allegata sotto la piattaforma dello Slai Cobas per il sindacato di
classe Sanità
Covid19 – No, non è
andato
tutto
bene
Mia
mamma ha i primi sintomi il 20 marzo. Lavora come operatrice
socio-sanitaria in una RSD, quel giorno è di riposo, si prova la
febbre a casa e ha 37,5. Il 21 marzo chiama la guardia medica per
richiedere il certificato e la visita domiciliare, in quanto la
comunicazione della Regione Lombardia e del Governo è quella di
rimanere a casa se si ha la febbre uguale o superiore a 37,5. La
risposta ricevuta è di recarsi direttamente alla loro sede
ambulatoriale, incuranti di qualsiasi regola istituita per contenere
il contagio. Le danno solo due giorni di malattia, consigliandole di
sentire in seguito il suo medico di famiglia per eventuali giorni in
più. Tra il 22 e il 26 marzo mia madre continua ad avere la febbre
fino a 38,6 con assenza di gusto e olfatto. Dal 27 marzo
fortunatamente la febbre comincia a calare fino a 37,2. La
sintomatologia viene curata con Tachipirina su prescrizione
esclusivamente telefonica del medico curante.
Durante
questi giorni di malattia la persona che si prende cura di mia madre
è mio padre, un uomo di 75 anni senza particolari patologie ma che
due anni fa aveva avuto una lunga polmonite. Il medico curante, già
a conoscenza dello stato di salute dei miei genitori avendoli in cura
da diverso tempo, raccomanda l’isolamento domestico e la
limitazione dei contatti tra di loro, difficilmente attuabile in un
appartamento di piccole dimensioni e con tutte le difficoltà date
dalla mancanza di adeguati presidi sanitari, più volte propagandati
dalla Regione Lombardia e invece non ancora forniti dal sistema
sanitario regionale. Nonostante il medico curante abbia richiesto il
tampone non arriva nessuna risposta, nessun supporto medico né una
soluzione per separare temporaneamente i miei genitori. Vengono
letteralmente lasciati da soli in casa con il virus. Inizialmente
provano a fare i “separati in casa”: dormono in stanze diverse,
cercano di stare sempre con le mascherine, tengono gli asciugami in
due punti diversi del bagno e lavano tutto in lavastoviglie.
Purtroppo tutto questo non basta e mio padre inizia ad avere la
febbre il 28 marzo. E’ lui stesso a dirmelo al telefono mentre sono
occupata a fare loro la spesa. Io scoppio in lacrime, sono
spaventata. Mio padre cerca di consolarmi dicendomi che visto come è
andata a mia madre, anche a lui sarebbe passato tutto in una decina
di giorni…io provo a crederci e smetto di piangere.
Tra
il 29 e il 31 marzo la temperatura di mio padre comincia a salire
fino a 38,7. Anche in questo caso la terapia prescritta,
esclusivamente al telefono, è costituita da Tachipirina e Plasil per
combattere il senso di nausea. Tra i sintomi non si rileva tosse, ma
un continuo abbassamento della voce che viene imputato alla
stanchezza e alla spossatezza provocata dall’infezione. Continua
senza sosta e senza esito la richiesta di tamponi per acclarare la
natura della malattia ed eventualmente poterla gestire evitando il
suo possibile aggravarsi. Il primo di aprile facciamo la prima
chiamata al 112 , su suggerimento del medico, perché la temperatura
continua a salire e mio padre è sempre più debole. La chiamata
porta ad uno screening telefonico con l’indicazione di trattenere
il respiro e contare fino a 10. Non ritengono necessario nessun
intervento, né propongono indagini più approfondite. Lasciano
nuovamente da soli i miei genitori ad affrontare un nemico invisibile
e insidioso. Il giorno dopo la salute di mio padre si aggrava
ulteriormente e la febbre arriva a 39,5: mia madre estremamente
preoccupata chiama di nuovo il 112 per avere supporto medico ma la
domanda che le fanno è sempre la stessa: “Il
signore ha problemi respiratori?”.
