDALE, LO SFRUTTAMENTO MASCHERATO DA OPPORTUNITA’

Posta Resistenze posta@resistenze.org
IL LATO OSCURO DEL CIOCCOLATO: LAVORO MINORILE E DEFORESTAZIONE

Daniele Barbieri pkdick@fastmail.it
BANANE, VELENI, BOICOTTAGGI E... STORIE CHE IN ITALIA SONO INVISIBILI

Comitato Sostegno Vittime Eureco comitatosostegnovittime.eureco@gmail.com
COMUNICATO STAMPA NUOVO INSEDIAMENTO PRODUTTIVO NELL’AREA EURECO

NUORO: NUOVO PROTOCOLLO UNICO DI SORVEGLIANZA SANITARIA E TAVOLO TECNICO PER IL RICONOSCIMENTO DELLE MALATTIE PROFESSIONALI

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Sunday, June 12, 2016 11:11 PM
Subject: PIENO SOSTEGNO ALLA LOTTA DEL POPOLO FRANCESE CONTRO LA LOI TRAVAIL

Esprimiamo pieno sostegno alla lotta del popolo francese contro la Loi Travail, che umilia i diritti dei lavoratori e le loro aspettative, come nel caso del Jobs Act in Italia.
In particolare comunichiamo sostegno ai ferrovieri francesi, che come noi e come in Germania e in Belgio, stanno anche lottando per condizioni contrattuali dignitose e contro i tentativi speculativi di privatizzazione e svendita del servizio ferroviario.
Inoltre esprimiamo piena solidarietà al compagno Antoine, vilmente imprigionato a Lille durante la mobilitazione contro la Loi travaille; ci uniamo a tutti coloro che stanno combattendo per ottenere il suo rilascio immediato.
In Italia abbiamo dato vita il 24/25 maggio a uno dei più grandi scioperi del settore ferroviario negli ultimi anni e stiamo preparando un nuovo sciopero ferroviario nazionale per il 23/24 giugno 2016.
I sindacati di base dei Ferrovieri Italiani
-         CUB Trasporti
-         CAT - Coordinamento Autorganizzato Trasporti
-         SGB - Sindacato Generale di Base
-         USB - Unione Sindacale di Base

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Monday, June 13, 2016 1:08 AM
Subject: ROSARNO: PER SHEIKH TRAORE E TUTTE LE VITTIME DI UN SISTEMA DA ABOLIRE!

Ripubblichiamo l’articolo del Comitato dei lavoratori delle campagne e di Campagne in lotta sull’omicidio del bracciante Sheikh Traore a Rosarno. Un fatto che accusa non solo chi pretende di far valere la legge sparando agli schiavi delle piantagioni dei tempi nostri, ma tutto un sistema basato sulle difficoltà di ottenere permessi di soggiorno e residenze, sulle connivenze di amministrazioni e sindacati, sulla scelta di non dare risposte a chi sempre di più si sta organizzando per conquistare i propri diritti.

da Campagne in lotta
Una nuova tragedia, dal copione purtroppo sempre uguale a sé stesso, si è consumata ieri nella tendopoli di San Ferdinando, nei pressi di Rosarno. Un evento come ne capitano spesso nelle periferie e nei ghetti di tutto il pianeta.
Ma in questo caso si tratta di un omicidio di stato, perché come già avvenuto in passato, i responsabili sono i suoi fedeli servi, quelle forze dell’ordine che ancora una volta abusano del proprio potere, arrivando a togliere la vita a una persona. Ma anche perché quella tendopoli è stata voluta e progettata dallo stato stesso, che ha creato l’emergenza, il ghetto e le condizioni di precarietà totale e tensione che questi determinano. Questa volta ne ha fatto le spese un ventisettenne maliano che abitava nella tendopolI, Sheikh Traoré, il quale aldilà di ogni ricostruzione possibile è stato brutalmente assassinato ieri mattina, mercoledì 8 giugno.
La dinamica riportata dalla questura e dai media è alquanto discutibile, ed è tesa esclusivamente a tenere in piedi la tesi della legittima difesa. Come è possibile che le forze dell’ordine, in numero superiore (pare fossero ben 7!!), debbano ricorrere alle armi da fuoco per sedare una persona, anche se questa fosse in uno stato non controllabile? Come è possibile che, come raccontato dalle voci delle persone presenti al campo, il lancio del “coltello” e lo sparo siano in momenti temporali differenti, provando l’ipotesi di un’esecuzione a freddo? E come è possibile che un procuratore della Repubblica, prima che si siano concluse le indagini, già avvalori la tesi della legittima difesa?
Ai giornali non è interessato fornire una ricostruzione veritiera, ascoltando le testimonianze dei presenti o approfondendo la dinamica: la morte di un africano immigrato, seppur per mano di un carabiniere, è notizia quasi da tutti i giorni, che non necessita di approfondimenti di alcun tipo poiché si spiega con l’anormalità del soggetto, con il suo essere “disturbato, ubriaco, rissoso” com’è ovvio, essendo immigrato. Eppure la storia arrivata dalle veline della questura appare totalmente discutibile. Non è un caso, appunto, che i giornali abbiano sostenuto immediatamente la tesi della legittima difesa, o addirittura quella del colpo partito accidentalmente, che in maniera drammatica ricorda l’assassinio di Davide Bifolco, avvenuto a Napoli 2 anni fa. Un nuovo omicidio di stato in un’altra delle estreme periferie di questo paese, buona a balzare agli onori della cronaca solo per eventi tragici come quello di ieri. E non è un caso nemmeno che la risposta del neoeletto sindaco di Rosarno sia stata la solita dichiarazione populista tutta improntata su un’ottica securitaria: bisogna sgomberare la tendopoli, e non si possono accogliere tutti, sono troppi. D’altronde, anche la CGIL è orientata all’ottica del meno peggio: qualche tempo fa, dopo l’ennesima promessa di intervento da parte della Prefettura, aveva dichiarato di volere che i lavoratori fossero trasferiti “in container”. Come se facesse la differenza.
Ma la risposta dei braccianti della tendopoli non si è fatta attendere: stamane, 9 giugno, sono scesi in corteo ed hanno raggiunto il comune di San Ferdinando, dove hanno ottenuto di parlare con i suoi rappresentanti chiedendo soluzioni immediate, non soltanto giustizia e verità per la morte di Sheikh, ma la fine delle aggressioni che i braccianti della tendopoli e degli altri insediamenti subiscono quotidianamente, di ritorno dal lavoro, e soluzioni concrete ed immediate per eliminare le cause prime di questa condizione di assoluta vulnerabilità, a cui però i lavoratori non si piegano. I problemi che vivono i braccianti agricoli e gli abitanti della tendopoli come di molti altri luoghi simili, in tutta Italia, sono molteplici: scarsezza di risorse igieniche e sanitarie, mancanza di acqua ed elettricità in alcuni casi. Condizioni abitative che si sommano alle condizioni di vita nel lavoro, con l’altissimo tasso di sfruttamento, e di vita, legate alla dipendenza e alle difficoltà burocratiche per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Questi elementi sono quelli che creano veri e propri ghetti prossimi alle nostre città, dove la marginalità sociale e l’esclusione da ogni tipo di meccanismo di integrazione sono condizioni che permeano quotidianamente la vita di queste persone.
Come recitavano i cartelli imbracciati stamane dai lavoratori, ricordando anche le vittime del razzismo di stato oltreoceano, senza giustizia non c’è pace!
Verità per la morte di Sheikh Traoré e di tutte le vittime di questo sistema fatto di discriminazione e sfruttamento. Da Foggia a Rosarno, uniti in un solo grido e in una sola lotta.
Comitato Lavoratori delle Campagne
Rete Campagne in Lotta