Così anche la seconda volta dal 112 non riusciamo ad ottenere
l’attenzione e la cura per un uomo che sta ormai lottando tra la
vita e la morte. Il 3 aprile la temperatura continua ad essere alta,
mia madre chiama per l’ennesima volta il medico di base che le
prescrive un antibiotico, senza alcuna visita medica sul paziente. In
mattinata arriva tramite corriere un saturimetro che i miei parenti
DA ROMA hanno comprato e spedito, in quanto estremamente preoccupati
e consci del fatto che al di là dei problemi respiratori, con questo
virus è assolutamente necessario tenere sotto controllo la
saturazione di ossigeno nel sangue. Cosa che invece durante le
chiamate con il 112 non è mai stata presa in considerazione o anche
banalmente accennata. Mia madre con estrema paura prova ad utilizzare
questo apparecchio. Non sapendo bene come interpretare i due numeri
che vengono fuori richiama l’operatore del 112, che dopo aver
ascoltato i valori rilevati invia un’ambulanza che arriva in 10
minuti e dopo una prima visita decidono di ricoverarlo d’urgenza.
Mio padre viene così calato dal balcone con una difficilissima
operazione da parte dei Vigili del Fuoco, perché sulle scale del
palazzo sono state lasciate le impalcature per la costruzione
dell’ascensore e da lì la barella non riesce a passare. Dopo ore
riescono a metterlo sull’ambulanza e a portarlo al San Paolo di
Milano.
Prima di andare via mio padre chiede a mia mamma di mettergli
le scarpe in un sacchetto perché lui ci credeva che sarebbe tornato
a casa sulle sue gambe. Insieme alle scarpe si porta dietro i vari
documenti e il cellulare, che mai utilizzerà per contattarci,
evidentemente perché troppo debole. In ospedale gli fanno il tampone
a cui risulta positivo. Viene così trasferito al reparto di malattie
infettive. Dal 4 al 7 aprile mia madre viene aggiornata dai medici di
turno con brevi telefonate. Ci dicono che mio padre è sotto casco di
ossigeno, alternato alla maschera. Ci dicono che la febbre rimane
alta ma che l’ossigenazione costante tiene la saturazione sotto
controllo. Ci dicono che è stabile, che dobbiamo sperare, ma anche
prepararci al peggio…la versione varia a seconda del medico che
chiama. Al secondo giorno di somministrazione del medicinale
sperimentale dicono che non sta reagendo, cosa che mi sembra
particolarmente strana da dire dopo solo due giorni di cura. Uno dei
polmoni di mio padre è compromesso dall’infezione e l’altro fa
fatica a funzionare doppiamente, ma continuano a dire che è stabile,
non migliora e non peggiora. L’8 aprile verso le 13.30 mia mamma
viene chiamata dall’ospedale e mi aggiunge alla telefonata con la
dottoressa di turno che ci comunica che mio padre è deceduto. In
soli 12 giorni di malattia, dopo 3 chiamate al 112, svariate chiamate
al medico di base e al call center della Regione Lombardia, dopo
appena 5 giorni di ricovero in ospedale, mio padre ci ha lasciati e
non è più potuto tornare a casa sulle sue gambe e con le sue
scarpe.
La
telefonata con la dottoressa è stata molto breve e nella difficoltà
di accettare una notizia simile abbiamo chiuso la comunicazione senza
pensare di chiedere come muore esattamente una persona sotto
ossigeno. L’ospedale non ci ha più chiamati per spiegarci
precisamente cosa è successo. Nonostante abbia richiesto la
cartella clinica il giorno dopo, ad oggi non sono ancora riuscita ad
ottenerla per sapere esattamente la causa del decesso. So solo
che mio padre, un uomo di 75 anni con un evidente stato di polmonite
avanzata, non è MAI stato messo in terapia intensiva. In questo
momento estremamente doloroso per una figlia, assalita dai sensi di
colpa sapendo che mio padre è morto da solo e spaventato, trovo la
forza di concentrarmi su mia madre, che deve rimanere in quarantena a
casa da sola nel momento più doloroso della sua vita. Inizio a
chiamare compulsivamente il 112, il 118, il numero verde della
Regione e il medico di base per avere risposte e un tampone immediato
per mia madre, in quanto malata e sicuramente venuta in contatto con
una persona positiva. Ci dicono che dovrebbe avere un canale
preferenziale, anche perché operatrice sanitaria, ma il rimbalzo
delle responsabilità di chi deve materialmente farle questo tampone
sembra una voce registrata che si ripete all’infinito. Il 112 dice
che è il medico di base a doverlo richiedere, oppure il direttore
sanitario della sua struttura. Il medico di base dice che è
responsabilità di ATS o dell’ospedale e che lui non può
assolutamente farlo. Il direttore sanitario continua a chiamare ATS
ma nessuno risponde al telefono. Gli ospedali fanno il tampone solo
ai pazienti ricoverati in situazioni già critiche (ancora oggi mi
chiedo quale sia la logica, se il tampone serve proprio per
individuare i malati prima che siano all’ultimo stadio). Ultima
notizia dalla Regione Lombardia: mancano i reagenti, dobbiamo
aspettare! Aspettare…aspettare… Dopo ben 33 giorni dal primo
sintomo e 15 dalla morte di mio padre, mia mamma riesce finalmente a
farsi fare il primo tampone, a cui risulta positiva, solo ed
esclusivamente grazie alla battaglia del suo direttore sanitario per
ottenere i tamponi per i suoi pazienti e per i suoi dipendenti. Da
quel momento ATS decide di contattarla, sapendo SOLO ALLORA della sua
esistenza, così come la Polizia per registrarla nel loro data base.
Ormai mia mamma si trascina una lieve febbre da settimane ma non ha
altri sintomi, le uniche cose che riescono a dirle al telefono sono
di restare a casa e di stare tranquilla…ma come fa una donna
malata, che ha appena perso il marito per lo stesso male, e che sta
vivendo da sola il suo dolore (perché io non posso materialmente
entrare in casa), a stare tranquilla? Come può lo Stato lasciare le
persone così da sole, abbandonate a loro stesse? L’unica
consolazione di mia madre, oltre alla rete familiare che continua a
chiamarla cercando di farle compagnia, è una psicologa volontaria
che contatta tutte le persone che hanno subito un lutto, recuperando
i numeri direttamente dall’ospedale. Le telefona una volta alla
settimana. Ad aggiungersi al dolore del lutto e ai sensi di colpa per
non aver mentito al 112 dicendo che mio padre aveva problemi
respiratori (cosa siamo costretti a fare!?) intorno a mia mamma nel
suo palazzo si crea una rete di indifferenza e di isolamento per
paura del contagio. Viene trattata come un’appestata, un essere che
deve rimanere rinchiuso senza far pesare il suo dolore, viene
addirittura aggredita verbalmente e fisicamente dalle sue stesse
vicine di casa perché accusata INGIUSTAMENTE di passare
l’aspirapolvere alle 2 di notte e perchè considerata “pazza”.