Per approfondire:
-         articoli sulle lotte dei braccianti al link:
-         sfruttamento e lotte nelle campagne: un bilancio parziale ed alcune prospettive di rilancio al link:

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From: Federico Giusti giustifederico@libero.it
To:
Sent: Monday, June 13, 2016 1:06 PM
Subject: RIFORMA DEL TERZO SETTORE: ATTENZIONE AL RISCHIO DEL LAVORO GRATUITO

Da Controlacrisi

RIFORMA DEL TERZO SETTORE: ATTENZIONE AL RISCHIO DEL LAVORO GRATUITO
Intervento di Federico Giusti
Non è possibile capire la riforma del terzo settore, approvata dal Parlamento lo scorso 25 maggio, senza guardare alle associazioni di volontariato non solo come uno strumento di straordinario consenso politico al PD, ma nella veste di strumento per una feroce revisione dello stato sociale e del modello welfare che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi 50 anni.
Secondo noi non è possibile discernere la “riforma” dall’utilizzo insano e selvaggio dei voucher e la istituzione del lavoro gratuito in Expo e nel Giubileo con tanto di accordo sindacale sottoscritto da CGIL, CISL, UIL.
Facciamo di ogni erba un fascio? Risposta negativa e proveremo in sintesi a spiegare le nostre ragioni senza dimenticare che all’ennesima controriforma seguiranno innumerevoli decreti attuativi da qui a un anno, tanto per smentire il luogo comune di un Governo semplificatore
Il terzo settore consente al Governo di procedere a tappe forzate verso lo smantellamento del welfare erogato direttamente dal pubblico, al posto di lavoratori regolarmente assunti e contrattualizzati, formati e con regolare contratto e formazione subentreranno figure di pseudo volontari, un po’ quello che da tempo sta succedendo in sanità con servizi quali il trasporto sociale e quello sanitario, gestiti da associazioni che utilizzano come forza lavoro uomini e donne costrette al volontariato come misura alternativa a una pena.
Si fa strada non l’associazione di volontariato ma l’impresa del terzo settore, impropriamente definita impresa sociale, alla quale demandare la erogazione di servizi alla collettività in nome di un welfare “moderno” che nei fatti si basa sul lavoro gratuito, sfruttato, sulla riduzione di fondi alla istruzione, alla sanità, una riduzione di spesa che non riguarda ormai solo lo Stato centrale ma a cascata le autonomie locali, dalla Regione ai comuni più piccoli e a cascata investe il terzo settore a cui destinare bandi e appalti al ribasso.
Del resto il nuovo codice degli appalti non prevede la eliminazione del massimo ribasso, quello per altro più esposto ai rischi della corruzione che dilaga all’ombra degli appalti pubblici. Il massimo ribasso resta negli appalti inferiori al milione di euro che sono più o meno l’80% del totale degli appalti senza dimenticare che nei casi dell’offerta economicamente più vantaggiosa la proposta migliore sarà vagliata e scelta da una commissione di esperti che solo in alcuni casi (quando si supera la soglia comunitaria pari a 5,2 milioni di euro) sarà attinta da un elenco curato dall’AAC, in tutti gli altri casi, ossia la quasi totalità degli appalti, da membri interni all’ente e scelti con assai poca trasparenza).
La riforma del terzo settore si spiega solo dentro il contesto europeo di smantellamento del lavoro e del welfare, di riduzione della spesa sociale ridisegnando un welfare al massimo ribasso appaltato alle imprese del terzo settore senza alcun controllo di direzione ed effettivo controllo dello stato.
Nasce così la società benefit, che poi è una impresa sociale con i suoi utili/profitti che inserisce nello statuto qualche clausoletta che individua obiettivi a beneficio comune, da non confondere tuttavia con le imprese sociali che teoricamente non possono avere fini di lucro pur potendo collocare sul mercato servizi e beni da cui traggono una fonte di guadagno, forti anche dell’inquadramento contrattuale sfavorevole (quando un contratto lo hanno e non sono pagati con i voucher o qualche rimborso spese) della loro forza lavoro malpagata e sfruttata.
Da oggi dovremo imparare a convivere con nuovi termini e concetti, magari rigorosamente in lingua inglese per annebbiare le menti e confondere le idee creando nell’immaginario collettivo una narrazione che mistifica la realtà.
Che ci sia fine di lucro o no, che sia una impresa sociale o una società di benefit resta il fatto che le condizioni retributive e contrattuali saranno tutte al massimo ribasso e se fino ad oggi era fatto divieto di distribuire gli utili, pur con alcuni paletti, da domani sarà possibile farlo fatta salva la destinazione prioritaria degli utili al conseguimento dei fini sociali per i quali è nata la società.
Siamo altresì certi che un bravo legale o commercialista, compresa bene la riforma, non tarderà a trovare scappatoie di vario genere.
Siamo anche convinti che questa riforma costruirà un sistema di lavoro gratuito e di precarietà ancora più forte di quello delle cooperative, anzi pensiamo che queste ultime non debbano dormire sonni tranquilli con un concorrente così spietato che potrà avvalersi di figure volontarie che abbasseranno ulteriormente i costi dei servizi.
Di sicuro il fondo per lo sviluppo, deciso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, resta una incognita non solo per il suo ammontare ma anche per la finalità dello strumento perchè i progetti delle associazioni del terzo settore sono spesso funzionali ad obiettivi prettamente politici.
La riforma del Terzo settore si prefigge comunque obiettivi ambiziosi e socialmente pericolosi perchè si poggia sul potenziamento della iniziativa economica privata che diventa una sorta di “conditio sine qua non” per tutelare i diritti civili e sociali, quindi una sorta di supremazia dell’impresa e del mercato rispetto al ruolo sociale dello Stato (da un Governo che cancella la Costituzione antifascista che ci poteva attendere?).
Sul riordino della disciplina del terzo settore il discorso si fa invece più complesso perché siamo consapevoli che molte associazioni non abbiano la cultura e le condizioni per adottare un controllo interno all’insegna della trasparenza e della rendicontazione che il testo di legge sostiene di volere garantire. Basti ricordare a come le varie pubbliche assistenze e misericordie operino sul territorio, il colossale giro di affari dietro alle loro attività sociali e non per capire la vera posta in gioco.
Esiste poi un deficit democratico all’interno del terzo settore del tutto simile a quello denunciato in altre forme aggregative, se l’obiettivo è rilanciare la democrazia partecipativa alle decisioni che contano possiamo, senza timore di smentita, asserire che le decisioni dirimenti sono sempre e solo prese in circuiti ristretti. Se guardiamo ad alcune associazioni ci rendiamo conto che la esistenza di vari livelli al loro interno determina il sostanziale accentramento del potere decisionale ed economico nelle mani di ristretti gruppi per lo più espressione di ceto politico o destinati a diventarlo (ricordiamo il ruolo del terzo settore nell’elezioni di sindaci e consiglieri locali e regionali, un potere lobbistico che controlla milioni di voti oltre a un flusso di denaro ragguardevole).
Un discorso a parte e meritevole di approfondimento riguarda le misure fiscali e di sostegno economico al terzo settore tra deducibilità e detraibilità di imposte senza menzionare poi le agevolazioni per favorire investimenti di capitale a vari livelli.
Non è casuale che dentro la riforma (mai nome fu più errato) del terzo settore ci sia anche la revisione dei centri di servizio per il volontariato e non ci meraviglieremmo che nella interazione tra scuola e lavoro spuntasse anche il terzo settore che così potrà guadagnare ulteriore forza lavoro gratuita.
Concludiamo con la riforma del servizio civile nazionale destinato anche a cittadini stranieri residenti in Italia e di età compresa tra i 18 e i 28 anni, un servizio civile al quale preferiremmo un piano di investimento destinato al recupero del territorio investendo in lavori socialmente utili pagati 700/800 euro al mese che potrebbero svolgere un ruolo importantissimo, assai più utile degli sgravi fiscali alle imprese. Ma a tale scopo servirebbe un intervento statale degno di questo nome, l’esatto contrario del disimpegno e della dismissione del ruolo pubblico nel welfare e nei servizi alla persona che poi è la filosofia guida di questa riforma del terzo settore

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Monday, June 13, 2016 11:04 PM
Subject: COMUNICATO STAMPA SU LAVORO A NORMATIVA

Nei giorni scorsi abbiamo letto sulla stampa di uno “sciopero bianco” attuato dal personale mobile (capitreno e macchinisti) di Trenitalia che, a detta di un’associazione di consumatori, starebbe provocando interruzioni di pubblico servizio. Questa descrizione dei fatti è totalmente non corrispondente alla realtà, fortemente offensiva per i lavoratori e, ancor più grave, ha scatenato sul web una sorta di caccia alle streghe decisamente pericolosa e fuori luogo.
Abbiamo a più riprese cercato di informare e coinvolgere gli utenti del servizio ferroviario, in particolare lavoratori e studenti pendolari, perché sono coloro, insieme a noi ferrovieri, su cui ricadono le conseguenze delle condizioni che da anni denunciamo circa le allarmanti mancanze di personale in Trenitalia, sia nel trasporto regionale che in quello a media-lunga percorrenza.
Per questo, per noi e per i ferrovieri coinvolti, è assolutamente inaccettabile leggere affermazioni offensive e richieste di licenziamento da chi parla mosso da chiari scopi propagandistici, creando un clima di potenziale pericolo per i lavoratori, del quale si assumerà tutte le responsabilità.
La realtà dei fatti è molto semplice: in Trenitalia da anni il servizio si regge esclusivamente sul lavoro straordinario del personale che, già contrattualmente, subisce condizioni lavorative pesanti tanto da portare l’aspettativa di vita molto al di sotto della media nazionale. Dopo anni questa situazione è diventata insostenibile per i ferrovieri, per la loro salute, per la loro sicurezza personale (aggressioni) e per la vita familiare. Per quanto ci riguarda, come attivisti sindacali, da sempre (non da ora) ci battiamo per il rispetto dell’orario di lavoro (già di per sé assai pesante) e delle normative, a tutela della sicurezza del trasporto e della qualità del servizio.
Ma è nato dai lavoratori, dalle assemblee, da RSU, in modo autonomo e spontaneo, l’impegno a rispettare le norme contrattuali e i turni di servizio comandati dall’azienda. Se qualcuno ha riscontrato in questo un vulnus rispetto al diritto alla mobilità, dimostra di conoscere poco la realtà che intenderebbe descrivere e, soprattutto, i più elementari principi democratici e del diritto.
Chi riporta dichiarazioni e scrive di questi argomenti dovrebbe farlo colpendo i problemi e individuando la loro vera causa, non chi li espone: sarebbe bastato dare una rapida lettura alle motivazioni degli scioperi fin qui indetti per poter parlare ed agire con cognizione di causa.
Abbiamo letto di migliaia di certificati medici che, secondo i dati riportati sulla stampa, supererebbero di quattro volte il numero totale dei lavoratori addetti al servizio! Così come di richieste di precettazione o di intervento della Commissione di garanzia: ci piacerebbe sapere come si fa a precettare chi svolge regolarmente il proprio lavoro. Già questo basta per dare la misura dell’attendibilità di tali affermazioni.
In ogni caso, i lavoratori hanno il nostro pieno appoggio riguardo a decisioni che tutelano diritti, salute e sicurezza collettive che siamo pronti a difendere in ogni sede opportuna, anche nel caso venisse a mancare la necessaria rettifica alle dichiarazioni fin qui emerse.
E i viaggiatori, i pendolari e i comitati che li rappresentano hanno tutto il diritto di pretendere a gran voce treni in orario e numero di carrozze sufficienti e dignitose e denunciare la violazione di questo diritto da parte di chi ne ha la vera responsabilità.

11 maggio 2016
Attivisti CAT, CUB, USB Toscana

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From: Muglia La Furia fmuglia@tin.it
To:
Sent: Tuesday, June 14, 2016 5:14 PM

Riporto a seguire l’intervento di Franco Mugliari, interessante e come al solito ben argomentato.
Mi preme, da ingegnere iscritto all’ Albo “professionale” (mio malgrado... io non mi sarei mai iscritto, ma per lavorare mi tocca esserlo), dire la mia sulla esperienza, maturata in vent’anni di attività, in merito al contributo degli ingegneri alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Salvo casi particolari ed eccezionali per professionalità, competenza, etica, in genere gli ingegneri liberi professionisti si comportano come la maggior parte dei “venditori” di consulenze ai datori di lavoro per salute e sicurezza.
Badano cioè al fatturato dei propri servizi, cercando di ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo.
E di conseguenza vendono valutazioni del rischio, procedure di sicurezza, piani di emergenza, piani operativi di sicurezza, piani di sicurezza e coordinamento fatti senza nessun approccio professionale serio e coerente, ma solo realizzati tramite “copia e incolla” di documenti scritti una volta (magari da altri) e mai aggiornati alle reali situazioni delle aziende e dei cantieri.
Ci sono ingegneri RSPP, direttori dei lavori, coordinatori della sicurezza che in fabbrica o in cantiere non ci vanno mai o ci vanno talmente poco da non rendersi conto delle reali situazioni di rischio. Tanto hanno venduto la “carta che richiede la legge” e il committente è contento.
Brutta razza quella degli ingegneri e brutta lobby quella dell’ordine professionale.
Non ci si può meravigliare che poi escano le proposte di modifica del D.Lgs. 81/08 riportate da Franco Mugliari, tutte a uso e consumo degli ingegneri e dell’ordine professionale.
Marco Spezia