Anche il semplice gesto di buttare la spazzatura (con guanti e
mascherina ffp2) suscita polemiche e nonostante non sia contro le
direttive di ATS, a mia madre viene impedito di farlo. Sono io ad
occuparmene quando vado da lei a portarle la spesa. A questo punto
nella mia testa si accumulano un milione di domande e di se… Io
resto a casa, ma se è proprio in casa mia il virus? Lavarsi le mani,
indossare mascherine, restare a non meno di 1 metro di distanza,
gestire i pazienti da casa… Ma come fanno dei semplici cittadini
malati e impauriti a gestire la profilassi per la protezione dei
parenti sani durante l’isolamento domestico? Come fanno a trovare
quel minimo di serenità necessaria a curarsi quando la maggior parte
del tempo la si passa cercando di ottenere risposte che non arrivano
mai? Se avessero fatto i tamponi ai miei genitori, subito dopo i
primi sintomi di mia madre, mio padre sarebbe ancora vivo?? Sarebbero
riusciti a curarlo al meglio? Perché la Regione Lombardia ha fatto
così pochi tamponi se per contrastare una pandemia è necessario
avere i dati reali dei contagiati?? Come si fa a curare la gente in
questo modo??
“Non
recatevi al pronto soccorso ma chiamate il 112”…per
due volte siamo stati ignorati! Se fossero arrivati prima mio padre
si sarebbe salvato??? Bisogna arrivare al punto di dover mentire,
dicendo di avere problemi respiratori??? Dobbiamo arrivare a
comprarci da soli i saturimetri?? Perché omettere un dato tanto
rilevante come la saturazione del sangue?? Perché hanno puntato solo
sugli ospedali e non sui medici di base? Perchè nessuno è venuto a
visitare i miei genitori??? Come si fa a curare al meglio una persona
malata di COVID, che ha 75 anni e 39 di febbre per telefono??? Sono
consapevole che la mia storia assomiglia purtroppo a tante altre che
sono successe in questi mesi. Provo solo tanta rabbia e dolore,
perché sono convinta che potevano essere evitate.
Mio
padre era un uomo e un artista meraviglioso, mi manca immensamente.
Chiara
Giordana
la
piattaforma/proposta dello Slai Cobas per il sindacato di classe
Sanità – Milano
cobasint@tiscali.it; cobasdiclasse.mi@gmail.com;
cell. 338-7211377
NELLA
FASE 2
NOI
OPERATORI SANITARI CONOSCIAMO BENE QUAL’È LA REALTA IN CUI CI
HANNO FANNO LAVORARE E NELLA QUALE CONTINUANO. CI HANNO ESPOSTI AL
CONTAGIO E CONTINUANO A FARLO. A MORIRE E FARCI MORIRE!
SANTI
ED EROI SUI GIORNALI, CARNE DA MACELLO IN CORSIA!
medici
e infermieri e tutti i lavoratori della sanità non si possono
permettere di aspettare risorse che non arrivano; non possono
permettersi di continuare a stare zitti e a farsi zittire.
ABBIAMO
IL DIRITTO DI CHIEDERE E PRETENDERE QUELLO CHE SERVE PER LA NOSTRA
PROTEZIONE, PER QUELLA DEI PAZIENTI E PER NON CONTAGIARE I NOSTRI
CARI:
QUÌ
E ORA!
QUESTA
LA PIATTAFORMA IMMEDIATA DELLO Slai COBAS Sindacato di
classe
PER
OPPORSI E RESISTERE ADESSO!
lavorando
per UNIRE TUTTI I LAVORATORI E COSTRUIRE LA PROSPETTIVA, DI UN
MODELLO DI SANITÀ AL SERVIZIO DELLA COLLETTIVITÀ E NON DEL
PROFITTO!