Nelle settimane scorse il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) ha reso di pubblico dominio una “inchiesta pubblica” per raccogliere suggerimenti e contributi per una proposta di modifica del D.Lgs. 81/08. 
Alla buon’ora penseranno i soliti maligni, e io con loro, vista la clamorosa assenza degli ordini professionali dal dibattito al momento dell’emanazione del Testo Unico, salvo i soliti mugugni.
Vale però la pena di ricordare che così non fu al momento dell’emanazione del D.Lgs. 494/96, di recepimento della Direttiva cantieri (92/57/CEE). 
Gli stimati professionisti, in particolare quelli che assumevano incarichi di Direzione lavori si mobilitarono e, affetti da “torcicollismo cronico”, dopo aver sostenuto per anni che loro con la sicurezza sul lavoro non c’entravano per nulla, ecco che d’incanto, alla luce della norma transitoria che tagliava il corso coordinatori da 120 a 60 ore per chi fosse stato in grado di dimostrare una specifica esperienza, guarda caso proprio nella sicurezza sul lavoro, eccoli lì tutti a giurare e spergiurare sulla testa dei loro figli, che la sicurezza sul lavoro era sempre stata al centro delle loro attenzioni. 
E andò a finire che tutti poterono frequentare il corso abbreviato.
Nel tempo, si ricorda un altro momento di grande impegno del CNI in occasione dell’emanazione del regolamento per l’acquisizione dei crediti professionali obbligatori, su cui ho già avuto più volte modo di dire la mia.
Geometri, periti, architetti…. Una piccola convenzione, programma e formatori e via, i crediti erano riconosciuti. Per gli ingegneri no. Devi accreditarti presso di loro PAGARE. E così tra gli accreditati ci trovi pure quelli dei CORSI A COSENZA o quelli che I CORSI LI FANNO CON IL COUCH. 
Ma torniamo alla corposa proposta predisposta dal Gruppo Di Lavoro Sicurezza (GDLS) del CNI che, seppur pubblicata sui social non mi pare abbia dato avvio ad un’ampia discussione. E’ come se, visto che suggerimenti e contributi sono richiesti agli Ordini provinciali, nessuno abbia avuto voglia:
1) di leggersi le 22 pagine del documento;
2) di regalare un’idea agli ingegneri.
Anche per questo motivo ho deciso di dare il mio contributo sulla parte più generale e di richiedere quella di alcuni esperti, sulla parte più specifica.
E’ tra l’altro un momentaccio per proporre cose al Ministero del lavoro, attualmente impegnato a far passare rapidamente i mesi che ci separano dal referendum costituzionale che darà loro l’esclusiva competenza in materia di sicurezza, alla luce anche dell’emanazione del regolamento per l’Agenzia unica per le ispezioni (altro grande baraccone burocratico).
E poi pare che per i prossimi giorni (il 15 giugno in sede tecnica e in 23 in quella politica) sia stata convocata la Conferenza delle Regioni per discutere (e approvare?) il nuovo accordo per la formazione/aggiornamento degli RSPP, e non solo, visto che prevede l’attuazione dell’articolo 32, comma 5-bis e dell’articolo 37, comma 14-bis del D.Lgs. 81/08.
Sono peraltro gli stessi ingegneri che lamentano nella loro nota che: “già prima del Jobs Act (che ha modificato il Testo Unico), il CNI aveva avanzato precise richieste in tal senso alle commissioni parlamentari ma... (udite, udite) purtroppo le proposte non furono prese in considerazione perché presentate non in tempo utile”. E anche questa volta temo siano presentate fuori tempo massimo.
Per quanto al Titolo I, le proposte del GDLS del CNI riguardano gli articoli 2, 6, 19, 31, 32 e inoltre gli articoli 66 e 82.
Su di essi io esprimerò la mia personale opinione.
Per quanto al Titolo IV, e relativi allegati, chiedo ad altri di intervenire (Catanoso, Macchi, Valentini...) sia a titolo individuale sia collettivo (vedi Sarnes 16...). Da una prima lettura non mi pare peraltro di vedere una sostanziale proposta di riforma del ruolo del coordinatore della sicurezza, probabilmente la figura più in sofferenza alla luce della italica applicazione della norma comunitaria.
Per quanto riguarda l’articolo 2, comma 1, lettera f), la proposta è quella di modificare la definizione del RSPP trasformandola in CSPP. Cioè da Responsabile a Coordinatore del Servizio di Prevenzione e Protezione. Premesso che a 22 anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 626/94 l’hanno capito tutti che per “responsabile” si intende il “capo” del servizio e non il soggetto su cui grava la responsabilità a prescindere... Tra l’altro spesso il RSPP viene declinato, anche dai giudici, in “responsabile della sicurezza” tout court (ma noi sappiamo che si tratta comunque di una semplificazione), se la stessa cosa si facesse anche per il Coordinatore del SPP ecco che avremmo due “coordinatori della sicurezza” e allora sai che casino?
A questo ci hanno pensato anche quelli del GDLS del CNI che infatti propongono, in alternativa, di trasformare il Responsabile del SPP, non già in Coordinatore, ma in Direttore del SPP. Ma per piacere!
La proposta di modifica all’articolo 6 (Commissione Consultiva) è tesa a precisare che gli esperti, che già oggi possono essere chiamati a far parte della Commissione consultiva permanente (permanentemente in letargo, sempre in attesa della riforma costituzionale che toglierebbe dai piedi i rappresentanti delle regioni), debbano essere designati dal coordinamento nazionali delle professioni tecniche per, sottolinea il GDLS del CNI, garantire il background “tecnico”. Insomma il bollino blu ce lo metterebbero loro.
Sui preposti (articolo 19 del Testo Unico), quanto propone il GDLS del CNI è davvero curioso. Secondo gli ingegneri infatti, il ruolo del preposto (articolo 19, comma 1, lettera c)) si sovrapporrebbe a quello delle squadre antincendio creando confusione. Non dovrebbe toccare al preposto il compito di “richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso emergenza...” ma direttamente agli incaricati per la gestione delle emergenze che, nel momento in cui si dovessero trovare a impartire istruzioni ecc. si troverebbero preposti di fatto. Senza dire del fatto che in un’impresa con 5 cantieri, l’incaricata alla gestione delle emergenze è l’impiegata in ufficio. Certo che la conoscenza delle situazioni organizzative delle nostre aziende è davvero cosa oscura per i nostri.
La proposta di modifica dell’articolo 31 (Servizio di Prevenzione e Protezione) è quella di cancellare il passaggio (di recente introduzione) che prevede che il servizio debba essere “prioritariamente” interno. Ma come? La modifica risale ad un paio d’anni fa (“Decreto del fare”) resasi necessaria per evitare l’avvio di una possibile procedura di infrazione (e conseguente sanzione) a livello comunitario. La giustificazione a sostegno di tale proposta è davvero risibile: lasciare che il datore di lavoro possa scegliere tra servizio interno o quello esterno. Ma dai... è già così, infatti c’è scritto prioritariamente e non tassativamente interno. O no?
Sull’articolo 32 (Capacità e requisiti del RSPP...), quello cioè che (comma 5) consente a un ingegnere neolaureato di svolgere i compiti del RSPP in tutti i settori di attività economica previa frequenza del solo Modulo C (24 ore), confesso che mi sarei aspettato uno scatto d’orgoglio. Mi sono visto gli ingegneri del CNI affermare: “basta con questa porcheria”. Corsi per tutti, laureati e non, come prima del 2008. E invece no. La proposta è quella di istituire l’elenco degli RSPP (o meglio dei CSPP o DSPP) per fronteggiare i casi (pare numerosi) di svolgimento dei compiti da parte di RSPP non formati (abusivi). Non che non abbiano ragione ma che ha denunciare gli abusi siano gli “abusivi per legge” fa un po’ specie!
Per contrastare il fenomeno (pare siano numerosi i casi segnalati al CNI) di svolgimento del ruolo di RSPP privi del diploma di istruzione secondaria, quindi via l’articolo 32, comma 3 che rende legittima tale ipotesi per chi fosse stato incaricato da almeno 6 mesi alla data del 13 agosto 2013 (prima cioè del D.Lgs. 195/03, quando non erano richiesti titoli di studio per poter fare gli RSPP) di continuare a svolgere tale funzione, previa frequenza di corsi di formazione di cui all’Accordo della Conferenza Stato Regioni del 2006. Come dire fuori dalle balle RSPP con esperienza pluriennale che, per essere operativi in tutti i settori economici avrebbero dovuto frequentare più di 400 ore di formazione, per lasciare il posto a ingegneri neolaureati con 24 ore di formazione senza alcuna esperienza.
Tanto per mettere nei guai i datori di lavoro che gli RSPP devono nominare. E poi quanti saranno questi casi? In Trentino Alto Adige a fronte di oltre 5.000 formati, i RSPP privi di diploma di maturità dopo il 2003 sono stati “ben 2” (dicasi 2)! Entrambi con almeno un decennio di esperienza sulla pelle.
Finisce qui la mia analisi delle proposte, davvero insignificanti, di modifica al Titolo I del D.Lgs. 81/08. 
Se quelle al Titolo IV dovessero essere dello stesso tenore e spessore, mi aspetterei da parte del Ministero l’immediata chiusura della pratica con la formulazione: “PROPOSTA NON PERVENUTA”
Salverebbero per lo meno la faccia.

Franco Mugliari alias Muglia La Furia

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From: Pubblicazioni Istituto Superiore di Sanità pubblicazioni@iss.it
To:
Sent: Wednesday, June 15, 2016 2:21 PM

TUTELA DELLA MATERNITA’ NEI LABORATORI DI RICERCA E CONTROLLO
di Rosalba Masciulli, Graziella Morace, Olivia Oliviero, Stefania Caiola
Molte delle attività lavorative svolte in un laboratorio biologico o chimico, considerate accettabili in situazioni normali, possono comportare una condizione di pregiudizio o di rischio sia per la lavoratrice in gravidanza o allattamento, che per la salute del feto e del bambino.
Questo rapporto vuole costituire una guida per il datore di lavoro, che deve adempiere agli obblighi di tutela nei confronti delle dipendenti in gravidanza, e un mezzo di informazione per le lavoratrici.
Nel documento vengono presentati i riferimenti normativi in materia di tutela della lavoratrice, e descritti i principali fattori di rischio per la salute presenti nei laboratori, allo scopo di facilitare la valutazione delle attività che possono presentare un rischio particolare di esposizione ad agenti biologici, chimici o fisici, processi o condizioni di lavoro e definire le misure di prevenzione e protezione da adottare per minimizzare il rischio.
Il testo completo del documento è accessibile al link:
PRESENZA DI CO2 E H2S IN AMBIENTI INDOOR: CONOSCENZE ATTUALI E LETTERATURA SCIENTIFICA IN MATERIA
di Gaetano Settimo, Luigi Turrio Baldassarri, Silvia Brini, Arianna Lepore, Federica Moricci, Annamaria de Martino, Lucrezia Casto, Loredana Musmeci, Maria Alessandra Nania, Francesca Costamagna, Ida Marcello, Sergio Fuselli, per il Gruppo di Studio Nazionale sull’Inquinamento Indoor
Obiettivo di questo documento è quello di fornire per la CO2 e l’H2S, in assenza di specifici riferimenti normativi nazionali, una panoramica sui valori guida a cui fanno riferimento altri Paesi europei, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre istituzioni pubbliche.
I valori guida per la CO2 si riferiscono all’aria di ambienti confinati (indoor) mentre per l’H2S vengono riportati i valori guida relativi all’aria ambiente (outdoor).
Il testo completo del documento è accessibile al link:
STRATEGIE DI MONITORAGGIO DEL MATERIALE PARTICELLARE PM10 E PM2,5 IN AMBIENTE INDOOR: CARATTERIZZAZIONE DEI MICROINQUINANTI ORGANICI E INORGANICI
di Gaetano Settimo, Loredana Musmeci, Annalisa Marzocca, Angelo Cecinato, Giorgio Cattani, Sergio Fuselli, per il Gruppo di Studio Nazionale sull’Inquinamento Indoor
Obiettivo di questo documento è quello di fornire una uniformità di applicazione di metodologie che consentono di valutare la concentrazione del materiale particellare PM10 e PM2,5 e di caratterizzare i principali microinquinanti organici e inorganici presenti su tali frazioni.
Si riportano i principali fattori da considerare per pianificare le attività di monitoraggio in relazione agli ambienti e alle sorgenti indoor. Vengono descritti i principi generali e le caratteristiche dei metodi per il campionamento e l’analisi dei microinquinanti organici (PCDD/F, PCB e IPA) e inorganici (metalli e metalloidi) con riferimento alle norme elaborate a livello europeo.
Il testo completo del documento è accessibile al link:

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
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Sent: Thursday, June 16, 2016 3:22 AM
Subject: MESSICO: FORMAZIONE AZIENDALE, LO SFRUTTAMENTO MASCHERATO DA OPPORTUNITA’

di Omar Cota
L’arrivo di grandi investimenti del settore automobilistico ha fatto sì che lo Stato e le varie camere di commercio destinino una quantità importante di risorse per addestrare i futuri lavoratori del settore, implementando programmi di abilitazione, formazione e reclutamento.
A causa del boom che il settore automobilistico sta avendo in Messico, nei prossimi cinque anni si dovrebbe avere una crescita del 60%, il che significa anche moltiplicare la manodopera qualificata che si ha attualmente. Proprio in questo momento il settore necessita di 1.4 milioni di tecnici in più per avere un rendimento simile a quello dei paesi più “produttivi”.
Questa situazione ha suscitato la preoccupazione delle aziende sulla necessità di formare i giovani in modo da qualificarli e in modo che il loro profilo corrisponda alle proprie necessità.
Mentre in alleanza con lo Stato si modificano i piani di studi di CBEtis, Cetis, Conaleps, Licei, Istituti Tecnici, eccetera e si aprono scuole “pubbliche” specializzate nel settore, le grandi case automobilistiche come Generale Motors, Nissan, Audi e Mazda, solo per nominarne alcune, stanno sviluppando i propri centri di formazione in cui, per un determinato tempo, formano tecnici che lavorano senza percepire salario alcuno, per potere essere abilitati e, successivamente, poter essere impiegati in queste imprese.
La forma nella quale si annunciano e si ricevono questi grandi investimenti, è sempre accompagnata da un discorso “progressista”, come se l’arrivo di questi monopoli fosse un’opportunità di crescita per chi abita nella regione e non rappresenti invece l’opportunità di queste grandi aziende di ottenere profitto dalla necessità di chi non ha nulla da vendere se non la propria forza di lavoro.
In un modello di “formazione aziendale”, nel quale si dà una formazione teorica ai giovani, ma ai quali viene anche fornita una formazione pratica all’interno delle proprie strutture: per almeno tre anni i giovani lavorano senza ricevere nessuna rimunerazione.
Queste società si presentano con un discorso altruistico e reclutano giovani facendo loro credere che si sta dando loro l’opportunità di esserne parte, quando in realtà sono essi stessi che lavorandovi, finiscono per pagare la formazione della manodopera utilizzata successivamente dall’impresa.
Attraverso questi programmi per “apprendisti”, come li hanno chiamati alcune imprese, molti giovani, finita la scuola secondaria e senza possibilità di potere accedere a una formazione superiore, vi vedono l’opportunità di crescere o per lo meno di migliorare un po’ la loro condizione economica, che è in effetti possibile, ma è necessario dimostrare loro che non c’è niente di buono in questo.
Gli operai, in questo caso i tecnici necessari al settore automobilistico, sono non solo i responsabili dell’impatto economico milionario che sta generando questo settore, non solo in Messico, ma nel mondo, ma anche del fatto che questo rimanga nelle mani di pochi, dei padroni delle grandi aziende attraverso il suo facilitatore; lo Stato, conta su tutte le garanzie per sfruttare tanto le risorse naturali necessarie, come garantire la sua manodopera.
Questo modello formativo è solo un’altra forma di sfruttamento che dobbiamo combattere, sia gli studenti tecnici, di qualunque settore, come quelli che fanno parte di questi programmi che non sono esclusivi del settore automobilistico, devono essere coscienti che solo in una società in cui quello che prevale è la soddisfazione delle necessità di tutta la popolazione e non la sete di guadagno delle imprese, potranno svilupparsi pienamente come studenti e come futuri lavoratori.