MA
IN QUESTA FASE 2 ABBIAMO, TUTTI QUANTI, IL DIRITTO-DOVERE DI CHIEDERE
CONTO AI FONTANA/GALLERA/SALVINI DELLE STRAGI NELLE RSA E DI QUELLA
CHE SI PROSPETTA NELLA SANITÀ PUBBLICA E NELLA SOCIETÀ, visto
che dicono “che rifarebbero tutto quello che hanno fatto”, cioé
distruggere un bene pubblico e ingrassare i profitti dei padroni
della Sanità Privata, mettendo in conto quanti operatori
sanitari-lavoratori-pazienti sono “sacrificabili”
*
DOTAZIONE DI TUTTI I DPI secondo il TU 81/08
(maschere FFP2 e FFP3; facciali…), per tutti i lavoratori, adeguati
al contesto in cui lavoriamo, in numero sufficienti e
formazione sull’uso, vestizione e svestizione, di detti ausili,
senza accettare il “disco rotto” che non ci sono e non arrivano e
che il COVID-19 è entrato ovunque
*
SCREENING DIAGNOSTICO, tamponi rinofarigeo, COVID19
A TUTTO IL PERSONALE, non solo per i sintomatici, per
iniziare a tracciare e limitare il rischio di essere, per i
lavoratori e pazienti ricoverati, veicolo di contagio e
contagiarsi. Negati nella sanità pubblica e che invece si
possono fare privatamente e a pagamento
*
INFORMAZIONE, giornaliera, SUL NUMERO DEI LAVORATORI CONTAGIATI, che
le Direzioni non forniscono con la scusa che si lede la privacy,
questo è stata la “narrazione tossica” che hanno usato nelle RSA
per coprire la strage di anziani e personale
*
ASSUNZIONI di personale all’assistenza (medici – infermieri -oss)
e dei lavoratori delle pulizie e ristorazione, che sono allo stremo e
sott’organico
*
SBLOCCO DELLE FERIE E DIRITTO AI RIPOSI perché i lavoratori
sono super stressati e rischiano di fare errori a danno loro e dei
pazienti
*
RAFFORZAMENTO DELLE SANIFICAZIONI, ordinaria
e covid19, con la dotazione a tutti i lavoratori dei DPI,
che non son le mascherine chirugiche, di protezione
monouso e attivazione della lavanderia interna, visto che
i lavoratori sono costretti a portarsi le divise da lavare a casa e
questo significa incentivazione alla diffusione di possibili contagi
*
RICONOSCIMENTO COME INFORTUNIO SUL LAVORO DA CONTAGIO COVID19 cosa
prevista dalla normativa vigente, mentre si mandano i lavoratori a
casa con temperetura o che sono venuti a contatto sia con pazienti
che colleghi positivi, facendo risultare “malattia generica”. Ed
il tampone viene effettuato ma soltanto con l’obiettivo di farli
rientrare al lavoro
*
STABILIZZAZIONE DI TUTTO IL PERSONALE di ogni ruolo che in
questo momento è anch’esso in prima linea e che non sa quale
futuro l’attende, si veda la protesta dei medici specializzandi
*
LE MASCHERINE CHIRURGICHE NON SON UN DISPOSITIVO DI
PROTEZIONE ospedaliero dove il contatto coi pazienti
è fisiologico e non si possono mantenere le distanze, per cui i
lavoratori hanno tutto il diritto di rifiutarsi di
lavorare senza le protezioni necessarie nell’emergenza
covid19. Visto che sono state distribuite, e continuano a
distribuirle, mascherine taroccate e sotto inchiesta, come quelle
della Fippi e della Pivetti
*
POTENZIAMENTO DELLA RETE TERRITORIALE riaprendo i presidi
tagliati, per ridurre la pressione sugli ospedali, per contrastare il
diffondersi dei contagi e poter rispondere alle altre patologie non
covid. Rafforzando la medicina di base vero-basico-storico baluardo
della conoscenza medica e delle soluzioni curative
*
NO ALLO SPOSTAMENTO DEGLI OPERATORI DA UN REPARTO ALL’ALTRO perché
questo rappresenta un’ulteriore veicolo di possibili contagi, che
vanno contrastati e denunciati in quanto illegittimi. I cui autori
vanno denunciati agli organi competenti
*
ISOLAMENTO O QUARANTENA DEGLI OPERATORI SANITARI fuori dagli
ambienti domestici a salvaguardia della salute dei conviventi,
reperiti e a carico della Regione
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