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
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Sent: Thursday, June 16, 2016 3:22 AM
Subject: IL LATO OSCURO DEL CIOCCOLATO: LAVORO MINORILE E DEFORESTAZIONE

di Nolwenn Weiler
IL LATO OSCURO DEL CIOCCOLATO: LAVORO MINORILE E DEFORESTAZIONE Da un lato, sei importanti industrie (Mars, Nestlé, Ferrero...), che possiedono il 50% del mercato mondiale), tra gli 80 e i 100 miliardi di dollari all’anno. Dall’altra parte, cinque milioni di piccoli produttori che durante l’anno faticano a meno di due dollari al giorno.
Benvenuti nel meraviglioso mondo del cacao, analizzato dall’Ufficio di analisi (Basic, Officina di Analisi Sociale per un’Informazione Cittadina http://lebasic.com).
Questo studio di Basic, realizzato dalla Piattaforma del Commercio Equo (Plate-forme du commerce équitable) confronta i costi sociali e ambientali dei settori convenzionali, sostenibili ed equi del cacao proveniente dalla Costa d’Avorio e dal Perù per il mercato francese.
DUE MILIONI DI BAMBINI LAVORANO NELLE PIANTAGIONI DI CACAO
I lavoratori del settore convenzionale sono sottopagati e costretti a piegarsi alle strategie a breve termine. In Costa d’Avorio, il più grande produttore di cacao al mondo, i produttori estendono le loro piantagioni nella foresta per mantenere i loro rendimenti e profitti. “Si stima che 13 milioni di ettari di foresta originaria sono scomparse dal 1960, in parte a causa del cacao, l’80% della foresta ivoriana originale”, dice lo studio. Un’altra “soluzione” per i piccoli agricoltori al collasso: il sempre maggiore utilizzo di prodotti chimici e... il lavoro minorile. “Più di due milioni di bambini lavorano nel settore del cacao. Molti in condizioni di lavoro pericolose quando usano prodotti chimici o maneggiano il machete”.
“La deforestazione, il lavoro minorile e l’insicurezza alimentare sono le tre principali conseguenze che genera il settore del cacao a carico dei piccoli agricoltori e delle loro famiglie”, afferma Basic. Tali danni nei paesi di produzione sono la controparte sociale e ambientale del valore economico creato dalla coltivazione e dalla vendita di cacao.
Lo studio di Basic ha quantificato questi danni o “costi sociali” sostenuti dalla collettività. Essi sono stimati in 2,85 miliardi di euro per la Costa d’Avorio e 62 milioni di euro per il Perù. Il che va comparato con i 3,7 miliardi di euro e 166 milioni di euro dei profitti generati rispettivamente nei due paesi dalle esportazioni di cacao.
In altre parole, per ogni euro di valore creato, la filiera cacao-cioccolato genera 77 centesimi di costi sociali in Costa d’Avorio e 37 centesimi in Perù. I costi sociali possono essere definiti come “l’insieme di tutte le perdite e delle spese, dirette e indirette, presenti e future, che sono sopportate da terzi o dalla comunità nel suo complesso a causa dell’impatto sociale, sanitario e ambientale dei modi di produzione e di consumo”.
L’ORGANIZZAZIONE COLLETTIVA E’ GARANZIA DI MIGLIORI PROFITTI
Garantiscono le certificazioni sostenibili (“Rainforest Alliance” o “UTZ Certified”), cioè il 10% di cacao ivoriano esportato, minori costi sociali? In realtà, no.
Nelle piantagioni dove sono raccolte le fave di cacao, le condizioni di vita e di lavoro sono più o meno le stesse per i produttori di cacao convenzionali. La differenza in termini di costi sociali tra la filiera cacao-cioccolato sostenibile e quella convenzionale è moderata. Secondo i nostri calcoli vi è una riduzione media del 12% in Costa d’Avorio e del 34% in Perù, dovuta principalmente a causa dei redditi migliori. Il reddito annuo dei coltivatori di cacao certificato “sostenibile” è solo leggermente superiore rispetto ai loro colleghi convenzionali: solo il 6% in più che non permette loro di elevarsi al di sopra della soglia di povertà.
I redditi dei produttori di cacao “equo” sono altrettanto miserabili, a meno che non si riuniscano in organizzazioni collettive, come in Perù. In questo paese del Sud America, il nono più grande produttore di cacao, il commercio equo e solidale ha beneficiato di un movimento cooperativo strutturato.
“Le cooperative peruviane hanno sviluppato il mercato del caffè prima di reinvestire le proprie conoscenze nel cacao, con il sostegno della cooperazione internazionale nella lotta contro la coca dopo la fine della guerra civile”, spiega sempre Basic.
Oggi l’8% di cacao peruviano viene esportato in condizioni di commercio equo e solidale. I produttori di questo settore hanno visto il loro reddito aumentare di oltre il 50%, il che ha permesso loro di situarsi al di sopra della soglia di povertà e di entrare in un circolo virtuoso.
La buona base finanziaria dei produttori permette loro di investire nella manutenzione e nel rinnovo delle loro piantagioni, aumentando i rendimenti e i profitti. Nel frattempo, aumentano la superficie delle colture alimentari migliorando in tal modo il loro accesso al cibo e alla salute generale delle loro famiglie.
“I produttori di cacao peruviani raramente usano prodotti chimici per le loro piantagioni perché queste, nelle agro-foreste, sono naturalmente conservate meglio dalle malattie rispetto alle piantagioni al sole della Costa d’Avorio”.
L’impatto del commercio equo in Perù si riflette in una riduzione di costi sociali: l’80% dei costi in meno rispetto a quelli di stampo convenzionale! Ovviamente, questi benefici generano notevoli costi aggiuntivi per l’acquisto di sementi, dell’ordine del 40% - 90%. L’Industria del cioccolato è disposta a pagare la differenza?

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From: Daniele Barbieri pkdick@fastmail.it
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Sent: Thursday, June 16, 2016 4:25 PM
Subject: BANANE, VELENI, BOICOTTAGGI E... STORIE CHE IN ITALIA SONO INVISIBILI

UN POPOLO CONTRO DOLE
di Kate Wilson
Nel 1977, gli Stati uniti hanno messo al bando i pesticidi contenenti PCB (policlorobifenili). La scienza era stata categorica: sterilità, cancro, malattie congenite. Ma, nonostante il bando e nonostante fosse al corrente delle conseguenze, la Dole Food Company ha continuato a irrorare i veleni chimici nelle piantagioni del Sud America.
Il film maker svedese Frederik Gertten è sceso in campo contro la Dole. Il suo lungometraggio “Bananas!” ha ripreso il caso giudiziario tra la multinazionale e alcuni lavoratori del Nicaragua. Il film mette a nudo i dettagli degli abusi ambientali e umanitari perpetrati dalla Dole.
La Dole è andata all’attacco. Nel tentativo di mettere il bavaglio al documentario, la compagnia ha assoldato un team di avvocati per fare causa a Gertten e bloccare la distribuzione del film. Ma, come se ne è avuta notizia, gli svedesi si sono subito mobilitati a difesa della libertà di parola del regista. A difesa del diritto costituzionale di libertà di espressione, i cittadini svedesi hanno apertamente difeso il diritto di Gertten per una informazione libera. La protesta ha attirato l’attenzione del governo nazionale, muovendo addirittura un’audizione parlamentare: il caso di Gertten ha unito tutte le forze di destra e di sinistra e gli svedesi hanno iniziato a boicottare i prodotti della Dole.
“Ti racconto una storia buffa” - ha detto Gertten ad Adbusters dal suo albergo americano - “Dopo che il film è uscito, mi trovavo in un albergo a Stoccolma (la più grande catena nordica di hotel) e per colazione servivano banane della Dole. Allora decisi di fotografarle con il mio cellulare e mettere la foto su Twitter e Facebook. Dopo circa tre ore, la gente iniziò a twittare e a chiamare l’azienda che immediatamente ritirò tutte le banane Dole in tutto il paese, in ciascun albergo. Se vedi che qualcuno vende o distribuisce banane non etiche, puoi postarlo e la gente così è immediatamente informata”.
Queste iniziative non erano parte di una campagna coordinata, ma hanno avuto comunque degli effetti ad ampio raggio. Queste potenti sfide locali, hanno costretto le principali catene di supermercati svedesi a rivalutare la loro fiducia nei prodotti della Dole.
“Le principali aziende di grande distribuzione hanno delle persone incaricate di analizzare cosa accade nel mondo” – ci ha raccontato il film maker – “sanno che la politica può distruggere il loro business. Se inizia a circolare il dubbio che alcuni ingredienti possano causare il cancro o, ad esempio, qualcosa di nuovo accade nella West Bank in Palestina, sono pronti ad agire. E’ esattamente ciò che è accaduto con la mobilitazione contro la Dole”.
Le banane rappresentano l’1 per cento del totale delle vendite di un supermercato. L’1 per cento, come dice Gertten, “è un’enormità, è un business molto lucrativo”. Quando i clienti hanno iniziato a boicottare i prodotti della Dole, i supermercati svedesi hanno visto calare le loro entrate. Le principali catene minacciarono di sospendere i rapporti commerciali se la Dole non avesse ripulito la propria immagine compromessa. Alcuni negozi, come la catena svedese di hamburger Max, ha direttamente rescisso ogni rapporto con la Dole. Ed era ora!
Per più di un secolo, il modus operandi della Dole è stato basato su sfruttamento, rapine, devastazioni ambientali e omicidi. Nonostante il suo brand internazionale fosse basato sullo slogan “L’alba di una nuova era dell’alimentazione”, la Dole è un’azienda la cui famiglia fondatrice ha aiutato a rovesciare il regno delle Hawaii a favore degli interessi delle imprese americane di zucchero. E’ un’impresa che, per più di cento anni, ha sistematicamente pagato i propri dipendenti stranieri a livello di servitù debitoria. E’ un’impresa che ha assoldato gruppi paramilitari colombiani per sequestrare e uccidere un leader sindacalista che si riteneva operasse contro gli interessi della compagnia.
La Dole in Svezia ha perso una partita, ma continua comunque a monopolizzare il mercato globale. Dobbiamo pertanto rendere globale il tipo di risposta che si è avuta in Svezia: dobbiamo lanciare un boicottaggio mondiale!
L’iniziativa dal basso ha costretto la multinazionale a cambiare in un paese. Possiamo ottenere gli stessi risultati anche a livello internazionale.

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From: Comitato Sostegno Vittime Eureco comitatosostegnovittime.eureco@gmail.com
To:
Sent: Friday, June 17, 2016 7:25 PM
Subject: COMUNICATO STAMPA NUOVO INSEDIAMENTO PRODUTTIVO NELL’AREA EURECO

Buonasera,
vi inviamo a seguire il comunicato stampa del nostro Comitato in merito al probabile nuovo insediamento produttivo nell’area del’Eureco di Paderno Dugnano.
Cordiali Saluti
Comitato a sostegno dei Famigliari Vittime e Lavoratori Eureco

UNA NUOVA AZIENDA CHE SMALTISCE RIFIUTI PERICOLOSI NELL’AREA EURECO?
Sono trascorsi solo pochi giorni dalla sentenza emessa dalla Corte Cassazione per la strage dell’azienda Eureco che ha visto la conferma della condanna del titolare Giovanni Merlino a 5 anni di reclusione per la morte di Harun Zeqiri, 44 anni, Sergio Scapolan, 63, Salvatore Catalano, 55 e Leonard Shehu, 37 ed altri 3 operai feriti in modo grave.
Apprendiamo che il sindaco Marco Alparone durante l’ultimo consiglio comunale ha annunciato che Città Metropolitana (la ex provincia di Milano) sta rilasciando un permesso per l’insediamento sull’area ex Eureco di una società che dovrà smaltire rifiuti tossici pericolosi.
Il comune di Paderno Dugnano pur ribandendo la propria contrarietà a questo progetto, non fa altro per opporsi a questa scelta sbagliata.
Il comune di Paderno Dugnano costituitosi parte civile durante il processo, ha l’obbligo morale nei confronti delle vittime di riaffermare con forza quest’opposizione e di far di tutto per impedire che si creino nuove situazioni potenzialmente pericolose.
In qualità di “Comitato a sostegno dei famigliari delle vittime e dei lavoratori Eureco” esprimiamo contrarietà a un nuovo insediamento, perché la strage accaduta nel 2010 non abbia a ripetersi, chiedendo il sostegno di tutti i cittadini, le forze politiche, le associazioni presenti sul nostro territorio.
Non è possibile lasciare spazio ad aziende di questo tipo dopo un simile precedente poiché su questa città non pesano solo le morti di 4 operai, ma anche l’esistenza di altri 3 ancora abbandonati al loro destino.

Comitato a sostegno dei famigliari delle vittime e dei lavoratori Eureco

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To:
Sent: Saturday, June 18, 2016 6:37 PM
Subject: NUORO: NUOVO PROTOCOLLO UNICO DI SORVEGLIANZA SANITARIA E TAVOLO TECNICO PER IL RICONOSCIMENTO DELLE MALATTIE PROFESSIONALI

L’Associazione Italiana Esposti Amianto (AIEA) ha promosso un incontro istituzionale, esteso alle Parti Sociali (CGIL, CISL, UIL), Medicina Democratica (MD) e Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi su Lavoro (ANMIL), per discutere e operare in merito ad una Sorveglianza Sanitaria estesa a tutti i lavoratori ex esposti ed esposti all’amianto che abbia come obiettivi: la riduzione della mortalità, la promozione della diagnosi precoce anche attraverso un progetto pilota in collaborazione con i maggiori ospedali e centri universitari regionali.
A seguito degli incontri che si sono susseguiti negli ultimi mesi con i lavoratori dei siti industriali di Ottana (NU) ed Assemini (CA) che hanno motivato gli esposti denuncia depositati alle Procure di Cagliari e di Nuoro, all’intervento della Magistratura nello Stabilimento di Ottana e a ciò che è seguito in termini di interrogazioni parlamentari, di intervento della Commissione Parlamentare Infortuni e Malattie Professionali e di diffusione del problema sugli organi di stampa e tramite radio e televisione, si è riscontrato:
-         esposizione generale a sostanze cancerogene come l’amianto;
-         diversi casi di lavoratori di Assemini e di Ottana, sottoposti ad uno screening HRCT, presso ospedali convenzionati, con lesioni polmonari da amianto, alcuni di questi lavoratori erano, da tempo, in sorveglianza sanitaria col metodo radiografico tradizionale, senza alcun riscontro di patologia;
-         numerose denunce di decessi per patologie oncologiche;
-         numerose denunce di malattie professionali e rendite al superstite rigettate dall’INAIL;
-         aree sotto sequestro per presenza sospetta di inquinanti industriali pericolosi come l’amianto.
Dalla banca dati dell’AIEA si riscontra che la maggiore incidenza delle suddette patologie oncologiche tra i lavoratori dell’industria ex esposti all’amianto é soprattutto a carico dell’apparato respiratorio, mesotelioma maligno, CA polmone, CA laringeo, asbestosi, placche pleuriche, così come riscontrato dagli screening sanitari riferiti a coorti di lavoratori che hanno operato in ambienti lavorativi simili, equivalenti, quali zone industriali della Val Basento in Basilicata, Ottana ed Assemini in Sardegna.
Riportiamo la sintesi dell’incontro, come riferito da Paolo Merlini in un articolo del 17/06/49 pubblicato da Nuova Sardegna (http://lanuovasardegna.gelocal.it)
Nuoro, 15 giugno 2016
C’è finalmente una svolta sul fronte del riconoscimento dello status di esposti all’amianto degli ex lavoratori di Ottana sino ai primi anni Duemila. L’incontro di mercoledì che ha visto la partecipazione di AIEA, Medicina Democratica, CGIL, CISL, UIL, dell’ANMIL, insieme con il medico Roberto Cherchi, responsabile della Chirurgia Toracica dell’Ospedale Businco di Cagliari, il sindaco di Nuoro Andrea Soddu e l’assessore regionale alla Sanità Luigi Arru, è stato positivo e produttivo.
Positivo perché finalmente, dopo tanto, si è creato un fronte sinergico fra tutte le componenti, con l’obiettivo finalizzato al superamento delle storture presenti nell’applicazione del protocollo sanitario da parte degli Spresal e delle diverse ASL nella regione, al fine di garantire un servizio di Sorveglianza Sanitaria rispondente in modo puntuale e urgente alle esigenze dei lavoratori esposti all’amianto.
Le denunce dell’AIEA e di tutti i partecipanti, precise e documentate, accompagnate dall’emergenza che vivono gli ex esposti, dalle morti sempre più in aumento, dal crescente aumento dai lavoratori colpiti dall’esposizione all’amianto e dai tanti veleni respirati durante la loro attività lavorativa, hanno prodotto l’impegno da parte dell’assessore Arru di un intervento urgente per fronteggiare la situazione.
L’assessore alla Sanità, accogliendo le richieste e facendo proprie le motivazioni dei partecipanti, ha deciso:
-         di procedere all’eliminazione della disomogeneità nel sistema attuale, dando avvio alla costituzione di tavolo unico Regionale di tutti gli Spresal, coordinato dal dottor Roberto Cherchi, finalizzato all’utilizzo di una procedura, in cui venga garantita una sorveglianza sanitaria degna di questo nome, affinché ai lavoratori venga risparmiato l’estenuante calvario al quale finora sono stati sottoposti;
-         di assumersi l’impegno di procedere con un’azione congiunta nei confronti dell’INAIL con l’istituzione di un tavolo tecnico per accelerare il riconoscimento delle malattie professionali per i lavoratori colpiti da malattie asbesto correlate.
L’AIEA si augura che tutte le sofferenze, i sacrifici, le battaglie, i dinieghi, le menzogne, i respingimenti, i rifiuti di cui sono stati vittime troppi lavoratori per decenni possano trovare “giustizia”.
Purtroppo i morti non possono tornare, ma il riconoscimento di quanto hanno subito, a causa delle storture vergognose del sistema sanitario e previdenziale, deve essere in assoluto il nostro obiettivo.
Non sarà semplice né facile, il cammino dei diritti dei lavoratori ex esposti è stato sempre intricato e complesso; agli impegni assunti dall’assessore Arru dovranno seguire i fatti!!
L’AIEA, cosciente che in Sardegna si è prodotta una delle ingiustizie sociali maggiori dell’intera nazione italiana, chiede la costituzione di un fronte unico con le Organizzazioni Sindacali e le Associazioni presenti all’incontro per far sì che gli impegni assunti diventino realtà.
Riportiamo a seguire il comunicato stampa diffuso da AIEA Onlus Sardegna il 13 giugno 2016.
COMUNICATO STAMPA
Troppe le patologie causate dall’amianto e altri veleni che sfuggono agli esami di routine in uso presso gli Spresal delle ASL sarde: è urgente adottare un nuovo protocollo per la sorveglianza sanitaria per gli ex esposti all’amianto, per una diagnosi certa e precoce. 
E’ allarme presso i lavoratori delle ex industrie chimiche di Ottana e Assemini, non solo per l’aumento di patologie e decessi riconducibili alla esposizione all’amianto e altri veleni, come da tempo e ripetutamente denunciato, ma anche per il moltiplicarsi di casi “sfuggiti” ai controlli in uso presso gli Spresal (Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro) che si basano sulla spirometria e la semplice radiografia toracica.
Per questa nuova emergenza, AIEA Sardegna, in collaborazione con CGIL, CISL, UIL, ANMIL e Medicina Democratica, ha convocato un incontro urgente a Nuoro, mercoledì 15 giugno, alle ore 16, presso i locali dell’ex INPDAP in via Lamarmora 175, a cui è stato invitato l’Assessore regionale della Sanità Luigi Arru, e che vedrà la partecipazione dei vertici regionali e nazionali dell’AIEA e delle rappresentanze provinciali e regionali del sindacato.
“E’ inaccettabile ciò che sta accadendo e che stiamo verificando attraverso i nostri database” - ha dichiarato Sabina Contu, presidente di AIEA Sardegna - “per il moltiplicarsi di casi di lavoratori, che stanno constatando di essere affetti da patologie non riconosciute con le tecniche tradizionali, utilizzate presso i Servizi di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro, ma diagnosticate con esami più avanzati, interamente a carico del paziente e solo su prescrizione dello specialista, come la TAC ad alta risoluzione, HRCT, effettuati presso gli ospedali e strutture convenzionate”. 
Una nuova emergenza su cui si chiede un intervento urgente e risolutivo da parte della Regione, con la definizione di un nuovo e più adeguato Protocollo di Sorveglianza Sanitaria, a cui sottoporre i lavoratori delle ex industrie chimiche sarde, per individuare il più precocemente possibile il manifestarsi di quelle patologie a lenta ma inesorabile insorgenza, come le placche pleuriche, l’asbestosi, i carcinomi polmonari e laringei, o il temibile mesotelioma pleurico.
Il convegno sarà coordinato da Salvatore Pinna, Segretario generale della CGIL di Nuoro: dopo i saluti del sindaco di Nuoro Andrea Soddu e del Prefetto Giovanni Meloni, sarà aperto dalla relazione di Sabina Contu 
Seguirà la comunicazione sulle novità diagnostiche in materia di patologie polmonari del dottor Roberto Cherchi, responsabile della Chirurgia Toracica dell’Ospedale Businco di Cagliari.
Dopo il dibattito, seguirà l’intervento del segretario regionale CGIL Michele Carrus. E’ previsto quindi l’intervento dell’assessore Regionale della Sanità Luigi Arru. Le conclusioni sono affidate a Mario Murgia, vicepresidente nazionale di AIEA.
“Siamo di fronte alla ennesima situazione di discriminazione che riguarda la salute dei nostri lavoratori” - ha dichiarato Mario Murgia - “che già pagano il prezzo altissimo dell’essere stati esclusi per decenni dai programmi di sorveglianza sanitaria attiva in qualità di ex esposti amianto, in termini di malattie e decessi. L’AIEA consapevole di quanto si è riscontrato e tuttora si riscontra tra i loro colleghi che hanno svolto le stesse mansioni nei siti industriali della Val Basento in Basilicata, ha ripetutamente denunciato queste gravi e inaccettabili inadempienze. Ma a questo si aggiunge l’assurdo che, per quei pochi ammessi alla sorveglianza sanitaria passiva (richiesta individuale), non vengono utilizzate le tecnologie e la diagnostica più avanzata, che pure la scienza e la medicina ci mettono a disposizione per valutare la diagnosi precoce del CA del polmone che è la causa del maggior numero di decessi tra i lavoratori dell’industria riconducibile alla esposizione all’amianto ed altri veleni presenti negli ambienti di lavoro: su questo chiederemo con forza, insieme ai sindacati e ai patronati di riferimento dei lavoratori, precisi e non più eludibili impegni alla Regione”.
Per ulteriori approfondimenti:
-         Nuovi protocolli per la diagnosi delle patologie legate all’amianto
-         AIEA lancia l’allarme: aumento delle patologie da amianto e altri veleni
-         Amianto: Patologie lavoratori in aumento

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